Giugno 24th, 2011 Riccardo Fucile
FILIPPO ROSSI: “OLTRE I VECCHI SCHEMI DI DESTRA E SINISTRA PER IL RECUPERO DI VALORI CONDIVISI E L’AFFERMAZIONE DELLA FORZA DELLA VERITA”… FABIO GRANATA: “A LUGLIO LA COMMISSIONE ANTIMAFIA IN AUDIZIONE A GENOVA: IL CRIMINE ORGANIZZATO E’ ENTRATO NEGLI AFFARI LEGALI, GENOVA SECONDA SOLO A MILANO”
Posti a sedere tutti occupati, i ritardatari abbarbicati sulle scale o in piedi per due ore ad assistere ieri a Genova, nella splendida cornice di Palazzo Ducale e nella prestigiosa sala della Società di Conversazioni e Letture Scientiche, alla presentazione del periodico di area finiana “Il Futurista”.
Era parecchio tempo che in città un evento culturale di area di destra non suscitava tale interesse anche da parte dei media: il Tg Rai e le principali testate cittadine hanno intervistato il direttore del settimanale, Filippo Rossi, e l’on. Fabio Granata di Futuro e Libertà , in qualità anche di vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia.
Con qualche annotazione di merito: due donne a presentare l’evento (la coordinatrice prov. di Fli, Rosella Olivari, e la responsabile giovanile di Generazione Futuro, Paola Del Giudice), 150 persone inchiodate per due ore in sala senza battere ciglio, una frequente interazione tra oratori e pubblico, con rapide domande e risposte, una predominanza di giovani tra i presenti.
Si respirava area diversa insomma da quella “becerodestra” che governa il Paese, anche nel taglio degli interventi.
Filippo Rossi ha ripercorso la storia de “Il futurista”, settimanale di politica, cultura e società , con il suo stile molto coinvolgente, semplice e narrativo, ribadendo quanto in Italia si senta la necessità vitale di una informazione indipendente di fronte allo strapotere delle lobbies editoriali. Rossi ha sottolineato che la recente vittoria dei Sì ai referendum e il raggiungimento del quorum hanno dimostrato l’importanza della “rete”, capace di mobilitarsi e battere chi detiene il monopolio dei media nel nostro Paese.
Non a caso la versione web del periodico ha avuto un grande riscontro di visite di internauti, coinvolti nel progetto di una informazione che superi i vecchi schemi di destra e sinistra intervenendo nel dibattito politico con la sola, dirompente forza delle ricerca della verità .
L’intervento “politico” di Fabio Granata è stato incentrato su due aspetti.
Il deputato di Fli ha prima illustrato le vicende che hanno portato alla separazione di Fini da Berlsconi, precisando che alla base della sua scelta c’è stata la scelta di campo della difesa della legalità : “La nostra destra non può che fare riferimento al sacrificio di Paolo Borsellino e degli uomini della sua scorta: sono loro i nostri eroi, non certo Mangano, lo stalliere di Arcore”.
Fabio Granata ha poi denunciato il clima di corruzione che ha generato il clima di compravendita di voti nel nostro Parlamento, fino al degrado delle istitituzioni che vanno invece difese, insieme ai diritti civili e al concetto di unità nazionale.
Il deputato futurista ha poi rimarcato il problema delle infiltrazioni della criminalità organizzata al Nord, un’emergenza che vede Genova e la Liguria seconde solo alla Lombardia nella triste classifica della malpianta mafiosa e ha annunciato che a fine luglio la Commissione antimafia si riunirà proprio a Genova per dare un segnale al contempo di allarme e di attenzione.
“La criminalità organizzata è entrata nell’economia locale – ha rivelato Granata – tenta di condizionarne il funzionamento e trarne vantaggio” .
Una stoccata finale Granata la riserva al Pdl imperiese, dopo lo scioglimento del comune di Bordighera per infiltrazione mafiose: “Il Pdl sostiene che la questione andrebbe ridimensionata? Anche a Milano c’era un prefetto che sosteneva che la mafia non esiste: Si è visto come è finita”.
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Giugno 24th, 2011 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO DEL CARROCCIO MASSIMO POLLEDRI, DI PROFESSIONE NEUROPSICHIATRA, PRONUNCIA UNA FRASE OSCENA IN TV DURANTE UN CONFRONTO POLITICO…E’ LO STESSO CHE AVEVA DEFINITO LA PARLAMENTARE DISABILE ARGENTIN “HANDICAPPATA DEL CAZZO”
“Agorà “, Rai3, puntata di giovedì 23.
In studio, tra gli altri, il deputato leghista Massimo Polledri, neuropsichiatra di 50 anni di Piacenza, e la giovane collega del Pd, Pina Picierno.
Che argomenta: «La Lega a Pontida lancia segnali di celodurismo, ma poi arriva e Roma e si cala le braghe».
Polledri, già assurto alle cronache per aver dato alla deputata Ileanda Argentin «dell’handicappata del c..zo», replica a mezza bocca: «Se ci caliamo le braghe noi, può esserci una bella sorpresa per te».
La Picierno lì per lì non sente, ma in studio tutti se ne accorgono, a cominciare dal conduttore Andrea Vianello che pretende le scuse immediate, pronunciate anche queste a mezza bocca.
