Giugno 8th, 2011 Riccardo Fucile
DEFINIRSI SOLO MODERATI E RIFORMATORI NON PORTA A NULLA SENZA UNA CULTURA POLITICA DI RIFERIMENTO E UN PROGETTO PER L’ITALIA… LA POSIZIONE SUI REFERENDUM E LA “LIBERTA’ DI VOTO” DIMOSTRA AMBIGUITA’ CULTURALE E DENOTA UNA POLITICA DI PICCOLO CABOTAGGIO
Comprendo che parlare di “Futuro e Libertà ” sia come commentare non certo il viaggio del Rex da Genova a New York con una rotta precisa e una velocità programmata, ma più il sofferto itinerario di uno scafo in partenza dalla Tunisia e diretto a Lampedusa.
Una barca di profughi dal Pdl, cacciati o espulsi dalla guerra civile interna a quel regime dove comanda un dittatore da Repubblica delle banane.
Sanno che vogliono trovare un porto accogliente e diverso, ma non conoscono molto della destinazione prescelta come tappa finale.
Un viaggio tra mille difficoltà , peraltro previste, tra marosi e onde anomale, con la barca talvolta che oscilla pericolosamente sotto la furia del mare, un po’ a destra, un po’ a sinistra.
Con qualche scafista che vorrebbe convincerti a buttarti in mare e qualche altro a tornare alla madre patria.
Sintetizzeremmo che il problema è la scarsa conoscenza delle carte nautiche, nel caso specifico della rotta da seguire e di dove si voglia attraccare e mollare gli ormeggi.
La riunione di ieri della classe dirigente di Futuro e Libertà ha accresciuto le nostre perplessità . Fini ha sostenuto, a proposito dei referendum, che Fli “deve essere coerente con le decisioni prese in passato”. A detta di molti ossservatori concetto assai vago.
Finora è noto che Fli abbia solo dato “una non indicazione di voto”, ma al tempo stesso invitato ad andare a votare.
Così nel partito abbiamo sentito di tutto: dalla minoranza di Urso e Ronchi che scavalca persino il Pdl e chiede 4 No, a Granata e al gruppo “futurista” che annuncia 4 Sì, passando per Bocchino e Della Vedova che sono per due Si e due No (sull’acqua pubblica).
Iniziamo dalla coerenza presunta invocata da Fini: se tale fosse, Fli dovrebbe votare 4 No perchè il decreto sull’acqua pubblica porta la firma di Ronchi, la legge sul nucleare gli autografi di Fini, Urso e Raisi e sul decreto relativo al legittimo impedimento i finiani votarono a favore.
Ma dato che è stato fondato apposta un nuovo soggetto politico, altrimenti avrebbero potuto rimanere tutti nel Pdl, bastava dire: “ci siamo sbagliati, chiediamo scusa, ora la pensiamo così perchè abbiamo questo nuovo modello di riferimento della società e questo nuovo progetto per l’Italia”.
Ci voleva così tanto per azzerare il passato e ricominciare su basi nuove?
Era necessario richiamarsi a una presunta coerenza solo per tamponare le grida isteriche di qualche zitella politica rimasta, invece che senza marito, senza poltrona?
E quella ossessiva ripetizione “non saremo mai una costola della sinistra” che fa solo il gioco di chi la mette proditoriamente in giro?
Perchè non si dice con altrettanta coerenza che “non saremo mai le frattaglie della becerodestra affaristico razzista”?
Ma se ci vuole coerenza nei comportamenti , ce ne vorrebbe ancora di più sui contenuti.
Facciamo un esempio referendario che giunge a fagiolo.
E’ stato detto al Congresso di Fli che si vuole creare “una nuova destra repubblicana, fondata sul rispetto e la valorizzazione delle istituzione e basata sulla meritocrazia”: Stato efficiente, unità nazionale, laicità , libertà .
Ebbene una forza politica di Destra, forte di questo retroterra culturale, di fronte alla scelta tra gestione pubblica e privata della risorsa acqua, dovrebbe secondo voi cederla ai privati perchè qualche “istituzione” non riesce a gestirla al meglio o non piuttosto rendere efficienti le istituzioni?
Una forza di destra non dovrebbe avere l’orgoglio di far sì che la propria macchina burocratica funzioni come un orologio svizzero?
