Giugno 18th, 2011 Riccardo Fucile
FABIO GRANATA SI SCHIERA CON LA BASE DI FUTURO E LIBERTA’, INDIGNATA PER L’ASTENSIONE DEL PARTITO ALLA CAMERA SULLA RICHIESTA DI AUTORIZZAZIONE NEI CONFRONTI DEL DEPUTATO PDL LANDOLFI….ECCO IL DOCUMENTO SOTTOSCRITTO DAI CIRCOLI E INDIRIZZATO A FINI
Pubblico sul mio blog un documento redatto da un arcipelago di circoli di Futuro e Liberta’sul delicatissimo tema della coerenza tra valori enunciati e comportamenti politici e parlamentari.
Il documento nasce dal forte dissenso rispetto alla decisione del Gruppo Parlamentare di Fli sulla richiesta di autorizzazione all’utilizzabilità delle intercettazioni da parte della magistratura che indaga sul parlamentare del Pdl Mario Landolfi.
In sede parlamentare mi sono limitato a non esprimere il voto, per evitare polemiche interne delle quali non si sente minimamente il bisogno .
Va’pero’detto che la base, i Circoli,la nostra comunità umana va’ascoltata. Magari senza i sofisticati mezzi di consultazione sulle decisioni,restati peraltro lettera morta dopo l’altisonante annuncio congressuale.
Capacità d’ascolto e dibattito interno possono essere stimolati anche con i tradizionali strumenti della politica:questo il senso del documento che riproduco e che rilancio.
Anche perchè non si fa una battaglia epocale in Parlamento per difendere lo strumento delle intercettazioni per poi astenersi alla prima richiesta nei confronti di un parlamentare.
Se la legge e’ uguale per tutti questo non vale solo per Silvio Berlusconi ma anche per Landolfi o Papa.
Su quest’ultimo chiederò coerenza al gruppo senza se e senza ma.
Per poter continuare a dire,e poter dire, di essere la Destra di Paolo Borsellino.
Fabio Granata
Signor Presidente,
nell’intervista apparsa sul Corriere della Sera in data 16 u.s., abbiamo apprezzato le Sue parole di saggezza e lungimiranza politica, capaci di raccogliere da sole quella profonda condivisione che ci ha spinto a radunarci attorno al progetto di Futuro e Libertà per un radicale rinnovamento del Paese, per il Paese.
Più in particolare l’affermazione che “La partita si gioca sul cambiamento. Il terzo polo dei moderati e dei riformisti deve mettere l’accento sul secondo aggettivo. Non si tratta di raccogliere voti pescando un po’ qua e un po’ là , senza scegliere mai e rischiando di finire come l’asino di Buridano.
Si tratta di fare le riforme, di operare il cambiamento: cittadinanza, legalità , piano contro la precarietà e per il lavoro ai giovani. E laicità delle istituzioni, che non significa mancare di rispetto alla Chiesa” non ci lascia indifferenti, ed infatti in ognuna di queste parole ritroviamo le sementi del progetto del nostro Partito e dell’impegno che ciascuno di noi, singolarmente e collettivamente, ha profuso e continua a profondere nel superiore interesse del Paese.
A fronte dell’entusiasmo suscitato dalle parole riferite nell’intervista, di contro, siamo rimasti sconcertati nell’apprendere dell’astensione dal voto da parte dei rappresentanti parlamentari FLI in relazione alla richiesta di autorizzazione all’uso delle intercettazioni nei confronti del deputato del PDL Mario Landolfi; autorizzazione richiesta dal GIP di Napoli nell’ambito di indagini su gravi ipotesi di reato per corruzione in materia ambientale.
Abbiamo fatto della legalità il nostro vessillo e, non più lontano di una settimana fa, questo Paese con una consultazione referendaria ha ribadito con forza ciò che la nostra Costituzione contempla inequivocabilmente all’art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignita’ sociale e sono eguali davanti alla legge…”.
Quotidianamente ci facciamo testimoni dell’imprescindibilità del rispetto di questi principi al quale ci richiamiamo e, in questa ottica, non possiamo comprendere o accettare la scelta dei Parlamentari di FLI di astenersi dal voto in Aula il 16 u.s.
Non è assolutamente comprensibile una tale incoerenza; dobbiamo avere il coraggio delle nostre idee, dobbiamo cioè essere capaci di tradurre in fatti nelle sedi deputate i propositi e le dichiarazioni.
SeguendoLa, Presidente, abbiamo riposto la nostra fiducia non solo nel Suo operato, ma anche nella Sua capacità di farsi interprete della profonda esigenza di rinnovamento del Paese.
L’astensione dei Parlamentari di Futuro e Libertà costituisce a nostro giudizio un gravissimo errore, l’assenza cioè della capacità di assunzione di responsabilità promessa oltre che una innegabile contraddizione con le premesse stesse della nascita e costituzione del Nostro Partito.
Abbiamo perso un’altra preziosa ed irripetibile occasione per segnare la nostra distanza da certo malcostume ed abbiamo, di contro, offerto il fianco ad asprissime e legittime critiche da parte del Paese ma, soprattutto, si è deluso quel genuino elettorato di Futuro e Libertà che ogni giorno si fa propugnatore e testimone dei valori della legalità , della giustizia e dell’eguaglianza.
E’a tutti noto il disagio della collettività rispetto a quelle sacche di privilegio di cui purtroppo gode la politica; sebbene si voglia riconoscere una forma di tutela a chi agisce in qualità di membro del Parlamento, è d’altra parte inconcepibile ed inaccettabile che la politica, e per essa i suoi componenti, confermino costantemente l’iper protezionismo verso se’ stessi, ma, soprattutto, tutto ciò non è ricevibile da parte di quell’elettorato che della difesa della legalità , del rispetto delle leggi e dell’eguaglianza di ogni cittadino Italiano di fronte alla legge, ha fatto la propria bandiera, il proprio credo.
