Giugno 11th, 2011 Riccardo Fucile
DECISIVO PER IL RAGGIUNGIMENTO DEL QUORUM L’ELETTORATO CATTOLICO, IL TERZO POLO E MOLTI ELETTORI PDL E LEGA CHE NE HANNO LE SCATOLE PIENE…IN UN SONDAGGIO SU CHI VORRESTI COME LEADER DEL CENTRODESTRA IL PREMIER E’ PRECEDUTO DA TREMONTI, ALFANO E MARONI
Dopo la giornata trascorsa a Portofino per festeggiare il nipotino di un anno, figlio di Pier Silvio (con un giocattolone scelto personalmente in un negozio del centro), il Cavaliere è rientrato in tarda serata a Roma.
E dai finestrini dell`auto ha potuto vedere le centinaia di persone sciamare per il centro con le bandiere dei referendum, presagio di quello che potrebbe accadere lunedì all`apertura dei seggi.
Al di là del merito dei quesiti, quello che preoccupa il Cavaliere è la ricaduta sulla maggioranza di un`altra eventuale sconfitta.
Eppure, a un amico ricevuto a Palazzo Grazioli due giorni fa, Berlusconi è apparso quasi spavaldo: «Dicono che farò la fine di Craxi? Si illudono, non sarà un voto contro il governo, noi con questi referendum non c`entriamo nulla».
Ma il timore della spallata resta.
I sondaggisti che lavorano per Palazzo Chigi stanno infatti registrando un cambiamento del vento.
L`elettorato cattolico sembra molto sensibile al quesito sull`acqua pubblica, contano le parole del Papa sull`ecologia.
Anche gli elettori del Pdl e della Lega andrebbero a votare.
Insomma, la situazione si è invertita negli ultimi giorni e, anche se non possono essere diffusi i numeri dei sondaggi, non c`è n`è più uno che dia il referendum sotto la soglia del quorum.
Per il premier, con il partito in subbuglio e la maggioranza chiamata alla verifica parlamentare del 22 giugno, è un segnale di ulteriore allarme.
Unito alla constatazione che la nomina di Angelino Alfano a segretario del Pdl non ha affatto risolto i problemi.
Anzi, accelerando l`uscita dal partito di Gianfranco Miccichè (rivale siciliano del Guardasigilli) ne ha semmai accentuato la crisi.
Ora Berlusconi teme anche per il destino del suo delfino, per il fatto che arrivi al Consiglio nazionale di luglio già «logorato» dalle po-lemiche interne e dalla richiesta pressante di primarie sulla leadership.
Una richiesta che sale, oltre che da Giuliano Ferrara, anche dai vari ras esclusi dalla corsa.
Con questa corona di spine in testa si comprende come il week end di Berlusconi, che stamattina volerà in Sardegna per un po` di relax, non si annuncia dei migliori.
Siglata la tregua con Tremonti sulla manovra e sulla riforma fiscale, a guastargli l`umore ieri hanno contribuito alcuni sondaggi sul gradimento dei leader del centrodestra.
Nel braccio di ferro ingaggiato in questi giorni con il ministro dell`Economia sembra infatti che l`unico a guadagnarci in popolarità sia stato il rigorista Tremonti.
Un esito paradossale.
Ma i numeri sono inequivocabili.
Sul totale degli elettori il livello di fiducia di “Giulio” è salito al 52 per cento, considerando soltanto i votanti di Pdl e Lega si arriva all`89 per cento.
Tremonti va alla grande anche nel terzo polo (57%) e non va male persino tra quanti votano centrosinistra (38%%).
Insomma un`icona, un possibile rivale non solo per Palazzo Chigi ma anche per il Quirinale nel 2013.
I fogli che gli si affastellano sulla scrivania raccontano oltre tutto di un verticale calo della sua popolarità nel centrodestra.
Tra i candidati premier più apprezzati c`è ancora Tremonti sul podio (23%), seguito daAlfano (21%) e Maroni (19%%).
Il Cavaliere è solo quarto con il 13 per cento, una percentuale clamorosa (Formigoni chiude la lista con il3%).
Nemmeno la scelta di nominare Alfano riscuote consensi.
Nel totale dell`elettorato appena il 30% l`ha gradita, a fronte di un 44% di contrari.
E soltanto il 28% (47% gli scettici) ritiene che possa dare nuovo impulso al Pdl. Quanto a Tremonti e alla sua crescente popolarità , il Cavaliere mastica amaro: «Sono molto contento che si consideri il miglior ministro dell`Economia in Europa, ma si ricordi che è il nostro governo che deve approvare tutte le sue proposte».
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Giugno 11th, 2011 Riccardo Fucile
HA ANNUNCIATO CHE SI ASTERRA’ SUI QUATTRO REFERENDUM, MA LA SCELTA RISCHIA DI DIVENTARE UN BOOMERANG DOPO LA SCONFITTA ALLE AMMINISTRATIVE
«Ho sbagliato. Mi è sfuggito, ma non riusciranno a darmi la spallata».
Berlusconi si è pentito di avere detto che non andrà a votare per i referendum.
Gli era stato consigliato di non pronunciarsi, di non attirare l’attenzione. Dopo la batosta delle amministrative gli «strateghi» del Pdl hanno capito che le parole del Cavaliere mobilitano, eccome se mobilitano di questi tempi, nel senso che tutti quelli che sentono l’odore del sangue (quello del premier) o che più semplicemente vogliono voltare pagina politica si precipitano a votare.
«Morditi la lingua», gli avevano detto in coro stereofonico Letta, Alfano, Verdini, Cicchitto. Invece il premier spontaneo non ce l’ha fatta.
Ha inanellato involontariamente una serie di spot pro-referendum.