O dovrebbe rassegnarsi a far lucrare i privati su presunte liberalizzazione del menga su beni pubblici?
Che destra è quella che abdica al proprio ruolo storico di efficienza e pulizia a casa propria per consegnare le chiavi della propria abitazione a una società esterna di pulizia?
Col risultato di penalizzare gli italiani che vedranno aumentare le tariffe come sta già accadendo.
Che destra è quella che non sa che città come Monaco, Parigi e Valencia sono tornate dal privato al pubblico?
Sarà forse la destra di Romani, di Berlusconi e di Ronchi, non la nostra.
Ma allora Bocchino eviti di dire sciocchezze, si documenti, non si vive solo di mediazioni per non far sentire strillare le oche di cortile.
Fli non può essere il partito dell’eterno Ni: Ni sui referendum, Ni sui ballottaggi, Ni sulla strategia, Ni sul progetto futuro, Ni nel sostituire dirigenti locali nullafacenti.
L’andazzo ricorda tanto un aneddoto di molti anni fa.
Un estremista che chiede a un altro : “Allora quando facciamo la rivoluzione?” e l’altro che risponde: “Stasera no, devo andare a cena fuori con la fidanzata”.
Un partito piccolo appena nato ha bisogno di scelte precise, di solide radici culturali e sociali, di coraggio nelle decisioni e di una classe dirigente sintonizzata.
Altrimenti si finisce in mare e non si arriva neppure a Lampedusa.
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Giugno 8th, 2011 Riccardo Fucile
LA MAGGIORANZA PROPONEVA UN COMITATO PRESIEDUTO DAL PREMIER, L’OPPOSIZIONE UNA AUTORITA’ INDIPENDENTE: “NON VOGLIAMO LA VOLPE A DIFESA DEL POLLAIO”… SEDUTA SOSPESA E POI DI NUOVO SOTTO
Seduta sospesa al Senato dopo che la maggioranza è stata battuta su un emendamento al disegno di legge anticorruzione, presentato da Lucio Malan (Pdl), relatore in commissione Affari costituzionali, che modificava l’intero articolo 1 della provvedimento.
La maggioranza è stata battuta con 133 no, 129 sì e cinque astenuti.
L’articolo in questione fa riferimento all’istituzione di un comitato di coordinamento delle iniziative anticorruzione presieduto dal presidente del Consiglio.
L’opposizione ha votato contro l’emendamento perchè punta alla creazione di un’Authority indipendente dal potere esecutivo.
Il sottosegretario alla Pubblica amministrazione, Andrea Augello, ha affermato che «con la bocciatura dell’emendamento è di fatto caduto l’intero articolo 1 del provvedimento».
Il presidente di turno dell’assemblea, Domenico Nania, ha sospeso la seduta per dare tempo al governo di esprimersi sugli emendamenti che sarebbero stati soppressi nel caso in cui fosse passato quello bocciato.
L’aula di Palazzo Madama aveva ripreso in mattinata l’esame del ddl di iniziativa governativa.
Dopo la discussione generale e la replica del governo, l’assemblea aveva cominciato l’esame degli oltre 200 emendamenti presentati da opposizione e maggioranza.
Il ddl governativo, modificato in commissione e destinato a un ulteriore rimaneggiamento in Aula, è composto da 13 articoli e si basa su tre linee guida: le misure per la prevenzione della corruzione, a partire dall’istituzione del Piano nazionale anticorruzione ispirato ai contenuti dalla Convenzione Onu sulla materia; le norme relative ai controlli negli enti locali; le disposizioni per la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione.
«Abbiamo battuto il governo e la maggioranza su un punto qualificante», ha esultato Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd.
«La maggioranza propone contro la corruzione un comitato presieduto dal premier, noi siamo per un’autorità indipendente. Non vogliamo la volpe a guardia del pollaio».
Sempre nell’ambito del ddl anticorruzione, la Lega Nord ha votato contro un emendamento bipartisan che obbliga «coloro che occupano cariche pubbliche o assumono pubblici impieghi» a giurare fedeltà alla Costituzione al momento dell’assunzione.
L’emendamento è passato con 214 sì, trenta no e undici astenuti.
Dopo la sospensione della seduta alla ripresa delle votazioni la maggioranza è andata ancora sotto su un emendamento della senatrice del Pdl Ada Spadoni Urbani, appoggiato dall’esecutivo.