Lei, Signor Presidente, ha detto una volta che non si dovrebbe confondere “l’immunità con l’impunità ”.
Benchè il riferimento fosse ben altro, a nostro giudizio questa è l’immagine che di se’ il Parlamento Italiano offre ai propri cittadini, e con il voto in Aula del 16 Giugno, anche i membri di Futuro e Libertà .
Non possiamo accettare tentennamenti o incapacità di prendere posizione. Non è tempo per tatticismi e strategie.
L’unica strategia accettabile e consentita è quella di dichiarare apertamente la nostra posizione sui fatti socialmente rilevanti e l’attuazione nelle sedi opportune di tutte quelle misure volte a testimoniare una volta e per tutte chi e cosa sia Futuro e Libertà .
E’ tempo che Futuro e Libertà marchi la differenza che la separa da ogni altra formazione politica.
E’ tempo di coerenza ma, soprattutto, è tempo di prendere posizione inequivocabilmente e coerentemente prima che quell’Anima vibrante che ne è l’essenza volga lo sguardo OLTRE.
Questo accorato appello ha l’intento duplice di testimoniarLe tutto il nostro disagio e, al contempo, manifestarLe la necessità di un Suo intervento sull’accaduto al fine di chiarire e confermare l’impegno di Futuro e Libertà a farsi rappresentante di quegli altissimi principi ispiratori ai quali abbiamo scelto di aderire.
Con rinnovata stima e fiducia.
La base militante di Futuro e Libertà
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Giugno 18th, 2011 Riccardo Fucile
IL CASO CLAMOROSO DEI RISTORANTI ITALIANI ALL’ESTERO….BOOM NELL’USO DEGLI AEREI DI STATO: OGNI COMPONENTE DEL GOVERNO VOLA 97 ORE L’ANNO
«Un conto è fare un articolo, un altro conto fare un articolato…» , ha osservato pubblicamente, alla festa della Cisl di domenica scorsa a Levico Terme, il ministro dell’Economia.
Giulio Tremonti ha sperimentato direttamente quanto sia difficile entrare con i fatti nella carne viva degli scandalosi costi della politica.
Con la manovra finanziaria dello scorso anno aveva provato a tagliare del 50% i generosissimi «rimborsi elettorali» , come si chiama ipocritamente il finanziamento pubblico, riconosciuti per legge ai partiti politici, cresciuti fra il 1999 e il 2008 del 1.110%, mentre gli stipendi pubblici aumentavano del 42. Ebbene, il taglio è stato prima ridimensionato al 20%, quindi al 10 per cento. Per non parlare della norma che avrebbe riportato le spese di palazzo Chigi, in alcuni casi letteralmente impazzite, sotto il controllo del Tesoro: saltata come un tappo di champagne.
Ciò non toglie che quell’«articolato» prima o poi andrà fatto.
Perchè qui ci va di mezzo, secondo lo stesso Tremonti, la credibilità della politica e del governo.
Se la riforma fiscale vuole avere una prospettiva minima di serietà , deve passare prima di qua.
Fermo restando che i soldi tolti ai privilegi della politica non basteranno certo da soli a tappare il buco che l’eventuale taglio delle tasse (considerato dai capi del centrodestra necessario per arginare l’emorragia di consensi) potrebbe aprire nei conti pubblici.
Da dove cominciare?
C’è soltanto l’imbarazzo della scelta.
«Meno voli blu» , ha detto Tremonti. Una sfida mica da ridere, considerando l’andazzo.
Nel 2005 gli aerei di Stato del 31° stormo dell’Aeronautica toccarono il record di 7.723 ore di volo.
Due anni dopo, durante il governo Prodi, grazie a una direttiva draconiana del sottosegretario Enrico Micheli erano scesi a 3.902.
Tornato Berlusconi, quella direttiva è stata prontamente abrogata e nel 2009 le ore di volo per le sole «esigenze di Stato» sono arrivate a 5.931, ma con un governo ridotto a 61 elementi.
Cioè, 97 ore e 15 minuti a testa.
Letteralmente stratosferico l’aumento procapite (cioè per ogni componente del governo) rispetto a due anni prima: +154,2%.
Ma anche il famoso record del 2005 delle 78 ore e 50 minuti a testa è stato letteralmente polverizzato, con una crescita del 23,3%.
Mentre il consumo del cherosene ministeriale, alla faccia della crisi, non si è certamente arrestato.
Nel 2009 gli aerei di Stato viaggiavano al ritmo di 494 ore al mese?
Nel 2010 si è saliti a 507.
Ignoti, ovviamente, i costi.
Non sarà facile, per Tremonti.
Certo, se si potessero ricondurre i conti di palazzo Chigi sotto il controllo della Ragioneria, com’era prima che nel 1999 il governo di centrosinistra li rendesse completamente autonomi, sarebbe un’altra storia.
Si toglierebbero alla politica molti margini di manovra non soltanto sui 3 o 400 milioni l’anno di spese vive della presidenza del Consiglio, ma, per esempio, anche sul miliardo e mezzo di budget della Protezione civile.
Meno sprechi, più sobrietà .
Peccato che i messaggi arrivati finora siano di segno opposto.
Qualche esempio?
Nel 2010 il budget per pagare gli «staff» politici di palazzo Chigi aveva superato di slancio 27,5 milioni, con un aumento del 26 per cento.
Mistero fitto sul numero delle persone.
Quest’anno le spese per gli affitti degli uffici della presidenza del Consiglio sarebbero lievitate (sempre secondo le previsioni) da 10 a 13,7 milioni. Recentissima poi la notizia che palazzo Chigi ha deciso di dotarsi non di uno, ma di due capi uffici stampa retribuiti al pari di un «capo delle strutture generali della presidenza del Consiglio dei ministri».
E i nuovi sottosegretari concessi da Berlusconi ai Responsabili come contropartita per il sostegno alla maggioranza?