Qualche giorno fa aveva detto che queste consultazioni sono «inutili e dannose». E a qualcuno dalla memoria robusta era venuto in mente quando Craxi disse, nel 1991, che quello sulla preferenza unica voluto da Mario Segni era «il più inutile fra i referendum». Memorabile il consiglio del leader socialista ai cittadini di andare al mare: venne giù il diluvio politico, si recarono a votare 27 milioni di elettori, pari al 62 per cento.
Adesso i promotori del referendum del 12-13 giugno non sperano tanto, anche se sono convinti di essere vicinissimi alla fatidica soglia del 50 per cento più uno, sfatando la maledizione che dal ’95 vede fallire tutte le consultazioni referendarie.
Cosa accadrà è ancora tutto da vedere, ma anche Berlusconi ha dei sondaggi con percentuali vicine al quorum.
Però fa sapere di essere «tranquillo»: «Se questa sciagura del quorum dovesse accadere andremo avanti».
Ma potrà farlo come se nulla fosse? Non ha gradito le recenti esternazioni del Capo dello Stato sul dovere di andare a votare che spingono gli italiani verso le urne.
Come se non bastasse, anche le parole del Papa Benedetto XVI sul rispetto dell’ambiente e i pericoli del nucleare hanno lo stesso effetto spingi-quorum nell’elettorato cattolico.
L’onda antiberlusconiana potrebbe diventare alta e il rischio di un «effetto Craxi» ha messo in serio allarme la war room del premier.
Per questo lo stesso Cavaliere ha riconosciuto di avere sbagliato, di essersi fatto scappare quel «non vado a votare, è un diritto dei cittadini non recarsi alle urne».
Come del resto ha detto Bossi, l’altro leader della maggioranza il cui destino è sempre legato a quello di Berlusconi.
La vittoria del sì sarebbe la sconfessione di alcuni punti cardine del programma dell’esecutivo su giustizia, ambiente ed energia.
Punti che sono altrettanti provvedimenti governativi che Berlusconi, con il suo invito ad astenersi, non difende nelle urne.
Fallire il quorum invece sarebbe per il centrodestra una boccata d’ossigeno non indifferente alla vigilia della verifica parlamentare del 22 giugno.
Sarebbe un analgesico sulle ferite delle amministrative.
Così, dopo l’errore del premier, gli «strateghi» del Pdl ieri hanno cercato di tamponare la falla. Si era pensato a una raffica di dichiarazioni dei big del Pdl e del governo per raddrizzare la gaffe del premier.
Ma si è preferito tenere un profilo più basso per evitare di moltiplicare l’effetto spot contrario. Meglio dire che tutte le scelte – voto, non voto, astensione – sono legittime.
E ribadire, come hanno fatto il capogruppo Cicchitto e la vice portavoce Bernini, che comunque vada a finire il governo non è in discussione.
E’ esattamente quello che ieri Berlusconi ha voluto che filtrasse da Palazzo Chigi: mostrare tranquillità , dire che non ci saranno spallate al suo governo.
Piuttosto, la maggioranza deve concentrarsi sulla verifica parlamentare voluta da Napolitano dopo il minirimpasto.
E’ questa magari la preoccupazione maggiore, dicono i berlusconiani, perchè il pallottoliere traballa dopo la mini-scissione di Miccichè e le permanenti fibrillazioni dei Responsabili. Elezioni alle viste nel 2012?
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”)
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Giugno 11th, 2011 Riccardo Fucile
SULLE TASSE TREMONTI SMENTISCE BERLUSCONI E FRENA SULLA RIDUZIONE DELLE TASSE: “NON SI PUO’ FARE CREANDO DEFICIT”… L’EUROPA CHIEDE IL PAREGGIO DI BILANCIO ENTRO TRE ANNI, ALTRO CHE LE PALLE CHE SILVIO E UMBERTO VOGLIONO FAR CREDERE AGLI ITALIANI
La nuova legge si farà , e sarà come vuole l’Europa: servono 7 miliardi per il 2011 e il 2012, poi ci sono altri 40 miliardi da annunciare ora e recuperare entro il 2014
Ma quanto è grande la manovra che il governo si prepara ad annunciare prima dell’estate? Alla fine 47 miliardi.
Pur senza fare cifre, il ministro del Tesoro Giulio Tremonti aveva fatto intendere che si trattava di 7-8 miliardi.
Ma l’Europa, cioè la Commissione e il consiglio europeo, si aspettano l’annuncio di un risanamento drastico da 40 miliardi che porti al pareggio di bilancio nel 2014.
Poi arriva Silvio Berlusconi, giovedì, e annuncia una “manovra da 3” miliardi. Mentre la nebbia dei numeri diventa più fitta, il governo annuncia pure la riforma fiscale che rende il quadro ancora più incerto perchè — se davvero si andrà ad alzare l’Iva per ridurre le aliquote più basse dell’Irpef — nessuno può sapere davvero quale sarà il gettito dopo i cambiamenti.
Ma almeno sui soldi che bisogna trovare, qualche punto fermo si può già mettere.
La premessa è questa: servono 40 miliardi di tagli (tagli veri, non basta ridurre un po’ gli aumenti di spesa già previsti) per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014, un obiettivo imposto dall’Europa che il governo ha già recepito nell’ultimo documento ufficiale di politica economica (il Def).
Come richiesto dalla Commissione Ue e sollecitato dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, bisogna cominciare subito a spiegare come si troveranno questi 40 miliardi, visto che tagliare la spesa corrente di 10-12 miliardi all’anno per tre anni non è cosa politicamente facile, ed è bene attrezzarsi per tempo.
A questo risanamento colossale, uno dei più pesanti della storia repubblicana, si aggiungono spese impreviste per 7 miliardi: 2,5 nel 2011 e altri 4,5 nel 2012.
Quando Berlusconi parla di “3 miliardi” si riferisce ai soldi che mancano nell’anno in corso, un piccolo buco dovuto soprattutto alla campagna di Libia, tra missioni militari e interventi umanitari per la gestione della crisi.
