Giugno 23rd, 2011 Riccardo Fucile
SCONFITTO MARONI: “PARTITA SOLO RINVIATA”…. BOSSI IMPONE ALL’ASSEMBLEA DEI DEPUTATI: “NON VOGLIO CHE VOTIATE”…FINISCE A PUGNI TRA DUE PARLAMENTARI DEL CARROCCIO
“E’ una sconfitta parziale, abbiamo evitato l’operazione contro Giorgetti. Certo non sono contento, ma la partita è solo rinviata”: alla fine della riunione più drammatica della storia della Lega, Roberto Maroni si sfoga con un suo amico lombardo.
I suoi parlamentari sono ancora più espliciti e commentano la conferma di Reguzzoni al vertice del gruppo alla Camera con espressioni non riferibili.
Niente in confronto a quello che è successo nello stanzone dei padani a Montecitorio dove le due anime del Carroccio sono venute letteralmente alle mani.
Da un lato i maroniani, dall’altro il Cerchio magico di Reguzzoni, Bricolo e Rosy Mauro.
Le accuse sono ormai pesantissime: i primi, insieme ai colonnelli storici, accusano gli avversari di influenzare troppo Bossi e di essere troppo berlusconiani; i secondi parlano di tradimento e di tentativi di deporre Bossi.
Dopo il tentativo dei “cerchisti” di commissariare il segretario lombardo Giorgetti, i maroniani avevano puntano sulla sostituzione di Reguzzoni.
E in fondo speravano dopo le parole mattutine di Bossi: “se lo voteranno liberamente loro”.
Ma durante la giornata è cresciuta la tensione: Maroni incontra Bossi e Reguzzoni, ma non si raggiunge l’accordo.
Si arriva alle 19 quando Bossi inizia la riunione: “non voglio che si voti, così si darebbe solo spazio ai giornali per presentarci come divisi”
E aggiunge: “questa roba delle firme è contro di me”.
Scende il gelo, Bossi è nervosissimo: su 59 deputati, ben 49 avevano firmato per sostituire Reguzzoni con il bergamasco Stucchi.
Maroni prende la parola per ricordare che c’era un impegno per la staffetta tra Reguzzoni e Stucchi, il quale aveva già rinunciato una volta.
A quel punto Bossi chiude a ogni intesa: “Reguzzoni resta fino a dicembre, poi Stucchi prenderà il suo posto”.
Maroni ribadisce che non è d’accordo ma da “soldato” obbedisce.
Tutti si adeguano e Reguzzoni viene confermato per acclamazione.
Poi però gli animi si scaldano e scoppia una rissa con i deputati che faticano a dividere due bestioni come il ligure Chiappori e il mantovano Fava, ex rugbista e maroniano di ferro.
Ai cronisti Bossi si dichiara soddisfatto: “hanno votato e ha vinto Reguzzoni”.
I cerchisti sooddisfatti non rilasciano dicbiarazioni, i maroniani vanno a cena per studiare le contromosse: c’è chi ipotizza i congressi regionali per fare pulizia nel partito.
Il rischio sfascio è però dietro l’angolo.
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Giugno 23rd, 2011 Riccardo Fucile
LO TENGONO IN VITA PER RAGGIUNGERE L’ANZIANITA’ RICHIESTA… SONO BEN 350 I PARLAMENTARI CHE NON HANNO ANCORA MATURATO IL VITALIZIO… SE CADESSE IL GOVERNO PERDEREBBERO IL DIRITTO
Se tra una settimana Francesco Pionati improvvisamente dovesse decidere di far mancare il suo sostegno al governo, molti si chiederebbero perchè.
Ma la motivazione potrebbe essere ritrovata nella sua anzianità parlamentare: tra esattamente 6 giorni, infatti, matura il diritto alla pensione.
O meglio a quello che ora si chiama vitalizio. Stiamo ovviamente ragionando in base a un’ipotesi che in questo momento non sembra essere nell’agenda politica, ma la questione “arrivare al vitalizio” in Parlamento esiste.
E non è secondaria per la tenuta del governo.
Sono, infatti, 246 i deputati e 104 i senatori (dati elaborati da Openpolis, www.openpolis.it  ) che devono ancora maturare il diritto alla pensione, e quasi tutti lo matureranno solo se finiranno il loro mandato parlamentare e dunque se la legislatura avrà il suo termine “naturale” nel 2013.
Eccezion fatta per Pionati e altri 12 deputati, che viceversa avrebbero bisogno di un ulteriore mandato e 5 senatori, di cui uno raggiunge la pensione tra 63 giorni, il Pdl Sanciu, e 4 hanno bisogno di una rielezione.
Nel dettaglio si tratta di 84 deputati del Pdl, 36 leghisti, 83 Democratici, 6 dell’Udc, 5 del Gruppo Misto, 12 dell’Idv, 13 Responsabili (quasi il 46% del totale, visto che sono 28) e 7 futuristi.
A Palazzo Madama, troviamo in questa situazione 38 senatori del Pdl, 34 Democratici, 11 leghisti, 7 dell’Idv, 6 del Gruppo Misto, 5 dell’Udc, Svp e Autonomie, 2 di Coesione nazionale e uno non specificato.