L’Espresso ha calcolato che costeranno 3 milioni l’anno.
Il problema dei soldi non tocca invece, almeno all’apparenza, l’ex Pd Massimo Calearo, nominato consigliere del premier per l’export (ma di questo non si occupa già il ministro dello Sviluppo?).
Nè Antonio Razzi, ora consigliere personale del ministro «Responsabile» dell’Agricoltura Francesco Saverio Romano.
Ma siccome il deputato ex dipietrista è stato eletto all’estero ed è fissato con la tutela della cucina italiana, poche ore prima di andarsene per lasciare il posto a Romano l’ex ministro Giancarlo Galan gli ha firmato un decreto che istituisce «l’elenco dei ristoratori italiani all’estero».
Prevede una targa con la scritta «Ottimo — ristorante di qualità » da mettere sulla porta.
Vi domanderete: chi sceglie i locali da insignire?
Un apposito Comitato interministeriale composto dal ministro e da uno stuolo di funzionari oltre, udite udite, da nove esperti nominati anche da altri ministeri.
Un Comitato interministeriale!
Il decreto dice che nessuno prenderà un euro. E le spese vive, fossero anche solo le targhe e i diplomi, quelle chi le paga?
Noi.
Ma il colmo è un altro. Perchè nemmeno un anno fa lo stesso ministero dell’Agricoltura aveva fatto un accordo con l’Unioncamere per dare un marchio di qualità ai «Ristoranti italiani nel mondo».
Forse se n’erano dimenticati…
Insomma, se è giusto lamentarsi dei tagli orizzontali e indiscriminati, qui bisognerebbe andarci con il machete.
E il Parlamento?
Lasciamo da parte il capitolo dei numero dei nostri rappresentanti, quasi doppio rispetto alla Spagna.
Ma è chiedere troppo di allineare anche le loro retribuzioni alla media europea, come ha suggerito di fare Tremonti per tutti gli incarichi pubblici?
Da anni le Camere non promettono che tagli, limitandosi però a indolori sforbiciatine.
Guardiamo i bilanci.
Le spese correnti della Camera, che nel solo 2010 ha tirato fuori 54,4 milioni per gli affitti, sono previste passare da un miliardo 59 milioni del 2010 a un miliardo 83 milioni nel 2012: +2,3 per cento.
Quelle del Senato, che negli ultimi 14 anni ha sborsato 81 milioni per gli uffici di 86 senatori, da 576 a circa 594 milioni: +3,6%.
La Camera dispone di 20 auto blu con 28 autisti e i deputati che hanno il diritto a utilizzarle sono soltanto 63.
Il machete potrebbe calare, forse a maggior ragione, anche in periferia.
Dove gli sprechi della politica sono inimmaginabili.
A cominciare dai posti di lavoro clientelari.
È mai possibile che in Lombardia un dipendente regionale costi 21 euro a ogni cittadino contro i 70 della Campania? E i 173 del Molise? O i 353 della Sicilia?
È mai possibile che sia ancora in vigore una regola che consente a chi è stato parlamentare ma anche consigliere regionale di incassare ben due vitalizi, uno del Parlamento e uno della Regione?
In questa meravigliosa condizione ci sono almeno duecento ex onorevoli.
E che vitalizi: si arriva fino a oltre 9 mila euro lordi al mese.
Accade nella Regione Lazio, dove si può ancora andare in pensione giovanissimi, come dimostra il caso dell’ex governatore Piero Marrazzo, il quale percepisce il vitalizio di circa 4 mila euro mensili dal 2010, prima ancora di aver compiuto 52 anni.
È mai possibile che l’unica regione ad abolire l’arcaico e odioso privilegio del vitalizio per gli ex consiglieri sia stata finora, dopo sforzi immani, l’Emilia Romagna (naturalmente, a partire dalla prossima legislatura…)?
È mai possibile che nei consigli regionali non si riesca a porre fine all’indecenza dei gruppi politici costituiti da una sola persona, che dà il diritto talvolta ad assumere collaboratori, avere l’auto blu e addirittura uno stipendio maggiorato?
Ce ne sono 74 (settantaquattro). Con casi esilaranti.
In Piemonte ci sono ben due gruppi «consiliari» che si richiamano all’ex governatrice Mercedes Bresso, Insieme per Bresso e Uniti per Bresso. Unico componente di quest’ultimo: Mercedes Bresso.
Ma anche nel consiglio provinciale di Bolzano sono presenti due monogruppi gemelli: Il Popolo della libertà e Il Popolo della libertà — Berlusconi per l’Alto Adige.
E nelle Marche persino il governatore in carica Gian Mario Spacca si è fatto il proprio gruppo.
Come si chiama? Gian Mario Spacca Presidente, si chiama.
Che domande!
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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Giugno 18th, 2011 Riccardo Fucile
SOTTO REVISIONE I TITOLI DI STATO ITALIANI: LO FA SAPERE L’AGENZIA STATUNITENSE… SOTTO ACCUSA IL PESANTE DEBITO PUBBLICO, LE DIFFICOLTA’ STRUTTURALI DELLA NOSTRA ECONOMIA E LA SITUAZIONE DELLA GRECIA
L’agenzia statunitense Moody’s ha collocato il rating Aa2 dell’Italia sotto revisione in vista di un possibile downgrade.
Lo fa sapere l’agenzia statunitense in una nota. Moody’s ha anche riaffermato il rating di breve termine al livello prime -1.
Una nuova tegola sull’economia italiana dopo l’outlook negativo assegnato al rating italiano da Standard & Poor’s.
Meno di un mese fa, infatti, S&P aveva tagliato l’outlook citando le deboli prospettive di crescita e l’incerto impegno politico per attuare riforme che stimolino la produttività .
E di sviluppo torna a parlare anche Moody’s, citandolo come primo fattore dietro alla messa sotto revisione del rating: sotto accusa i rischi per la crescita economica dovuti alla “debolezza macroeconomica strutturale e alla probabile risalita dei tassi d’interesse nel tempo”.