Ancora venti giorni fa Tremonti assicurava che nel 2011 “non ci sarà alcuna manovra correttiva”.
Adesso a palazzo Chigi preferiscono chiamarla “manovra di manutenzione”, ma il concetto è praticamente lo stesso: si tratta di un intervento sull’anno in corso, che non c’entra con la maxi-manovra da 40 miliardi.
Riassumendo: le rassicurazioni di Berlusconi rassicurano poco, perchè la manovra per arrivare al pareggio di bilancio ci sarà , come si aspettano i mercati e l’Europa, ma oltre ai 40 miliardi bisogna trovarne altri 7.
Totale: 47 miliardi di euro.
Lo ha ribadito anche il numero due della Banca d’Italia, il direttore generale Fabrizio Saccomanni, ieri: serve “l’adozione di misure correttive nell’ordine di 2,3 punti percentuali di Pil”.
Cioè circa 40 miliardi.
Il ministro Tremonti ha ben chiara la situazione e da settimane cerca di spiegare a Berlusconi che la priorità non può essere ridurre le tasse.
Prima di fare promesse bisogna farsi venire idee su dove trovare le decine di miliardi di euro da recuperare.
La ricetta suggerita da Draghi è il ritorno al metodo che usava Tommaso Padoa-Schioppa, predecessore di Tremonti: spulciare il bilancio voce per voce e tagliare le spese non indispensabili.
Tremonti ha seguito finora quella che considerava l’unica strada politicamente percorribile: i tagli lineari, riduzioni in percentuale delle dotazioni ai ministeri e agli enti locali, lasciando loro il compito di decidere cosa fosse meritevole di essere finanziato e cosa no.
Come succede sempre in questi casi, iniziano a circolare diverse proposte non ufficiali, anche per sondare il terreno e prevedere da dove arriveranno le reazioni più dure.
Si parla, per esempio, di alzare l’età per la pensione di vecchiaia a 65 anni anche nel privato, una misura che garantirebbe un risparmio permanente (come è stato per l’aumento dell’età pensionabile degli statali).
Per i dipendenti della pubblica amministrazione rischia di arrivare un ulteriore congelamento degli stipendi, provvedimento abbastanza condiviso da molti economisti che notano come i salari pubblici siano cresciuti molto più di quelli privati negli anni scorsi e un certo riequilibrio sia inevitabile.
Difficile che si possa evitare un’ulteriore riduzione dei trasferimenti agli enti locali, nonostante fosse questa una delle parti principali della manovra dello scorso anno (25 miliardi).
C’è poi sempre la possibilità che l’eventuale riforma fiscale (per ora si parla di una legge delega, che implica tempi molto lunghi) non sarà a somma zero, ma abbia il vero scopo di aumentare il gettito, pagato soprattutto dai contribuenti a basso reddito, tramite l’aumento dell’Iva su molti beni di consumo che ora sono tassati meno del 20 per cento standard.
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Giugno 11th, 2011 Riccardo Fucile
NELL’AMBITO DELL’INCHIESTA PER EVASIONE FISCALE CIRCA LA GESTIONE DEL SUO PANFILO, BRIATORE, INTERCETTATO MENTRE PARLA CON LA SANTANCHE’, DISCUTE DEI FESTINI ORGANIZZATI DA LELE MORA ANCHE DOPO L’ESPLOSIONE DELLO SCANDALO RUBY
Il sottosegretario Daniela Santanchè appare disperata: “Va be’, ma allora – dice – qua crolla tutto”. ”
Qua” è il mondo di Silvio Berlusconi, il premier che continua a stupire – e non in senso positivo – persino i suoi pasdaran.
È stato l’ex manager della Formula Uno Flavio Briatore a spaventare l’amica impegnata in politica con il Pdl.
Ha appena saputo che il presidente del Consiglio continua i suoi festini.
“Ma sei sicuro che lui (Berlusconi) ha ripreso?”, domanda sconcertata.
Sì, “al cento per cento”, è la risposta.
L’ultimo guaio con la giustizia è arrivato a Briatore dalla procura di Genova. La seconda sezione del nucleo operativo Gdf ha messo sotto intercettazione l’affarista, accusandolo d’evasione fiscale per la gestione del suo yacht “Force blue”: sessanta metri, dodici membri d’equipaggio, batte bandiera del paradiso fiscale delle Isole Cayman e non paga le giuste tasse.
I detective hanno inviato a Milano una parte delle telefonate perchè riguardano i processi milanesi per il caso di Karima El Mahroug, detta Ruby Rubacuori, che da minorenne frequentò i claustrofobici bunga bunga di Arcore.
Esistono sia nuovi riscontri sul kamasutra chimico nelle ville del premier.
Sia nuovi indizi che sembrano confermare (in peggio) le accuse contro Emilio Fede, direttore del Tg 4, e Lele Mora, agente di spettacolo in bancarotta.
“Io sono senza parole”, continua Santanchè, e domanda quello che ciascuno si chiede da tempo: “Ma perchè Berlusconi insiste con i bunga bunga?”.
La risposta di Briatore è drammatica: “à‰ malato, Dani! Il suo piacere è vedere queste qui, stanche, che vanno via da lui. Stanche, dicono. Oh, che poi queste qui ormai lo sanno! Dopo “due botte” cominciano a dire che sono stanche, che le ha rovinate”.
Va detto che questo scambio telefonico, con dettagli così privati, risale a due mesi fa.
A maggio è stato però lo stesso sottosegretario per l’Attuazione del programma a definire, all’uscita dal processo Mills, a Milano, i pubblici ministeri “metastasi.
Vabbè, volete un nome? Boccassini”, e cioè Ilda Boccassini, che con Pietro Forno e Antonio Sangermano ha raccolto 26mila pagine d’inchiesta, accusando il premier di concussione e prostituzione minorile.
