Giugno 27th, 2011 Riccardo Fucile
I DETTAGLI DELLA INCREDIBILE SCALATA ECONOMICA DI GINO MAMONE NELLA ASSEGNAZIONE DEI LAVORI DI BONIFICA IN LIGURIA…NASCE DAL NULLA E VINCE SUBITO APPALTI AL RIBASSO, MONOPOLIZZANDO IL MERCATO CON INVESTIMENTI ECONOMICI SPAVENTOSI…I RAPPORTI CON LA POLITICA LIGURE
E’ il 27 gennaio del’anno scorso quando il Secolo XIX scrive: “per la prima volta la Procura chiede di processarlo con l’accusa di corruzione.
E chiama in causa, oltre al “re” delle bonifiche Gino Mamone, anche due ex consiglieri comunali di centrosinistra.
Nel mirino c’è la compravendita di un’area in Valpolcevera, il vasto appezzamento dove un tempo sorgeva l’oleificio Gaslini, dismesso nel 1985 e destinato a ospitare un enorme centro commerciale.
Valore almeno 13,5milioni di euro.
Il sostituto procuratore Francesco Pinto ha infatti formulato la richiesta di rinvio a giudizio per il patron della Eco.Ge, Gino Mamone, per Massimo Casagrande (a PalazzoTursi con i Democratici di Sinistra durante il mandato di Giuseppe Pericu) e Paolo Striano,all’epoca dei fatti consigliere della Margherita”.
Per gli ultimi due l’addebito è di istigazione alla corruzione, un reato “minore” rispetto a quello contestato a Mamone.
Ma già dagli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti relativi alla visita in Liguria, si poteva leggere la Relazione semestrale 2002 della DIA.
“Presenze significative sono state individuate anche in Liguria, ove la criminalità calabrese, presente sin dagli anni ’60, si è manifestata tanto in ambito microcriminale, attraverso l’esercizio dello spaccio di droga al minuto, quanto in importanti settori economici quali l’edilizia, la ristorazione e, soprattutto, lo smaltimento dei rifiuti. Le consorterie censite sul territorio sono riconducibili alle famiglie ROMEO, NUCERA, RAMPINO, MAMONE, FOGLIANI, FAMELI e FAZZARI.
La famiglia ROMEO, originaria di Roghudi (RC), è stabilita a Sarzana (SP), ove svolge attività edilizia e di floricoltura. La famiglia NUCERA, originaria da Condofuri (RC) ed insediata a Lavagna (GE), è in contatto con le famiglie reggine RODà€, PAVIGLIANITI e D’AGOSTINO.
Gli interessi economici dei NUCERA spaziano dal settore edilizio a quello alberghiero, ma la fonte principale di guadagno è rappresentata dal settore dello smaltimento dei rifiuti tanto da essersi aggiudicati gran parte degli appalti in numerosi comuni dell’area del Tigullio.
La famiglia MAMONE, proveniente dalla Piana di Gioia Tauro (RC) e collegata ai MAMMOLITI di Oppido Mamertina (RC), si è insediata a Genova, ove è titolare della società “F.lli MAMONE & C. di MAMOME Luigi” aggiudicataria di un cospicuo numero di appalti pubblici.
La famiglia FOGLIANI, anch’essa insediata a Genova proveniente da Taurianova (RC), è considerata un terminale locale per operazioni di reinvestimento di denaro di illecita provenienza.
La famiglia FAMELI, insediatasi nella provincia di Savona, ha assunto una posizione dominante nel settore immobiliare ed è considerata in rapporti d’affari con il boss PIROMALLI e con altri sodali della cosca RASO-GULLACE-ALBANESE.
Sempre a Savona è presente la famiglia FAZZARI, operante nel settore edilizio e dello smaltimento rifiuti, è legata da rapporti di parentela con la famiglia GULLACE, facente parte del clan “RASO-GULLACE-ALBANESE” di Gioia Tauro (RC).
Ulteriori insediamenti di personaggi criminali calabresi sono, infine, localizzati nelle aree di Ventimiglia (IM) e di Sarzana (SP), Ortonovo, Ameglia ed Arcola, caratterizzate dalla presenza di numerose comunità di immigrati calabresi.
Ma è la Casa della Legalità a spiegare nei dettagli la scalata economica di Gino Mamone nell’ambito dell’assegnazione dei lavori di bonifica.
L’ascesa della società ECO.GE, nata praticamente dal nulla, con investimenti spaventosi ed offerte irraggiungibili, con un parco mezzi costantemente incrementato e ammodernato, ha stroncato ogni concorrenza, si colloca nei primi anni Novanta.
Dopo i brindisi, in casa di Luigi MAMONE; dei boss storici della ‘ndrangheta in Liguria, come Franco RAMPINO e Carmelo GULLACE, con i MAMONE, e tra questi Gino.
L’IPERCOOP DI GENOVALa prima grande opera che ha segnato lo start per la società gioiello dei MAMONE, la ECO.GE, è la bonifica delle ex Raffinerie ERG di San Biagio.
Qui non sono mancati i problemi e la prima grande bonifica “farsa”, conclusasi con una colata di cemento a formare una piattaforma interrata che tenesse gli inquinanti (finchè potrà ) nel sottosuolo.
Qui, con l’opera della ECO.GE dei MAMONE al posto degli impianti della ERG sorge l’IPERCOOP ed il quartiere residenziale SAN BIAGIO. Per i lavori commissionati da COOPSETTE, naturalmente non fanno tutto i MAMONE, loro si occupano di demolizioni, bonifiche e movimento terra… per la costruzione si occupa la società CEMIN, di RASO Antonino.
Con il plauso del COMUNE DI GENOVA ed il contributo dei fondi per le riconversioni delle aree che una volta erano industriali, la COOPSETTE promuove il progetto per FIUMARA. Torri residenziali, palazzine per uffici ed Asl, centro commerciale, centro divertimenti con multisale, struttura sportiva e palazzetto per sport e spettacoli… il tutto corredato da mega parcheggi interrati e in struttura.
Il progetto, come praticamente tutti i progetti di COOPSETTE, è firmato da Vittorio GRATTAROLA, uomo da sempre legato a Claudio BURLANDO.
Il lavoro di demolizioni, bonifiche e movimento terra è affidato all’ECO.GE dei MAMONE, ed anche qui per l’edilizia, invece, c’è la CEMIN.