Che si “giocano”, infatti, non solo la loro indennità (così si definisce lo “stipendio” di un parlamentare), che per un deputato equivale a 11.703,64 euro lordi e per un senatore a 12.005,95 (al netto 5.486,58 euro per un deputato e 5.613,63 per un senatore), ma anche la possibilità di avere una pensione.
Da sottolineare che questa è la prima legislatura in cui le matricole del Parlamento non arrivano alla pensione, se le Camere si sciolgono anzitempo.
Prima, infatti, bastavano 2 anni e mezzo (e le pensioni erano anche più alte). A stabilirlo sono stati i nuovi Regolamenti emanati nel luglio 2007 (durante il governo Prodi), che prevedono che per avere la pensione bisogna aver fatto almeno 5 anni di effettivo mandato e aver compiuto 65 anni.
Per ogni anno in più di mandato, diminuisce di un anno l’accesso alla pensione.
Oggi, dunque, il vitalizio minimo corrisponde al 20 per cento dell’indennità lorda: quindi 2340,73 euro per i deputati e 2401,1 per i senatori.
Scorrendo la lista dei deputati che devono finire la legislatura per garantirsi la vecchiaia (alla Camera i numeri sono più risicati e la maggioranza più a rischio, dunque i posizionamenti anche individuali hanno più conseguenze) si trovano alcune nuove conoscenze balzate agli onori della cronaca degli ultimi mesi.
Immancabile Domenico Scilipoti, tra i voti decisivi per la fiducia a Berlusconi del 14 dicembre. Oppure Souad Sbai, tra le più pronte a tornare dai futuristi al Pdl.
Tra i pidiellini appesi alla legislatura va menzionato almeno Francesco Paolo Sisto, l’avvocato che era stato mandato d’ufficio ad Annozero a difendere il premier.
O Elio Vittorio Belcastro, passato dall’Mpa ai Responsabili, in soccorso di Berlusconi e poi a Sud, dopo aver mancato la poltrona di sottosegretario.
Senza contare il folto drappello di giovani Democratici, portati in Parlamento da Veltroni, da Marianna Madia a Matteo Colaninno.
Esiste poi un drappello piuttosto nutrito e abbastanza interessante di parlamentari che hanno maturato il diritto al vitalizio nell’appena trascorsa primavera, giorno più, giorno meno: molti di loro infatti provenivano dalla legislatura precedente che è durata solo due anni.
Secondo i dati elaborati da Openpolis, sono 103 deputati (39 del Pd, 32 del Pdl, 5 della Lega, 9 dell’Udc, 6 Responsabili, 4 furisti, 2 dell’Idv e 4 del Misto) e 40 senatori (20 del Pd, 8 del Pdl, 6 della Lega, 3 dell’Idv e 3 del Gruppo Misto).
Anche qui, andando a scorgere la lista dei deputati che hanno appena scavallato il termine per arrivare al vitalizio, si può avere qualche spunto in più per leggere gli ultimi sommovimenti politici.
E infatti troviamo personaggi come Aurelio Misiti, che ha appena guadagnato una poltrona da sottosegretario per passare dall’Mpa al gruppo Misto, a sostegno di Berlusconi.
Senza contare Bruno Cesario, altro socio fondatore dei Responsabili alla vigilia della fiducia di dicembre.
Oppure Giampiero Catone, recentemente premiato con un sottosegretariato per aver scelto di votare la fiducia di dicembre contravvenendo alle indicazioni di quello che era allora il suo gruppo (Fli).
Merita una citazione Remigio Ceroni, che per compiacere Berlusconi voleva persino cambiare l’articolo 1 della Costituzione.
Ma in realtà il gioco delle pensioni è ancora più complicato di così: infatti per ogni anno di mandato in più si conquista un 4 per cento del vitalizio.
Fino ad arrivare al tetto massimo che si raggiunge ai 15 anni di mandato. 7022,184 euro per gli ex deputati e 7203, 3 per gli ex senatori.
Per cui di fatto, ogni parlamentare ha un interesse economico immediato e futuro a restare in Parlamento il più possibile.
Che vuol dire anche garantirsi la rielezione con i cambi di casacca e i riposizionamenti più opportuni.
Una notazione finale: la Camera spende per pagare i vitalizi degli ex deputati ben 138 milioni e 200 mila euro, mentre il Senato 81 milioni e 250 mila euro.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 23rd, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER CERCA DI PACIFICARE LA MAGGIORANZA DISTRIBUENDO I POSTI DI GOVERNO VACANTI
E adesso il rimpasto.
Per “pacificare” una maggioranza scossa dall’inchiesta sulla P4 e provare a gettare olio sulle onde, Berlusconi mette all’asta i posti vacanti nel governo.
Superata la verifica, il Cavaliere è deciso infatti a rimettere mano alla squadra, a partire dalla postazione più prestigiosa, quella di ministro della Giustizia. Un’operazione imposta nei tempi dalla imminente ratifica – il primo di luglio – di Angelino Alfano come segretario del Pdl, una carica che gli imporrà di dare le dimissioni da Guardasigilli.
Che voglia tranquillizzare la coalizione lo si è capito pure dalla telefonata fatta ieri a Bossi per invitarlo a lasciare Reguzzoni alla guida del gruppo leghista.
La partita per la successione a via Arenula sembra sul punto di chiudersi: ieri Berlusconi ha confidato di avere su quell’incarico “le idee chiarissime”, ma in realtà l’incastro di sta rivelando più difficile del previsto.