Sa che la realtà è diversa.
Sono le 14.53 del 3 aprile, Briatore e Santanchè discutono del prossimo sindaco di Cuneo, poi Briatore non resiste:
B: “Sai chi è venuto a trovarmi a Montecarlo? Lele Mora. Non bene di salute, e mi ha detto: “Tutto continua come se nulla fosse””.
S: “Roba da pazzi!”.
B: “Non più lì (ad Arcore), ma nell’altra villa (…) Tutto come prima, non è cambiato un cazzo. Stessi attori (…) stesso film, proiettato in un cinema diverso (…). Come prima, più di prima. Stesso gruppo, qualche new entry, ma la base del film è uguale, il nocciolo duro, “Cento vetrine””.
S: “Ma ti rendi conto? E che cosa si può fare?”.
B: “Lele è stato da me due ore, mi fa pena. Dice. “Fla, mi hanno messo in mezzo. E sono talmente nella merda che l’unico che mi può aiutare è lui (Berlusconi), sia con la televisione, sia con tutto. Faccio quello che mi dicono, faccio quello che mi chiedono”. E poi quella roba di Fede! È indecente”.
“(Fede) non ha più parlato con il Presidente”, è stato tenuto in quarantena e “sembra – rivela Briatore – che abbia comprato delle case alla Zardo, con tutti ‘sti soldi. Ma pensa che deficiente”.
Zardo è Manuela Zardo, presentatrice tv, amica di Fede, già coinvolta in un’inchiesta passata sulla prostituzione, presentatrice al concorso di bellezza di Sant’Alessio Siculo, dove tra le concorrenti apparve “Ruby Eyek, egiziana, sedici anni”, e cioè Ruby Rubacuori.
Briatore non sembra inventare: “(Mora) era in estrema difficoltà e Fede gli ha preso il cinquanta per cento dei soldi” del prestito che l’agente in crisi economica aveva ottenuto da Berlusconi.
S: “Madonna mia!”
B: “E poi (Fede) è andato a dire al presidente: “Erano i soldi che gli ho prestato”. Invece non è vero, figlio di puttana””.
S: “Che gentaglia”.
Perchè gli investigatori sono sicuri che Briatore non stia millantando? Semplice: i due, che hanno passato insieme stagioni intere al Billionaire, si sono scambiati sms e telefonate.
E “Flavietto” ha detto a Lele: “Sono atterrato a Nizza in questo momento, ti mandiamo un messaggino con l’indirizzo, fammi uscire dall’aeroporto”. Briatore – come dimenticarlo? – è anche uno dei principali testimoni che la traballante difesa di Berlusconi ha chiamato in causa.
Scopo? Ribadire come quelle che si tenevano ad Arcore fossero solo “cene eleganti tra persone per bene”.
Un bel guaio per Niccolò Ghedini e il suo staff.
Il 7 aprile, alle 19.33, Flavio Briatore e Daniela Santanchè affrontano vari argomenti e cominciano dall’economia.
S: “Ieri sono andata da Geronzi. Questo casino che è successo, Della Valle contro Montezemolo”. Geronzi è Cesare Geronzi, che si è appena dimesso dalla presidenze di Generali, i due sono gli imprenditori che gli hanno mosso contro.
B: “C’è anche Tremonti, che gli ha dato una mano. Come azionista Generali, Geronzi voleva fare un po’ il politico, il papà della cupola, no?”.
S: “Geronzi mica finisce così. E mica questi penseranno che lui sta lì, senza colpo ferire”.
B. “No, no, ma ha 75 anni”.
S: “Bollorè è con lui”, Vincent, vicepresidente del gruppo triestino. “E non credo che Bollorè molli Geronzi”.
B: “Non fidarti mai dei francesi. Quando c’è bisogno, non ci sono mai”.
I due parlano di Mediobanca e di un’operazione di Della Valle e Montezemolo “con i treni” per ingraziarsi il ministro Giulio Tremonti, tanto che il sottosegretario conferma le indiscrezioni dei giornali, sempre smentite: “Di fatto, Tremonti è stato contro Berlusconi”.
B: “Tremonti ha dato la spallatina finale, eh?”.
S: “Senza i suoi tre voti non era così”.
Il sottosegretario racconta al compaesano anche della “guerra che si scatena in Mediobanca”, con Geronzi che vuole tornarci e – dice – c’è anche la partita del Corriere della Sera, eh”.
Briatore resta scettico: “A mio feeling, Geronzi non rientra in Mediobanca”.
“Ma vuol dire che perde Berlusconi”, insorge Santanchè. E insiste: “Il vicepresidente di Mediobanca si chiama Marina Berlusconi”.
Briatore non riesce più a tacere: “Dani, io ti dico un’altra roba. Se il presidente continua a fare che cosa fa… “.
Santanchè: “Ah, non dirmi niente!”.
B: “Siamo nelle mani di Dio qui, eh? Perchè – continua – ieri sera, l’altra sera, ho saputo che c’era stata un’altra grande festa lì, eh?”.
S: “Ma tu pensa!? E che cazzo dobbiamo fare!?”.
B: “Ha ragione Veronica, è malato. Perchè uno normale non fa ‘ste robe qui. Adesso Lele, che gli continua a portare, a organizzare questo, è persino in imbarazzo lui! E dice: “Ma io che cazzo devo fare?””.
S: “Va beh, ma allora qua crolla tutto”.
B: “Daniela, qui parliamo di problemi veramente seri di un Paese che deve essere riformato. Se io fossi al suo posto non dormirei di notte. Ma non per le troie. Non dormirei per la situazione che c’è in Italia”.
S: “E con il clima che c’è, uno lo prende di qua, l’altro che scappa di lì”.
B: “Brava, il problema è che poi la gente comincia veramente a tirar le monete”.
S: “Stanno già tirando”, e insultano pure.