«Non ho capito cosa ha detto – spiega la deputata originaria di Teano, in provincia di Caserta – ma mi sono incuriosita perchè in studio hanno cominciato ad agitarsi. Ho chiesto agli altri. E tutti: lascia perdere, lascia perdere. Pensavo fosse una stupidaggine, invece poi ho visto la registrazione».
E che ne pensa? «Che questo signore non è una persona civile».
Scoppia l’inevitabile rodeo di reazioni indignate, si fanno sentire le deputate del Pd, persino qualche parlamentare del Pdl.
Le donne della Lega invece sono solidali col collega maschio, evidentemente avvezze a interloquire con puttanieri e calabraghe.
Si legge in un comunicato firmato da Erica Rivolta ed Emanuela Munerato del Carroccio: “Chi realmente si dovrebbe vergognare e chiedere scusa per un tale comportamento sono quelli che creano il mostro da mettere alla gogna per farsi pubblicità “.
Le donne che frequentano via Bellerio, come racconta Lynda Dematteo in un suo libro, “L’idiota in politica”, sono abituate a farsi leccare il gelato sulla spalla o a sentirsi proporre “non mi daresti una tetta per mangiarci sopra la Nutella?”.
Che importanza volete che abbia per loro una volgarità in più o in meno, quando essa è istituzionalizzata nella loro prassi politica del partito?
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Giugno 24th, 2011 Riccardo Fucile
NAPOLI AL COLLASSO, SOS IGIENE, PER NAPOLITANO SIAMO DI FRONTE A UNA “EMERGENZA ACUTA E ALLARMANTE”…SCORTA ARMATA AI MEZZI DELL’AZIENDA RIFIUTI, GUASTO AL TERMOVALORIZZATORE DI ACERRA
A Napoli la situazione è grave, l’emergenza è “acuta e allarmante”, l’intervento del governo è “indispensabile”.
Il presidente Napolitano raccoglie e rilancia l’allarme del sindaco Luigi De Magistris, che poco prima aveva dichiarato: la situazione igienico-sanitaria “è grave”, c’è ormai “un rischio concreto per la salute dei cittadini”.
De Magistris in una conferenza stampa ha anche duramente attaccato Berlusconi: “Non ha fatto nulla per Napoli e per l’emergenza rifiuti, perchè se ne frega: altrimenti in queste ore avrebbe adottato altri provvedimenti”.
“Bisogna partire subito – ha aggiunto il primo cittadino – Le isole ecologiche devono essere immediatamente attive, non si può aspettare settembre”.
Fra le altre emergenze, “Il termovalorizzatore di Acerra è bloccato per un guasto”, ha fatto anche sapere il primo cittadino, “da ieri sera non funziona più”.
“Il Comune di Napoli ha individuato tre siti di trasferenza in città “, ha poi annunciato. In questo modo “non dovremmo più dipendere da nessuno”.
Il primo cittadino non ha voluto però svelare quali siano questi siti, “per motivi di riservatezza”. Ma è filtrato che oltre all”Ex Icm del quartiere Ponticelli già in uso, i luoghi individuati sarebbero i capannoni dismessi di Gianturco e l’ex mercato dei fiori di San Pietro a Patierno.
Sul secondo sito la Provincia avrebbe dato l’ok.
De Magistris ha anche promesso un “impegno straordinario” della polizia municipale sul fronte della repressione dei roghi, “che rappresentano un pericolo per la salute pubblica”, e contro “chi rovescia per strada i cumuli. In tal senso – ha detto – arriverà un’ordinanza tra poche ore”.
I mezzi Asia avranno scorta armata delle forze dell’ordine. Il sindaco non ha voluto svelare altri dettagli del piano anti- rifiuti.
“Non è opportuno in questa fase rendere conto di tutti i passi che stiamo compiendo”.
“No allo stato di emergenza”, ha infine chiarito il primo cittadino. “Stiamo cercando di agire nell’ambito dei poteri ordinari. Noi facciamo quello che il Comune può fare”.
“Sappiamo che i cittadini sono stremati dalla situazione – ha concluso – ma chiediamo un ulteriore sforzo per fare attenzione ai rifiuti che gettano via e all’uso della differenziata. Cercheremo di rimpinguare le casse dell’Asìa alla quale stiamo chiedendo in queste ore uno sforzo straordinario”.
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Giugno 24th, 2011 Riccardo Fucile
NEL PARTITO C’E’ CHI AMMETTE: “SE UMBERTO STA CON I PRETORIANI DIVENTA UN PROBLEMA”…MARONI: “VOGLIO PIU’ DEMOCRAZIA”
Tre parole che rischiano di mettere in discussione un lunghissimo sodalizio politico.
Quello tra Bossi e Maroni.
Il ministro dell’Interno reduce dal successo personale di Pontida ha mostrato una forte insoddisfazione per la riconferma di Marco Reguzzoni alla guida del gruppo di Montecitorio.
E il Senatùr gli risponde con un’alzata di spalle: «Peggio per lui».