L’intenzione del premier è infatti quella di indicare per la poltrona che fu di Togliatti l’avvocato Anna Maria Bernini, 45 anni.
Agli amici l’interessata ha confidato di essere abbastanza sicura della promozione, facendo i debiti scongiuri: “Già altre volte sono entrata nel totonomine e poi non se n’è fatto niente… vedremo”.
Il fatto è che, benchè il premier la sostenga, il resto del Pdl e soprattutto quelli che si occupano di giustizia, le hanno già fatto terra bruciata intorno.
In queste ore stanno sussurrando nell’orecchio del Cavaliere mille obiezioni: “È alla sua prima legislatura… Napolitano sarebbe contrario… Stiamo andando allo scontro finale con i pm, ci serve un ministro di guerra”.
Dubbi che tuttavia non avrebbero fatto breccia in Berlusconi, che si è preso ancora una settimana di tempo per la decisione definitiva: “Ne parleremo al mio rientro dal consiglio europeo di Bruxelles”.
Sul tavolo anche l’ingresso di un altro leghista al governo – sarebbe Marco Reguzzoni – per premiare la fedeltà di Bossi all’alleanza.
La poltrona sarebbe quella liberata da Andrea Ronchi: le politiche comunitarie. In alternativa a Reguzzoni potrebbe essere promosso Roberto Castelli.
Il rimpasto è rimasto comunque fuori dall’incontro al Colle tra Berlusconi, Letta e Napolitano.
Il capo dello Stato non intende infatti farsi trascinare in uno screening preventivo dei candidati, lasciando al governo la responsabilità politica delle nomine. Nel faccia a faccia si è discusso invece della verifica parlamentare, dalla quale Berlusconi è uscito ringalluzzito. “Vado avanti fino al 2013, ha visto che numeri presidente?”, si è vantato il Cavaliere con Napolitano, forte di quella “quota 317” raggiunta il giorno prima alla Camera.
Il capo dello Stato, che aveva espressamente chiesto al governo di riferire in Parlamento sulla nuova maggioranza (quella nata dopo l’ingresso di Scilipoti & Co.), si è mostrato soddisfatto per l’andamento del dibattito.
Soprattutto perchè ha potuto apprezzare, da parte della maggioranza ma anche di tutte le opposizioni, la “consapevolezza comune” della necessità imprescindibile della manovra di correzione dei conti.
Insomma, a differenza della Grecia, pur mantenendo ogni partito le sue ricette, in Italia nessuno gioca al peggio.
Anche per questo la verifica, dice Napolitano, “è stata utile”.
Ma, in questo momento, c’è un’altra faccenda complicata che sta molto a cuore al presidente della Repubblica.
Sono i cumuli di immondizia che soffocano la sua città , persino la strada dove è nato. Così Napolitano ha chiesto al Cavaliere di intervenire immediatamente, approvando senza altri indugi, al prossimo Consiglio dei ministri, il decreto sui rifiuti che è stato bloccato dalla Lega.
Se sulla verifica parlamentare Berlusconi può dirsi soddisfatto, c’è una cosa tuttavia che l’ha fatto imbestialire.
È stata la risposta che Pier Ferdinando Casini ha dato alla sua apertura. “Adesso basta corrergli dietro – è sbottato il Cavaliere dopo aver ascoltato il leader dell’Udc – la partita con Casini è chiusa”.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Giugno 23rd, 2011 Riccardo Fucile
IL FACCENDIERE RACCONTA LA ROTTURA TRA “CRUDELIA” E GLI ANGELUCCI… ACCENNI A FATTURE FALSE, CAMBIALI E BANCAROTTA
Secondo Luigi Bisignani: “Daniela Santanchè doveva fallire”.
Si è molto mormorato negli ambienti editoriali sulle vere ragioni della rottura brusca del rapporto tra l’attuale sottosegretario del governo Berlusconi, titolare della concessionaria di pubblicità Visibilia con Tonino Angelucci, deputato del Pdl ma anche editore di Libero.
Per anni i due politici erano stati soci e il giornale allora diretto da Vittorio Feltri veleggiava sui 10 milioni di euro di pubblicità grazie proprio alla concessionaria della Santanchè, la Visibilia, che procurava paginate di inserzioni.
Luigi Bisignani ha raccontato ai magistrati di avere aiutato Daniela
Santanchè spingendo sull’Eni e non a caso Libero ha ricevuto decine di pagine di pubblicità dell’Eni.
L’aveva anche presentata all dottoressa Elisa Grande della Presidenza del consiglio, alla quale Daniela aveva subito chiesto di avere un po’ più di pubblicità istituzionale. Poi avviene una doppia rottura.
Da un lato Bisignani e Santanchè rompono improvvisamente e dall’altro anche Angelucci sceglie un’altra concessionaria.
A sentire Luigi Bisignani però non ci sarebbe solo la gelosia di Libero verso il concorrente dietro la scelta di rompere con la Santanchè.
In una conversazione, intercettata dalla Finanza, con Flavio Briatore, Bisignani insinua che i fatturati pubblicitari spettacolari portati in dote dalla Visibilia a Libero hanno poi avuto delle ricadute negative.
Il 14 ottobre del 2010 viene intercettata una conversazione tra Luigi Bisignani e Flavio Briatore. “Nel corso di tale conversazione”, scrive la Guardia di Finanza, Briatore riferisce che la Santanche andava in giro a dire che Bisignani non l’aveva difesa con gli Angelucci.