Ma tutto sommato a Santanchè non va malissimo, spiega all’amico come sta acquistando peso e prestigio:
S: “E Berlusconi ha fatto fare a me l’accordo. Ho fatto l’accordo con Masi, e quindi tra il 7 e il 9 aprile viene nominata Lei, perchè sai, una mia carissima amica… “.
B: “Bene, meglio avere qualche amico in più”.
S: “In un mondo… “.
B: “Di merda, guarda!”.
Piero Colaprico
(da “la Repubblica“)
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Giugno 11th, 2011 Riccardo Fucile
IN TRE MESI, DA MARZO A MAGGIO, VI SONO STATI 39 GIORNI DI LAVORO E 53 DI RIPOSO ALLA CAMERA, 32 DI ATTIVITA’ E 60 DI FESTA AL SENATO….IL GOVERNO NON PRESENTA MAI UN BEL NULLA, TUTTO VIENE RINVIATO… A MAGGIO SU 14 GIORNI DI LAVORO NELLE COMMISSIONI, SOLO IN 5 CASI HANNO LAVORATO AL COMPLETO… LE COMMISSIONI SPESSO INIZIANO ALLA 14 PER FINIRE ALLE 14,30-15
“Il presidente avverte che, secondo le intese intercorse, la trattazione dei restanti argomenti iscritti all’ordine del giorno è rinviata ad altra seduta».
Due righe del resoconto stenografico di aula del 31 maggio bastano a fotografare l’ultimo regalino in ordine di tempo con cui si è concluso un trimestre esemplare per l’attività parlamentare: a marzo, aprile e maggio a Montecitorio 39 giorni di lavoro e 53 di riposo, mentre ai senatori è andata pure meglio, 32 giorni di lavoro e 60 di fermo, sabati e domeniche compresi, per carità .
Martedì 31 maggio alla Camera il presidente di turno è Rocco Buttiglione, qualcuno, come Giuliano Cazzola e Savino Pezzotta, celebra pure il quindicesimo anniversario della morte di uno strenuo difensore dei lavoratori, Luciano Lama.
Sono passate 24 ore dai risultati dei ballottaggi che hanno tenuto il Paese col fiato sospeso e le Camere chiuse: tutti già scommettono sul «ritorno di fiamma» che la sconfitta alle urne del centrodestra provocherà sulla complessa agenda di lavori parlamentari.
E invece l’annuncio di Buttiglione, intorno alle 12, fa tirare il fiato ai 485 onorevoli presenti (su 630) che all’ora di pranzo possono squagliarsela e guadagnare un’altra settimana corta di riposo, complice la festa del 2 giugno da celebrare, che, tra parentesi, si svolge 48 ore dopo.
I capigruppo hanno infatti deciso di rinviare per motivi vari tutti i nodi cruciali: non solo la legge sull’omofobia, voluta dalla Pd Paola Concia e stoppata in commissione dal Pdl con grande sdegno della Carfagna; non solo il decreto sviluppo, con la stabilizzazione dei precari, slittato anch’esso al 13 giugno.
Ma anche la verifica sul rimpasto di governo, chiesta dal Colle, sarà votata dal 20 al 24 giugno, dopo il giro di boa dei leghisti a Pontida, dopo i referendum e il più lontano possibile dalla scoppola elettorale del centrodestra.
Nemmeno al centrosinistra è andata poi male, perchè se pure avrebbe voluto la verifica «a caldo» questa settimana, almeno ha portato a casa uno slittamento del biotestamento, gradito alle curie, a data da destinarsi.
E quindi martedì 31, dopo una bella votazione bipartisan sulle regole di voto per i residenti all’estero, tutti a casa, ci si rivede lunedì 6 giugno.
Si dirà , ma a maggio ci sono state le amministrative, 12 milioni di italiani al voto, la campagna «ventre a terra» nei «campanili»: e infatti per dare ai 1000 parlamentari libero sfogo, dal 6 al 17 i lavori si sono fermati, così come dal 26 al 30 per tornare sui campi di gioco dei ballottaggi; ad aprile c’era la Santa Pasqua da celebrare ed infatti tutti in famiglia dal 21 al 27; ma anche a marzo una settimana corta ci stava bene: quando se la son presa?
Dal 17, giorno delle celebrazioni solenni in aula dell’Unità d’Italia al 23, cinque giorni pieni, dopo aver discusso per mesi se era il caso di regalare agli italiani un solo giorno di festa.
A voler essere pignoli cadendo nella pedanteria, lo spulcio di ogni singola votazione dell’ultimo mese di maggio mostra che in realtà di quegli 11 giorni di lavoro, 4 si riducono a sedute di 40 minuti, di un’ora e cinque, di una mattina o di un pomeriggio, dedicate a interpellanze o all’ascolto di informative del governo su fatti vari.
E quanti siano gli «onorevoli» secchioni che si prendono la briga di esser al loro posto in aula in queste occasioni è facile immaginarlo.
Obiezione: ma non c’è solo l’aula, sopra il piano terra ci sono tre piani di commissioni e giunte. Vero.
E basta prendere le convocazioni delle 14 commissioni permanenti della Camera per scoprire che le sedute cominciano quasi sempre alle 14 per concludersi spesso alle 14,25 o alle 15, in tempo per l’aula, e questo solo dal martedì al giovedì.
Bene che vada, perchè a maggio, su 14 giorni di lavoro delle commissioni, stando ai resoconti ufficiali, solo in cinque casi, il 31, 25, 18, 4 e 3 maggio, le 14 commissioni al completo e le giunte erano tutte convocate.
Gli altri giorni, un andamento a fisarmonica, una volta una, altre volte quattro, o sette commissioni all’appello.
Dunque fa quasi tenerezza leggere una delle tante interrogazioni, in questo caso della giovane Pd Elisabetta Rampi, che chiede al ministro della Difesa di fare qualcosa per i 350 mila uomini e donne mutilati mentre servivano in varia forma, militare o civile, lo Stato e le istituzioni.
