Giugno 6th, 2011 Riccardo Fucile
L’INIZIATIVA ANTICASTA DEL NOSTRO DIRETTORE E DELLA PASIONARIA PAOLA DEL GUERCIO, ORGANIZZATA DA FLI A GENOVA, HA AVUTO AMPIA RISONANZA NON SOLO IN CITTA’, MA PERSINO A LIVELLO NAZIONALE… NEPPURE IL PD HA RITENUTO DI PRENDERE POSIZIONE IN DIFESA DELLA FESTA DI LUSSO DELLA PARLAMENTARE … LE UNICHE CRITICHE SONO ARRIVATE INCREDIBILMENTE DAL COORDINATORE LIGURE DI FLI
Riportiamo l’articolo pubblicato sull’Espresso in edicola (n° 23, pag 20) in cui si parla della iniziativa di contestazione nei confronti della festa mondana della senatrice Pd Roberta Pinotti
IL PARTY CONTESTATO
Ha fartto discutere a Genova la scelta di Roberta Pinotti, parlamentare Pd, di festeggiare i suoi 50 anni invitando 250 persone il 20 maggio nella sontuosa Villa Rosetta di Recco: le donne del Fli, capeggiate dalla pasionaria Paola Del Guercio, hanno presidiato i cancelli stigmatizzando lo “schiaffo alla povertà ” proprio nel giorno della notizia choc dei 1.500 esuberi negli stabilimenti Fincantieri: “Questa festa offende i precari e i disoccupati.
La Pinotti ha ribattuto che gli invitati erano amici d’infanzia e che l’evento “regalo del marito” (Gianni Orengo, direttore sanitario del San Martino) è costato solo 5.000 euro (mentre i contestatori parlano di 30.000 euro).
Tra i presenti la giunta regionale ligure quasi al completo.
Non invitata invece Marta Vincenzi, sindaco in carica, che la Pinotti pare voglia sfidare per la candidatura del 2012.
A.M.
(da “L’Espresso“)
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Giugno 6th, 2011 Riccardo Fucile
“BERLUSCONI E’ INCOMPATIBILE CON UN PROGETTO MODERATO”… “OCCORRE UNA RIORGANIZZAZIONE DEI RAPPORTI CON LA LEGA: BOSSI OGGI E’ TROPPO INFLUENTE”
Onorevole Bocchino, prima Scajola poi Alfano: il Pdl si rivolge al Terzo Polo e quindi anche a Fli, del quale lei è vicepresidente.
E danno ragione a Fini, affermano quello che lui disse nella direzione nazionale di un anno fa, quella del dito puntato che poi portò alla nostra espulsione.
Ora sostengono che dobbiamo fare la casa dei moderati, ma perchè non si sono alzati in piedi quel giorno anzichè dire che Berlusconi era alto, biondo e con gli occhi azzurri? Avremmo risparmiato un anno ed evitato di far stravincere la sinistra.
Ma una nuova alleanza con il Pdl è possibile?
Fare un appello a una casa comune non basta. Innanzitutto per parlare c`è una precondizione, ovvero ammettere che Berlusconi è incompatibile con un progetto moderato. Il che significa che il premier deve fare un passo indietro. Oltretutto una casa moderata con il Pdl appiattito sulla Lega non ci può essere.
La seconda condizione è che il Pdl molli Bossi?
Serve una riorganizzazione dei rapporti con la Lega, che oggi è troppo influente. Scajola e Alfano fanno appelli perchè i numeri dimostrano che il Pdl senza di noi non vincerà mai più, ma o si prende atto che bisogna fare qualcosa di serio e rivoluzionario o si assumeranno la responsabilità di far vincere la sinistra.
Alfano è l`uomo giusto per un progetto rivoluzionario?
Alfano è credibile come persona, il problema è se è credibile il ruolo che gli hanno affidato. Al momento l`operazione sembra un’incipriata al Pdl dopo la batosta elettorale, vedremo se è così o se è una vera ricostruzione.
Anche Bersani vi chiama, dice che i vostri elettori si sono già saldati.
Non è vero, i nostri elettori sono equidistanti dal centrosinistra e da Berlusconi e ai ballottaggi, non avendo un`area moderata unita, hanno scelto le persone che sentivano meno distanti .
Trova più credibile l`invito del Pd o del Pdl?
Sono due inviti interessati e carenti di progettualità politica che puntano su un mero dato numerico. Con la sinistra, comunque, ci sono solo due ragioni per fare un`alleanza: per fronteggiare l`emergenza democratica, che con la batosta del centrodestra si allontana, o per una paralisi in caso di pareggio alle elezioni.
In questo caso servirebbe un gesto di responsabilità ed è evidente che il centrosinistra e il Terzo Polo sono più responsabili del Pdl.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 6th, 2011 Riccardo Fucile
CHE SIGNIFICA CHE UN PARTITO TI LASCIA LIBERTA’ DI VOTO? OGNUNO SCEGLIE DI VOLTA IN VOLTA SECONDO IL PROPRIO GIUDIZIO, SENZA BISOGNO DI QUALCUNO CHE CI SPIEGHI COSA PENSIAMO… MA I PARTITI HANNO IL DOVERE DI PRENDERE UNA POSIZIONE: ESISTONO PER QUESTO, PER DECIDERE E PER INDICARE UN MODELLO DI ORGANIZZAZIONE SOCIALE
Un giorno, ero bambino, passeggiavo con mio padre e incontrammo il nostro vescovo, il quale rivolgendosi al mio genitore gli disse “avvocato la esento dal baciamano” e lui, senza esitare, “la ringrazio eccellenza ma mi ero già esentato da solo”.