Il lobbysta reagisce: “Allora perchè tu lo sappia. Tu glielo dici che me l’hai detto e che se non era per me .. , quelli la facevano fallire per fatture false.
Briatore: Pensa tè.
Bisignani: E glielo puoi proprio dire. E lei lo sà benissimo. Dato che ci sono rimasto male. Gliel’ho chiesto, perchè mi sembrava una cosa. grave. Lei sà benissimo che se non fosse stato per il mio intervento, facevano fallire la società per bancarotta.
Briatore: Pensa tè, che cretina …
Bisignani: tant’è che lei ha dovuto addirittura pagare delle cambiali. Tre milioni e due di cambiali. No, no, diglielo, … perchè io veramente … E che, cavolo.
Briatore: No, no. Comunque non si merita un cazzo. Guarda. Non si merita un cazzo.
Bisignani: Ma diglielo proprio. E ti dico pure i particolari. Le persone che hanno fatto la trattativa, alle quali io ho chiesto in tutti i modi che trovassero un accordo e non facessero fallire la società . Al punto… addirittura.
Briatore: … (incomprensibile)…. Loro sono usciti adesso, nò?
Bisignani: Eh cazzo. Sono usciti, ma per non far fallire la società . Con un buco pazzesco eh… Ma, roba da pazzi…
Briatore: La stessa roba con Preziosi, eh…
Bisignani: Ah. Pure?
Briatore: Se tu parli. Ti ricordi che Preziosi era socio… della sua società ?
Bisignani: Assolutamente.
Briatore: Se tu parli con Preziosi. Perchè io ho sentito la campana di Daniela. Preziosi ha detto: lei mi fregava i soldi, sai. Poi è una che io… (incomprensibile)… cinquanta. Alla fine lei utili non ce ne ha mai perchè li prende dalla società .
Bisignani: Io non sò… se li fregava o non li fregava perchè io non ho mai avuto un centesimo… da niente. Detto questo mi sono battuto perchè si trovasse una composizione… Quelli erano inferociti (incomprensibile)… Ti prego non facciamo casino. Poi hanno trovato una composizione.
Briatore: Però, sono brave persone gli Angelucci, mi sembra, no?
Bisignani: Si, ma comunque erano esasperati. Ma diglielo, perchè questa è una cosa grave, non la riferisse a nessuno perchè se nò, mi incazzo.
Marco Lillo e Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 23rd, 2011 Riccardo Fucile
LA RIFORMA ANNUNCIATA DAL PREMIER PREVEDEREBBE TRE ALIQUOTE AL 20, 30 E 40%… SAREBBERO RIDISEGNATI GLI SCALONI, COSTEREBBE DAGLI 11 AI 24 MILIARDI CHE VERREBBERO TROVATI CON UN AUMENTO DELL’IVA ED ELIMINANDO MOLTE DETRAZIONI E DEDUZIONI ATTUALMENTE ESISTENTI
Tre aliquote, più basse, senza buchi di bilancio.
Un’equazione di difficile risoluzione quella che Silvio Berlusconi, sulla scia dello schema tremontista a tre aliquote, ha sposato.
Non più le due aliquote annunciate nel 2001 a Porta a porta (23 e 33 sopra i 100 mila euro), ma la terna uscita dal Libro Bianco del 1994 ai primordi della rivolta fiscale del centrodestra.
Con un problema: il costo.
Che andrebbe dagli 11 ai 24 miliardi, se si vuole abbandonare il sistema attuale a cinque aliquote e scegliere la nuova strada a tre soglie.
Come funzionerà ?
In base alle simulazioni che girano nelle ultime ore si starebbe ragionando su una ipotesi di minima che si articolerebbe sul 20 per cento fino a 15 mila euro (oggi è il 23%), sul 30 tra i 15 e i 55 mila euro (si accorperebbero di fatto le due aliquote attuali del 27 e del 38%) e infine si darebbe una sforbiciata molto forte ai redditi più alti: oltre i 55 mila euro lordi si pagherebbe solo il 40 per cento (mentre oggi si paga il 43 oltre i 75 mila).
Una griglia che potrebbe essere modificata con una seconda ipotesi che porterebbe a fino 28 mila euro la soglia entro la quale si paga il 20 per cento: ma in questo caso il costo salirebbe intorno ai 24 miliardi.
Dove trovare i soldi? Le ipotesi sono quattro.
Un punto in più di Iva (9 miliardi), lotta all’evasione (da cifrare), tagli alla spesa (ma ci sono già oltre 40 miliardi da trovare per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014), sfrondamento delle agevolazioni (in tutto 11 miliardi, ma tolte quelle per carichi familiari e lavoro dipendente restano detrazioni e deduzioni per qualche decina di miliardi assai difficili da eliminare).
Tutte ipotesi che potrebbero soddisfare le richieste dell’Europa, e ieri anche dell’agenzia di rating Fitch, di non tagliare le tasse in deficit.
Se questo è il rebus del fisco, quello della manovra è ancora più complesso.
La caccia ai 40 miliardi è aperta, ma nel frattempo cresce la necessità di risorse.
Come per la revisione del patto di stabilità per i comuni virtuosi, annunciata ieri da Berlusconi: un prezzo pagato alla Lega.