L’emendamento cassato prevedeva la rotazione dei dirigenti sia nelle amministrazioni dirette centrali che in quelle periferiche.
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Giugno 8th, 2011 Riccardo Fucile
IL CENTRODESTRA SEMPRE PIU’ COESO: LA LEGA ACCATTONA ORA SI ACCONTENTA DI RACCOGLIERE 50.000 FIRME DELLE QUALI POTRA’ FARE LO STESSO USO CHE BOSSI VOLEVA FARE DEL TRICOLORE…PERSINO LA BASE LEGHISTA CRITICA IL VERTICE: “SOLO DEMAGOGIA”
Uffici di rappresentanza? Dicasteri minori, senza portafoglio? Neanche per idea.
La Lega insiste sul trasferimento di ministeri al Nord e l’ultima plateale sortita sul tema da parte di Roberto Calderoli compatta Roma e gli enti locali del Lazio in una sdegnata protesta.
Ieri il ministro leghista della Semplificazione ha depositato presso l’ufficio centrale elettorale della Cassazione la richiesta per una proposta di legge popolare sulla territorializzazione dei ministeri e delle altre amministrazioni centrali.
Serviranno 50mila firme.
La raccolta partirà il 19 giugno da Pontida, durante il tradizionale raduno della Lega.
In pratica è l’equivalente della proposta di legge di un singolo deputato, tanto valeva presentarla in Parlamento.
Un misero bluff da presentare ai gonzi di Pontida per evitare di essere spernacchiati anche là .
Data e luogo, così simbolici e provocatori, rivelano il bisogno dei vertici leghisti di recuperare terreno nei riguardi di una base delusa dei tanti compromessi a cui si è scesi col Pdl.
Ma serve ben altro, come ieri a Radio Padania hanno chiarito molti ascoltatori, poco entusiasti dell’iniziativa di Calderoli: “solo demagogia” il senso di tanti interventi sull’emittente.
Ben più sprezzante il giudizio di Giancarlo Galan a Radio Radicale: “E’ una puttanata intercontinentale e mi meraviglio che non la si tratti come tale – dichiara il ministro della Cultura -. E’ semplicemente una iniziativa propagandistica che mette in difficoltà gli alleati e che non ha alcuna possibilità di essere attuata”.
Ma la propaganda altrui non è giustificazione sufficiente a placare lo sdegno di Gianni Alemanno. “E’ “inaccettabile che Roma come Capitale sia sempre sotto pressione. Siamo veramente stanchi” sbotta il sindaco.
E in un’intervista al Messaggero aggiunge che “la proposta di Calderoli va contrastata con tutti i mezzi”.
“E’ inaccettabile – prosegue il sindaco – che un ministro promuova una proposta di legge popolare in contrasto con quelli che sono gli accordi di governo e la linea che l’esecutivo, seppur faticosamente, cerca di darsi”.
Proprio al governo, il sindaco di Roma sollecita un “ulteriore chiarimento”, ma se l’iniziativa della Lega dovesse andare avanti “con la sponsorizzazione di ministri”, allora “diventerebbe inevitabile chiedere le dimissioni di Calderoli e degli altri ministri sostenitori della proposta”.
Al quotidiano romano, Alemanno rivela di aver già sentito in proposito il neo segretario politico del Pdl, Angelino Alfano, che lo avrebbe rassicurato sulla possibilità di “riuscire a spegnere le velleità del Carroccio”.
Di “affronto alla Capitale” parla apertamente Renata Polverini, presidente della Regione Lazio. Un affronto che, secondo la governatrice, “alimenta divisioni e distrae da questioni più urgenti”.
“Occorre fare chiarezza su questo presunto accordo – aggiunge la Polverini su Messaggero.it -. La sede naturale dei ministeri è e resta la Capitale. Come più volte ho avuto modo di ribadire non c’è alcuna ragione, nè politica nè amministrativa, per procedere a trasferimenti, si trattasse pure di uffici di rappresentanza, che avrebbero solo ripercussioni negative sui lavoratori e sull’operatività dei dicasteri stessi”.
Il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, si rivolge “a tutti i parlamentari di Roma e Lazio” chiedendo loro “di associarsi alla richiesta di dimissioni di questo Governo”. Zingaretti si rivolge anche agli stessi Alemanno e Polverini: “Vediamoci, uniamo le istituzioni e convochiamo insieme i parlamentari di tutti gli schieramenti per trovare una posizione comune”.