Ogni volta che sento un partito lasciare “libertà di voto” ai propri elettori ripenso istintivamente a quell’episodio.
Che cazzo significa libertà di voto? Che me la deve dare il partito per il quale ho deciso, pro-tempore, di votare la libertà di scegliere?
Io scelgo di volta in volta, secondo la circostanza, secondo il mio giudizio, secondo la mia legittima convenienza, mica perchè qualcuno “mi spiega che penso”.
Gli elettori sono sempre e comunque liberi di votare quel cavolo che gli pare.
Sono i partiti che non sono liberi!
Loro il dovere di prendere posizione ce l’hanno, sempre: esistono per questo.
I partiti esistono per decidere, per esprimere un punto di vista, per prendere un impegno e gli elettori possono scegliere di votarli facendo la media delle loro posizioni e delegando quello che li rappresenta meglio. Pro-tempore.
E più la questione divide, più ha conseguenze sull’organizzazione politica e sociale, più ha a che fare con la coscienza, più ha contenuto etico, più noi abbiamo il diritto di sapere come la pensano i partiti e, se ne facciamo parte (di un partito), contribuire a determinarla quella posizione, dividendoci, discutendo, protestando, al limite andandocene se proprio la riteniamo inaccettabile: mica ce l’ha ordinato il dottore di stare in un partito.
I partiti debbono scegliere. Magari solo per opportunità politica ma devono scegliere. Lo fecero Fanfani e Almirante: figurati che gli fregava a tutti e due di abrogare il divorzio, sostennero il “si” pensando di fregare le sinistre.
Sbagliarono, persero ma scelsero.
Il massimo dello sconcio è quando la libertà di voto è lasciata anche ai parlamentari. Ma allora chi stai a rappresentare tu li?
Puoi sempre votare in dissenso, ti prendi le tue responsabilità , ma non sei libero, tu.
Forse è anche per questo che la gente non vota più, tanto quando una questione spacca davvero non sai mai chi rappresenta cosa.
Essere a favore o contro il nucleare non è una questione personale, essere pro o contro il testamento biologico riguarda due diverse prospettive di organizzazione sociale, stare da una parte o dall’altra non è questione di libertà e io voglio scegliere chi andrà a sostenere questa o quella posizione.
Sennò che cosa resta? Una spartizione di posti.
Vorrei tanto lanciare una campagna contro le libertà di voto: costringiamo i partiti a prendere posizioni; magari quelle del nostro non ci piaceranno ma almeno sapremo con chi abbiamo a che fare.
Umberto Croppi
(da “Exnovo“)
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Giugno 6th, 2011 Riccardo Fucile
MERCOLEDI’ LA DECISIONE SULL’EX TERRORISTA ACCUSATO DI QUATTRO OMICIDI… I PARENTI DELLE VITTIME: FAREMO CAUSA ANCHE ALLO STATO ITALIANO
Prima della fine di questa settimana l’ex terrorista italiano Cesare Battisti potrebbe essere un uomo libero.
Mercoledì pomeriggio (le 19.00 in Italia) gli undici giudici del Supremo Tribunal Federal del Brasile esamineranno, quasi certamente per l’ultima volta, la causa 1805 sulla richiesta di estradizione dell’ex leader dei Pac (Proletari armati per il comunismo) condannato all’ergastolo dalla giustizia italiana per gli omicidi del maresciallo Antonio Santoro (6 giugno 1978), del macellaio Lino Sabbadin (16 febbraio 1979) e dell’agente Digos Andrea Campagna (19 aprile 1979), insieme all’ideazione e organizzazione di quello del gioielliere Pierluigi Torreggiani.
L’Alta Corte brasiliana, che il 18 novembre 2009 si era pronunciata a maggioranza a favore dell’estradizione in Italia di Battisti, dovrà decidere se accetta o meno l’ultima parola dell’ex presidente Lula.
Nell’ultimo giorno del suo secondo mandato presidenziale, il 31 dicembre, Lula scelse di confermare il parere del suo ex ministro della Giustizia, Tarso Genro, che aveva negato l’estradizione dell’ex terrorista.
Lula giustificò la sua decisione sulla base di un articolo del Trattato di estradizione vigente tra Italia e Brasile nel quale si afferma che questa può essere rifiutata se si crede che possa generare forme di persecuzione o comunque costituire «un aggravamento della situazione dell’estradato per ragioni politiche, religiose o personali».
Nella seduta del novembre di due anni fa il Tribunale Supremo annullò l’asilo politico concesso a Battisti, votò a favore dell’estradizione ma accordò che, trattandosi di un caso di relazioni internazionali, la decisione definitiva non spettava al potere giudiziario ma all’esecutivo, ovvero al presidente Lula.
Ora, è abbastanza difficile, anche se non impossibile, che il Supremo riveda quella scelta di lasciare al presidente l’ultima parola, le dichiarazioni di questi giorni – tutte confidenziali – dei magistrati convergono sull’ormai prossima liberazione dell’ex terrorista italiano.