Sostanzialmente, oggi, i Comuni che hanno residui attivi di bilancio, fenomeno che accade nei primi mesi dell’anno per quasi tutti i 2.417 municipi soggetti al patto interno, non possono spenderli.
I loro “tesoretti” sono legati dal rispetto della regola in base alla quale i sindaci non possono firmare assegni per una cifra che superi la somma di spesa corrente e investimenti del triennio precedente.
Ora il patto sarà probabilmente allentato, ma si parla di un costo di 2 miliardi per un ammorbidimento del solo 10 per cento.
Per il resto i tecnici lavorano sul menù tradizionale: sanità (5-6 miliardi), pubblico impiego (1,5), pensioni delle donne (4-6 miliardi), sforbiciata agli enti (2 miliardi).
Oltre ai costi della politica (portati alla media europea) e alla ricerca di tagli chirurgici e selettivi.
Fare riforme a costo zero vuol dire semplicemente togliere da una parte per dare dall’altra.
Ma il risultato finale è sempre lo stesso.
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Giugno 23rd, 2011 Riccardo Fucile
I BANCHI ITALIANI SPESSO SONO VUOTI: I PEGGIORI SONO DE MITA, MAGDI ALLAM E BONSIGNORE… E POI PARLANO DI ASSENTEISMO IN FABBRICA E NEGLI UFFICI PUBBLICI
Prendi i voti, e i soldi, e poi scappa; o, almeno, non farti vedere in giro spesso, tra Strasburgo e Bruxelles.
È la politica dell’assenteismo di molti eurodeputati italiani: la politica del seggio vuoto.
A due anni dall’elezione a suffragio universale della settima legislatura del Parlamento europeo, Andrea D’Ambra, giornalista e attivista con un occhio a Beppe Grillo, si ripete: stila le pagelle degli europarlamentari italiani, chi c’è (quasi) sempre e chi non c’è (proprio) mai, nelle aule delle plenarie e delle commissioni.
L’esercizio ha il pregio della chiarezza, della semplicità e dell’oggettività , anche se il criterio delle presenze non può essere l’unico per valutare l’operato di un parlamentare, nazionale o europeo che sia: bisognerebbe pure prendere in considerazione i rapporti stilati, gli emendamenti presentati, le interrogazioni fatte, gli interventi in aula e in commissione, le partecipazioni a missioni.
D’Ambra, 28 anni, presidente di Generazione Attiva, un’associazione in difesa dei consumatori da lui stesso creata, non è però d’accordo: “Quegli elementi non sono un indice corretto quanto la presenza, perchè interrogazioni ed emendamenti sono sovente fatti da altri, specie dagli assistenti parlamentari”.
Quello che D’Ambra stigmatizza, nel commento alla classifica pubblicata sul suo blog, è che le assenze degli eurodeputati “non sono penalizzate in sede retributiva”, a parte l’incidenza su indennità come quella di soggiorno o i rimborsi spese.
Le assenze, per quanto ingiustificate esse siano, non decurtano il compenso di base, che è variabile, ma che si situa intorno ai 7 mila euro al mese.
L’assenteismo parlamentare non è uno scandalo solo italiano, ma non è certo il caso di dire “mal comune mezzo gaudio”.
Anche perchè chi non c’è non puo’ poi lamentarsi dello strapotere tedesco nell’emiciclo di Strasburgo, dove gli eurodeputati d’oltreReno sono teutonicamente presenti sempre in massa: vero che sono “vicini”, ma lo sono pure, e anzi di più, francesi e beneluxiani.
I criteri di giudizio di D’Ambra sono molto severi: dà ottimo solo agli “stakanovisti” del Parlamento europeo, quelli che sono sempre presenti.
Il percorso netto è riuscito, per il secondo anno consecutivo, a Giovanni La Via, Pdl, e ad Oreste Rossi, Lega, cui s’è aggiunto Francesco Speroni, leader della pattuglia leghista nell’Assemblea Ue: tre su 71.
Prendono “buono” 11 eurodeputati, le cui presenze superano il 95%.
In questa pattuglia di punta, troviamo qualche “tenore” della rappresentanza italiana in Europa, come il vice-presidente vicario dell’Assemblea Gianni Pittella (Pd), il capo della delegazione del Pdl Mario Mauro, l’ex leader della Cgil e sindaco di Bologna Sergio Cofferati (Pd) e l’efficiente e apprezzato Roberto Gualtieri (Pd).
I “sufficienti” sono, sempre per D’Ambra, quelli le cui presenze superano il 90%: 16 eurodeputati, fra cui Roberta Angelilli, Pdl, vice-presidente dell’Assemblea, David Sassoli, capogruppo del Pd, Carlo Casini, Udc, Gabriele Albertini, Pdl, e Vittorio Prodi, Pd, il professore fratello dell’ex premier pure professore Romano.
Al di sotto del 90% di presenze, che comunque vuol dire un assenteismo del 10%, nettamente superiore a quello medio nelle fabbriche e negli uffici, persino nelle scuole e nelle pubbliche amministrazioni, restano 41 eurodeputati italiani, quasi il 60% della rappresentanza italiana al Parlemento europeo.