Per COOPSETTE la società la ECO.GE continua a lavorare per le stesse tipologie di intervento nell’ambito dell’appalto della RFI per il nodo Valpolcevera, per la realizzazione del nuovo centro direzionale a Sestri Ponenti, con la TORRE SAN GIORGIO… ed ancora, di nuovo a SAN BIAGIO, per il nuovo “BORGO” che sorge alle spalle del quartiere residenziale di SAN BIAGIO, dove di nuovo la ECO.GE segue scavi e movimento terra, mentre per le costruzioni si occupa la CEMIN.
E la COOPSETTE non è l’unico colosso delle cooperativo con cui operano i MAMONE.
Se abbiamo già visto, ad esempio, nell’ambito degli appalti di SVILUPPO GENOVA, che nel cantiere affidato alla CCC (Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna) ci sono al lavoro i mezzi della ECO.GE, spostandoci a San Benigno, proprio di fronte al grattacielo del Comune di Genova, troviamo un nuovo committente per la società dei MAMONE.
Qui sono in costruzione le TORRI DEL FARO, case ed uffici, progettati dalla MARIO VALLE ENGEENERING (acquisita da un’altra cooperativa edilizia, l’ABIT.COOP., ove nel Cda troviamo il cugino dei FOTIA, che secondo i reparti investigativi è famiglia della cosca dei MORABITO-PALAMARA-BRUZZANITI). La società a cui è stata commissionata l’opera, che ha avuto la prima approvazione con la Giunta in COMUNE di Giuseppe PERICU ed il via libero definitico con la Giunta di Marta VINCENZI, è un altro colosso delle cooperative emiliane, la UNIECO. Questa affida i lavori per demolizioni, scavi e movimento terra alla ECO.GE. Quelli della costruzione invece vedono impegnata la CEMIN.
Ma passiamo ad altri esempi di società private, visto che il quadro del rapporto tra le grandi cooperative emiliane e l’ECO.GE dovrebbe essere abbastanza evidente.
Un altro lavoro di bonifica, o per meglio dire di bonifica farsa, è quello dell’ex stabilimento SOPPANI tra Cogoleto ed Arenzano.
Qui l’ECO.GE si doveva occupare, prima per l’impresa LUIGI STOPPANI SPA e poi per l’IMMOBILIARE VAL LERONE, della bonifica di una sostanza alquanto tossica e cancerogena: il cromo esavalente.
Il cromo esavalente però lo si è trovato in ogni dove, dalla vicina discarica del Molinetto, alle aree di Voltri coinvolge nei riempimenti per l’ampliamento del porto, altrove ed soprattutto nascosti nell’area dello Stabilimento.
L’ARPAL non vedeva nulla, così come gli operai facevano finta di niente….
Così il cromo esavalente nascosto nello stabilimento verrà individuato solo con l’arrivo dalla struttura Commissariale che, a seguito del fallimento della società proprietaria della vecchia fabbrica, ha assunto il controllo del sito per la messa in sicurezza e la bonifica.
I MAMONE tentarono in tutti i modi di prendere in mano questa struttura ed area ma fortunatamente non ce l’hanno fatta grazie al Commissario che avviò l’acquisizione degli impianti.
Nonostante i tentativi, anche dal Palazzo della REGIONE LIGURIA e del COMUNE DI ARENZANO, di agevolare il passaggio dell’area ai MAMONE, questa operazione non gli è andata in porto, nonostante la ben strutturata macchinazione concordata tra i MAMONE e l’amministrazione dell’IMMOBILIARE VAL LERONE.
Successivamente molte delle società che abbiamo trovato nel “cartello” dei MAMONE individuato dalla Procura per il controllo degli appalti di Cornigliano, erano ad operare nella fase di messa in sicurezza della STOPPANI e dentro l’area dell’ex stabilimento vi ben evidenti attrezzature della ECO.GE.
Fortunatamente, dopo una serie di denunce pubbliche che abbiamo promosso, l’allora Prefetto di Genova, dott. Anna Maria Cancellieri, assume una costante attività di controllo su ciò che avveniva in quella che fu la STOPPANI… e fortunatamente il Prefetto Cancellieri viene nominata come nuovo Commissario Straordinario per il Sito della STOPPANI… da allora i MAMONE e le società del “cartello” sono svaniti.
Per il resto la lista sarebbe lunga, troppo lunga, tra gli incarichi pubblici e privati quindi ci limitiamo ad indicarne alcuni: demolizioni delle aree NORMOIL, demolizione e bonifica deposito area SHELL del quartiere di Fegino, demolizioni nell’area di Genova CAMPI, demolizione ponte ferroviario di Genova Cornigliano e depositi PRAOIL a Genova Pegli…
Poi ci sarebbero anche quelli per l’Autorità Portuale o quelli per le molteplici bonifiche da amianto (che poi i NOE trovano sparsi qua e là , come nella fascia di rispetto di Prà )… ed ancora i lavori per conto del COMUNE DI GENOVA per lo spazzamento neve e via discorrendo.
Tra pubblico e privato è quindi evidente che gli affari dei MAMONE non li ha fermati nessuno… proprio come diceva Gino MAMONE nelle intercettazioni della Guardia di Finanza.
Ecco un breve estratto del rapporto della Guardia di Finanza alla Procura in merito al filone di inchiesta sui contatti dei MAMONE nell’ambito della criminalità organizzata, dell’agosto 2007.
In merito ai contatti per la raccolta di voti per la coalizione di centrosinistra in Comune e Provincia, dal rapporto della GdF emerge il ruolo di Piero Malatesti.
“La figura del MALATESTI è risultata essere contraddistinta dagli innumerevoli contatti che lo stesso ha con il mondo politico ed imprenditoriale che non risultano essere giustificati dalla professione svolta dallo stesso, il tassista. Sovente è capitato di intercettare conversazioni dal tenore delle quali parrebbe che lo stesso fosse impegnato in un ruolo d’intermediario per un appalto nel settore petrolifero in territorio Libico, affare che lo stesso porterebbe avanti operando congiuntamente al non meglio identificato Tino ed a Gino MAMONE.
Sono state anche intercettate conversazioni in cui si parla della loro percentuale di guadagno a seguito dell’esecuzione dei lavori e della ditta che loro avrebbero contatto per l’esecuzione degli stessi, la “Carena”.