Battisti potrebbe lasciare il carcere di Papuda, alla periferia di Brasilia, già venerdì. Anche se non potendo più godere dello status di rifugiato politico egli è un immigrato illegale e dovrà attendere, probabilmente ai domiciliari, la regolarizzazione amministrativa della sua situazione.
Il relatore della causa, Gilmar Mendes, e il presidente di turno del Tribunale, Cezar Peluso, si oppongono a chiudere il caso con la liberazione di Battisti ma un segnale molto chiaro su quale sarà la sentenza si è avuto meno di dieci giorni fa quando l’udienza, in un primo momento prevista per il primo giugno, è stata fatta scivolare a dopodomani: rischiavano di rilasciare Battisti alla vigilia dei 150 anni dell’Unità d’Italia.
Molto pessimisti sull’ultimo atto della giustizia brasiliana, alcuni dei parenti delle vittime stanno consultando avvocati per presentare una causa contro lo Stato italiano e contro quello brasiliano.
Anche perchè, finisse così, sarebbe la dimostrazione dell’incapacità del governo italiano a ottenere giustizia per i familiari delle vittime del terrorismo che, non a caso, citerebbero anche lo Stato italiano per non aver saputo rappresentare adeguatamente le loro ragioni nelle sedi competenti.
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Giugno 6th, 2011 Riccardo Fucile
ENTRAMBI VORREBBERO CHE TREMONTI RINUNCIASSE AL RIGORE E ALLENTASSE I CORDONI DELLA BORSA, FACENDO FINTA DI IGNORARE DI ESSERE ALLA VIGILIA DI UNA DOPPIA MANOVRA LACRIME E SANGUE…LA FARSA DEI MINISTERI AL NORD USO GONZI DI PONTIDA E IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA IN OFFERTA SPECIALE
La tentazione di Bossi. Sottrarsi al logoramento e stringere col premier un patto di governo a tempo.
Otto, nove mesi per andare al voto nel 2012, dopo aver messo a segno pochi ma incisivi provvedimenti in grado di riconquistare consensi al Nord.
“Perchè o si cambia o sarà meglio andare al voto subito” è quanto va ripetendo il Senatur che si vede franare i consensi sotto i piedi padani,.
Dovrà fare i conti con la resistenza a oltranza di Berlusconi, che dall’alleato invece pretenderà pieno sostegno per portare la legislatura fino alla scadenza naturale del 2013. Senza strappi e, ovvio, senza alcun passo indietro da parte sua: l’inquilino non lascia Palazzo Chigi.
A chi lo ha sentito nel primo week end di relax trascorso ad Arcore dopo la batosta elettorale, il Cavaliere è apparso più determinato che mai alla vigilia del vertice in programma oggi a ora di pranzo a Villa San Martino.
Appuntamento nel quale Angelino Alfano esordirà da neo segretario, assieme ai coordinatori pidiellini, e in cui col leader del Carroccio e i ministri Maroni, Calderoli ci sarà il loro “guru” economico, Giorgetti.
Non a caso: tutti i riflettori saranno puntati sul commensale Giulio Tremonti. “Voglio vedere se con l’aiuto di Umberto, che come noi ha perso le elezioni per colpa del fisco e degli imprenditori delusi, riusciremo a convincere Giulio a cedere una volta per tutte”.
In cima ai pensieri del presidente c’è la riforma fiscale da annunciare e approvare nel giro di poche settimane, ci sono i famosi cordoni della borsa da allargare.
Proprio quelli che il ministro dell’Economia intende tenere sigillati, tanto più alla vigilia di una doppia manovra (giugno e fine anno) che già si preannuncia – e che l’Ue pretende – da lacrime e sangue.
Ecco, su questo punto Berlusconi è convinto di trovare proprio in Bossi una solida sponda.
Ai primi punti dell’agenda per il rilancio che gli uomini del Carroccio porteranno ad Arcore, c’è proprio lo stop alla politica di “aggressione fiscale”, quella delle ganasce e della lotta spietata all’evasione, per intendersi, che ha portato alla mezza rivolta degli imprenditori di Treviso di qualche giorno fa.
“Quella è gente nostra, ha già minacciato che non ci vota più, non possiamo voltar loro le spalle” va ripetendo da giorni il Senatur ai dirigenti di Via Bellerio. Allora, rigore sì, Tremonti resta il loro faro, ma il ministro sarà invitato anche dai “lumbard” a cambiare registro.
Ma un Berlusconi indebolito dalla sconfitta elettorale e incalzato sul fronte interno dal pressing pidiellino sulla successione, sa bene che in questa partita con Bossi si gioca la propria sopravvivenza politica.
Sa che dietro l’angolo potrebbe esserci la richiesta da parte dell’alleato di cedere il testimone, alla prossima tornata elettorale.
Ecco perchè Bossi e i suoi troveranno un padrone di casa piuttosto accondiscendente. Tra le portate della colazione non è escluso che venga servito il più pesante dei ministeri rimasto vacante: quello alla Giustizia liberato da Alfano.
Se finora il premier non si è sbilanciato sull’avvicendamento, è proprio perchè intende sondare gli umori leghisti.
Il più quotato dei papabili resta il pidiellino Maurizio Lupi, ma il Cavaliere non si straccerà le vesti, raccontano i suoi, per difendere una soluzione interna.
Soprattutto se Bossi dovesse proporre Roberto Castelli, già leale e sperimentato Guardasigilli del vecchio governo Berlusconi. Non solo. Dal vertice di oggi il ministro delle Riforme vuole incassare il via libera al trasferimento di almeno un ministero a Milano.