Debolezza strutturale che per Moody’s ha a che fare con “bassa produttività e importanti rigidità nel mercato del lavoro e dei prodotti”.
L’Italia ha recuperato finora “solo una frazione dei sette punti di prodotto interno lordo che ha perso durante la crisi globale”.
Al secondo punto tra i motivi della messa sotto revisione i rischi legati alla messa in pratica dei “piani di consolidamento fiscale richiesti per ridurre il debito pubblico e tenerlo a livelli gestibili”.
Potrebbe rivelarsi difficile generare l’avanzo primario di bilancio necessario a dare inizio a “una solida tendenza al ribasso”, secondo Moody’s, che cita la recente bocciatura delle proposte sull’acqua ai referendum come prova del fatto che il governo ha difficoltà a fare approvare politiche di riforma.
Terzo punto “i rischi legati alle mutate condizioni per gli emettitori sovrani europei fortemente indebitati”, con il mercato sempre più pronto a punire i paesi con “peso del debito più alto della media, come l’Italia”.
Nel caso dovesse arrivare un taglio, sarebbe il primo per l’Italia da parte di Moody’s da oltre quindici anni, visto che le ultime due azioni (nel 1996 e nel 2002) avevano portato ad un aumento del rating.
Ora l’attenzione del mercato si sposta a lunedì, per valutare la possibile reazione delle borse, che avevano registrato freddamente il taglio dell’outlook da parte di S&P.
Occhi puntati soprattutto sulle aste dei titoli di Stato, con quelle di Bot e Ctz, a cui faranno seguito martedì quelle di Btp e Cct.
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Giugno 18th, 2011 Riccardo Fucile
INCHIESTA P4: RIVELAZIONI, SOLDI E FAVORI ALL’OMBRA DEL SOTTOSEGRETARIO…BISIGNANI: “RIFERIVO A GIANNI LETTA TUTTE LE INFORMAZIONI CHE MI PASSAVA PAPA SULLE VICENDE PROCESSUALI CHE RIGUARDAVANO LUI E VERDINI”
“Mi chiedete se io informassi Letta delle notizie e delle informazioni riservate di matrice giudiziaria comunicatemi da Papa; a tal riguardo vi dico che sicuramente parlavo e informavo il dottor Letta delle informazioni comunicatemi e partecipatemi dal Papa, e in particolare di tutte le vicende che potevano riguardarlo direttamente o indirettamente come la vicenda riguardante il Verdini, come la vicenda inerente al procedimento che riguardava lui stesso (e cioè il Letta) e il Chiorazzo”.
È Luigi Bisignani a metterlo a verbale lo scorso marzo davanti ai pm napoletani.
“Il Chiorazzo” di nome fa Angelo, è un imprenditore cooperativo vicino a Comunione e Liberazione e ai democristiani di ieri e di oggi (Andreotti, Mastella, Letta).
Letta è invece Gianni, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che con Chiorazzo finì indagato dalla Procura di Potenza.
Papa, infine, di nome fa Alfonso. È un giudice in aspettativa e un deputato del Pdl che ha avuto esperienza al ministero della giustizia prima con Roberto Castelli e poi con Clemente Mastella.
Sarebbe lui, a detta di Bisignani, l’uomo in grado di carpire “notizie e informazioni giudiziarie riservate” da consegnare nelle mani dell’eminenza azzurrina che siede a Palazzo Chigi.
L’inchiesta sulla P4 fornisce nuovi particolari della vicenda.
Maria Elena Valenzano, già assistente parlamentare di Papa, racconta come avesse ricevuto, tra le altre, una consulenza dalla Axilium di Chiorazzo che le avrebbe fruttato mille euro lordi al mese.
Per fare cosa? Curare alcuni rapporti istituzionali, le dissero.
Cosa che, si evince dalle sue dichiarazioni, non fece (“Non ho mai svolto alcuna prestazione pur emettendo regolare fattura”).
Ma perchè? Papa le spiegò che quella cifra era a lui dovuta “in ragione delle rottura di scatole dategli dal Chiorazzo stesso con riferimento ai problemi giudiziari”.
Ecco allora che le informazioni privilegiate e riservate che Papa riusciva a recuperare – dicono i pm – avevano un prezzo.
Ma qual era il prezzo che questa stessa messe di notizie coperte da segreto aveva a Palazzo Chigi?
I magistrati accusano il gruppo di Bisignani di favoreggiamento.
In pratica, scrivono, tutelavano “i soggetti ‘amici’ inquisiti (che all’uopo venivano avvisati dei procedimenti in corso) ad eludere le indagini (impedendo addirittura. in taluni casi, l’avviarsi delle indagini stesse e la iscrizione di un relativo procedimento penale)”.
Tra i soggetti amici non c’è dubbio che vi fosse il potente segretario alla Presidenza del Consiglio.
Il nome di Gianni Letta appare 17 volte nell’ordinanza sulla P4.
Sulla vicenda che lo vedeva indagato con Chiorazzo, ad esempio, Bisignani dà la sua versione: “Papa mi disse di essersi informato e di aver acquisito informazioni attraverso l’ex Procuratore aggiunto Achille Toro”.
Ma Letta, l’uomo che ancora ieri il presidente del Consiglio definiva “un galantuomo e un servitore delle istituzioni”, non è solo il collettore di notizie delicate che riguardano lui o la sua parte politica.
L’uomo è il cardine di un sistema politico e istituzionale e per ciò stesso elemento delicato.
Il generale Adriano Santini, direttore dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) chiarisce come il suo ruolo “dipende direttamente dal Presidente del Consiglio, per il tramite del sottosegretario delegato dottor Gianni Letta”.