D’Ambra li boccia tutti, ma, con scelta personale e arbitraria, ne classifica una pattuglia di cinque come mediocri — fra essi, Iva Zanicchi, berlusconiana in scena e sul seggio —, mentre tutti gli altri li “bolla” come insufficienti, scarsi e scarsissimi. Sono così “marchiati” nomi eccellenti, come Pino Arlacchi (Pd), Elisabetta Gardini (Pdl), Silvia Costa (Pd), Paolo De Castro (Pd, ex ministro, presidente della Commissione Agricoltura), Mario Borghezio (Lega, uno che, dalla quantità di dichiarazioni che produce, si direbbe che c’è sempre), Sonia Alfano (Idv), Debora Serracchiani (Pd) e Gianni Vattimo (Idv).
Sotto l’80%, ci sono Patrizia Toia (Pd, un ex ministro), Clemente Mastella (ex un po’ di tutto: ma che mai avrà da fare di meglio che guadagnarsi almeno questo stipendio?) e Rita Borsellino (Pd).
La lista degli “scarsi” è aperta da Luigi Berlinguer (Pd) e Luigi de Magistris (Idv, neo-sindaco di Napoli e certo penalizzato in classifica dalla campagna elettorale che l’ha visto protagonista e vincitore).
Gli “scarsissimi” sono sei e stanno sotto il 70%: in pratica, una volta su tre non ci sono.
Nomi poco noti, come Vincenzo Iovine (Api) e Crescenzio Rivellini (Pdl), ma anche, e proprio agli ultimi quattro posti, nomi che fanno sussultare, come il convertito Magdi Cristiano Allam, che sta nel Ppe, l’ex premier dc Cristiano De Mita, che sta pure nel Ppe ma come Udc, e i Pdl Vito Bonsignore e Alfredo Antoniozzi, l’unico sotto il 60%. Antoniozzi ha un doppio lavoro, perchè è assessore alla casa al Comune di Roma, ma così, dividendosi a metà , dovrebbe prendere due mezzi stipendi (e non due stipendi interi).
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Giugno 23rd, 2011 Riccardo Fucile
AL TELEFONO CON BISIGNANI IL MINISTRO AFFERMA: “MA CHE GOVERNO DI 20 MINISTRI, QUATTRO COMANDANO E GLI ALTRI SONO DI CONTORNO”
Povera ministra Prestigiacomo che si sente sottovalutata, quasi un soprammobile.
Si sfoga con l’amico Luigi Bisignani: «O io ora sono in condizione di essere lì e di fare delle cose e di avere la mia quota di visibilità perchè faccio delle cose, oppure che ci sto a fare? Il gioco è non un governo di venti ministri, ma di quattro ministri che comandano e gli altri fanno il contorno. Io sono considerata il contorno…».
Sembra asciugarsi le lacrime, prendere fiato e poi riprendere lo sfogo, Stefania Prestigiacomo: «E’ che non mi amano, no purtroppo ci troviamo tutti in un centro destra e sono tutti referenti di Berlusconi, stanno tutti per Berlusconi… per esempio, lui si incazzerà domani perchè gli ho stoppato l’apertura della discarica di Serre… Lui non sa niente di quello che faccio io, lui non sa niente, lui domani fa, sarà a noi il problema di competere con Berlusconi».
Quanto è crudele la microspia.
Che registra i sospiri, i fruscii, i pensieri profondi.
Quello che pensa il ministro Prestigiacomo del presidente del Consiglio è disarmante: «(Denis Verdini, ndr) gli consiglia di non occuparsi (inc.) però BERLUSCONI deve essere intelligente e purtroppo non lo è..».
Ecco, quello che angoscia il responsabile del ministero dell’Ambiente è l’emergenza rifiuti in Campania, la vicenda dei termovalorizzatori.
Ne parla con il suo amico Bisignani e sembra fare riferimento alla ministra salernitana, Mara Carfagna.
«Allora, siccome lei fino a quando non si fottono a Berlusconi (inc) elezioni Cosentino deve fare cioè Cosentino deve farlo questo passo indietro….».
Considerazioni premonitrici, quelle del ministro a proposito della gestione dei rifiuti: «L’unica cosa che non si può fare è fare girare i rifiuti per le Regioni, lì si che metti in moto la criminalità organizzata cioè è una cosa enorme allora questo decreto non lo può gestire Berlusconi, lui è dannifero in queste cose».
Ecco la gelosia tra donne è un giudizio cattivo: «Lui (Berlusconi, ndr) dà ragione a Mara (Carfagna, ndr) su tutto e lui gli dice e a Salerno quindi lì bisogna già che lei ci vada con una soluzione che non fa danni, poi la perdonerà sul piano personale».
Che incubo Michele Santoro. Per Silvio Berlusconi e per tutti. Persino per Stefania Prestigiacomo.
Michele Santoro ha mandato a quel paese in diretta il direttore generale della Rai, Mauro Masi. Luigi Bisignani chiede alla ministra: «Verrà licenziato. In qualsiasi azienda al mondo uno che manda affanculo il suo direttore generale viene cacciato».
Risponde il ministro: «E’ una ulteriore prova dell’incapacità di questa maggioranza, di questo governo, di gestire ogni cosa. No, non è opportuno cacciarlo. Ma tu lo vuoi fare, no?». Risponde Bisignani: «Se non lo fai adesso non lo fai più, cioè un destro così non ti verrà mai più nella vita».
Poi, Stefania Prestigiacomo si apre, confessa le sue inquietudini e paure: «Ho fatto un sogno, un tetto di un palazzo non finito… io sono una normale».