Sulle pagine di Repubblica si fa sentire anche Saverio Romano, ministro delle Politiche Agricole. “Se l’obiettivo politico è far perdere centralità a Roma, allora non possiamo essere d’accordo, non possiamo accettarlo”.
Se invece l’obiettivo leghista è una riforma puramente strutturale per assecondare la filosofia federalista, Romano evidenzia come “mettere su altri dicasteri, spostarli, non farebbe che accrescere i costi, farebbe lievitare le spese. E non possiamo proprio permettercelo”.
Concetto ribadito ancora da Galan a Radio Radicale, secondo cui l’iniziativa di Calderoli “è sgradevole e inutile anche perchè dà la sensazione che chi dovrebbe battersi per risparmiare nella spesa pubblica in realtà la dilata, chi dovrebbe contrarre la pubblica amministrazione in realtà la dilata. Insomma un errore fondamentale, marchiano, evidente sotto tutti i profili”.
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Giugno 8th, 2011 Riccardo Fucile
SILVIO “PERSEGUITATO” DA UN ALTRO NEMICO: ORA TOCCA AL MINISTRO DELL’ECONOMIA… LA LEGA MANIFESTA ORMAI INSOFFERENZA, NON SANNO COME USCIRNE
C’è un tarlo che in questi giorni tiene sveglio Silvio Berlusconi, impegnato in un braccio di ferro con il ministro dell’Economia per arrivare al sospirato taglio delle tasse.
Un sospetto che gli è stato soffiato nell’orecchio da alcuni ministri del Pdl, categoria nella quale non abbondano gli amici di Tremonti.
Il timore del Cavaliere è che il ministro dell’Economia, certo per tutelare il paese da una tempesta sul debito, certo per ottemperare agli obblighi assunti in sede europea, certo per assicurare un futuro ai risparmi degli italiani, sotto sotto stia anche giocando una sua partita molto personale.
«Tremonti vuole andare al Quirinale al posto tuo», gli suggeriscono i suoi uomini.
E il premier, stupito dall’ostinazione con cui il ministro si oppone a qualsiasi ipotesi di abbassamento della pressione fiscale, se ne starebbe convincendo davvero.
È l’incubo “Ciampi”, quello che tiene sveglio Berlusconi.
Il fantasma di un ministro dell’Economia che salva i conti italiani, si trasforma in un ” padre della patria” e viene sospinto con tutti gli onori (e i voti del centrosinistra) sul Colle più alto.
Vanificando così ogni sogno del Cavaliere di finire la sua carriera politica entrando nel Pantheon della Repubblica.
Con questi pensieri in mente Berlusconi si prepara al duello decisivo con il ministro, che ieri si è fatto forte del richiamo di Bruxelles all’Italia per orientare ogni euro in più alla riduzione del debito pubblico.
Senza pensare quindi a tagliare le tasse.
Oggi Berlusconi riunirà lo stato maggiore del Pdl, coordinatori, segretario politico e capigruppo per mettere sul tavolo le richieste da portare al ministro dell’Economia. Lunedì nuovo incontro ad Arcore con Tremonti e Bossi. Si spera quello decisivo. Durante lo scorso ufficio di presidenza del Pdl era stato proprio Tremonti, poco prima dell’inizio della riunione, a chiedere a Berlusconi di non aprire la discussione sulla riforma fiscale.
«Oggi limitiamoci a parlare di politica, ti prego–gli ha chiesto il ministro – e mi impegno a fornirvi qualche utile materiale per impostare la discussione la prossima settimana».
Quel materiale non è ancora arrivato e il Pdl non intende più aspettare.
«Il problema non è Tremonti – spiega Ignazio La Russa– perchè il rigore lo abbiamo accettato tutti. Ma dobbiamo prendere esempio dalla sinistra, che nei momenti di crisi ha sempre avuto un occhio di riguardo peri suoi ceti sociali di riferimento. Si può fare, anche stressando i conti pubblici, perchè è necessario dare risposte ai cittadini: partiamo intanto dai militari, dai lavoratori autonomi, dai giovani in cerca di lavoro. La riforma del fisco va bene, ma intanto bisogna fare delle scelte selettive su chi si può aiutare subito».