E Valter Lavitola, il direttore editore dell’Avanti coinvolto nell’affaire di Saint Lucia e della casa a Montecarlo del cognato di Gianfranco Fini, in maniera più spiccia, constata: “È noto che in Italia chi decide effettivamente su tutto ciò che riguarda i servizi civili e militari è Gianni Letta con il quale – precisa – io non sono in buoni rapporti”.
Chi aveva buoni rapporti con lui era Alfonso Papa.
È Letta a spiegare ai magistrati: “Ho conosciuto Papa quando era al ministero della Giustizia e che è rimasto al ministero sia con Castelli che con Mastella. Ricordo che un giorno il Papa mi disse che aveva aspirazioni politiche. In seguito del Papa e delle sue aspirazioni politiche mi parlò anche il Bisignani. Io rappresentai tale aspirazione del Papa a Berlusconi, (che mi disse che aveva ricevuto molte altre sollecitazioni riferite sempre al Papa). Dopo l’elezione a deputato, il Papa mi chiese di fare il Sottosegrerario. Ma non è stato mai accontentato”.
Papa, quindi, raccomandato da Bisignani e Letta, riuscì a farsi eleggere.
I giudici scrivono: “L’inserimento nelle liste elettorali potrebbe integrare l’utilità prevista come corrispettivo dell’atto nel reato di corruzione”, proprio per il sistema delle liste bloccate che consente di “nominare” i futuri deputati.
Non c’è però causa-effetto tra le notizie riservate che avrebbe procurato a Bisignani e la sua ascesa politica.
Anche perchè, scrivono i pm, Papa aveva dalla sua Castelli, Pera, Previti e Cosentino.
Eduardo Di Blasi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 18th, 2011 Riccardo Fucile
LA DEPUTATA PDL BIANCOFIORE RIVELA UN DOSSIER SUL FIGLIO DELLA PM… EMERGONO I NOMI DELLA PRESTIGIACOMO E DELLA SANTANCHE’ TRA GLI INTERLOCUTORI ABITUALI DEL FACCENDIERE
In tanti parlavano con il grande “triangolatore” del potere e in tanti adesso tremano.
Perchè l’inchiesta della Procura di Napoli su dossier e ricatti è entrata nel cuore del sistema di relazioni intrecciato da Luigi Bisignani con esponenti di primissimo piano della politica, dell’economia, della magistratura.
Con lui si confrontavano o chiedevano consiglio parlamentari e ministri del governo in carica, come la titolare dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo.
Molti di quei colloqui sono stati intercettati dagli inquirenti.
E dalle conversazioni allegate all’indagine emergono episodi che non costituiscono reato ma fanno sicuramente riflettere.
Come una telefonata registrata il 16 gennaio scorso.
Da una parte dell’apparecchio c’è Bisignani, dall’altra la parlamentare del Pdl Micaela Biancofiore.
La deputata allude a una vicenda vecchia di quasi quattordici anni, una rissa fra ragazzi sull’isola d’Ischia nella quale era rimasto coinvolto il figlio dell’attuale procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini, pilastro del pool Mani pulite che in quei giorni sta indagando anche sul caso Ruby e viene tenuta costantemente nel mirino della macchina del fango.
La Biancofiore introduce l’argomento.
Bisignani però tronca quasi subito la conversazione. “Ne parliamo da vicino”, afferma.
E in un dialogo successivo la Biancofiore si dice rammaricata, forse proprio per aver affrontato un tema troppo delicato per essere discusso al telefono. Coincidenza vuole che all’indomani di quella telefonata si sia svolto ad Arcore un pranzo con i direttori delle principali testate riconducibili a Berlusconi. Tempo qualche altro giorno, il 22 gennaio, e il Giornale pubblica un servizio proprio su quella serata ischitana di quasi tre lustri fa, attaccando pesantemente Ilda Boccassini.
Un’idea dell’ampiezza dell’indagine traspare da un inciso dell’ordinanza con la quale il giudice Luigi Giordano ha disposto gli arresti domiciliari per Bisignani per tre ipotesi di favoreggiamento e ha chiesto il carcere per il deputato del Pdl Alfonso Papa.
Il gip cita infatti il titolo di un paragrafo della richiesta dei pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio che affronta, fra gli altri argomenti, “i rapporti con Gianni Letta e la presidenza del Consiglio dei ministri, quelli con l’Eni, con altri esponenti di governo, con i vertici dei servizi di sicurezza, con Dagospia”. Materiale che il magistrato, dopo aver escluso a carico di Bisignani e Papa le accuse di associazione per delinquere e di aver costituito un’associazione segreta, non ha ritenuto di “approfondire ed illustrare” perchè, sottolinea, riguarda “dichiarazioni e intercettazioni di persone non indagate”.
Da quelle pagine però emerge, rileva il giudice, “la rete di relazioni umane e professionali” nella quale Bisignani si muove da sempre “in modo disinvolto”.
Con lui si confrontava il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo in un colloquio intercettato e sul quale il ministro è stata poi anche ascoltata come testimone dai pm Curcio e Woodcock.
Anche altri componenti dell’esecutivo erano in contatto con l’influente uomo d’affari.
Come il sottosegretario per l’Attuazione del programma Daniela Santanchè, in favore della quale Bisignani sostiene di essersi speso per rimuovere il veto politico opposto dal presidente della Camera Gianfranco Fini dopo la scelta della Santanchè di guidare la Destra alle ultime elezioni politiche.
E sembra che anche Luca di Montezemolo avesse chiesto a Bisignani di valutare la possibilità di far confluire i consensi dell’Eni in Confindustria su un nome apprezzato dal presidente della Ferrari.
La caratteristica di Bisignani, ha spiegato ai pm uno dei testimoni, il presidente del Poligrafico dello Stato Roberto Mazzei, è quella di essere “un triangolatore. Difficilmente dice i fatti suoi a qualcuno. È uno che separa”.
Per poi, se necessario, unire.