Egli, inoltre, si preoccupa di essere ben inserito a livello sociale, tanto da farsi raccomandare per accedere al club “Lions” e sovente si trova partecipe od organizzatore di cene con esponenti del mondo politico sia a livello locale che nazionale.
In aggiunta alle telefonate precedentemente esposte che evidenziano i contatti del MALATESTI con esponenti politici locali, vengono altresì sottoposte al vaglio delle ulteriori conversazioni telefoniche a parere dei verbalizzanti degni di rilievo.
In particolare, in una telefonata (… del 08/06/2007 in partenza dall’utenza … in uso a MALATESTI Piero verso l’utenza… in uso a MAMONE Gino…) Piero contatta Gino MAMONE per chiedergli di incontrarsi “… quando ci vediamo?” e dal tono della conversazione sembra che tra i due ci sia un buon rapporto di conoscenza “…
MAMONE gli da appuntamento per la prossima settimana “… la settimana prossima dai dieci minuti ci vediamo eh? Lunedì, martedì…” e Piero sembra molto soddisfatto “… e certo ci prendiamo un aperitivo, senti una cosa Gino, l’hai chiamato il tuo amico della Carema?…”. Gino conferma di aver fatto la chiamata in argomento ad un soggetto che gli ha assicurato che avrebbero messo a posto la documentazione “… ha detto che parlava con quel signore e gli ho detto vedete di mettere a posto le carte.” e Piero aggiunge che un soggetto chiamato “il libico” sembra sia molto alterato per questa situazione “…si, si no, no chiaramente perchè il libico, il libico insomma è anche abbastanza un po’ alterato …inc/le.. come sarebbe che vogliono andare giù senza firmare un cazzo non è possibile…” e Gino però giustifica tale situazione poichè sostiene che se nessuno si reca sul posto per vagliare le circostanze è inutile firmare documenti “… però io capisco che se uno non va giù a vedere cosa deve fare… cioè è inutile che uno firma un documento no?” ma Piero spiega che si tratterebbe di un’impegnativa fra persone (Pietro MALATESTI, Gino MAMONE e Tino n.m.i.) “… no quello che firma è soltanto un’impegnativa fra me, te, Tino…”.
Gino spiega che se viene apposta una firma su un’impegnativa a quel punto si inizia a parlare di percentuali “… si però il libico gli deve anche dire cosa vuole perchè se firma un’impegnativa …inc/le.. quaranta per cento… eh capisci… le cose vanno fatte come si deve… il libico deve dire, voglio ics… noi ci mettiamo sopra la nostra percentuale e dopo di che lui firma il documento, quello lì … inc/le..”. Piero concorda in parte con questo punto di vista del MAMONE “… ecco esatto, è così in effetti vogliamo fare questo poi vogliamo sederci un attimo lì e dure, stabiliamo una qualcosa che vada bene a tutti, firmiamo che poi è un’impegnativa, un’impegnativa ma è un’impegnativa a livello che per domani quando lavoro… sarà poi portato avanti se no è una cosa che decade punto…”
(da “Casa della Legalità ” – Osservatorio su Giustizia e Mafia)
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Giugno 27th, 2011 Riccardo Fucile
TAGLI TEORICI ALLA POLITICA, MA IN UN PIANO SENZA NUMERI, DATE E SCADENZE…INUTILE ANNUNCIARE CHE NON SARANNO AMMESSE AUTO BLU OLTRE 1.600 DI CILINDRATA, QUANDO L’80% DELLE AUTO E’ SOTTO TALE SOGLIA E PER LE ALTRE OCCORRERA’ ATTENDERNE LA ROTTAMAZIONE
Del prossimo piano di Tremonti “lacrime e sangue”, il governo ama propagandare, per far dimenticare ben altri sacrifici chiesti agli italiani, i famosi “tagli alla politica” e ai privilegi della Casta.
Dovrebbe essere questo il grimaldello per convincere i cittadini che è giusto fare qualche sacrificio, visto che il ceto politico per primo intende dare l’esempio.
Ma se andiamo a fondo nell’esame dei sette punti annunciati dal ministro, risulta a prima vista che qualcosa non quadra.
Intanto di retroattivo non c’è nulla, tutto è destinato ad entrare in vigore nella prossima legislatura: quindi per due anni non cambia nulla, ammesso che qualcosa possa cambiare in futuro, visto che sarà necessario un nuovo pronunciamento in tal senso dei prossimi legislatori.
In secondo luogo non esiste una determinazione del risparmio che si andrebbe a fissare con questi tagli virtuali.
Per la semplice ragione che non c’è alcuna quantificazione numerica delle percentuali dei tagli previsti.
Non esiste nella parte in cui si annuncia una riduzione del finanziamento ai partiti, non è precisato per quella relativa agli organi di rilevanza costituzionale, così come per quella che concerne le indennità ai politici.
Si dice che gli aerei blu di Stato non potranno essere utilizzati da ministri e sottosegretari, ma si precisa “senza autorizzazione”.
Quindi basta un visto e nulla cambierà .
Poi abbiamo il capitolo auto blu “che non dovranno superare i 1600 di cilindrata” (anche qui “salvo eccezioni”) , mentre quelle in servizio potranno essere utilizzate fino alla rottamazione.
Cosa cambia? Un bel nulla, anche perchè su 52.470 auto registrate al Pra a nome delle Ammministrazioni Pubbliche, ben 33.388, pari al 78%, hanno una cilindrata inferiore a quella annunciata.
E’ tanto efficiente Brunetta che quando ha interpellato le Amministrazioni centrali e locali per conoscere il numero di auto blu, hanno risposto solo in 5.570 su 9.227: ancora adesso il 40% non se lo è minimanente filato.
Si ipotizza, in base a un criterio proporzionale, che tali autovetture possano essere circa 86.000, con una spesa media annuale omnicomprensiva (consumi, ammortamento, stazionamento) di circa 1 miliardo di euro.
A cui va aggiunta una somma di 2 miliardi di euro per le spese del personale dei servizi speciali e di vigilanza urbana.
Insomma, i sette punti rischiano di essere solo un bluff, tanto per cambiare.