Anche il Carroccio scalpita per ottenere qualcosa.
Ieri il capogruppo a Montecitorio, Marco Reguzzoni, si è preso sottobraccio Niccolò Ghedini, il consigliere del premier, ed entrambi si sono chiusi nella stanza del presidente del Consiglio per telefonare a Berlusconi.
Reguzzoni ha annunciato al premier la mozione (poi approvata) che impone a Equitalia di usare la mano leggera con gli evasori che non sono in grado di pagare. Una mozione che il capo del goveno è stato felice di avallare: «Benissimo, avanti così».
Un altro leghista ieri se l aprendeva espressamente con Tremonti: «Vuole imporci una manovra da 40 miliardi e non riesce a trovarne dieci per il quoziente famigliare?». Insomma, anche la Lega è scossa dal «mal di tasse» che ne ha decretato la sconfitta elettorale.
E reclama una soluzione miracolistica dal ministro dell’Economia.
Lo stesso Umberto Bossi, parlando alla Padania, si guarda bene dall’assumere la difesa della linea rigorista.
«Sono Berlusconi e Tremonti a dover trovar la quadra», premette il Senatur.
Certo, il leader del Carroccio ammette che «dovremo stare molto attenti, perchè non dobbiamo tenere conto solo dell’Europa, contano anche i grandi mercati: Londra, New York…quindi, bisogna essere cauti».
E tuttavia, aggiunge perentorio, «alla fine Tremonti dovrà trovare il modo di ridurre un po’ le tasse per le famiglie e per le imprese».
Il 19 giugno a Pontida Bossi intende arrivarci con qualcosa di più concreto che non la kafkiana duplicazione dei ministeri al Nord.
Anche perchè di quella e non di altro si sta parlando.
«L’accordo c’è – rivela Niccolò Ghedini – e riguarda solo l’apertura di uffici di rappresentanza dei ministeri a Milano. I leghisti? Lo sanno benissimo anche loro e infatti ieri ad Arcore ne abbiamo parlato con assoluta tranquillità . Del resto questi uffici a Milano già esistono da tempo e diversi ministri li usano per i loro incontri». Ogni lunedì ad esempio, tanto per restare in tema, nel suo “ufficio distaccato” di Milano, il ministro Tremonti dà appuntamento alla gente che conta: imprenditori, ma soprattutto banchieri.
Bei Francesco
(da “La Repubblica“)
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Giugno 8th, 2011 Riccardo Fucile
UNA MOSSA PER RECUPERARE I MANCATI INTROITI PUBBLICITARI: SI STUDIA L’INSERIMENTO DEL CANONE NELLA BOLLETTA ELETTRICA
E adesso il governo studia l’aumento del canone.
Una bella cura da cavallo, stavolta, non l’euro e 50 centesimi del ritocco 2011.
Ci sono i costi del servizio pubblico che galoppano, certo, ma dal prossimo anno andrà compensato – tra le altre voci in perdita – anche il mancato introito pubblicitario del prime time del giovedì su Raidue, che con Santoro e Annozero ha garantito dal 2006 incassi a sei zeri.
Quando ieri mattina il ministro alle Comunicazioni Paolo Romani ha chiamato il direttore generale Rai Lorenza Lei per congratularsi del benservito a Michele Santoro, per aver compiuto “con successo” la missione nella quale aveva fallito per due anni l’ex Mauro Masi, l’impegno (verbale) è stato preso.
La dg le congratulazioni le ha incassate, ma ha anche esternato tutte le sue preoccupazioni per le prospettive non rosee dell’azienda di Viale Mazzini.
E l’ex imprenditore televisivo milanese, vicinissimo al premier, su questo è stato in grado di sbilanciarsi, promettendo un intervento del governo.
Il dossier “canone” è sulla scrivania di Romani. E tra le ipotesi contempla anche la possibilità di agganciarne il pagamento alla bolletta elettrica.
Espediente ritenuto utile per combattere l’evasione, che sulla tv è ancora dilagante.
Nella stagione televisiva che sta per concludersi, il programma di Santoro ha avuto una media di 5,8 milioni di spettatori, con uno share del 20,71, stando ai dati diffusi dallo staff di Annozero. Garantendo così a Raidue il successo in prima serata il giovedì: il 12 per cento in più rispetto alla media di rete.