Il suo, nella fattispecie, magari con il dicastero alla Semplificazione di Calderoli annesso. Con buona pace degli ex An e del Pdl romano, Alemanno in testa.
Il premier proverà a cedere solo dipartimenti, come aveva già abbozzato.
Ma Bossi ha deciso di fare di questo uno degli annunci “forti” all’adunata di Pontida del 19 giugno.
Il sospetto che il Senatur stia premendo fin troppo sull’acceleratore con l’obiettivo recondito dello schianto, magari per dar vita entro l’anno a un esecutivo Tremonti e cambiare la legge elettorale, aleggia eccome in casa Pdl.
“Speriamo che gli amici leghisti comprendano che non sono i ministeri a Milano a riportare a casa i voti persi – ragiona il berlusconiano doc Osvaldo Napoli – ma piuttosto la capacità di rilanciare l’economia”.
Già , ma Tremonti accetterà davvero di cambiare registro?
La tensione è cresciuta parecchio, in queste ore, al ministero di via XX Settembre, cinto d’assedio su più fronti.
“Berlusconi è stato sempre in grado di mediare quel che sembrava inconciliabile – confida l’eurodeputato Pdl Mario Mauro – dalla Lega alle varie anime del nostro partito”.
Questa volta l’impresa sarà ancora più ardua.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Giugno 6th, 2011 Riccardo Fucile
TUTELA DELL’AMBIENTE, IMPORTANZA DEGLI IMPIANTI, FATTORE TEMPO: ECCO PERCHE’ DA MONACO A PARIGI SI E’ TORNATI INDIETRO E SI E’ AFFIDATA LA RETE IDRICA AL SETTORE PUBBLICO….CON MAGGIORE EFFICIENZA E GRANDI RISPARMI
Mentre il governo Berlusconi varava la legge che bocciava il gestore pubblico dell’acqua, facendolo finire in serie B e costringendolo per legge a restare in minoranza nelle aziende quotate in Borsa, grandi città , comprese quelle che per decenni avevano sperimentato la gestione privata, decidevano di puntare sul pubblico.
Parigi, Berlino, Johannesburg, Buenos Aires, Atlanta, Monaco di Baviera sono tutte guidate da ideologi sprovveduti, teorici estremisti che odiano i capitali privati?
Proviamo a vedere cosa sta succedendo in alcune di queste città partendo dal caso meno pubblicizzato, Monaco di Baviera.
La chiave per comprendere la scelta di Monaco è il rapporto tra l’acqua e il territorio.
Per la risorsa idrica quello che conta è la qualità dell’ambiente: più si preserva la natura in cui l’acqua scorre, meno è necessario intervenire sugli acquedotti.
Nel 1992 Monaco di Baviera ha deciso di acquisire i terreni vicini alla falda e di riservarli alla coltivazione biologica: niente chimica, allevamento controllato.
In questo modo è stata vinta la battaglia contro i nitriti che per tre decenni avevano continuato a crescere e l’acqua può arrivare in tavola senza cloro e senza trattamenti chimici.
Analoga la scelta di Parigi che, dopo la decisione di far tornare l’acqua in mano pubblica, togliendola alle due multinazionali francesi (Veolia e Suez) che gestivano il servizio da 25 anni, ha preso il controllo dei terreni collegati alla falda idrica e li ha concessi in affitto a canone agevolato o a titolo gratuito agli agricoltori che si sono impegnati a lavorare seguendo gli standard più rispettosi dell’ambiente.
Le perdite di rete registrate in Francia dai due principali gruppi privati del settore andavano dal 17 al 27 %, contro il 3-12 % della gestione pubblica.
E l’assessore alla municipalità di Parigi, Anne Le Strat, ritiene che il passaggio da un sistema privato a uno pubblico consentirà di risparmiare 30 milioni di euro l’anno.
Questo tipo di scelte può essere fatto solo se la gestione dell’acqua è pubblica perchè impone investimenti e programmazioni a lunghissimo termine, una società privata non ha interesse a investire per acquistare terreni che poi potranno non servirle più a nulla se alla scadenza il contratto non viene rinnovato.
Inoltre avrebbe difficoltà a giustificare agli azionisti un investimento così importante per risolvere un problema che si può affrontare con una spesa molto minore utilizzando il cloro.
I punti cruciali sono dunque due.
Il primo, come abbiamo visto, è lo spazio.
Più è vasta l’area ambientalmente sana in cui l’acqua scorre, minore è la necessità di un intervento correttivo sulla rete idrica.
Il secondo è il fattore tempo.
Gli importanti investimenti di cui il settore idrico ha assoluto bisogno per chiudere il cerchio dell’acqua collegando alle fogne quel 30 per cento di scarichi non ancora in regola, richiedono uno sguardo lungo.
La manutenzione costa, l’espansione della rete costa.
E i ritorni si misurano nell’arco di vari decenni.
Spesso troppi per un’azienda privata che è abituata a rendere conto del suo operato in tempi decisamente più brevi e che difficilmente ottiene contratti con una durata di più di 30 anni.
A meno che il controllo delle scelte sull’acqua non rimanga saldamente in mano alla mano pubblica.