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Giugno 27th, 2011 Riccardo Fucile
ALCUNI CONSERVANO SOLO IL SIMBOLO, MA PER UNA LEGGE DEL 2006 CONTINUANO ANCORA AD INCASSARE 500 MILIONI DI EURO…IL CLUB DEI PARTITI ESTINTI COMPRENDE ANCHE FORZA ITALIA, AN, DS, MARGHERITA, NUOVA SICILIA: ANCHE SE SCIOLTI, PER 5 ANNI INCASSANO CONTRIBUTI
Di alcuni non è rimasto che il simbolo, assemblee di ex che vengono convocate di tanto in tanto e, forse, il ricordo di qualche elettore nostalgico.
Altri, invece, hanno sedi, strutture, impiegati ma da anni non hanno nessun rappresentante in parlamento.
Eppure, i “partiti fantasma” continuano ad incassare soldi dallo Stato.
L’ultima rata, relativa ai rimborsi per le elezioni regionali del 2007 in Molise, arriverà prima della fine di quest’anno.
E così, la cifra incamerata dai partiti che non ci sono più, toccherà la vertiginosa quota di 500 milioni di euro nell’arco del quinquennio 2006-2011.
Spicciolo più, spicciolo meno.
Per intendersi, è una somma pari allo stanziamento annuo del governo per Roma capitale, quella che è finita in questi anni nella pancia di sigle che si supponevano scomparse dalla scena della politica, come Forza Italia, Alleanza nazionale, Democratici di Sinistra, Margherita, oppure di partiti che gli elettori hanno cancellato dal parlamento e che sono stati smontati e rimontati da scissioni e nuove aggregazioni come Rifondazione comunista, i Verdi, perfino l’Udeur di Mastella o un partito personale come “Nuova Sicilia”, il cui dominus è Bartolo Pellegrino – un ex deputato dell’assemblea regionale siciliana recentemente assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa – che fino allo scorso anno ha percepito circa centomila euro di rimborso elettorale.
Nulla, se confrontato a quanto ha potuto iscrivere nei propri bilanci il più ricco dei “partiti fantasma”, Forza Italia.
Quella che fu la creatura di Silvio Berlusconi, nata nel 1994 per accompagnare la discesa in campo del Cavaliere e sacrificata nel 2007 sull’altare del bipartitismo per fare posto al Pdl, ha continuato ad incamerare i rimborsi elettorali fino ad arrivare, nel 2010, alla cifra monstre di 96 milioni di euro.
Più sotto, in questa classifica, quelli che furono i Democratici di sinistra che hanno potuto iscrivere in bilancio 74 milioni di euro e spiccioli.
Soldi che – per ammissione del tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti – sono stati rapidamente pignorati dalle banche e adoperati per chiudere la partita dei debiti ereditata dal vecchio Pci.
Alla Margherita, altro partito formalmente cancellato, è andata meglio.
I 42 milioni di euro di rimborsi incassati, malgrado la scomparsa dalla scena politica, sono tutti lì.
E, anzi, intorno a quella eredità sta per accendersi una disputa alla quale partecipano pure parlamentari che, nel frattempo, hanno preso differenti direzioni, accasandosi in altri partiti o inaugurandone di nuovi.
Ma come è stato possibile che partiti scomparsi dalla scena o bocciati dagli elettori abbiano continuato ad incassare soldi pubblici a titolo di rimborso elettorale?
Quanto hanno pesato i rimborsi ai “partiti fantasma” sulle tasche dei cittadini?
E, soprattutto, che fine hanno fatto quei soldi?
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Giugno 27th, 2011 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DEGLI INTERNI AMAREGGIATO PER LA MINACCIA DI ESPULSIONE LANCIATA SABATO DAL SENATUR: “SBAGLIA CHI MI ACCUSA DI COMPLOTTI”….COTA MEDIA TRA MARONITI E CERCHISTI MAGICI, MA SUL TERRITORIO LA BATTAGLIA DIVAMPA
“La gente ci vuole vedere uniti, dobbiamo dare retta alla base”.
Umberto Bossi cerca di mettere pace nella Lega.
Il movimento è sempre più spaccato, la tensione tra colonnelli storici e Cerchio magico è alle stelle, con la guerra civile che ormai serpeggia anche sul territorio.
Il Senatùr sulle rive del Ticino riflette ad alta voce. Intorno a lui ci sono militanti e dirigenti.
“Ora metto in riga tutti – ringhia – ognuno deve fare il suo mestiere senza ingerenze, perchè qua il capo sono io”.
Il Capo cerca la tregua, anche se armata. E un’idea gliela fornisce il vulcanico Calderoli, che a casa sua a Bergamo lavora al documento che dovrebbe pacificare il movimento.
Dopo essersi sfogato con i suoi Bossi dice alla stampa che “Maroni ha sbagliato, ma ci siamo chiariti”.
Un modo ruvido per placare gli animi dopo che sabato sera, a Magenta, aveva sparato sul ministro dell’Interno e sui suoi minacciandoli di espulsione per via delle firme in favore di Stucchi al posto di Reguzzoni come capogruppo alla Camera, portando il livello di scontro ben oltre i limiti di guardia.
Maroni non commenta la correzione di tiro di Bossi, ma con un amico si dice soddisfatto: “Per me il caso è chiuso”.
Un bel sospiro di sollievo, visto che fino a poco prima lo stato d’animo che descriveva ai suoi interlocutori era di “sorpresa e amarezza” per un attacco che riteneva “ingiustificato”.
Si racconta che in realtà un chiarimento a quattr’occhi tra Bossi e Maroni potrebbe arrivare solo oggi in via Bellerio, in occasione della segreteria politica convocata per parlare di manovra e rifiuti.
Fin qui il paciere sarebbe stato il governatore del Piemonte Roberto Cota.
Con lui Maroni si è sfogato ieri mattina, dopo avere letto i giornali con le parole di fuoco del Senatùr, ripetendo per la millesima volta che le firme per Stucchi “non erano contro Bossi”, ma la semplice richiesta di mantenere la promessa di avvicendamento a Montecitorio fatta un anno fa.
“Non c’è stata nessuna ingerenza, nessun complotto come invece qualcuno ha cercato di fargli credere”.
Sottinteso, quel qualcuno sono i tre del Cerchio, Reguzzoni, Bricolo e Rosy Mauro, che i big accusano di avere troppo peso sulle decisioni del Capo.