Non è un caso, d’altronde, se ieri a Piazza Affari i titoli de La7, la TiMedia, hanno subito un balzo del 17,56 per cento, dopo le indiscrezioni sul passaggio di Santoro alla controllata Telecom.
Una crescita del valore delle azioni in Borsa stimato in 29 milioni di euro.
A tutto questo, meglio, al già previsto crollo pubblicitario la Rai chiede al governo di porre rimedio.
E l’unica leva sarà appunto il canone (oggi già a 110,50 euro).
La pillola amara al contribuente sarà somministrata a fine anno, quando Tesoro e Comunicazioni dovranno annunciare che l’aumento di 1,50 euro del 2011 non è stato sufficiente.
Ha permesso d’altronde di incassare 30 milioni di euro in più, poca cosa, appena il 10 per cento rispetto ai 300 milioni di fabbisogno che aveva stimato la dirigenza Rai.
Tutto questo, al momento, al presidente del Consiglio Berlusconi interessa poco, raccontano. Soddisfatto com’è del risultato raggiunto con la liquidazione di Santoro.
Anche perchè al momento della nomina della Lei, il Cavaliere non aveva fatto mistero con la dg del suo personale auspicio. Suo, ma non di Fedele Confalonieri.
Sembra che già ieri il numero uno di Mediaset abbia confidato al vecchio amico di sempre tutte le sue preoccupazioni per i pezzi pregiati che la Rai sta “regalando” a La7, con tutte le ripercussioni che il terremoto dei palinsesti avrà sullo share della tv in chiaro dal prossimo autunno.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Giugno 8th, 2011 Riccardo Fucile
SI E’ RAGGIUNTO IL FONDO IN CAMPIDOGLIO: LA GUERRA PER BANDE DEI PIDIELLINI FA UNA VITTIMA ILLUSTRE…I RAMPELLIANI ERANO FUORI DALL’AULA…L’IRA DI AIUTI: “MI DISSOCIO DA QUESTO MODO DI FARE POLITICA, SONO AMAREGGIATO”
Manca il numero legale, in aula Giulio Cesare al momento della votazione della delibera per il conferimento della cittadinanza onoraria al maestro Riccardo Muti.
A far cadere il numero, poco prima della votazione della delibera, è stato il gruppo dei rampelliani, interno alla maggioranza, che con il consigliere comunale Federico Mollicone (Pdl) si era detto in disaccordo con la decisione di «votare a conclusione di una seduta di assemblea capitolina e senza un adeguato dibattito, una delibera così importante, che meriterebbe una discussione appropriata e allargata anche al futuro del teatro dell’Opera».
A conclusione del suo intervento, Mollicone ha comunque sottolineato di essere «favorevole al conferimento della cittadinanza onoraria al maestro Muti».
Dopodichè, ha fatto sapere di non voler partecipare al voto della delibera e ha annunciato di lasciare l’aula.
Lo hanno seguito i rampelliani Andrea De Priamo e Lavinia Mennuni, oltre ad altri consiglieri di maggioranza e opposizione.
«Come uomo di cultura e scienza mi sento amareggiato per la pessima figura fatta dal Consiglio comunale di Roma nei confronti del maestro Muti. C’era una proposta del sindaco Alemanno per dare la cittadinanza onoraria al maestro, ma il presidente della Commissione Cultura, Federico Mollicone, non era d’accordo. L’opposizione ha quindi chiesto la verifica del numero legale che alla fine è mancato».
Lo afferma il presidente della Commissione consiliare Speciale Politiche Sanitarie del Comune di Roma. «Ritengo che non su queste cose – aggiunge – si debba consumare la lotta intestina del Pdl. Io mi dissocio da questo modo di fare politica».
E pensare che Muti è osannato in tutto il mondo: solo a Roma la sciatteria politica della nostra classe dirigente può arrivare al punto di esporre l’Italia a una figuraccia internazionale
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Giugno 8th, 2011 Riccardo Fucile
SHARE E SPETTATORI IN CONTINUO AUMENTO, PER LA RAI UN AFFARE D’ORO…I CONTI IN TASCA ALLE TRASMISSIONI: QUEST’ANNO HANNO TUTTE AUMENTATO SHARE E NUMERO DI SPETTATORI
Una trasmissione televisiva è fatto non solo di volti, chiacchiere, balletti e canzoni, ma soprattutto di numeri di share, curve di ascolto, vendite pubblicitarie, costi, ricavi e in ultimo, ma proprio in ultimo, di Qualitel.