Sono gli iscritti all’Unione Nazionale Mutilati per servizio, che seguono con ansia l’iter dei 9 disegni di legge bipartisan mirati a garantire loro una maggiore tutela.
Nove documenti che giacciono nelle commissioni di merito, «in attesa di essere discussi ed approvati».
Quando il calendario lo consentirà , perchè l’usanza in voga da anni è convocare le commissioni nelle pause delle votazioni in aula, visto che il regolamento proibisce la sovrapposizione.
Ma non proibisce la convocazione il lunedì mattina, il giovedì e il venerdì, quando l’aula è ferma.
E dunque, come si vede, la battaglia di Fini, che voleva istituire tre settimane di lavoro continuato dal lunedì al venerdì ed una settimana di pausa ogni mese per il ritorno nei collegi, è rimasta solo un bell’auspicio perchè il governo non porta in Aula un bel nulla e quindi non c’è materia si cui dibattere.
Tanto più che con questa legge elettorale gli onorevoli non sono neanche più obbligati a starsene a casa per curarsi il collegio, perchè un collegio non ce l’hanno dall’anno domini 2005.
Carlo Bertini
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Giugno 11th, 2011 Riccardo Fucile
LA RICERCA DI “TERMOMETRO POLITICO” DISEGNA I TRATTI DEGLI UNDER 25…IL SOGNO RESTA IL POSTO FISSO, HANNO POCA VOGLIA DI POLITICA E TANTA FIDUCIA IN NAPOLITANO E NELLA MAGISTRATURA… BOCCIATO SENZA APPELLO BERLUSCONI: GLI DA’ LA SUFFICIENZA SOLO IL 20%
Assediati dalla precarietà .
E con il dito puntato contro l’evasione fiscale, causa principale delle ingiustizie sociali del Belpaese.
In cerca del lavoro a tempo indeterminato e pronti a difendere le pensioni dei genitori. Sono alcuni dei tratti che, secondo un sondaggio di Termometro Politico, disegnano l’identikit degli under 35.
Una ricerca ricca di dati che sarà presentata oggi a Roma .
Un incontro in cui 110 universitari discuteranno con esponenti della mondo della politica e dell’impresa.
Per mettere nero su bianco le possibili cure per il welfare state italiano.
La ricerca si basa sui dati raccolti attraverso 800 interviste telefoniche.
E il lavoro è una priorità che accomuna tutti.
Oggetto del desiderio: essere impiegati in modo stabile, trovare il tanto agognato posto fisso.
L’87% dei giovani è disposto a uno stipendio più basso, a patto che sia a tempo indeterminato.
Certo, non manca la voglia di scommettere in proprio sul futuro: il 71% degli intervistati sarebbe disposto ad investire in una attività imprenditoriale.
E la ricerca del lavoro? Per il 34% si tratta di conoscere le persone giuste, per il 33% l’essenziale è aver svolto stage ed esperienze lavorative.
E solo il 23% del campione indica nello studio universitario la base per il successo professionale.
Lo scontro generazionale non è, per il campione di intervistati, la causa principale dei problemi sociali del Paese.
Il 79%, infatti, non sarebbe disposto a tagliare le pensioni ai genitori in cambio di garanzie sul proprio trattamento previdenziale.
La musica cambia per l’evasione fiscale, indicata dal 45% come la principale fonte di ingiustizia sociale.
Che secondo il 23.2% è invece da attribuire alla configurazione corporativa del mondo del lavoro.
Significativa la speranza di cambiamento: la maggioranza degli under 35 nutre fiducia nel futuro del Paese.
Più del 75% dei giovani confessa di non aver mai pensato di impegnarsi direttamente in politica.
Significativi anche i dati sul livello di fiducia verso le istituzioni.
Promossi a pieni voti Magistratura (67%), Forze dell’ordine (75%) e soprattutto il Presidente della Repubblica: l’operato di Giorgio Napolitano gode del 77% dei consensi.
Più basso l’indice di fiducia nei sindacati (48%), mentre risultano piuttosto critici i giudizi sulla Chiesa cattolica (38%) e sui partiti politici (24%)
Alla domanda sulla propria collocazione politica, il 22,5% si dichiara di sinistra, il 34,9% di centrosinistra, l’11,1% di centro.
Il centrodestra si ferma al 20,3% e la destra all’11,2%.
Bocciato senza appello il presidente del Consiglio.
A Silvio Berlusconi solo il 20% dei giovani italiani dà un voto superiore al 5.
Ben due terzi degli intervistati non arrivano al 4.
E il 44,3% assegna al premier il voto più basso: uno.
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Giugno 11th, 2011 Riccardo Fucile
“GUAI A IGNORARE LA LEZIONE DI FUKUSHIMA, PER ARRIVARE AL 25% DI ELETTRICITA’ DAL NUCLEARE IL COSTO E’ DI 100 MILIARDI, MA DOVE SONO I PRIVATI DISPOSTI AD INVESTIRLI?”
«Fukushima ha rappresentato una grande sorpresa perchè ha evidenziato uno scollamento tra le previsioni e i fatti. E’ stata una lezione ed è pericoloso non imparare dalle lezioni. Soprattutto per un paese come l’Italia che con il Giappone ha molti problemi in comune: non solo la sismicità ma anche gli tsunami prodotti da un terremoto, come l’onda gigante che ha distrutto Messina nel 1908. E’ ragionevole fare una centrale atomica in Sicilia?».
Carlo Rubbia, il Nobel che in Italia ha inventato il progetto pilota per il solare termodinamico, osserva il panorama energetico a tre mesi dall’inizio di un incidente nucleare che non si è ancora concluso.