Il messaggio Cota lo recapita a Bossi lungo il Ticino, dove i leghisti celebrano (con molta sfortuna) il tiro alla fune tra le due sponde del fiume.
Ma la tregua è fragile.
Lo sa Calderoli, che dopo la parziale retromarcia di Bossi su Maroni proverà a sfruttare il clima più disteso, portando in segreteria un documento pacificatore.
La sua proposta mette nero su bianco lo spazio e i ruoli di ogni dirigente all’interno del partito, in modo che ognuno abbia il proprio spazio senza invasioni di campo. Fondamentalmente Bossi deciderà bilateralmente con i ministri e i dirigenti le questioni di loro competenza, senza che nessun altro si sovrapponga.
Un modo per evitare nuovi attriti, ma anche, secondo molti, per limitare lo spazio del Cerchio. “Se si consiglia con loro si deve consigliare anche con noi”, riassume un deputato vicino alla Lega dei colonnelli.
Ma se uno dei leader cerchisti ieri sera gongolava dicendo che “Bossi ha voluto riaffermare la sua leadership e sono spariti tutti”, vuol dire che anche sull’altro versante si sentono vincitori.
Insomma, lo scontro potrebbe riaccendersi in qualsiasi momento. Già oggi. Per mano di una o dell’altra fazione.
Sullo sfondo la rabbia dei deputati che hanno firmato per Stucchi e che si sono sentiti trattare come traditori da Bossi.
Se, come altri dirigenti, erano pronti ad andare fino in fondo anche lasciando la Lega, dopo le parole di Magenta lo sono ancora di più.
Chiederanno i congressi regionali entro ottobre-novembre, “così vediamo chi conta nel movimento e chi tradisce”, dicono sicuri di avere i numeri in tutte le regioni.
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Giugno 27th, 2011 Riccardo Fucile
PER IL PREMIER “TREMONTI E’ IMPAZZITO, MA IL MINISTRO NON CEDE: “LA SPECULAZIONE INTERNAZIONALE CI STA COLPENDO”
Siamo alla resa dei conti. Fuori i secondi, restano sul ring Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi. Ma stavolta il premier può contare sulla sponda politica offerta da Umberto Bossi.
Anche Bossi è deciso a non far passare la manovra di correzione dei conti senza prima aver visto accolte “nero su bianco” le richieste di Pontida.
Un conflitto ormai impossibile da nascondere quello tra il capo del governo e il ministro dell’Economia, nonostante Paolo Bonaiuti ripeta con foga che “l’attacco di Guido Crosetto a Tremonti è stata un’uscita a titolo personale”.
Eppure la versione del portavoce di palazzo Chigi non collima con quella dei testimoni presenti al matrimonio di Mara Carfagna sabato sera, alla vigilia della bordata sparata dal sottosegretario alla Difesa (e fedelissimo del Cavaliere) contro il ministro dell’Economia.
I presenti riferiscono infatti di un lungo colloquio tra Crosetto e il premier nel giardino del castello di Torreinpietra.
Oggetto: proprio la manovra in cottura al ministero di via XX Settembre.
Coincidenze?
Tremonti è ovviamente convinto del contrario, ma avrebbe scelto di non replicare a Crosetto per non dare un’impressione di debolezza.
Sta di fatto che, in queste ultime ore, la pressione del capo del governo sul ministro dell’Economia si è fatta incessante.
Se per Crosetto le bozze della manovra “andrebbero fatte analizzare da uno psichiatra”, Berlusconi in privato ha espresso lo stesso concetto: “Tremonti è impazzito, così fa saltare tutto”.
Una sentenza che si accompagna a un moto di stizza nei confronti di chi sembra abbia commissariato l’intero governo: “Io non prendo ordini da nessuno”.
Lo show-down è atteso per domani, quando il Cavaliere presiederà a palazzo Grazioli, alla presenza di Bossi e Tremonti, un vertice di maggioranza dedicato ad esaminare le bozze della manovra.
Lo schema che gli ha fatto arrivare il ministro dell’Economia lo ritiene “inaccettabile”.
Berlusconi (e con lui tutti gli altri ministri) non contestano l’obiettivo del risanamento, ma non accettano la logica del “prendere o lasciare” che imputano a Tremonti.
Lo scontro al momento appare senza paracadute e può portare anche all’uscita di Tremonti dal governo.
Non a caso ieri il Cavaliere, nel messaggio invitato ai promotori della libertà , ha intestato a se stesso la linea tremontiana.
“Dobbiamo proseguire – ha detto – nella politica di prudenza e di rigore”. Insomma il messaggio che Berlusconi rivolge all’esterno, al paese ma anche ai mercati, è che la tenuta dei conti pubblici è un imperativo di tutta la maggioranza, di cui il primo garante è proprio il presidente del Consiglio. Non esistono quindi “salvatori della patria” e “nessuno è indispensabile”.
Agli attacchi e alle voci di una tenaglia tra Berlusconi e Bossi per costringerlo a modificare in profondità la manovra, Tremonti ha scelto per il momento di non replicare. E tuttavia domani, quando si troverà faccia a faccia con i suoi accusatori, è deciso a metterli di fronte alla realtà . “Forse – ripete in queste ore agli amici – qualcuno nel governo non si è ancora reso conto di quello che è successo venerdì. C’è stato un attacco premeditato e coordinato della speculazione, una dichiarazione di guerra contro l’Italia. Di fronte a questo abbassiamo la guardia?”.
Venerdì si è toccato infatti un nuovo record storico per lo spread tra i Btp decennali e il corrispettivo bund tedesco e i titoli delle banche italiane sono andati a picco simultaneamente. Con questi dati in mano, il ministro dell’Economia è certo di poter resistere a ogni diktat.
Eppure stavolta Tremonti è solo.
La Lega infatti, suo tradizionale puntello, ha deciso di mollarlo al suo destino. Con il partito squassato dalla lotta tra i colonnelli, Bossi deve incassare qualche risultato visibile e stavolta non farà sconti a “Giulio”.
Il ministro dell’Economia è convinto invece di potersi presentare al vertice di maggioranza con qualche asso nella manica, almeno per venire incontro ai “desiderata” del Carroccio. “Non era stato proprio Bossi – ripete in privato – a chiedere a Pontida un taglio dei costi della politica entro 30 giorni? Con il mio progetto li ho accontentati in una settimana”.
Ma non è detto che basti.