Ovvero il gradimento che il pubblico riserva ai programmi.
Un indice istituito nel contratto di servizio del 2007-2008 con cui i telespettatori, intervistati da una società commissionata dalla Rai, danno il loro parere sui programmi in onda.
Una sortadi auto-esame per la Rai, che ha dato una prima sentenza: Report di Milena Gabanelli è il programma più apprezzato.
Al seondo posto Fabio Fazio con Che tempo che fa.
I numeri non sbagliano.
Report ha registrato un ascolto medio del 13% con 3,5 milioni di spettatori.
Lo scorso anno si era fermata a 2,9 milioni e 12,35% di share. Un punto di share per i pubblicitari significano tanti soldi.
Uno spot in Rai da 30 secondi all’interno di Report costa dai 52.000 ai 58.000 euro.
Se il costo medio del programma all’anno è di circa 2 milioni, alla Rai ne rientrano più di 4.
Anche Ballarò ha incrementato gli ascolti, ottenendo una media del 16,79% con 4,5 milioni di spettatori.
Lo scorso anno la media è stata del 15,72% con 3,9 milioni di ascolti.
A fronte di 3,5 milioni di costi, Ballarò ne incassa 8.
Per 30 secondi di spot si pagano tra i 37 e 53mila euro.
Che tempo fa di Fabio Fazio ha un 14% di share di media con 4 milioni di spettatori, ma il 2 giugno è arrivato a 5,7 milioni.
Costa 10,5 milioni di euro l’anno e incassa 17 milioni: uno spot arriva a costare anche 78.000 euro.
E finiamo l’analisi con Anno Zero che ha sfondato quest’anno il muro dei 7 milioni di spettatori e del 25% di share.
Ogni puntata costa circa 200.000 euro i ricavi più del triplo: gli spot, una ventina a puntata, vengono pagati fino a 66.000 euro.
Inutile dire che essendo tutte queste trasmissioni ritenute dal premier a lui contrarie, essere contro di lui evidentemente genera maggiori introiti per la Rai.
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Giugno 8th, 2011 Riccardo Fucile
“UN ADDIO SENZA POLEMICHE, PRESTO ALTRE NOVITA”…IL DIRETTORE EDITORIALE VITTORIO FELTRI E’ USCITO DALLA GERENZA DI “LIBERO”… RESTA LA FIRMA DI BELPIETRO QUALE DIRETTORE RESPONSABILE
Da questa mattina il nome del direttore editoriale Vittorio Feltri è uscito dalla gerenza di “Libero”. Resta la firma di Maurizio Belpietro quale direttore responsabile.
Si fa sempre più concreta, dunque, l’ipotesi che Vittorio Feltri approdi nuovamente al Giornale, dopo le indiscrezioni circolate nei giorni scorsi.
Lo stesso Feltri aveva confermato l’esistenza di una trattativa: «Dite che stanno già spostando le scrivanie nella sede del Giornale per farmi posto? Mi spiace io sono a Libero e non posso vedere cosa accade di là . Comunque non ho mai negato che mi abbiano fatto un’offerta».
Un addio «senza polemiche», quello di Feltri al quotidiano: «Ho pensato che sia per me che per Libero fosse meglio cambiare -dice all’Adnkronos il giornalista – ma non ci sono motivi particolari. Ho trovato un ambiente diverso da quello che avevo lasciato».
A questo punto, è «probabile» un approdo di Vittorio Feltri al quotidiano il Giornale, «ma ora -rileva- è prematuro parlarne. Potrebbero esserci presto delle novità ».
Un paio di giorni fa, intervistato dalla Zanzara su Radio24, Feltri aveva spiegato il suo punto di vista: «Sono anche stupito che i fatti miei vengano presi con tanta importanza – aveva detto – Belpietro sa anche lui che a un giornalista possono chiedere di cambiare testata. Quando dissi “sono andato via da 10 minuti dal Giornale e già mi sono rotto i coglioni” scherzavo.
Era una battuta, come quando i calciatori passano da una squadra all’altra e devono dire “ho cambiato maglia e la squadra di prima mi sta sulle balle”.