Antonio Cianciullo
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Giugno 6th, 2011 Riccardo Fucile
LA PROCURA DI TORRE ANNUNZIATA LO ACCUSA: HA USATO BEN UNDICI VOLTE L’AUTO DI SERVIZIO DEL COMUNE DI AGEROLA, DI CUI ERA SINDACO, PER FARSI ACCOMPAGNARE A MONTECITORIO…LA PATETICA REPLICA DELL’INTERESSATO: “ANDAVO A CERCARE FINANZIAMENTI PER IL COMUNE, ERO NELLA VESTE DI SINDACO”
Gli inconvenienti del collezionare cariche e poltrone.
Galeotta fu l’abitudine del deputato dei Responsabili Michele Pisacane di utilizzare l’auto blu del Comune di Agerola per viaggiare in direzione Roma, Montecitorio.
Pedaggi, benzina e straordinari dell’autista finivano a carico delle casse dell’amministrazione comunale del paesino dei Monti Lattari in provincia di Napoli di cui fino a pochi giorni fa Pisacane era sindaco.
Undici i tragitti contestati nella richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura di Torre Annunziata guidata da Diego Marmo.
Viaggi avvenuti tre anni fa, quando Pisacane era appena uscito dall’Udeur per aderire all’Udc, partito mollato l’anno scorso per andare a rimpolpare la maggioranza di Berlusconi.
Quei viaggi sono stati monitorati con cura dagli investigatori, con tanto di date e orari di ingresso e di uscita dai caselli.
Secondo l’accusa, Pisacane ha usato l’auto blu per scopi che al massimo riguardavano il ruolo parlamentare e non avevano nulla a che vedere con la funzione di primo cittadino.
Di qui il rinvio a giudizio per peculato, disposto dal Gup Claudio Marcopido.
I legali dell’imputato proveranno a riproporre le loro tesi nel corso del processo, e cioè che Pisacane si recava a Roma con l’obiettivo di conquistare finanziamenti per i progetti dell’amministrazione comunale e dunque si muoveva da ‘sindaco’.
Il ‘problema’ del doppio incarico, intanto, è stato risolto alla radice.
L’elettorato di Agerola, forse stufo di avere un sindaco che si faceva vedere in Comune soltanto di lunedì o nei fine settimana, ha clamorosamente bocciato il cofondatore dei Popolari di Italia Domani, partitino gravitante nella galassia di centrodestra.
E gli ha preferito l’antagonista di centrosinistra, Luca Mascolo, vincitore con un abbondante 60 per cento.
Forse è la prima volta che Pisacane deve accontentarsi di un solo scranno (ha annunciato che si dimetterà da consigliere comunale di opposizione).
Nel 2006, per un breve periodo, riuscì ad accumularne tre: consigliere regionale e capogruppo Udeur in Campania, sindaco di Agerola e deputato.
Siccome la legge impone una scelta tra la Regione e il Parlamento, Pisacane optò per Roma. Non potendo tornare nel parlamentino campano, nel 2010 Pisacane ha fatto eleggere in consiglio regionale la moglie, Annalisa Vessella.
Candidata però con il cognome del marito, Pisacane. Un cognome che fino a ieri significava vittoria sicura.
Ora non più.
Vincenzo Iurillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 6th, 2011 Riccardo Fucile
VESPA SI ERA INIZIALMENTE GIUSTIFICATO IN QUANTO “PRIVILEGIAMO PERSONALITA’ POLITICHE NAZIONALI”, COMMETTENDO UN PATETICO AUTOGOL… ENTRAMBI PRESIDENTI DI REGIONE, VESPA SNOBBA DA TEMPO FORMIGONI, MENTRE INVITA SPESSO COTA
Bruno Vespa garantisca «equilibrio» tra gli invitati alla sua trasmissione e dia risposte agli abbonati Rai che «pagano il canone per avere trasmissioni equilibrate» e «non per assistere silenziosi a esclusioni o a censure del tutto immotivate».
Così Roberto Formigoni, in un post sulla sua pagina Facebook, risponde a un messaggio in cui una sua sostenitrice, conti alla mano, paragona il numero di partecipazioni di Formigoni a Porta a Porta, «una in 5 anni», a quelle del presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, «9 in un anno».
«Mi è arrivato questo messaggio», esordisce Formigoni, «Caro Roberto, lo scorso 31 maggio Bruno Vespa ha giustificato il fatto di averti invitato a “Porta a Porta” una sola volta in 5 anni affermando che nella sua trasmissione privilegia personalità politiche nazionali piuttosto che presidenti di regione. Ho fatto una ricerca e ho visto che, da quando è presidente di regione, Roberto Cota è stato invitato 9 volte: 9 volte in un anno Cota, 1 volta in 5 anni Formigoni. Cosa ne pensi? Marina».
Il presidente della Regione Lombardia risponde: «Cara Marina, hai ragione tu: 9 volte in un anno Cota, una volta in 5 anni Formigoni. In realtà , a tutti era suonata come incredibile la giustificazione addotta da Vespa e tu lo hai dimostrato inoppugnabilmente. Ora è Bruno Vespa che deve rispondere. Un mostro sacro della tv com’è lui, un grande maestro, ha il dovere della trasparenza. Spieghi dunque: c’è qualcuno che sceglie per lui o che gli impone dei vincoli? Non sente il direttore della “terza Camera” l’esigenza di garantire un equilibrio tra gli invitati della trasmissione? Ora una risposta è doverosa ed è dovuta non solo a noi, ma a tutti gli abbonati alla Rai tv che pagano il canone per avere trasmissioni equilibrate anche negli inviti e non per assistere silenziosi a esclusioni o a censure del tutto immotivate. Roberto».