Qualcosa di più lo si comprenderà oggi dopo la riunione della segreteria “federale” della Lega a via Bellerio, in cui tutti si attendono una parola definitiva da Bossi.
Ieri sera un leghista di primo piano si spingeva a prevedere un “no” dei padani alla finanziaria Tremonti, un gesto dirompente che aprirebbe scenari finora impensabili: dalla rapida sostituzione del ministro dell’Economia alla crisi di governo.
Berlusconi ieri al matrimonio della Carfagna è sembrato ai presenti molto sicuro di del fatto suo. “Adesso la musica è cambiata, darò il via a un nuovo corso”, ha annunciato tra un brindisi e un giro di tavolo. In cima alla lista dei propositi per la “nuova fase”, il Cavaliere ha piazzato due cose che ritiene abbiano finora gonfiato la reputazione del ministro dell’Economia.
Due “cosette” che, d’ora in poi, ha deciso di cominciare a fare anche lui in prima persona: “Parlerò io stesso con tutte le opposizioni e comincerò a chiamare ogni giorno i direttori dei giornali. Dobbiamo comunicare quello che stiamo facendo, dimostrare a tutti che non stiamo qui a scaldare la sedia”.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Giugno 27th, 2011 Riccardo Fucile
PER L’EX RESPONSABILE ECONOMICO DI FORZA ITALIA “IN QUESTI TRE ANNI TREMONTI HA TENUTO L’ITALIA IN COMA FARMACOLOGICO”…. ”VUOL FAR SALTARE IL BANCO E IL GOVERNO”
Nella maggioranza duro attacco a Tremonti: lo firma, con una lunga dichiarazione all’Ansa, Guido Crosetto, ex responsabile economico di Forza Italia, ora sottosegretario alla Difesa. “Le bozze della manovra di Giulio Tremonti andrebbero analizzate da uno psichiatra” e dimostrano che il ministro dell’Economia vuole solo “trovare il modo di far saltare banco e governo”.
Crosetto si dice “stufo” di “sentire pontificare una persona che predica benissimo e razzola malissimo” visto che “l’unico ministero che non ha subito tagli alla spesa corrente, ma anzi l’ha aumentata, è il suo!”.
‘Le bozze che sono filtrate sulla manovra – dice il sottosegretario che, fino a tre anni fa, era responsabile economico di Forza Italia -, più che connotate dal punto di vista economico, finanziario e di bilancio andrebbero analizzate da uno psichiatra.
E’ evidente che il ministro dell’Economia vuole trovare esclusivamente il modo di far saltare banco e governo. In questi tre anni ha fatto di tutto per tenere in vita il malato Paese, ma l’ha fatto tenendolo in coma farmacologico. Ha dimostrato di non volere andare nel dettaglio della spesa pubblica, ma di preferire tagli senza razionalità . Non ha capito che l’economia reale andava aiutata ed anzi l’ha bloccata con regole di oppressione fiscale uniche al mondo che hanno distrutto lo statuto del contribuente”.
Crosetto imputa a Tremonti anche altro: “Ha promesso un aiuto alla piccola e media impresa – sottolinea il deputato del Pdl, da sempre molto in sintonia con le idee economiche dell’ex ministro Antonio Martino -, ma in realtà ha flirtato con le grandi banche ed i grandi gruppi. Visto che è una persona di cultura ed intelligenza non comune, lo dimostri proponendo un progetto serio per il Paese al consiglio dei ministri ed alle Camere”.
Ma, avverte il sottosegretario, nel farlo “sia aperto ai miglioramenti” perchè “lui non è il depositario del verbo e della verità ; e non sono più i tempi nei quali il governo potrà permettersi di approvare in Consiglio una cartellina vuota che verrà riempita in seguito a via XX settembre, da un uomo solo e dai suoi pretoriani”.
Insomma, aggiunge, “non è più il momento di tacere per rispetto anche perchè mi sono stufato di sentire pontificare una persona che predica benissimo e razzola malissimo: l’unico ministero che non ha subito tagli alla spesa corrente, ma anzi l’ha aumentata, è il suo! Il ministero nei quali i dirigenti sono più pagati è il suo!”.
Infine, un’ultima stoccata sui tagli alla politica: “Se adesso l’ultima crociata di Tremonti, sullo stile di De Magistris, è quella di lanciarsi contro i privilegi – attacca Crosetto -, gli ricordo che ci sono privilegi ben maggiori delle auto blu e degli aerei di Stato che, tra l’altro, se vengono utilizzati nell’interesse del Paese non sono privilegi. Parlo, ad esempio, dei privilegi di poter disporre di migliaia di nomine all’interno dello stato o altre cose meno evidenti sulle quali il Tesoro non ha mai coinvolto nessuno”.
Parole che fanno parlare l’opposizione di “implosione” del governo: “Si potrebbe anche fare finta di nulla sulle parole usate in conversazioni private dai ministri Frattini, Prestigiacomo e Gelmini sul ministro Tremonti, ma non si può fare finta di niente davanti alla presa di posizione del sottosegretario Crosetto che ha apertamente sfiduciato Tremonti”, dice Francesco Boccia, coordinatore delle commissioni economiche alla Camera per il Pd.
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Giugno 27th, 2011 Riccardo Fucile
INCIDENTE ATIPICO ALLA TRADIZIONALE INIZIATIVA DEL CARROCCIO: IL TIRO ALLA FUNE SULLE SPONDE LOMBARDA E PIEMONTESE QUEST’ANNO HA CORRISPOSTO ALLE TENSIONI INTERNE LEGHISTE…. LA CORDA SI E’ SPEZZATA NON SOLO TRA GLI ELETTORI PADANI MA ANCHE SUL FIUME: DECINE DI PERSONE FINISCONO A GAMBE ALL’ARIA E CON ABRASIONI ALLE MANI
Una trentina di contusi e due sospette fratture.
È questo il bilancio dell’incidente a Sesto Calende (Varese) che ha rovinato la festa ai leghisti, riuniti per il tradizionale tiro alla fune organizzato ogni anno tra la sponda lombarda e quella piemontese del Ticino.
Mentre numerosi militanti da ambo le parti la stavano tirando, la corda sul fiume si è spezzata.
Almeno dieci persone, sulla sponda di Sesto Calende, sono cadute a terra, chi battendo violentemente la schiena, chi procurandosi escoriazioni a braccia e gambe.