Del resto, aggiunge, «è la base che tiene sotto controllo la situazione della Lega, non Maroni». Poi torna sulla riunione dell’altra sera, quella dove Reguzzoni è passato perchè così voleva Bossi, pur avendo contro la stragrande maggioranza del gruppo: «è andata benissimo, non ci sono liti dove ci sono io».
Già . Basta lui (con buona pace della rissa sfiorata tra esponenti delle due fazioni).
Così è sempre stato, eppure così comincia a non essere più.
Perchè dopo quell’investitura avvenuta con tocco regale, e soprattutto dopo la violenta sconfessione di ieri («Peggio per lui»), nella Lega sembrerebbe farsi strada qualcosa di nuovo. La fine del monolitismo attorno a Bossi, la fine di quel “partito leninista”di cui ha sempre parlato con orgoglio lo stesso Maroni.
La novità prova a raccontarla così un colonnello di osservanza maroniana: «Finora Umberto ha sempre vestito i panni del padre nobile, se tra noi si litigava lui faceva da paciere; adesso si è schierato dalla parte di pochi pretoriani che lo circuiscono, e questo costituisce un grosso problema».
Bossi come «problema». Un inedito assoluto.
I «pretoriani», va da sè, sono quelli del Cerchio magico, di cui fanno parte tra gli altri Reguzzoni e Rosy Mauro.
E per spiegare la natura del rapporto che intercorre tra il Capo e questo gruppo ristretto di fedelissimi, gli amici del ministro fanno filtrare una notizia: da un anno la Mauro ha preso casa a Gemonio, «così passa tutti i fine settimana con Bossi e può controllarlo ancora di più».
Clima velenoso, clima da resa dei conti.
Con Maroni deciso a proseguire nel ruolo di contraltare politico nei confronti dei cerchisti.
E – come ha confidato nelle ultime ore a chi gli sta vicino–a proporsi come «punto di riferimento dei tantissimi militanti che me lo stanno chiedendo».
Militanti «rinfrancati» dal suo protagonismo politico come leader di partito.
Ma la prudenza è d’obbligo.
Se tra i suoi ora c’è chi parla apertamente di «andare alla conta» con la richiesta di celebrare in autunno i congressi regionali, lui preferisce evitare «i gesti eclatanti».
Perchè pensa che la migliore risposta agli avversari sia «l’esercizio della democrazia interna alla Lega».
La replica all’attacco di Bossi è soft: il ministro fa sapere di non avercela affatto con lui, ma solo con i «pretoriani».
Nel suo entourage qualcuno traduce: «Bisogna colpire quelli cerchio, ma non lo scudo umano di cui si servono per i loro giochini».
E, va da sè, lo scudo umano è Bossi.
Un Bossi che nella riunione dell’altra sera si è rivolto così a un deputato che aveva firmato la mozione contro Reguzzoni: «Questi sono metodi mafiosi».
E un esponente del cerchio ha accusato Maroni: «State preparando la stessa cosa anche al Senato, volete far fuori Bricolo, lo sta dicendo in giro uno dei tuoi».
Parlava di Davide Boni, presidente del consiglio regionale lombardo. Il quale, un’ora dopo, ha ricevuto una telefonata di fuoco.
Era Renzo Bossi, anche lui esponente della “Lega di Gemonio”.
Sala Rodolfo
(da “la Repubblica“)
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Giugno 24th, 2011 Riccardo Fucile
LA SOCIETA’ VA AVANTI, VIA ALL’APPROVAZIONE DEL PROGETTO DEFINITIVO….DA DIECI ANNI UN ALTERNARSI DI PASSI AVANTI E INDIETRO SENZA COSTRUTTO
«Costruiremo il ponte di Messina, così se uno ha un grande amore dall’altra parte dello Stretto, potrà andarci anche alle quattro di notte, senza aspettare i traghetti…».
Da quando Silvio Berlusconi ha pronunciato queste parole, era l’8 maggio 2005, sono trascorsi sei anni, e gli amanti siciliani e calabresi sono ancora costretti a fare la fila al traghetto fra Scilla e Cariddi.
Sul ponte passeranno forse i loro pronipoti.
Se saranno, o meno, fortunati (questo però dipende dai punti di vista).
La storia infinita di questa «meraviglia del mondo», meraviglia finora soltanto a parole, è nota, ma vale la pena di riassumerla.
Del fantomatico ponte sullo Stretto di Messina si parla da secoli.
Per limitarci al dopoguerra, la prima mossa concreta è un concorso per idee del 1969. Due anni dopo il parlamento approva una legge per l’attraversamento stabile dello Stretto.
Quindi, dieci anni più tardi, viene costituita una società , la Stretto di Messina, controllata dall’Iri e affidata al visionario Gianfranco Gilardini. Che ce la mette tutta. Coinvolge i migliori progettisti, e per convincere gli oppositori arriva a far dimostrare che il ponte potrebbe resistere anche alla bomba atomica.
Passerà a miglior vita senza veder nascere la sua creatura. La quale, nel frattempo, è diventata un formidabile strumento di propaganda. Ma anche un oggetto di scontro politico: mai un ponte, che per definizione dovrebbe unire, ha diviso così tanto.