Non c’è che dire: Formigoni ha steso Vespa per ko tecnico.
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Giugno 6th, 2011 Riccardo Fucile
IL DIPLOMATICO INFORMAVA WASHINGTON CHE “ALTI UFFICIALI” DEL GOVERNO BERLUSCONI AVREBBERO PRESO TANGENTI PER COMPRARE TECNOLOGIE E CENTRALI FRANCESI
All’inizio è solo un timore, poi si trasforma in più di un sospetto: la rinascita del nucleare in Italia è condizionata dalle tangenti.
Un’ipotesi circostanziata, messa nero su bianco in un rapporto del 2009 per il ministro dell’Energia di Obama, Steven Chu.
Negli oltre quattro mila cablo dell’ambasciata americana di Roma la parola corruzione compare pochissime volte e in termini generici.
Quando invece si parla delle nuove centrali da costruire, allora i documenti trasmessi a Washington diventano espliciti, tratteggiando uno scenario in cui sono le mazzette a decidere il destino energetico del Paese.
Nel momento in cui il devastante terremoto giapponese obbliga il mondo a fare i conti con i rischi degli impianti e lo spettro di una colossale contaminazione, i documenti ottenuti da WikiLeaks che “l’Espresso” pubblica in esclusiva permettono di ricostruire la guerra nucleare segreta che da sei anni viene combattuta in Italia.
Uno scontro di Stati prima ancora che di aziende, per mettere le mani su opere che valgono almeno 24 miliardi di euro e segneranno il futuro di generazioni. Francesi, russi e americani si danno battaglia su una scacchiera dove si confondono interessi industriali, politici e diplomatici: cercano contatti nel governo, nei ministeri, nei partiti e nelle aziende.
Per riuscire a conquistare quello che appare il mercato più ricco d’Europa. E lo fanno — secondo i dossier statunitensi — senza esclusione di colpi.
Gli americani cominciano a muoversi nel 2005, quando con una certa sorpresa scoprono che l’energia nucleare sta risorgendo dalle ceneri del referendum del 1987.
Per gli Usa si tratta di un’occasione unica: lo strumento per allontanare l’Italia dalla dipendenza nei confronti del gas russo, l’arma più potente nelle mani di Vladimir Putin.
La questione diventa quindi “prioritaria” per l’ambasciata di Roma, che si muove verso due obiettivi: convincere i politici a concretizzare il programma atomico e far entrare nella partita i colossi americani del settore.
Complici il prezzo sempre più alto degli idrocarburi, i rincari delle bollette e le promesse di sicurezza dei reattori più avanzati, gli italiani sembrano sempre meno ostili al nucleare.
E il governo di Silvio Berlusconi non mostra dubbi su questa scelta.
Più difficile — scrivono nel 2005 — convincere il centrosinistra che “si oppone largamente all’idea. Comunque, i nostri contatti sostengono che, anche se dovesse tornare al governo, il rinnovato impegno dell’Italia nei programmi nucleari non si fermerà ”.
La componente verde della maggioranza di Romano Prodi si oppone a ogni programma.
Il ministro Pier Luigi Bersani invece apre alle sollecitazioni statunitensi e nel 2007 spiega all’ambasciatore che “l’Italia non è fuori dalla produzione di energia nucleare, l’ha solo sospesa”, per poi riconoscere che “carbone pulito e nucleare probabilmente giocheranno un ruolo importante nell’assicurare i bisogni del futuro”.
Lo stesso Bersani che in questi giorni, dopo la crisi nipponica, è stato pronto a condannare “il piano nucleare del governo”.
Lo scontro più feroce però è quello che avviene per costruire i futuri impianti: almeno sei centrali, ciascuna del costo di circa 4 miliardi.
Si schierano aziende-Stato, che sono diretta emanazione dei governi e godono dell’appoggio di diplomazie e servizi segreti.
In pole position i francesi di Areva, quasi monopolisti nel Vecchio continente dove hanno aperto gli unici cantieri per reattori di ultima generazione: hanno 58 mila dipendenti e 10 miliardi di fatturato l’anno.
E anche i russi, che nonostante Chernobyl continuano a esportare reattori in Asia, cercano di partecipare alla spartizione della torta.
Negli Usa ci sono Westinghouse e General Electric che “sono interessate a vendere tecnologia nucleare all’Italia, ma si trovano a dover affrontare una dura competizione da parte di rivali stranieri i cui governi stanno facendo una pesante azione di lobbying sul governo italiano”.
L’allerta diventa massima nel 2008, quando Berlusconi assicura agli Usa che stavolta il suo esecutivo “rilancia sul serio il settore.
Se andranno davvero avanti, ci saranno contratti per decine di miliardi”.
Con una minaccia: “Vediamo già un’azione di lobbying ad alto livello da parte dei leader del governo inglese, francese e russo”.
I colloqui con il consigliere diplomatico del ministro Claudio Scajola, Daniele Mancini, “suggeriscono che i francesi e i russi stanno già manovrando e facendo lobbying per i contratti”.