Trenta in tutto i contusi, che si sono fatti medicare subito dai volontari di una ambulanza presente sul posto, mentre due militanti del Carroccio hanno riportato sospette fratture.
La manifestazione si è conclusa prima del previsto.
Lo stesso Umberto Bossi ha rinunciato all’intervento dal palco e si è seduto a sorseggiare una bibita ai tavolini all’aperto di un bar, senza fermarsi a parlare coi giornalisti.
Il leader del Carroccio era in compagnia, tra gli altri, del capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, del presidente del Piemonte, Roberto Cota, del capo delegazione all’Europarlamento Francesco Enrico Speroni e dell’europarlamentare Mario Borghezio.
“Vi piacerebbe vederci divisi — aveva dichiarato Marco Reguzzoni prima della gara —, ma non è così, oggi siamo qui a una manifestazione che vuole essere un simbolo di unione della Lega e di due territori”.
Mai parole furono di peggior auspicio.
Appena qualche minuto dopo, quella stessa fune che era stata caricata del ruolo di simbolo dell’unione del partito, si è spezzata.
Non solo: dopo la rottura, i leghisti sono finiti a terra e ne sono usciti con le ossa rotte, emaciati e feriti.
Per qualcuno è Reguzzoni che ha portato sfiga,
Tra i “caduti” di Sesto Calende c’era anche una folta rappresentanza di deputati e senatori, il più malconcio è sembrato essere Giancarlo Giorgetti che, finendo per terra si è procurato una profonda abrasione alle mani, tanto da dover ricorrere alle cure dei sanitari del pronto soccorso dell’ospedale di Gallarate.
Questo non deve proprio essere il suo periodo fortunato.
La caduta di questo pomeriggio arriva al culmine di un momento decisamente difficile per il segretario nazionale lombardo, che nei giorni del dopo Pontida era finito al centro di un tesissimo braccio di ferro interno al partito.
Una bagarre iniziata proprio dalla richiesta del commissariamento della sua segreteria e che è continuata per una settimana tra attacchi e contrattacchi, scambi di accuse e sotterfugi.
La maggior parte dei partecipanti che tirava la corda senza guanti ha subìto abrasioni alle mani.
La fune si è spezzata poco dopo l’inizio della gara, provocando un contraccolpo che ha fatto cadere in avanti i partecipanti.
Probabile causa della rottura la forte tensione accumulata sulla fune vicino al punto in cui era collegata al trattore, che «partecipava» alla competizione come fosse un concorrente.
Qualcuno ha detto che la “Lega è sempre in grado di rialzarsi e di ripartire più forte di prima”, ma la sensazione è che nonostante l’ostentazione di sicurezza e tranquillità , qualcosa nella lega si sia rotto, e non si tratta di una corda.
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Giugno 27th, 2011 Riccardo Fucile
SGOMINATA AL NORD CHE SOGNAVA GIA’ SUO, ASSERRAGLIATA NEL GOVERNO DI ROMA DOVE SI E’ DISTINTA SOLO PER LOTTIZZAZIONE E CLIENTELISMO…. INCAPACE DI EMANCIPARSI DAL CAPO CHE NON NE AZZECCA PIU’ UNA, SCATTANO I RIFLESSI PAVLOVIANI DELL’EGOISMO TERRITORIALE
I confini della Padania immaginaria che nella fase espansiva si fantasticavano estesi fino all’Umbria e alle Marche, ora vengono ristretti alle ridotte pedemontane; all’antimeridionalismo delle origini; alla ricerca, un quarto di secolo dopo, dell’impossibile revival purificatorio.
Dà gli ai napoletani, allora!
Con becero compiacimento i gerarchi incanutiti sogghignano dell’emergenza rifiuti campana e giocano a boicottare il decreto governativo che ne consentirebbe lo smaltimento in altre regioni, già pronte a trattarli.
Piace loro, nel centocinquantenario della nazione, riprodurre la dinamica degli staterelli preunitari.
Alla faccia di un federalismo solidale in cui non hanno mai creduto, sposano la burocrazia delle dogane e delle frontiere interne alla penisola.
Il loro giornale titola soddisfatto: «Napoli soffoca nei rifiuti ed è senza vie d’uscita».
Si arrogano il merito di far soffrire i partenopei, descritti come topi in gabbia (testuale), vicini alla catastrofe (testuale).
La responsabilità storica di avere portato al governo questi energumeni nemici dell’italianità , disposti a giurare sulla Costituzione pur di fare i ministri, per poi rinnegarla, grava sulle spalle di Silvio Berlusconi.
Come dimenticare, del resto, le parole minacciose e vendicative con cui il presidente del Consiglio apostrofò gli elettori dopo la vittoria di De Magistris?
La frase sfuggitagli dopo l’esito dei ballottaggi —”I napoletani si pentiranno moltissimo”- acquista oggi un eco sinistro.
Difficile pensare che non vi sia stato un calcolo cinico da parte di Berlusconi nel rinviare l’approvazione del decreto di smistamento per due, tre sedute del Consiglio dei ministri.
Solo che l’apprendista stregone, disposto a tollerare e strumentalizzare l’energia distruttiva del leghismo pur di tirare a campare, ora rischia di esserne a sua volta travolto.
Il ministro della Complicazione normativa, Roberto Calderoli, promette di far “volare le sedie” anche contro di lui.
Il linguaggio rozzo e violento dei capi leghisti messi alle strette perde la sua aura carnevalesca.
Il buffone incattivito altri non è che una carogna.
Il raduno di Pontida ha evidenziato come la Lega abbia esaurito i suoi spazi di manovra. Decaduto il mito dell’abilità tattica di Bossi, consumato il repertorio delle trovate demagogiche con l’ultima farsa dei ministeri al Nord, il Carroccio è costretto a giocarsi anche l’ultima sponda del rapporto diplomatico con il Quirinale.
Già era entrato in rotta di collisione con Giorgio Napolitano pretendendo la violazione degli accordi internazionali sulle missioni militari in Libia, in Libano e in Afghanistan.
Ma adesso il veto leghista al soccorso di Napoli suona come un’offesa diretta alle sollecitazioni del Capo dello Stato.
Il governo, minoritario nel paese, reagisce abdicando al suo mandato di operare nell’interesse di tutta la nazione.