Da una parte chi sostiene che sarebbe un formidabile volano per la ripresa del Mezzogiorno, se non addirittura una sensazionale attrazione turistica, dall’altra chi lo giudica una nuova cattedrale nel deserto che deturperà irrimediabilmente uno dei luoghi più belli del pianeta.
Fra gli strali degli ambientalisti, Bettino Craxi ci fa la campagna elettorale del 1992.
E i figli del leader socialista, Bobo e Stefania, proporranno in seguito di intestarlo a lui.
Mentre l’ex presidente della Regione Calabria Giuseppe Nisticò avrebbe voluto chiamarlo Ponte «Carlo Magno» attribuendo il progetto di unire Scilla e Cariddi al fondatore del Sacro Romano Impero. Nientemeno.
Finchè, per farla breve, arriva nel 2001 il governo Berlusconi con la sua legge obiettivo. Ma nemmeno quella serve a far decollare il ponte.
Dopo cinque anni si arriva faticosamente a un passo dall’apertura dei cantieri, con l’affidamento dell’opera (fra polemiche e ricorsi) a un general contractor, l’Eurolink, di cui è azionista di riferimento Impregilo.
Quando però cambia la maggioranza.
Siamo nell’estate del 2006 e il ponte finisce su un binario morto. Il governo di centrosinistra vorrebbe addirittura liquidare la società Stretto di Messina, concessionaria dell’opera, ma il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, sventa la mossa in extremis.
Nessuno lo ringrazierà : ma se l’operazione non si blocca il «merito» è suo. Nel 2008 torna dunque Berlusconi e il progetto, a quarant’anni dal suo debutto, riprende vita.
Certo, nella maggioranza c’è qualcuno che continua a storcere il naso. Il ponte sullo Stretto di Messina, la Lega Nord di Umberto Bossi proprio non riesce a digerirlo. Ma tant’è.
Nonostante le opposizioni interne ed esterne, la cosa va avanti sia pure lentamente. E si arriva finalmente, qualche mese fa, al progetto definitivo.
Nel frattempo, sono stati già spesi almeno 250 milioni di euro.
Sarebbe niente, per un’opera tanto colossale, se però gli intoppi fossero finiti.
Sulla carta, per aprire i cantieri, ora non mancherebbero che poche formalità , come la Conferenza dei servizi con gli enti locali e il bollino del Cipe, il Comitato interministeriale che deve sbloccare tutti i grandi investimenti pubblici.
Sempre sulla carta, non sarebbe nemmeno più possibile tornare indietro e dire a Eurolink, come avrebbero voluto fare gli ambientalisti al tempo del precedente governo: «Scusate, abbiamo scherzato».
Il contratto infatti è blindato. Revocarlo significherebbe essere costretti a pagare penali stratosferiche. Parliamo di svariate centinaia di milioni.
Ma nonostante questo il percorso si è fatto ancora una volta più che mai impervio. Non per colpa dei soliti ambientalisti. Nemmeno a causa della crisi economica, il che potrebbe essere perfino comprensibile. Piuttosto, per questioni politiche.
Sia pure mascherate da difficoltà finanziarie.
Per dirne una, il «decreto sviluppo» ha materializzato un ostacolo imprevisto e insormontabile.
Si è stabilito infatti che le cosiddette «opere compensative», quelle che i Comuni e gli enti locali pretendono per non mettere i bastoni fra le ruote al ponte, non potranno superare il 2% del costo complessivo dell’opera.
E considerando che parliamo di 6 e mezzo, forse 7 miliardi di euro, non si potrebbe andare oltre i 130-140 milioni.
Una cifra che, rispetto agli 800-900 milioni necessari per le opere già concordate con le amministrazioni locali, fa semplicemente ridere.
Bretelle, stazioni ferroviarie, sistemazioni viarie….
Dovranno aspettare: non c’è trippa per gatti.
Basta dire che il solo Comune di Messina aveva concordato con la società Stretto lavori per 231 milioni.
Fra questi, una strada (la via del Mare) del costo di 65 milioni. Ma soprattutto il depuratore e la rete fognaria a servizio della parte nord della città , che ne è completamente priva: 80,7 milioni di investimento. Adesso, naturalmente, a rischio. Insieme a tutto il resto.
Anche perchè le opere compensative sono l’unica arma che resta in mano agli enti locali. Portarle a casa, per loro, è questione di vita o di morte.
A remare contro c’è poi il clima politico.
Dopo la batosta elettorale alle amministrative la Lega Nord, che già di quest’opera faraonica non ne voleva sentire parlare, ha alzato la posta e questa è una difficoltà in più.
Fa fede l’avvertimento lanciato dal leghista Giancarlo Gentilini, vicesindaco di Treviso: «La gente non vuole voli pindarici, non è interessata a opere come il ponte sullo Stretto di Messina perchè è una cosa che non sta nè in cielo nè in terra. Quindi anche tu, Bossi, quando appoggi questi programmi da fantascienza, ricordati piuttosto di restare con i piedi per terra, perchè gli alpini mettono un piede dopo l’altro»
Con l’aria che tira nella maggioranza basterebbe forse questa specie di «de profundis» che viene dalla pancia del Carroccio per far finire nuovamente il ponte su un binario morto.
Senza poi contare quello che è successo in Sicilia.