Bisignani: «Vabbè perchè io non sono normale?».
Prestigiacomo: «Sì, ma capito… la Santanchè… tutte… le trame, ste cose, io sono una trasparente, queste cose mi mettono anche un po’ paura…».
Guido Ruotolo
(da “La Stampa“)
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Giugno 23rd, 2011 Riccardo Fucile
INTERCETTATA L’AFFILIAZIONE DI GIUSEPPE CARIDI, ELETTO NEL 2007… ARRESTATE IN TOTALE 18 PERSONE…I RAPPORTI CON LA POLITICA
Giuseppe Caridi il 27 maggio 2007 è stato eletto nel consiglio comunale di Alessandria tra le file del Pdl.
Il 28 febbraio 2010 viene affiliato alla ‘ndrangheta con la dote di “picciotto”.
Ieri i è finito in carcere per mafia
È stato difficile accettarlo, ma alla fine è diventato uno dei loro.
Il consigliere comunale del Pdl ad Alessandria Giuseppe Caridi, compare Peppe o anche U’ scarparu per gli “amici”, aveva già giurato fedeltà allo Stato e quindi non avrebbe potuto dare la sua parola all’onorata società .
“Alla fine il ‘problema’ è stato risolto perchè anche il politico capace di adeguarsi alle regole dell’associazione può rivelarsi utile”, ha detto il procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli stamattina dopo l’arresto di 18 persone legate alle locali della ‘ndrangheta nel Basso Piemonte. Per il gip Giuseppe Salerno, che ha convalidato gli arresti dell’operazione “Maglio”, la presenza di un politico e uomo delle istituzioni, anche se in un gradino basso della piramide criminale, “rappresenta più di altri un concreto pericolo per la libertà e la democrazia”.
“Caridi — si legge nell’ordinanza d’arresto firmata dal gip di Torino — viene ammesso ufficialmente a partecipare alle attività del locale guidato da Pronestì”.
Bruno Pronestì è capo del locale di ‘ndrangheta che riubisce i comuni di Asti, Alba e Cuneo.
Nella casa di Caridi, una cascina nella campagna tra Alessandria e Tortona, vengono attribuite “doti verosimilmente corrispondenti alla santa ad alcuni degli affiliati”.
La santa è una nomina molto importante.
“A un santista — riferisce il pentito Antonino Belnome – è permesso fare affari con la politica”. Un dato testimoniato “dalla partecipazione, oltre che dei sodali incardinati nel locale di Novi Ligure anche di una delegazione degli affiliati del locale di Genova, guidata da Domenico Gangemi, il quale, proprio in relazione all’ingresso nella compagine criminale del Caridi, che ricopre l’Ufficio di consigliere presso l’amministrazione comunale di Alessandria, ha esternato prima e dopo il conferimento, il suo pensiero in riferimento ai rapporti che dovrebbero intercorrere tra la ‘ndrangheta e gli appartenenti all’ambiente politico-amministrativo”.
Il padrino della ‘ndrangheta ligure ne parla già il 18 febbraio 2010.
Il suo interlocutore è Antonio Maiolo, altro uomo organico alla ‘ndrangheta piemontese.
Il 21 febbraio, una settimana prima del rito di affiliazione, di nuovo Gangemi ne parla con Onofrio Garcea, affiliato alla locale di Genova. I due “discutono valutandone l’opportunità e la corrispondenza alle regole sociali”
Il 28 febbraio, ad affiliazione avvenuta, ecco di nuovo Domenico Gangemi commentare la cerimonia. “Una voltata e una girata ne abbiamo fritti (fonetico: friimm’) tre, dei tre …”.
Ovvero sono state affiliate tre persone.
Tra questi, prosegue Gangemi, Caridi. Ne parla sempre con Onofrio Garcea.
Annota il gip: “Non vi è dubbio che i prevenuti nell’occasione stiano parlando di istituti di ‘ndrangheta, affermando, in tale contesto, che al Caridi era stata assegnata la ginestra, diventando, quindi, giovanotto ad intendere la sua qualità di picciotto: in tale prospettiva, deve leggersi il riferimento alla minna, ovvero al seno materno, ad indicare la “giovane età ”, l’essere quasi un lattante nelle gerarchie del sodalizio”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Costume, denuncia, Giustizia, mafia, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Giugno 23rd, 2011 Riccardo Fucile
SOLO QUANDO SI E’ A CORTO DI ARGOMENTI SI TENDE AD ALZARE LA VOCE…CHIEDERE LA FINE DEI BOMBARDAMENTI PERCHE’ MUOIONO ESSERE UMANI HA UN SENSO, FARLO PERCHE’ COSTANO TROPPO E “FINISCE CHE ARRIVANO ALTRI IMMIGRATI” E’ PENOSO
E passi per i tanti militanti che affollano il pratone di Pontida vestiti da Alberto da Giussano, con mantello, spadone e tutto il resto, nonostante i trenta gradi all’ombra.
E passi anche per quelli che sfoggiano elmi da unni o da vichinghi, con belle corna lunghe e arcuate.
Ma quando in attesa dell’arrivo di Bossi il segretario della forte Lega di Bergamo chiama sul palco «i templari del bel fiume Serio» – e loro sul palco ci salgono davvero – allora il dubbio svanisce, e si può dire con certezza che da queste parti qualcosa non va: o almeno non va più.