Diviene attore della sua spaccatura, nella miope aspettativa di trarre vantaggio dalle pulsioni meschine dell’antimeridionalismo.
Con ciò dimostrando di ignorare, ormai, le aspettative assai più degne degli stessi cittadini settentrionali.
L’involuzione estremista della Lega, purtroppo, non la riporta automaticamente alla sua collocazione naturale di movimento destinato all’opposizione.
La nomenclatura del Carroccio è composta da uomini seduti da quindici, vent’anni in Parlamento.
Fingono, quando si dicono pronti a lasciare le poltrone.
Temono con ragione che l’abbandono del potere determini la frantumazione del loro movimento.
Mai come oggi l’Italia avrebbe bisogno di recuperare un sentimento di partecipazione comune al dramma dei napoletani.
La crisi dei rifiuti, originata certo — come dimenticarlo — da gravi colpe delle amministrazioni locali, non potrà mai essere gestita senza un armonioso concorso delle istituzioni, dal Comune alla Provincia, dalla Regione al Governo nazionale.
Il boicottaggio di questa urgente collaborazione fra poteri pubblici, scatenato per biechi pseudo-interessi di partito, esaspera, insieme alla sofferenza della popolazione, la crisi della nostra democrazia.
Napoli sommersa dai rifiuti non è una vergogna che si possa liquidare solo come fallimento della sua classe dirigente.
Altrettanto vergognoso è lo spettacolo di ministri della Repubblica che irridono alla sciagura e voltano le spalle ai cittadini, venendo meno al proprio dovere
Gad Lerner
(da “La Repubblica”)
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Giugno 27th, 2011 Riccardo Fucile
TRA LE CARTE DEPOSITATE DALLA PROCURA DI NAPOLI CI SONO ANCHE GLI ESTRATTI CONTO CHE RACCONTANO MOLTO SUL LIVELLO DI VITA DELL’UOMO AL CENTRO DELL’INCHIESTA SULLA P4
Bisignani usa due conti, o almeno questi sono quelli di cui si è occupata la Procura: uno presso la milanese Cassa Lombarda (dove ne ha anche uno per la gestione dei fondi, un conto di investimento) e l’altro presso l’Unicredit.
Scorrendo anni di movimenti si capisce che il primo è usato soprattutto per le operazioni consistenti, il secondo per le “piccole” spese e l’economia domestica.
Bisignani ha una gestione delle sue finanze, sul conto di Cassa Lombarda, quantomeno singolare, tanto singolare che a qualcuno potrebbe sembrare perfino sospetta.
Con una carta di credito American Express spende almeno 8-10 mila euro al mese.
Però molto spesso si presenta in banca e versa enormi quantità di contante, anche più di 10 mila euro al mese.
Nell’aprile 2006, per esempio, deposita 21.300 euro in contanti, a maggio 15 mila in due tranche, a giugno 13 mila, a ottobre altri 12 mila.
Un fiume di denaro che sarebbe comprensibile per un barista o un commerciante, che deve depositare l’incasso di giornata, ma un manager come Bisignani dove li trova tutti questi soldi in contante?
E perchè paga con la carta di credito se ha il portafoglio che straripa di banconote?
Mistero. Questo il conto corrente da solo non può spiegarlo.
Altre operazioni, invece, vengono descritte nel dettaglio. Come la vendita di un gommone (parecchio di lusso, si deduce) a Roberto Mazzei, un ex dirigente della società editrice Ilte, di cui Bisignani è direttore generale.
Mazzei nel 2009 viene nominato alla presidenza del Poligrafico dello Stato, “non escludo che il Bisignani si sia speso per farmi ottenere tale nomina”, dice nelle carte.
All’inizio del 2008 compra in due tranche il gommone di Bisignani per una cifra astronomica: 245 mila euro, pagati in tre rate.
Quando arriva l’estate Bisignani non è però certo disposto a restare sulla spiaggia, quindi compra dalla Magazzù Yachting un’altra barca a 120 mila euro, meno della metà di quanto ha incassato dall’amico Mazzei.
Da Cassa Lombarda partono anche i bonifici nell’interesse di Francesca Camilla Mittiga, sua moglie, che gestisce la tenuta di famiglia ad Ansedonia.
Quindi Bisignani paga le rate di un trattore Landini e compra perfino un “bovino vivo” per quasi tremila euro.
Se il conto a Cassa Lombarda suscita molte domande, soprattutto sulla frequenza dei versamenti in contante (quasi sempre almeno 10 mila euro al mese), quello presso l’Unicredit sembra appartenere a un normale lavoratore dipendente.
Lì Bisignani riceve lo stipendio, buono ma non stellare, dalla Ilte, di cui è direttore generale: 13 mila euro al mese, circa.
E su quel conto paga le bollette, le spese del costoso condominio romano in cui vive con la moglie, ogni tanto spende qualche centinaia di euro — sempre per conto della moglie — per iscrivere alcuni cavalli a concorsi ippici.
Si scopre perfino che ogni mese Bisignani versa una paghetta da 300 euro al figlio Renato che, lavorando per la Ferrari su diretta raccomandazione del presidente Luca Cordero di Montezemolo, non si sospettava ne avesse bisogno.
Circa la stessa cifra se ne va ogni mese per pagare le rate di una Mercedes, tutto normale se non fosse che vista la quantità di contante di cui dispone Bisignani — stando ai versamenti sul conto di Cassa Lombarda — non si capisce perchè non l’abbia comprata in contanti, o almeno in un’unica soluzione.
In un’unica occasione si nota anche una donazione in beneficenza, nel 2006, di 2.500 euro. Certo, il destinatario è scelto con cura: la fondazione Silvana Paolini Angelucci, dedicata alla moglie prematuramente scomparsa del deputato del Pdl Antonio Angelucci, editore di Libero stampato dalla Ilte, giornale su cui Bisignani ha avuto a lungo una certa influenza.
Bastano questi conti correnti a farsi un’idea delle disponibilità economiche di Bisignani? Sicuramente no, come dimostra un altro dei documenti dell’inchiesta: sempre tramite Cassa Lombarda, nel 2001, Bisignani ha approfittato del condono fiscale deciso dal governo Berlusconi per far rientrare dall’estero quasi 5 miliardi di lire pagandone soltanto 121 di tasse (il 2,5 per cento).
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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