Dove ora c’è un governo regionale aperto al centrosinistra, schieramento politico che al ponte fra Scilla e Cariddi è sempre stato fermamente contrario.
Una circostanza che rende estremamente complicato al governatore Raffaele Lombardo spingere sull’acceleratore.
E questo nonostante i posti di lavoro che, secondo gli esperti, quell’opera potrebbe garantire. Sono in tutto 4.457: un numero enorme, per un’area nella quale la disoccupazione raggiunge livelli record.
Ma il fatto ancora più preoccupante, per i sostenitori dell’infrastruttura, è il disinteresse che sembra ormai circondarlo anche negli ambienti governativi. Evidentemente concentrati su ben altre faccende.
La società Stretto di Messina ha diramato ieri un comunicato ufficiale per dare notizia che «il consiglio di amministrazione ha avviato l’esame del progetto definitivo del ponte».
Un segnale che la cosa è ancora viva, magari nella speranza che Berlusconi si decida a rilanciare il ponte, annunciando l’ennesimo piano per il Sud? Forse.
Vedremo quando e come l’esame si concluderà , e che cosa accadrà in seguito.
Sempre che il governo vada avanti, sempre che si trovino i soldi per accontentare gli enti locali…
Intanto nella sede messinese di Eurolink, dove lavoravano decine di persone, sembrano già cominciate le vacanze. Come avessero fiutato l’aria.
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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Giugno 24th, 2011 Riccardo Fucile
SONO CIRCA 300 I DEPUTATI DI PRIMA NOMINA CHE RAGGIUNGERANNO I 4 ANNI 6 SEI MESE E 1 GIORNO PER ACCEDERE AL VITALIZIO A OTTOBRE 2012…STUDIO DELLA CAMERA SUI TRATTAMENTI NEI PAESI UE
Se si domanda ad uno di quegli onorevoli ancora adusi a curarsi il collegio quale sia il principale motivo di sdegno nei confronti dell’intera categoria, la risposta sarà sempre la stessa: più degli stipendi d’oro e dei vari benefit, il primo posto se lo aggiudicano i vitalizi.
Cioè le pensioni, più o meno pingui, che ogni parlamentare che abbia timbrato almeno 4 anni, 6 mesi e un giorno di legislatura, si mette in tasca una volta raggiunti i 65 anni. E se si considera che nel Parlamento in carica, circa 300 onorevoli di prima nomina raggiungeranno questo obiettivo nell’ottobre 2012, si capisce bene quanto questo privilegio incida sulla resistenza diffusa tra i peones di ogni ordine e grado a consentire che le Camere siano sciolte per andare a elezioni anticipate.
Ebbene, sfogliando le 33 pagine e gli otto capitoli di un dossier riservato sul trattamento economico dei deputati di Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Parlamento Europeo, che i tre questori Colucci e Mazzocchi (Pdl) e Albonetti (Pd) esamineranno con Fini il 4 luglio, la prima cosa che salta all’occhio è che i nostri onorevoli percepiscono un vitalizio all’incirca triplo di quello dei loro colleghi europei.
Poi non mancano le differenze su indennità , spese di viaggio, di segreteria, sui portaborse e l’assistenza sanitaria, ma la voce vitalizi spicca sulle altre.
Dunque da questa indagine durata mesi nelle capitali europee, condotta sul campo da funzionari che hanno faticato non poco a vincere la tradizionale riservatezza di ogni istituzione nazionale, emerge che il privilegio meno giustificato di cui godono gli «italians» sono proprio i vitalizi.
Un diritto che per anni poteva essere maturato dopo appena un giorno di legislatura, ma che ora, dopo la riforma Violante ed una successiva stretta del 2007, viene percepito a 65 anni o al sessantesimo compleanno per chi abbia fatto almeno due legislature.
Proprio nel 2007 fu tolta infatti la possibilità di riscattare i periodi vacanti versando i contributi figurativi, lasciando con un palmo di naso tutti quelli entrati a Montecitorio nel 2006 ed usciti nel 2008 con la caduta del governo Prodi.
Malgrado ciò, nel bilancio della Camera la voce «fondo vitalizi» pesa e non poco, con un rapporto di «1 a 9» tra contributi versati e spesa corrente.
Sia chiaro, non è che nel resto d’Europa i deputati non godano di privilegi, anche per quel che riguarda i vitalizi e perfino nell’austera Germania.
Perchè come specifica il dossier – mentre in Italia, Francia e Gran Bretagna è previsto un contributo per il parlamentare in carica, in Germania e nel Parlamento Europeo i deputati non versano nulla.
Ovunque il diritto al vitalizio matura tra il 60Ëš e il 67Ëš anno di età .
In Italia, a fronte di un contributo mensile di 1006 euro netti, dopo 5 anni di mandato si maturano 2.486 euro lordi, che diventano 4.973 dopo due legislature e 7.460 con 15 anni di mandato alle spalle.
In Francia ad esempio non è previsto un limite minimo di mandato, da nuove disposizioni è previsto un contributo di 787 euro al mese, che in caso di pensione complementare facoltativa sale a 1.181 euro.