E non va più perchè il folklore va bene quando adorna e rappresenta – come è stato fino a ieri – una linea corsara, furba e spesso fin troppo aspra; ma quando quella linea non c’è più, quando l’affanno è evidente e il Capo non ha una rotta da indicare alla sua gente, allora non resta che il folklore: e di folklore anche una forza come la Lega, ben radicata nelle valli di quassù, lentamente può morire.
Forse è questo, al di là degli ultimatum veri o presunti spediti all’indirizzo di Silvio Berlusconi, il messaggio che arriva da Pontida: il vecchio Carroccio è nei guai, fermo e incerto sulla via da imboccare perchè scosso e stupito – forse perfino più del Pdl – dal doppio capitombolo elezioni-referendum.
La battuta d’arresto ha lasciato cicatrici profonde in un partito non abituato alla sconfitta: e la reazione, a cominciare dal gran raduno di ieri, non sembra affatto all’altezza dei problemi che ha di fronte.
E’ come se, gira e rigira, la Lega avesse esaurito la propria spinta propulsiva, fosse d’improvviso a corto d’argomenti e a nulla servisse – anzi – riproporre gli stessi con più enfasi e più durezza.
E’ un problema non da poco perchè – al di là delle tattiche su quando e come votare – riguarda il futuro stesso del movimento.
Ed è un problema – alla luce di quel che si è visto e sentito ieri a Pontida, tra bandieroni e facce dipinte di verde – che la Lega farebbe bene ad affrontare.
Dovrà chiedersi, per esempio, quale ulteriore forza espansiva può avere un movimento che chiede la fine dei bombardamenti in Libia non perchè lì continuino a morire donne e bambini, ma perchè costano troppo e poi finisce che arrivano nuovi immigrati a Ponte di Legno o a Gallarate.
O che ha individuato l’approdo della Grande Guerra a Roma ladrona nella richiesta che almeno qualche ministero, anche di serie B, venga trasferito al Nord.
Si può crescere ancora con slogan e obiettivi così? Forse nelle valli. O lungo le sponde di fiumi custoditi dai templari…
Ma già se si guarda a Milano, moderna capitale del Nord, occorrerebbe interrogarsi sul perchè alle ultime elezioni solo un cittadino su 10 ha deciso di votare Lega.
Quella della modernità – modernità di linea, di organizzazione e di idee e proposte per il Paese – è un’altra questione che a Pontida è saltata agli occhi in maniera ineludibile. Sembra paradossale dirlo della Lega che al suo irrompere sulla scena modernizzò non poco in quanto a temi (quello della sicurezza nelle città , per dirne uno) e perfino in quanto a proposte istituzionali (il federalismo): ma ieri il folklore e il richiamo all’identità , utilizzati per supplire all’assenza di linea, sono apparsi d’improvviso vecchi, inattuali e quasi figli di un’altra epoca.
Tra un supermercato e un nuovo grande parcheggio, la modernità sta letteralmente (e simbolicamente) mangiandosi il pratone di Pontida: e a fronte dei tanti cambiamenti, la Lega risponde riscoprendo la secessione (tema degli esordi), l’identità padana e inasprendo la lotta ai clandestini (triplicato il tempo di internamento nei Cie).
Difficile andar lontano, così.
E difficile anche – se non in virtù dei meri numeri – mettere davvero spalle al muro l’amico-nemico Berlusconi.
Se serviva una controprova di quanto fosse ormai logorato il rapporto tra la Lega e il premier, la folla di Pontida – una gran folla, come solo nei momenti di grandi vittorie o di grandi difficoltà – l’ha fornita.
Fischi ogni volta che veniva citato il suo nome, grandi striscioni per invocare «Maroni premier».
Bossi ha definito la leadership di Berlusconi alle prossime elezioni «non scontata»: ma si è dovuto fermare lì, avendo chiaro che una parola in più lo avrebbe spinto in un vicolo al momento del tutto cieco.
Il punto è che la base leghista – antiberlusconiana per ragioni quasi antropologiche e caricata per anni a pallettoni fatti di slogan duri e modi spicci – digerisce sempre peggio certe prudenze (obbligate) del Gran Capo.
E’ a Berlusconi, alle sue ossessioni giudiziarie e ai suoi bunga bunga che vengono infatti attribuite le sconfitte dolorose non solo di Milano ma di Comuni-simbolo nell’iconografia leghista, da Gallarate a Desio, fino a Novara.
A fronte di questo, la prudenza dei capi è sempre meno accettata, e molti non nascondono di avercela anche con chi, nella Lega, si sarebbe «romanizzato»…
Un’immagine ha colpito molti dei cronisti accorsi a Pontida.
E’ accaduto quando, poco prima dell’arrivo di Bossi sul palco, volontari del servizio d’ordine leghista hanno sequestrato e poi minuziosamente sbrindellato un lungo striscione bianco con delle frasi vergate in nero: «Datevi un taglio. Abolite le Province e dimezzate il numero dei parlamentari. Ce lo avevate promesso».
Una contestazione figlia dei furori del passato, certo; e frutto, magari, di quelle compatibilità politiche che nessun capo leghista, nelle valli, ha mai spiegato ai militanti della base e ai templari che vigilano sul fiume Serio…
Un problema, anche questo. E a giudicare da certi umori, nemmeno semplicissimo da affrontare.
Federico Geremicca
(da “Il Corriere della Sera“)
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