Dopo Fukushima tutto il mondo s’interroga sul futuro del nucleare e paesi come la Germania e la Svizzera hanno deciso di uscire dal club dell’atomo. Il governo italiano invece vuole rientrare. Le sembra una buona scelta?
Non si può rispondere con un sì o con un no. Bisogna esaminare i problemi partendo da una domanda fondamentale: quanti soldi ci vogliono e chi li mette. Si dice che una centrale nucleare costa 4-5 miliardi di euro. Ma senza calcolare gli oneri a monte e a valle, cioè le spese necessarie per l’arricchimento del combustibile e per la creazione di un deposito geologico per le scorie radioattive come quello che gli americani hanno cercato di fare, senza riuscirci ma spendendo 7 miliardi di dollari, a Yucca Mountain.
Insomma quanto costerebbe il piano italiano che punta ad arrivare al 25 per cento di elettricità dall’atomo?
Per raggiungere un obiettivo del genere, e o si raggiunge un obiettivo del genere oppure è inutile cominciare perchè si hanno solo i problemi senza i vantaggi, serviranno una ventina di centrali e quindi possiamo immaginare un costo diretto che si aggira sui 100 miliardi di euro. Il punto, come dicevo, è chi li mette sul tavolo.
In tutto il mondo i capitali privati tendono a tenersi lontani dal nucleare, li spaventa il rischio.
Proprio così. Nei paesi che hanno scommesso sull’energia nucleare questa scelta è stata finanziata, in un modo o nell’altro, dallo Stato, spesso perchè lo Stato era impegnato nella costruzione di bombe atomiche. Per questo le centrali francesi sono costate tre volte meno di quelle tedesche: buona parte degli investimenti strutturali erano a carico della force de frappe. Ora se in Italia ci sono – e sarebbe una novità – privati interessati a investire in questo settore, bene: si facciano avanti. Altrimenti bisogna dire con onestà che i soldi vanno presi dalle tasse.
La Germania ha deciso di chiudere le centrali nucleari perchè considera più conveniente investire nelle fonti rinnovabili. Condivide il giudizio?
Io ho parlato a lungo proprio con le persone che hanno preso questa decisione. E’ stato un passo importante perchè il futuro è lì, ma bisogna tener presenti i tempi dell’operazione: le fonti rinnovabili per esprimere a pieno il loro potenziale, arrivando a sottrarre quote importanti ai combustibili fossili, hanno bisogno ancora di 10-15 anni. Quindi bisogna pensare a una transizione.
Per questo il centrodestra italiano parla di nucleare.
«Non diciamo sciocchezze, una centrale nucleare approvata oggi sarebbe pronta tra 10-15 anni, alla fine del periodo di transizione. Noi abbiamo bisogno di impianti con un basso impatto ambientale e tempi di costruzione rapidi. Penso a un mix in cui l’aumento di efficienza gioca un ruolo importante, sole e vento crescono e c’è spazio per due fonti che possono produrre subito a costi bassi».
Quali?
Innanzitutto il gas, che è arrivato al 60 per cento di efficienza e produce una quantità di anidride carbonica due volte e mezza più bassa di quella del carbone: il chilowattora costa poco e le centrali si realizzano in tre anni. E poi c’è la geotermia che nel mondo già oggi dà un contributo pari a 5 centrali nucleari. L’Italia ha una potenzialità straordinaria nella zona compresa tra Toscana, Lazio e Campania, e la sfrutta in maniera molto parziale: si può fare di più a prezzi molto convenienti. Solo dal potenziale geotermico compreso in quest’area si può ottenere l’energia fornita dalle 4 centrali nucleari previste come primo step del piano nucleare. Subito e senza rischi.
Antonio Cianciullo
(da “La Repubblica“)
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Giugno 11th, 2011 Riccardo Fucile
A SILVIO LA COMPETIZIONE IN CAMPO APERTO NON INTERESSA, COSI’ COME LA VECCHIA DC NON SI E’ MAI INTERESSATA A MISURARSI CON L’EGEMONIA CULTURALE DELLA SINISTRA: DOVE SERVIVA, MANDAVA LA CELERE…SE FOSSE UN POLITICO SILVIO SI SAREBBE TENUTO CARO SANTORO
Se fosse un politico e non un imprenditore piuttosto dispotico, Silvio Berlusconi si sarebbe tenuto caro Michele Santoro in Rai, così come non avrebbe mai mollato Gianfranco Fini, così come avrebbe tollerato e addirittura coltivato i molti nemici interni ed esterni che invece ha demolito negli ultimi due anni utilizzando a turno la fabbrica del fango e le leve del suo potere.
Non è necessario aver letto Carl Schmitt per sapere che il nemico, in politica, è una cosa importantissima.
Basta aver visto qualche western, specialmente quelli di Sergio Leone (“Dormirò tranquillo perchè so che il mio peggior nemico veglia su di me”) e averne tratto le elementari conseguenze: ovunque ci sia un establishment forte che si vuole inamovibile, avere avversari di rango è molto più importante che avere sodali in quantità .
La Democrazia cristiana resistette cinquant’anni grazie allo spettro del comunismo, opportunamente enfatizzato, e crollò assieme allo sgretolamento del Muro di Berlino: la Falce e Martello era il suo gerovital, senza non è durata neppure un minuto.
In questi tempi di ideologie tiepide, per il Cavaliere, Santoro era un nemico perfetto.
E la sua piazza mediatica era lo spauracchio ideale per il popolo dei Suv e dei Rolex (per usare la definizione di Confalonieri) che è il naturale riferimento del premier: studenti arrabbiati, operaie furiose, cassintegrati inviperiti, ricercatori sui tetti, turbe di immigrati e di meridionali che gridano nei microfoni le ingiustizie subìte.
Altro che i musulmani, i gay e i ladri d’auto inventati l’impronta per aiutare la povera Letizia Moratti.