Ma dopo 5 anni di mandato si ottengono 780 euro al mese, 1.500 dopo 10 anni fino a raggiungere un massimo di 6.300 euro, se si hanno 41 annualità di servizio.
I deputati del Bundestag a Berlino non versano alcun contributo e prendono 961 euro dopo 5 anni, 1.917 dopo 10 e 2.883 euro al 15Ëš anno.
In Gran Bretagna vige il sistema che a contributo variabile corrisponde un assegno mensile differente: versando 374 euro ne ritornano 530 al mese con 5 anni di mandato, che raddoppiano a 1060 con 10 anni e triplicano a 1.590 con 15 anni. Passando da un contributo medio di 501 euro al mese, con rispettive perequazioni del vitalizio, si arriva fino a poter versare 755 euro al mese per averne 794, 1.588 o un massimo di 2.381 euro con 15 anni di mandato.
Cifre ben diverse, come si vede, da quelle dei nostri onorevoli che in periferia pesano nel generare malcontento.
Al punto che le regioni si stanno muovendo e l’Emilia Romagna ha già deliberato di abolire il vitalizio, visto che anche i consiglieri regionali lo percepiscono.
Ma ovviamente solo dalla prossima legislatura.
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Giugno 24th, 2011 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEL POLITOLOGO GIOVANNI SARTORI: “SIAMO IN MANO A LEADER DA STRAPAZZO”… QUALCUNO VORREBBE CONTINUARE A SPENDERE PIU’ DI QUANTO LO STATO INCASSI
Ormai è sempre più evidente che siamo nelle mani di leader penosi, di leader da strapazzo.
A Pontida Bossi si è trovato al cospetto di un popolo, il suo popolo, che gridava «secessione, secessione ».
Credevo, o meglio mi illudevo, che oramai la Lega si fosse attestata sul federalismo. Ma la autentica razza padana di Pontida resta indomita, vuole di più.
Addirittura secessione, uscita.
E sì che il nostro capo dello Stato si è impegnato come più non si poteva nel celebrare la festa della Repubblica e l’unità «indivisibile» del Paese.
E Bossi? Bossi ha glissato.
Aveva invece le sue richieste che ha presentato come ultimatum.
Prima richiesta: ritiro pressochè immediato dalla mal riuscita e mal concepita guerra libica, oltretutto e se non altro perchè ci costa un miliardo di euro (cifra che per altri sarebbe di 3-400 milioni).
Ora, che l’impresa libica fosse balorda e malconcepita si è visto subito.
Che Berlusconi ci sia stato tirato dentro controvoglia è un punto a suo merito. Ma oramai siamo coinvolti.
E se Gheddafi restasse in sella, noi il petrolio della Libia ce lo possiamo scordare.
Un grossissimo guaio perchè i nostri governi non hanno mai avuto una politica energetica, e quindi rischiamo di ritrovarci senza petrolio e anche senza rigassificatori sufficienti per il metano.
Bossi e Maroni lo capiscono? Si direbbe di no.
Maroni cerca anche di venderci la favola (se fosse intelligente saprebbe che è una favola) che Gheddafi ci manda profughi per vendetta, e che se «facciamo pace» non lo farebbe più.
Al contrario, se Gheddafi vincesse continuerà a vendicarsi con sempre più soddisfazione mandandoci profughi a valanga spediti proprio da lui.
La seconda perentoria richiesta di Bossi è di trasferire alcuni ministeri al Nord.
Le voci di corridoio sussurrano che dapprima Berlusconi abbia consentito, ma che poi se l’è fatta addosso (è una parafrasi del più colorito vocabolario bossiano) e ha fatto retromarcia annunziando soltanto traslochi di «sedi di rappresentanza operative ».
Di conserva anche Bossi ha fatto retromarcia realizzando che la sua richiesta avrebbe suscitato un vespaio e comunque che era assurda.
Sarebbe un costo (anche di disorganizzazione e di confusione) che non possiamo assolutamente sopportare.
Dopo tante marce avanti e indietro, cosa resta?
Resta che tanto Berlusconi che Bossi chiedono perentoriamente a Tremonti di ridurre la pressione fiscale, di ridurre le tasse.
È la medicina demagogica e irresponsabile di tutti i tempi.
Ed è, in questo momento, una richiesta che disonora tutta la classe dirigente che la asseconda.
Come siamo arrivati a un colossale debito pubblico del 120 per cento del nostro Pil, del nostro Prodotto interno lordo?
Ci siamo arrivati, molto semplicemente, spendendo più di quanto lo Stato incassa.
E questo debito pubblico comporta che lo Stato deve oggi pagare circa 80 miliardi di interessi annui ai sottoscrittori dei buoni del tesoro.
L’Italia ha assunto l’impegno con l’Europa di ridurre il deficit con una manovra di 40 miliardi.
Se non lo facciamo, i conti pubblici peggioreranno, e noi rischiamo la fine della Grecia.
Il dramma è che ormai a Berlusconi basta sopravvivere, e che a Bossi basta fare il padroncino al Nord.