Angelucci l’ho visto una settimana fa, abbiamo conversato amichevolmente come sempre, si è anche parlato di questa ipotesi in questione ma non è che sia caduto il tetto della casa, non è che siamo marito e moglie» .
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Giugno 8th, 2011 Riccardo Fucile
ASTENERSI PER DIRE POI DI AVER VINTO IN CASO DI MANCATO RAGGIUNGIMENTO DEL QUORUM NON SARA’ MAI UN SUCCESSO REALE…SI VINCE O SI PERDE SUL CAMPO, NON RESTANDO NEGLI SPOGLIATOI
Dice il ministro della Salute Ferruccio Fazio che per lui votare ai referendum sarà «un bel problema» perchè è residente a Pantelleria: «Spero di farcela, ma se non vado a votare non sarà per motivi ideologici».
I suoi colleghi Maurizio Sacconi, Altero Matteoli, Giorgia Meloni e Claudio Scajola spiegano invece che no, loro non ci andranno alle urne proprio per far fallire le consultazioni.
Sulla stessa posizione sta Roberto Formigoni.
Che a chi gli rinfacciava che «è grave che chi riveste un ruolo istituzionale dichiari di non voler partecipare a un istituto democratico che permette a tutti i cittadini di dire la propria», ha ricordato piccatissimo che «ai sensi delle leggi vigenti non vi è alcun obbligo per i cittadini di andare a votare».
Compreso, ovvio, «il cittadino Formigoni». Il quale, dieci anni fa, quando il governo di sinistra fece esattamente come stavolta quello di destra e cioè rifiutò di abbinare le elezioni e il referendum sulla devolution lombarda fortissimamente voluto dal governatore e dalla Lega per non favorire il superamento del quorum, era furente: «Un killeraggio».
In realtà , come ricordava un giorno Filippo Ceccarelli, «chi è senza astensionismo scagli la prima pietra».
Pier Ferdinando Casini, per dire, oggi si batte perchè tutti vadano a votare ma sulla procreazione assistita era favorevole all’astensione pur avendo sostenuto nel 1997, quando l’invito ad «andare al mare» aveva mandato a monte, scusate il pasticcio, 7 quesiti, che «è sempre un giorno triste, quando le urne vengono disertate».
E Piero Fassino, che a quell’appuntamento del 2005 era impegnatissimo a superare il quorum sulla procreazione, aveva due anni prima spiegato, a proposito dell’estensione dell’articolo 18 alle piccole imprese: «La strategia passa attraverso la richiesta ai cittadini di non partecipare».
Perfino i radicali, che più coerentemente hanno sostenuto il valore democratico del voto referendario, hanno qualcosa da farsi perdonare.
Fu Marco Pannella, infatti, a ventilare per primo l’ipotesi dell’astensione per far fallire lo scontro sulla scala mobile nel 1985.
E da allora è sempre andata così.
Da una parte quelli che vogliono vincere «pulito» con il quorum, dall’altra quelli che non vogliono rischiare di perdere e puntano a sommare il loro astensionismo a quello fisiologico.
Indifferenti all’accusa, volta per volta ribaltata, di essere dei «furbetti».
Prima delle parole dette in questi giorni da Giorgio Napolitano, un altro presidente si era speso per la partecipazione.
Carlo Azeglio Ciampi: «È ovvio che l’astensione è legittima, ma io ho votato per la prima volta a 26 anni, perchè prima in Italia non era dato, e da allora l’ho sempre fatto perchè considero il voto una conquista e un diritto da esercitare».
Ecco, per costruire una democrazia compiuta, quali che siano i referendum sul tavolo, i valori in gioco, gli schieramenti politici, si potrebbe partire da qui. Dalla necessità di salvaguardare uno strumento di partecipazione che, dopo 24 fallimenti consecutivi a partire dal 1995, non possiamo più permetterci di mandare a vuoto.
Certi cattolici come Mario Segni, controcorrente rispetto alle stesse scelte della Chiesa, decisero ad esempio di andare a votare anche sulla fecondazione assistita.
Votarono da cattolici, non da atei, laicisti, anti-clericali. Ma votarono.
Convinti che, se avessero vinto nelle urne, sarebbe stata una vittoria più bella che non quella ottenuta col trucco.
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)
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