Ed ecco la previsione: “La corruzione è pervasiva in Italia e temiamo che potrebbe essere uno dei fattori che dovremo affrontare andando avanti”. L’avversario è Parigi, che può sfruttare gli intrecci economici tra Enel ed Edf per stendere la sua trama.
“Temiamo che i francesi abbiano una corsia preferenziale a causa della loro azione di lobbying ai più alti livelli e a causa del fatto che le compagnie che probabilmente costruiranno gli impianti in Italia hanno tutte un qualche tipo di French connection. Continueremo i nostri energici sforzi per garantire che le aziende americane abbiano una giusta chance”.
Pochi mesi dopo i francesi danno scacco: Sarkozy e il Cavaliere firmano l’accordo che assegna ad Areva la costruzione di quattro reattori modello Epr in Italia.
Siamo a febbraio 2009, la diplomazia statunitense vuole impedire che il successo di Parigi si trasformi in scacco matto.
E intensifica gli sforzi per occupare gli spazi rimasti, ossia la fornitura di almeno altre due centrali.
A maggio arriva a Roma il Mister Energia di Obama, Steven Chu.
L’ambasciata lo mette in guardia: “L’intensa pressione dei francesi, che forse comprende tangenti (“corruption payment”) a funzionari del governo italiano, ha aperto la strada all’accordo di febbraio tra le aziende parastatali italiana e francese, Enel e Edf, in modo da formare un consorzio al 50 per cento per costruire centrali in Italia e altrove. L’intesa prevede la costruzione di quattro reattori dell’Areva entro il 2020 e, cosa ancora più preoccupante, può imporre quella francese come tecnologia standard per il ritorno dell’Italia al nucleare“.
Gli americani ipotizzano che dietro la scelta degli standard a cui affideremo il nostro futuro e la sicurezza del Paese ci possano essere state bustarelle.
E chiedono al ministro per l’Energia: “Dovrebbe far presente che abbiamo preoccupanti indicazioni del fatto che alle aziende americane sarà ingiustamente negata l’opportunità di partecipare a questo programma multimiliardario”. L’ambasciata è molto decisa nel delineare un contesto di scorrettezza.
Il promemoria scritto da Elizabeth Dibble, all’epoca reggente della sede di Roma oggi diventata consigliera di Hillary Clinton, insiste: “è anche molto importante che ricordi al governo italiano che ci aspettiamo pari opportunità per le nostre aziende, visto quello che abbiamo notato fino a oggi nel processo di selezione”.
Alla fine del 2008 gli Usa ritengono che Berlusconi stia per annunciare un accordo per il nucleare anche con Mosca.
Ma uno degli uomini chiave del ministero dello Sviluppo Economico, Sergio Garribba, rassicura gli americani e “ridendo” spiega la reale natura della collaborazione atomica con i russi: “è una barzelletta, solo pubbliche relazioni”. L’ambasciata scrive che l’alto funzionario “probabilmente ha ragione: gli italiani nel 1987 hanno chiuso il loro programma in risposta a Chernobyl…”.
Ma non si fidano completamente “visti gli stretti rapporti tra Berlusconi e Putin“.
E temono che comunque la coalizione tra Eni e Gazprom per il gas, che alimenta anche le centrali elettriche, si trasformerà in un muro per ostacolare il nucleare. “Si dice che l’Eni stia facendo una dura azione di lobbying contro la riapertura della partita da parte di Enel“, registra nel 2005 l’ambasciatore Sembler, “perchè ridurrebbe sia il mercato di Eni che la sua influenza politica”.
Anche se le resistenze più forti verranno dal nimby, l’opposizione delle comunità locali ai nuovi reattori.
“L’Italia è una penisola lunga e stretta, con una spina dorsale di catene montuose e con coste densamente popolate. Il numero dei siti dove costruire impianti è limitato… Se continua a decentralizzare i poteri alle regioni attraverso le riforme costituzionali — sostengono i nostri contatti — un revival nucleare sarà veramente improbabile“.
Forse per questo, in tempi più recenti, l’ambasciata “programma” di contattare anche il leghista Andrea Gibelli, che presiede la commissione Attività produttive della Camera.
Nei ministeri di Roma la battaglia nucleare si combatte stanza per stanza.
Gli americani cercano di avere referenti fidati negli uffici chiave e ogni nomina viene analizzata.
Nel 2009 guardano con diffidenza ai tre tecnici italiani designati per il G8 dell’energia: “Uno attualmente lavora per la potente Eni”.
Fino ad allora, si erano spesso rivolti a Garribba, “uno dei grandi esperti di energia, consulente tecnico del ministro Scajola”: è definito “uno stretto contatto dell’ambasciata”.
Ma nel 2009 temono di venire tagliati fuori.
Nella gara per la direzione del dipartimento Energia del ministero, Garribba viene battuto da Guido Bortoni, “un tecnocrate poco noto che attualmente sta all’Autorità per l’Energia. Avendo lavorato 10 anni all’Enel, Bortoni potrebbe ancora avere legami stretti con l’azienda e gli investimenti comuni tra Enel e l’industria nucleare francese ci fanno preoccupare che Bortoni possa portare questa preferenza per la tecnologia francese nella sua nuova posizione”.
Ad aumentare i loro timori c’è “la dottoressa Rosaria Romano, che guiderà la divisione nucleare del nuovo dipartimento energia”: un fatto “potenzialmente preoccupante” visto che “nel corso degli anni, la Romano ha ripetutamente rifiutato in modo deciso i tentativi dell’ambasciata di incontrarla”.