Dario del Porto e Francesco Viviano
(da “La Repubblica“)
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Giugno 18th, 2011 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI GEMONIO: “ANCHE NEL PAESE DOVE VIVE BOSSI E’ STATO TRADITO DAL REFERENDUM: IL 53% E’ ANDATO A VOTARE”…”NELLA LEGA TROPPI POLTRONARI E TROPPA GENTE CON DOPPI INCARICHI”
Il ministro non c’è, è a romaladrona. Però c’è il vicino di casa. Il sindaco.
«È casuale, ci siamo trovati ad abitare uno a fianco all ‘altro». Anche se come larghezza via Verbano potrebbe competere con una pista da biglie (chiedere agli uomini delle scorte), si può supporre che tra Umberto Bossi e Fabio Felli, apprezzato primo cittadino di Gemonio, di beghe per il parcheggio non ne sorgeranno.
Felli, di mestiere imprenditore immobiliare, è un novizio della Lega, nel senso che nonostante sia al suo secondo mandato è iscritto al partito da appena un anno.
Di Bossi dice: «Ognuno è talmente impegnato nel suo che nessuno dei due interferisce».
Però magari succede che il sindaco è andato a votare al referendum-“sì” sull’acqua, “no” sul nucleare – e che l’invito del ministro a disertare le urne gli è «sfuggito», parole sue.
Tira una strana aria a Gemonio.
Di «attesa» e di nervosismo, nemmeno troppo velato.
Sono già accadute cose, altre possono accadere.
Per esempio, come chiedono molti, e tutti saranno a Pontida con le orecchie bene aperte, che «la Lega torni fare la Lega» e Bossi decida di mollare Berlusconi.
Felli spara una metafora a rilascio immediato: «Un conto è se sei bene in sella al cavallo, con le briglie in mano. Altro conto è se il cavallo sbanda e ti porta dove vuole lui. In questo caso è meglio scendere dal cavallo».
Inutile specificare chi sia il cavallo.
«Finora siamo stati in sella facendo i contorsionismi, di sbieco, cercando di stare in equilibrio in nome del benedetto federalismo fiscale. Adesso però è arrivato il momento di guardare a noi stessi e di sganciarci».
Saremo pure a casa del Capo, nel tempio dell’ortodossia leghista.
Sarà anche vero, ed è la prima cosa che ti fanno notare i nonni di Gemonio in piazza Vittoria, che Arcore ha tradito Berlusconi (è stato eletto un sindaco Pd) ma Gemonio non ha tradito Bossi (Felli è stato confermato l’anno scorso con il 47%).
Eppure, distinguo identitari a parte, il coro che si leva da questo borgo di case che lassù in alto abbraccia il castelletto dei Bossi e il vessillo col Sole delle Alpi che sventola in giardino, è netto. «Dobbiamo andare da soli. Berlusconi è bollito e avanti così fa bollire anche noi», ragiona il militante che rientra dal lavoro e trova chiuso il bar.
Chiusa anche la sede della Lega, quella dove l’anno scorso, prima di Capodanno, due petardi hanno fatto saltare la vetrina. «La sezione è aperta a tutti ogni lunedì sera dalle 21», è mestamente scritto su un cartello.
Accanto, il poster «Lega Nord, coerenza e serietà ».
Centro metri più in là , sulla bacheca in piazza denominata “Ur pur-tun, nutiziarii de Gimon”, c’è ancora l’avviso agli elettori del referendum.
Il quorum è stato del 53%, i “sì” oltre il 90%.
Per il Senatur, uno scorno.
Qualche impavido ha attaccato alla parete di legno l’invito al “pranzo in tricolore” (dall’antipasto al dolce) organizzato al centro socio assistenziale: c’è solo da augurarsi che il ministro non passi di qui.
Che cosa sta covando nella roccaforte del Carroccio?
Quali pensieri agitano la provincia varesotta, l’officina che ha sfornato gran parte della sua classe d ir gente? «La nostra gente è stanca di annunci e di balle, vuole risultati concreti, palpabili». Stefano Candiani, sindaco di Tradate e segretario provinciale dei lumbard, è un leghista della prima ora.
«Io sono secessionista, ma se vuole mi contengo e dico: basta stare dietro alla riforma della giustizia, ai bunga bunga e a tutte le puttanate di Berlusconi. Non puoi aspettare che arrivi una goccia d’acqua alla bocca quando sei arso dalla sete».
Da Pontida Candiani dice che si aspetta una presa di consapevolezza «forte» da parte di tutti. «Facciamola finita coi compromessi. Ci vuole un ritorno alle origini. Perchè anche tra di noi di poltronari e di gente che mantiene doppi incarichi ce n’è in giro troppa».
Grande è il disagio dopo la doppia scoppola ammministrativo-referendaria.
Un malessere che si aggiunge a quello provocato dai tagli del “prudente” Tremonti.
Risultato: i sindaci varesini sono fuori dagli stracci.
Matteo Bianchi : «Se non hanno coraggio per le riforme, a partire dal ministro dell’economia, meglio mollarli».
Il capopopolo della lotta ai tagli di Tremonti è Attilio Fontana, confermato borgomastro di Varese, maroniano doc.
«Il disagio dei leghisti? E’ la logica conseguenza della falce che si è abbattuta sugli enti locali lasciando invece intatti gli sprechi nel resto della pubblica amministrazione. La Lega è a un bivio: conviene sceglierebene la strada».
Chequalcosa si sarebbe ingolfato qualcuno lo aveva previsto.
Daniele Marantelli, il pontiere tra il Pd e il Carroccio, amico di Bossi e di Maroni, guarda le acque agitate. «Dicevano che la Lega aveva la golden share del governo. Invece era il contrario: il padrone era Berlusconi. Adesso se ne sono accorti».