Lì c’era la “ciccia”, lì le turbe dei non garantiti e dei protestatari per vocazione pronti a trascinare il Paese nel caos in caso di sconfitta del presidente del Consiglio.
Vederli in onda su La7 (se così succederà ) non sarà la stessa cosa e renderà più misera, non più gloriosa e vincente, l’immagine del leader del Pdl.
Ma non c’è niente da fare. Nella dimensione padronale del premier la nobile categoria del nemico politico non esiste e c’è solo quella del concorrente commerciale ostile, che può e deve essere asfaltato in una quotidiana dimostrazione di forza.
La stessa tattica è stata a suo tempo applicata contro il nemico interno, vedi Fini, dimenticando che anche questa è una categoria cruciale per la politica così come per la guerra: il mito e l’alibi della “quinta colonna”, dei sabotatori in casa, sono il miglior aiuto per i generali irresoluti e inconcludenti.
Non a caso è stato Giuliano Ferrara, l’unico tra i consiglieri del Cav. ad avere una formazione autentica, a sostenere fino all’ultimo minuto la necessità che Berlusconi si tenesse i finiani, “integrandoli con compromessi politici a lui stesso utili in attesa di uno stemperamento della propria anomalia istituzionale”.
Traduzione: la contestazione ti fa comodo se vuoi evitare di apparire come il padrone delle ferriere che sei.
Così come nel modello berlusconiano non si dà valore all’idea di amicizia, tanto che i suoi amici si devono definirsi “servi” per non irritarlo con le loro critiche, allo stesso modo non si tiene in conto l’importanza dell’inimicizia, del conflitto con l’avversario, sale di ogni battaglia politica che abbia dignità e che meriti di essere combattuta.
È per questo che il Cavaliere non si è mai preoccupato della ricerca e della selezione di un “Santoro di destra”, seguendo l’invito che tanti gli rivolgono da anni.
La competizione in campo aperto non gli interessa, esattamente come alla vecchia Democrazia cristiana non veniva neanche in mente di misurarsi con l’egemonia culturale e intellettuale della sinistra o con il suo predominio nel mondo giovanile. Dove serviva mandava la Celere (non solo metaforicamente), e per il resto si consolava nelle urne secondo una massima ben sintetizzata a suo tempo da Maurizio Gasparri: “Quello avrà venduto mille libri, ma io ho preso centomila voti”.
Ma il destino di questo tipo di politica è che alla fine della fiera, senza più nemici da agitare come spauracchio o da additare come colpevoli dei propri fallimenti, neanche i voti o l’audience si prendono più.
Scommettiamo che tra sei mesi ci si troverà a rimpiangere i bei tempi del duopolio tv, quando “il nemico” andava in onda sulla Rai?
Flavia Perina
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Giugno 11th, 2011 Riccardo Fucile
SECONDO IL LEGALE IL CONTEGGIO DEI VOTI DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO IN QUESTO CASO NON DEVE VALERE… “LA COSTITUZIONE GARANTISCE LORO IL DIRITTO DI VOTO, MA NON STABILISCE CHE IL LORO VOTO DEBBA CONCORRERE AL QUORUM SUI REFERENDUM”
Tesi forte, densa di contenutipolitici quella di Gianluigi Pellegrino, l`avvocato che assiste il Pd nella vicenda referendaria.
Argomentazioni legate soprattutto al quesito nucleare e a tutte le manovre del governo per rendere confuso e incerto il quadro su questa votazione.
Il ragionamento di Pellegrino prende le mosse da una sentenza della Corte costituzionale, la numero 173 del 2005.
In quel caso il governo aveva chiesto alla Consulta di cancellare una norma elettorale del Friuli Venezia Giulia che escludeva gli italiani all`estero dal computo del quorum del 50 per cento di votanti nelle elezioni nei comuni sopra i 15 mila abitanti.
Una sentenza che, secondo Pellegrino, si può benissimo applicare alle vicende del voto degli italiani all`estero sul nucleare.
Perchè – sostiene l`avvocato – la Corte ha spiegato che l`articolo 48 della Cartaprevede solo di «assicurare la parità di condizione dei cittadini al momento in cui il voto viene espresso».
Inoltre, secondo Pellegrino, la legge sul voto agli italiani all`estero «si è ben guardata dal prevedere che questi elettori all`estero concorrono a formare il quorum». L`avvocato spiega anche che proprio nella legge si trovano elementi che confermano questa tesi.
Uno è che lo spoglio del voto è affidato all`Ufficio elettorale presso la Corte di appello che comunicherà alla Cassazione solo i sì e i no.
La seconda è il silenzio della stessa Cassazione e della Consulta sul problema del voto all`estero. «Se non si sono posti il problema- dice Pellegrino – è perchè la concorrenza degli italiani all`estero al quorum non esiste».
Infine, conclude l`avvocato, la riprova della tesi che gli italiani all`estero non concorrono al quorum, è «nella sciatteria, rilevata per esempio dai radicali, nelle procedure di voto di quel segmento elettorale».
Insomma, conclude Pellegrino, il dato finale è che «non si capisce perchè un italiano residente in Francia, a pochi chilometri da una centrale nucleare, dunque indifferente alla cosa, debb avotare, o non votare, per decidere se installare un sito a Montalto di Castro, travolgendo la decisione di chi in Italia vive ed è interessato alla questione».
Ecco perchè quei voti non dovrebbero essere considerati al fine del quorum.
Come chiede Antonio Di Pietro.
Anche perchè denunciano i radicali ci sono troppe irregolarità . «Presenterò un`istanza alla Cassazione perchè non siano considerati ai fini del quorum, di tutti e quattro i referendum, quegli italiani all`estero che non hanno votato e di cui il governo non è in grado di dimostrare che siano stati ragionevolmente messi nelle condizioni di votare», annuncia il segretario Mario Staderini.
Silvio Buzzanca
(da “La Repubblica“)
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