Ma i diplomatici americani “stanno già lavorando per assicurare che le nomine di Bortoni e Romano non danneggino gli interessi delle aziende Usa (General Electric e Westinghouse)”.
Nel luglio 2009, il ritorno all’atomo diventa legge.
A quel punto, Francesco Mazzuca, presidente dell’Ansaldo Nucleare, azienda genovese del gruppo Finmeccanica e unico polo italiano del settore, consiglia “un impegno ai più alti livelli del governo italiano, in modo da contrastare i continui sforzi di lobbying da parte di Parigi. Mazzuca ha detto che il governo francese sta addirittura aumentando la sua pressione, inviando a Roma un secondo funzionario con portfolio nucleare”.
Il top manager di Ansaldo ipotizza che il governo Berlusconi potrebbe costruire i nuovi impianti nei siti delle vecchie centrali in corso di smantellamento: Trino Vercellese, Caorso, Latina e Garigliano.
E per l’Agenzia di sicurezza nucleare che dovrà vigilare su reattori e scorie, Mazzuca dichiara che la vorrebbe guidata dal professor Maurizio Cumo.
Ex presidente della Sogin, in ottimi rapporti con Gianni Letta, nel novembre scorso Cumo è stato nominato dal Consiglio dei ministri come uno dei cinque membri dell’Agenzia guidata da Umberto Veronesi.
Cumo è il nome che piace anche a Washington perchè “è a favore della tecnologia nucleare Usa”.
Ogni mossa in questa sfida ha ricadute anche sul futuro di tutti gli italiani.
Nei cablo non si entra mai nel merito delle tecnologie contrapposte, se siano più sicuri i reattori francesi o americani.
Ma l’attivismo dell’ambasciata mette a segno un risultato importante: “Siamo stati capaci di convincere il governo italiano a cambiare una bozza della legislazione sul nucleare che avrebbe lasciato l’approvazione dei certificati per le nuove centrali agli altri governi europei. La nuova versione estende la certificazione a qualsiasi paese Ocse. Questo apre la porta alle aziende americane”.
In pratica, si passa dagli standard di sicurezza dell’Unione europea a quelli di qualunque membro dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, che comprende 34 nazioni inclusi Giappone, Australia e Usa.
Dal 2009 le attenzioni degli americani si concentrano su Claudio Scajola, “un collaboratore di lunga data di Berlusconi, che guida un superministero”.
Affidano a Chu il compito di “conquistarlo”, sin dal summit romano del maggio 2009.
Ma il momento chiave è il viaggio negli States del settembre successivo: “Vediamo questa visita come un’opportunità decisiva per gli Stati Uniti per contrastare la preferenza italiana nei confronti della tecnologia nucleare francese e per aprire le porte a lucrativi contratti per le aziende statunitensi”.
Scajola accetta anche “l’invito di Westinghouse a fare un tour nei suoi impianti”. Lo strumento per fare leva sul ministro è l’Ansaldo Nucleare, la società di Finmeccanica “che ha stretti rapporti con Westinghouse”.
L’ambasciatore Thorne scrive: “Noi abbiamo saputo che Scajola ha un’altra ragione per appoggiare il coinvolgimento delle aziende statunitensi. L’accordo con la Francia ha tagliato fuori dai contratti le società italiane che vogliono contribuire a costruire le centrali. Una di queste, Ansaldo Nucleare, ha sede nella regione di Scajola: la Liguria. E così se Westinghouse ottiene la sua parte, Ansaldo — azienda della terra di Scajola — ne beneficia. Noi abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile nel nostro sostegno alle aziende Usa. Se Scajola ha anche un interesse locale nel cercare di fare in modo che le ditte americane ottengano commesse, questo è un vantaggio da cogliere e da massimizzare a beneficio degli Stati Uniti”.
L’interesse statunitense si è tradotto la scorsa settimana nella cessione del 45 per cento di Ansaldo Energia — che controlla Ansaldo Nucleare — al fondo First Reserve Corporation, con un’operazione da 1.200 milioni di euro.
E anche il tour di Scajola negli States del 2009 si è rivelato un successo, con la firma di due accordi di cooperazione con Chu: gli interessi del ministro e di Washington sembrano sposarsi.
Il cablo ha toni sollevati: i francesi non sono più “l’unico protagonista (“the only game in town”).
Il reattore AP1000 della Westinghouse è diventato un forte concorrente per le centrali nucleari che saranno costruite oltre a quelle proposte dal consorzio Enel-Edf”.
E una schiera di aziende americane si prepara a sfruttare la breccia nel dicastero di via Veneto: “General Eletric, Exelon, Battelle, Burns and Roe, Lightbridge ed Energy Solutions”, elenca Thorne.
Il database di WikiLeaks si ferma prima del maggio 2010, data delle dimissioni di Scajola per la casa con vista al Colosseo “pagata a sua insaputa”.
Nelle primissime dichiarazioni, il ministro ligure grida al complotto e comincia la sua lista di sospetti con un riferimento esplicito: “Le mie dimissioni indeboliscono il governo, ma chi può avere interesse a farlo? La Francia, in prospettiva, ha tutto da perdere dal nostro programma nucleare…”.
Ma se le scelte sul nostro futuro energetico nascono da questi oscuri giochi di potere, a perderci rischiano di essere tutti gli italiani.
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