Berizzi Paolo
(da “La Repubblica“)
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Giugno 18th, 2011 Riccardo Fucile
LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO STABILISCE CHE NON ANDAVA TRASFERITA A CREMONA…DAL PROCESSO PER I SOLDI IN IRAQ, AL PESTAGGIO DI UN EGIZIANO SUL BUS AD OPERA DI DUE AGENTI AL PROCESSO “ABBIAMO UNA BANCA”: UN GIUDICE SCOMODO AL POTERE POLITICO
Vi ricordate di Clementina Forleo?
Nel gennaio 2005 le capitò un processo per associazione terroristica: trasferivano soldi in Iraq e fornivano documenti falsi.
Condannò gli imputati per i documenti falsi e li assolse per l’associazione terroristica. Disse che il loro paese era in guerra e che quelli erano atti di guerra e non di terrorismo.
La cosa non piacque per niente ai politici e nemmeno alla maggior parte dei cittadini, eccezion fatta per quelli che capivano di diritto.
Poi la Corte d’appello confermò la sentenza; ma lei rimase per tutti il giudice che proteggeva i terroristi.
Anche perchè era proprio sfortunata. Pochi mesi dopo questa sentenza, nel luglio 2005, mentre passeggiava per Milano, vide due poliziotti che prendevano a calci un tizio steso a terra; la gente intorno applaudiva.
Lei intervenne per fermare il pestaggio.
I poliziotti le chiesero trucemente i documenti e poi la querelarono per ingiurie e diffamazione.
Il povero massacrato (un egiziano) non fu nemmeno arrestato, forse non aveva fatto niente?
Poco dopo uno dei due poliziotti fu cacciato dalla Polizia: una telecamera lo aveva ripreso mentre pestava un peruviano ammanettato.
Il processo a Forleo durò una vita e si concluse con l’archiviazione.
Csm, Anm e partiti tradizionalmente vicini alla povera gente non le espressero solidarietà ; forse perchè, nel frattempo, a Clementina gliene era capitata un’altra: il processo per le scalate bancarie (giugno 2005).
I telefoni avevano chiacchierato tanto e, tra gli altri, erano stati beccati D’Alema, Fassino e Latorre. “Facci sognare”, “Ho parlato con Bonsignore, se vi serve resta, evidentemente è interessato a latere a un tavolo politico” (D’Alema a Consorte), “Noi lanciamo l’Opa quando abbiamo il 51 per cento. Noi abbiamo già in mano il 51 per cento” (Consorte a Fassino), “Speriamo di andare in porto” (Fassino a Consorte), “Non è che non abbiamo soldi per farla, è che non possiamo farlo se no ci accusano di aggiotaggio e di insider. Quindi chi deve comprare deve essere un terzo” (Consorte a Latorre), “Uhm vabbè, no perchè domani mattina allerto Massimo su queste cose” (Latorre a Consorte).
Di quello che dicevano questi onorevoli non gliene fregò niente a nessuno, per la pubblicazione delle telefonate (all’indomani dell’arrivo in Parlamento della richiesta di autorizzazione) successe un casino.
Ad Annozero Clementina disse che aveva avuto un sacco di grane (ma va?) e così le fecero un procedimento disciplinare (da cui venne assolta) e uno per trasferimento di ufficio.
D’Alema, Fassino e Latorre, nemmeno iscritti nel registro degli indagati.
Tra i componenti del Csm che “curarono” Forleo c’era tale professoressa Vacca che, mentre erano in corso i processi, raccontò a giornali e televisioni che Forleo (e De Magistris, ma guarda che combinazione) erano “cattivi magistrati”, “figure negative”, espressione di una “magistratura non seria” da sanzionare per il loro comportamento “devastante”.
Un giudice che anticipa la sentenza! Da cacciare in malo modo.
Invece niente: Vacca partecipò alla decisione e Forleo venne trasferita.
Finì a Cremona e li lavora tranquilla.
Adesso arriva il Consiglio di Stato. il processo del Csm era nullo: l’astensione della prof. Vacca andava valutata (qualsiasi modesto giurista sa come sarebbe finita…); e comunque Forleo non doveva essere trasferita.
Insomma, pesci in faccia per tutti.
E adesso? Io direi a Clementina di restarsene a Cremona; come si dice, ha già dato. Ma mi sa che lei è una che non molla…
Bruno Tinti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 18th, 2011 Riccardo Fucile
COI FEDELISSIMI DEL CERCHIO MAGICO ORMAI PASSA LE SERATE IN PIAZZA NAVONA, FREQUENTA FESTE E SI DIVERTE…STA A BRIGARE PER PARAGONE A RAI2 COME UN NICOLAZZI DELLA PRIMA REPUBBLICA
Sempre più spesso Umberto Bossi indugia fino a tardi al caffè Barocco in piazza Navona, a godersi la molle notte di Roma, sempre attorniato dai fedelissimi del “cerchio magico”, e talvolta Berlusconi lo porta pure a qualche festa, come accadde a febbraio per il compleanno dell’antiquaria Annamaria Quattrini, e qui il Senatur si ritrovò in compagnia di Pippo Franco, Gigi Marzullo, Pamela Prati, il finanziere Camillo Bellavista Caltagirone, ed era come stare al Bagaglino.
Silvio diede fondo a tutte le sue barzellette, “ma molto garbate”, come ebbe a precisare una delle invitate, e si poteva ascoltare musica al piano bar: Umberto insomma si divertì moltissimo. Un mese fa uscì poi sull’Espresso un trafiletto che raccontava la fuga delle giovani croniste di Montecitorio all’apparire di Bossi alla Camera: “Il Senatur con il premier ha in comune anche la passione per le belle donne” si precisava nell’articolo la ragione del fuggi fuggi.
“E a noi vanno bene anche quelle che scarta Berlusconi”, come puntualizzò ridendo un ministro della Lega in pieno scandalo Ruby.
Roma, scriveva Giancarlo Fusco, è quel posto dove si discute intere mezz’ore quale ristorante scegliere per andare a cena.