Giovanni Sartori
( da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 24th, 2011 Riccardo Fucile
CHIESTA UNA MORATORIA AL GOVERNO… A RISCHIO 44 MILIONI DI INTROITI DERIVANTI DAI BIGLIETTI…LA MANUTENZIONE DOVRA’ ESSERE FATTA A TRENI FERMI E NON PIU’ IN MOVIMENTO
Le nuove norme sulla sicurezza dei cantieri ferroviari, rischiano di mettere in crisi la rete passeggeri e merci.
Secondo una lettera inviata tre giorni fa da Rfi al ministro dei Trasporti Altero Matteoli quasi un treno su tredici ogni giorno potrebbe essere soppresso, così come rischiano di volatilizzarsi ben 44 milioni di euro all’anno di introiti da pedaggio destinati a Rfi.
Un colpo duro per Rete ferroviaria e la capogruppo Fs, che potrebbe scaricarsi su pendolari e contribuenti a partire da venerdì della prossima settimana: infatti secondo le norme emanate dall’Agenzia per la sicurezza ferroviaria, dal 1 luglio i lavori di manutenzione o di vigilanza sulla rete dovranno essere effettuati quasi sempre con i treni “fermi” e non più in movimento come accade oggi.
In pratica, per garantire la sicurezza degli addetti alle manutenzioni che spesso sono vittime di incidenti anche mortali, i lavori sulla rete, comprese operazioni di verifica della tenuta del binario o il serraggio dei bulloni (ne vengono fatte centinaia ogni giorno) potranno essere effettuate solo in assenza di traffico e quindi col treno fermo dietro un semaforo rosso o deviandone il passaggio su un binario alternativo.
Rientrano in questa casistica tutte le operazioni effettuate su linee dove si lavora a distanze minime dai binari comprese da un metro e mezzo (per treni con velocità fino a 140 all’ora) fino a due metri e 70 (per convogli con velocità fino a 300 all’ora).
Va sottolineato che soltanto i Frecciarossa saranno esentati da queste regole perchè le manutenzioni di norma si effettuano di notte.
Ma per tutte le altre tipologie di treno, dal regionale, al merci, ovvero oltre il 90% del totale del traffico, si rischiano attese e la soppressione di diversi treni.
Per questo Rfi si gioca tutte le carte e nella missiva a Matteoli, stima che queste regole introdotte nel 2010 – combattute a colpi di lettere durissime scambiate con il direttore dell’Ansf Alberto Chiovelli – possano portare alla «soppressione di non meno di 600 treni al giorno tra passeggeri e merci» con la «conseguente perdita di introiti da pedaggio non inferiore a 44 milioni di euro all’anno».
Nella lettera che in queste ore è al vaglio dei tecnici del ministero, si parla anche di uscite non previste «stimate in 240 milioni all’anno», per i maggiori oneri che deriverebbero dalle manutenzioni spostate in orari notturni.
Al centro della querelle ci sono le regole che fino ad oggi hanno permesso la manutenzione e la vigilanza dei binari senza blocchi della circolazione.
Un sistema largamente adottato in Europa ma che spesso costa il sacrificio di diversi addetti.
I casi mortali, secondo statistiche non ufficiali, sarebbero tra i due e i tre, all’anno e l’Ansf ha scelto la strada della massima tutela di chi lavora.
Rfi, dal canto suo, ha preso atto della richiesta dell’Agenzia chiedendo 18 mesi di tempo per poter attuare dei sistemi alternativi di controllo del traffico, come l’installazione di semafori intermedi.
L’Agenzia ha concesso una brevissima dilazione dei tempi: invece del 22 giugno (domani), le norme entreranno in vigore la prossima settimana.
«In conseguenza di tutto ciò – scrive a Matteoli l’ad di Rfi Michele Mario Elia – e al fine di scongiurare insostenibili impatti economici per l’intero sistema ferroviario, si chiede la convocazione urgente di un tavolo tecnico (e la moratoria dell’entrata in vigore del decreto) per poter rappresentare ad un livello adeguato le problematiche di cui si discute e giungere a soluzioni ragionevoli e accettabili».
Lucio Cillis
(da “La Repubblica“)
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Giugno 24th, 2011 Riccardo Fucile
DA LA RUSSA A TREMONTI, DALLA GELMINI ALLA CARFAGNA, DA SCARONI A CAPEZZONE, GLI SFOGHI DEGLI ALLEATI CONTRO IL PREMIER
Luigi Bisignani il gran commis della politica e degli affari italiani, lo aveva previsto. Le informazioni che raccoglieva da uomini dell’alta finanza, militari, magistrati amici ed infedeli, gli sfoghi dei ministri, sottosegretari e onorevoli vari non lasciavano dubbi.
Al telefono, nel suo ufficio di piazza Mignanelli, ascoltava.
E più ascoltava, più capiva. Che «il Governo è ormai allo sfascio», che «il povero Gianni Letta non ha più nessun tipo di ascendente», che Silvio Berlusconi «si fa male da solo», che «il comportamento dei ministri è da asilo Mariuccia».
Bisignani ascolta, passa ore al telefono, annota nomi, muove pedine.
La Guardia di Finanza – in un’informativa ai pm – stila una classifica dei contatti più frequenti: in testa, il sottosegretario Daniela Santanchè e il ministro Frattini.