E quindi al Nord si sentono traditi da chi tiene in vita il governo doroteo Berlusconi-Scilipoti.
“Io a Pontida non vado: questa Lega è diventata troppo romana”, spiegava ieri al Tg 3 delle 19 un giovane militante lumbard intervistato in provincia di Padova.
Ma il partito sembra avere la testa altrove e traffica per sistemare come direttore di Raidue Gianluigi Paragone, come avrebbe fatto un qualunque Nicolazzi ai tempi del pentapartito.
Bossi ormai non sembra avere nè la forza di rovesciare il tavolo del governo, nè di fargli cambiare marcia.
Galleggia.
Un tempo le sue frasi erano brutali sentenze mentre ora nessuno capisce più quel che dice, e disperatamente si tenta di distillare del senso politico mentre fa pollice verso, spernacchia, gorgheggia cose incomprensibili del tipo “oggi c’è il sole, non si va a elezioni” che alla fine diventano comunque titoli di giornale.
Il destino del Paese, domenica a Pontida, è nelle mani di un leader così.
(da Ritagli)
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Giugno 18th, 2011 Riccardo Fucile
DURANTE LA CAMPAGNA ELETTORALE PER LE REGIONALI IN CALABRIA DEL 2010 INCONTRO’ IL BOSS GIUSEPPE PELLE… DURE CONDANNE ANCHE PER ALCUNI APPARTENENTI AL CLAN PELLE E FICARRA
Quattro anni di carcere. Tanto l’ex consigliere regionale del Pdl Santi Zappalà dovrà scontare per il gup Daniela Oliva di Reggio Calabria che, ieri pomeriggio, ha emesso la sentenza di primo grado del processo “Reale”.
Gli è costato caro l’incontro a casa del boss della ‘ndrangheta Giuseppe Pelle durante la campagna elettorale per le regionali del 2010.
Condannato, dunque, per corruzione elettorale aggravata dalle modalità mafiose.
Il giudice per le udienze preliminari ha accolto in pieno la richiesta del pubblico ministero Giovanni Musarò, infliggendo complessivamente circa 200 anni di reclusione agli imputati che hanno scelto il rito abbreviato.
L’abitazione del mammasantissima di San Luca era diventata un luogo di pellegrinaggio per i candidati a Palazzo Campanella.
Quarto degli eletti nella lista del Pdl con 11052 voti, Zappalà non si è tirato indietro davanti a una tappa obbligata per chi vuole rastrellare voti negli ambienti mafiosi.
Una sorta di santuario dove chiedere consensi in cambio di appalti.
Ambienti dai quali, come ha affermato nel corso di un’intercettazione telefonica lo stesso Giuseppe Pelle, potrebbero essere eletti ben sei consiglieri regionali.
Un partito della ‘ndrangheta seduto allo stesso tavolo della politica e delle istituzioni.
Nel corso delle indagini, i carabinieri del Ros aveva filmato Zappalà mentre, a bordo della sua Alfa 159, arrivava a Bovalino intercettando anche le conversazioni con il boss il quale ha garantito il suo appoggio e quello della potente famiglia mafiosa dei Pelle.
“Da parte nostra, dottore, ci sarà il massimo impegno” è la frase che il figlio del patriarca ‘Ntoni Gambazza ha riferito a Zappalà che conferma la tendenza di come, oggi, siano i politici a rivolgersi ai mafiosi e non viceversa.
Un impegno non disinteressato certo.
Se Zappalà chiede i voti, la cosca pretende una contropartita. Un “do ut des” insomma che, oltre all’odore delle schede elettorali, aveva il sapore degli appalti.
Ed è un imprenditore, Giuseppe Antonio Mesiani, presente all’incontro tra il mafioso e il politico, a spiegare le condizioni del “patto elettorale”: “Quando sposo una causa e quindi io e gli amici miei diamo il massimo, nello stesso tempo noi desidereremmo avere quell’attenzione per come poi ce la accattiviamo, per simpatia ma per amicizia prima di tutto”.
Chiaro, gentile ma, allo stesso tempo, fermo e consapevole di fornire a Zappalà l’unica condizione possibile per usufruire dei voti dei “santolucoti”: la ‘ndrangheta garantisce l’elezione, il politico gli appalti alle ditte di riferimento della cosca.
Non si scappa. L’ex sindaco di Bagnara Santi Zappalà , però, non era il solo ad aspirare al pacchetto di voti di Peppe Pelle.
Con lui, a dicembre, sono stati arrestati, altri candidati (di centrodestra e di centrosinistra) al consiglio regionale della Calabria che si erano recati durante la campagna elettorale a casa del boss.
Zappalà era stato arrestato inizialmente con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio.
Il primo reato, però, è caduto davanti al Tribunale della Libertà che, pur lasciando in carcere il consigliere regionale, aveva ridimensionato l’impianto accusatorio nei suoi confronti.
Impianto accusatorio che rimane, tuttavia, grave e che oggi ha portato alla condanna a 4 anni di carcere per Santi Zappalà e di tutti gli altri candidati coinvolti nell’inchiesta.
L’inchiesta “Reale” è molto più vasta di quella che, ieri, è arrivata a sentenza.
Non solo politica. Alcuni filoni dell’indagine portano alla talpa Giovanni Zumbo che, informava, i boss Giovanni Ficara e Giuseppe Pelle sull’operazione “Crimine” e “Infinito” e sulle altre attività investigative dei carabinieri sulle rispettive famiglie mafiose.
Un commercialista, coinvolto in un giro di servizi segreti e ‘ndrangheta, sulla cui figura ancora aleggiano tante, troppe ombre.
Uno squarcio anche sull’Università di Reggio Calabria dove il figlio del boss Pelle era in grado di sostenere un numero elevato di esami in pochi mesi, per poi scrivere le lettere dal carcere con errori grammaticali che lasciano pensare ai compiti di uno scolaro delle elementari.
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