A seguire Lorenzo Cesa, Raffaele Fitto, Mario Baccini, il ministro Prestigiacomo, Denis Verdini, Clemente Mastella e altri.
«Chiedono tutti ripetutamente un appuntamento, o anche solo un contatto al telefono». Lui non si nega.
Gli raccontano di un Consiglio dei ministri che vara la Finanziaria in tre minuti.
«Una roba vergognosa, il governo non esiste più». Gli spiegano le faide interne e lui si preoccupa. Teme che Berlusconi possa cadere e andare a processo e «con le regole normali, lo condannano sicuro, finisce la festa per tutti».
Cerca di ricucire lo strappo dei finiani, ma gli attacchi di Libero e il Giornale sulla casa di Montecarlo gli scombinano il puzzle.
Al grande “confessore” arrivano pure i gossip.
Il più succoso: «Mara Carfagna vuole sposare Silvio Berlusconi».
Questo lo scenario che si apre agli occhi di Bisignani: ricorda vagamente “le Iene” di Quentin Tarantino, tutti contro tutti, zero fiducia, ansia da fine impero.
Una sceneggiatura “scritta” nelle migliaia di intercettazioni, contenute nella richiesta di arresto per Luigi Bisignani e per il deputato del Pdl Alfonso Papa.
Il 14 ottobre del 2010 alle 15,23, Roberto Sambuco, il Garante per la sorveglianza dei prezzi, chiama Bisignani.
Il Consiglio dei ministri è stato un lampo, appena tre minuti, e Sambuco racconta: «Gianni Letta ha portato la Finanziaria pregando tutti di non intervenire, una roba vergognosa. Non funziona più Luigi, se è così è finita. Lui (Tremonti, ndr) si è fatto pure la conferenza stampa, Paolo Bonaiuti almeno ha avuto il buon gusto di non andare».
E le agenzie stampa riportano le parole di Tremonti, quel giorno: «Abbiamo varato la Finanziaria dopo una discussione responsabile».
E che la situazione all’interno del Governo sia esplosiva, Bisignani lo capisce anche da Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni.
Scaroni: «Devo dire la verità , lui (Berlusconi ndr) parla bene, è un fuoriclasse assoluto. Se soltanto…».
Bisignani chiude la frase: «Se soltanto si mettesse a fare il Presidente del Consiglio…».
«Infatti – chiosa Scaroni – Berlusconi si fa male da solo».
Un’opinione, quella dell’ad dell’Eni, che si rafforza dopo aver incontrato ad Arcore il premier il 25 ottobre: «Ma che tristezza – racconta all’amico Gigi – non sa proprio che pesci pigliare».
Lo strappo di Fini, le polemiche sulla casa di Montecarlo, tormentano Bisignani per tutta l’estate: «Questa rottura è una follia – si lamenta con Ciriaco Pomicino, suo amico intimo – Berlusconi è caduto nella trappola di Ignazio La Russa, di Gasparri e di Matteoli che gli hanno fatto fare quello che non sono mai riusciti a fare e che avrebbero voluto fare con Fini».
E Pomicino: «Ti devo dire la verità , il vero nemico è l’altro, il ministro Tremonti». Bisignani: «Certo che è l’altro, ha soltanto da guadagnarci…Il povero Letta non ha nessun tipo di ascendente in questo momento, è in balia proprio. Le trattative riservate le sta facendo tale Silvia Rossi (forse Mariarosaria Rossi deputata del Pdl ndr), una che ha l’ottava misura, guarda sono senza parole…».
A fine estate il telefono di Bisignani brucia.
Lo chiamano l’allora ministro Andrea Ronchi, il ministro la Russa («tu mi puoi aiutare a trovare il bandolo della matassa»).
Arriva anche la chiamata di Daniele Capezzone, portavoce del Pdl. «Per organizzare il programma degli interventi alla festa di Milano, sapessi, la fiera delle piccole vanità , a livelli da asilo Mariuccia. E si tratta di ministri, viceministri, sottosegretari… degli spettacoli da ridere. Se sulle cose più banali si fa questo circo, figurati sulle cose serie».
È il 22 ottobre quando Bisignani chiama il giornalista Roberto D’Agostino.
I due parlano del ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna e del gossip riguardo a una sua relazione con Italo Bocchino.
«È sempre più matta – dice D’agostino – l’ultima che mi hanno detto è che lei vuole…pretende davvero la mano di Berlusconi, vuole che la prenda…la impalmi». Bisignani: «Ma cose da pazzi».
«E non hai idea di cosa sta facendo quell’altro, Mezzaroma (Marco, il fidanzato della Carfagna, ndr). Mezzaroma mezza comparsa ovviamente».
Denis Verdini, coordinatore del Pdl, chiama il ministro Maria Stella Gelmini per ringraziala dell’aiuto.
Il ministro informa subito Bisignani e gli racconta di avere affrontato un incontro con 40 parlamentari impazziti, che volevano la testa di Verdini, degli altri coordinatori e dei capigruppo.
Gelmini informa ancora l’amico Luigi di aver firmato un patto di non belligeranza con gli ex di An.
Fabio Tonacci e Francesco Viviano
(da “La Repubblica”)
argomento: Berlusconi, Costume, governo, PdL, Politica | Commenta »