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ALBANESI FURIOSI PER LO SCANDALO DELLA LAUREA DI RENZO BOSSI: “E’ STATA COMPRATA”

Maggio 4th, 2012 Riccardo Fucile

MANIFESTAZIONI SOTTO IL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, CHIESTE LE DIMISSIONI DEL MINISTRO: “UN CASO CHE DIMOSTRA IL DEGRADO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO ALBANESE”

La notizia della laurea conseguita da Renzo “Trota” Bossi all’Università  Kristal di Tirana, arrivata nel 2010 a un anno dalla maturità  dopo tre bocciature, ha provocato scandalo anche in Albania dove la Procura generale della Repubblica ha deciso di avviare verifiche sul caso, per verificare se il figlio del Senatùr si sia recato nel Paese per seguire gli studi.
Stamane il partito di ispirazione nazionalista Aleanca Kuqezi ha manifestato davanti al dicastero dell’Istruzione per chiedere le dimissioni del ministro Myqerem Tafaj, responsabile, secondo loro, del degrado del sistema universitario del Paese dove “lo scandalo del figlio di Umberto Bossi rappresenta solo l’ultima vergognosa vicenda”.
Nel frattempo l’Ateneo privato albanese, fondato nel 2005, ha diffuso un comunicato che ha del surreale: “I cittadini italiani Pierangelo Moscagiuro e Renzo Bossi sono stati iscritti regolarmente a questa Università , presentando regolare documentazione in conformità  con la legislazione albanese”. Secondo l’amministrazione della Kristal, il Trota si sarebbe iscritto ai corsi di business managment a partire dall’anno 2007-2008.
Difficile crederlo dato che è riuscito a diplomarsi (dopo due bocciature ufficiali, più una contestata) nel luglio 2009, all’età  di 21 anni.
Ciò nonostante anche l’ex rettore della Kristal, Maringlen Spiro, quello che ha apposto la propria firma sul diploma del Trota, in un’intervista alla tv nazionale albanese continua a sostenere che Renzo ha “frequentato per quattro anni gli studi accademici”.
In attesa di chiarire la vicenda, la polemica politica continua a gonfiarsi anche sulla sponda est del Mare Adriatico.
Il leader del Partito socialista albanese Edi Rama mette sotto accusa tutto il sistema universitario: “Qui le Università  sono diventate delle fabbriche di diplomi illegali”.
E sull’attestato del dottor Trota non ha dubbi: “E’ stata comprata”.
Anche secondo Rama, il casi del figlio del Senatur e dell’autista tuttofare di Rosi Mauro sono emblematici per capire in che stato versi il sistema universitario del Paese.
A partire almeno dal 2005, quando la riforma della scuola ha dato il via alla proliferazione di atenei privati sullo stile della Kristal, dove il controllo dello Stato non è mai stato molto severo.
C’è più di un dubbio che queste scuole siano effettivamente dei terminali del “traffico di certificati”.
E la timidissima reazione del ministero dell’Educazione di Tirana sembra confermarlo: nessuna dichiarazione ufficiale e la timida promessa di fare qualche controllo sulla scuola del Trota.
Il portavoce della Procura generale della Repubblica Plator Nesturi ha inoltre aggiunto di volere costituire un gruppo tra inquirenti ed esperti del ministero dell’Educazione che si occupino delle verifiche sul caso.
La prima potrebbe essere realizzata sul sistema elettronico di controllo che registra le entrate e le uscite dalle frontiere albanesi, per vedere se il figlio di Bossi sia venuto o meno a Tirana per seguire gli studi.
E le polemiche sono affiorate anche sui siti dei principali media albanesi, in cui i lettori hanno ironizzato sui leghisti e il loro razzismo antialbanese, e sugli esami in lingua albanese che ‘il Trota’ avrebbe sostenuto.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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SE RENZO BOSSI AVEVA UNA LAUREA ALBANESE, IL “DOTT. BELSITO” NON ERA NEANCHE DIPLOMATO

Maggio 4th, 2012 Riccardo Fucile

L’EX TESORIERE DELLA LEGA HA DETTO AI PM DI AVER CONSEGUITO UN DIPLOMA DI RAGIONERIA IN UNA SCUOLA PRIVATA DI FRATTAMAGGIORE CHE PERO’ RISULTA ESSERE STATA CHIUSA UN ANNO PRIMA DELLA DATA DEL SUO PRESUNTO DIPLOMA… CHI HA PERMESSO CHE PER DUE ANNI SUL SITO DEL GOVERNO UN SOTTOSEGRETARIO   SENZA DIPLOMA POTESSE DICHIARARSI LAUREATO IN SCIENZE POLITICHE?

Dopo la laurea di Renzo Bossi in Albania, sospetti anche sul diploma in ragioneria dell’ex tesoriere leghista Francesco Belsito.
Il particolare emerge dalle inchieste sui fondi della Lega.
I pm, che vogliono capire quali titoli avesse l’ex amministratore per gestire la tesoreria, avrebbero scoperto che la scuola privata a Frattamaggiore (Napoli) in cui Belsito sostiene di aver preso il diploma era già  fallita all’epoca.
Dubbi pure sulla laurea che dice di aver conseguito in un’università  telematica.
Belsito avrebbe messo a verbale, davanti ai pm milanesi, di essere un “tributarista” e di essersi diplomato in ragioneria presso una scuola privata a Frattamaggiore.
Gli inquirenti milanesi, confrontandosi con gli investigatori delle altre Procure (Milano e Napoli) che indagano sui fondi del Carroccio, avrebbero però elementi per ritenere che quella scuola campana, all’epoca in cui l’ex tesoriere dice di essersi diplomato, era già  fallita e non esisteva più.
Dalle prime analisi, inoltre, risulta che il diploma – che fra l’altro è stato anche acquisito agli atti – potrebbe essere fasullo, perchè le firme apposte sembrano false.
In più Belsito avrebbe raccontato agli inquirenti di essersi laureato in scienze politiche all’Università  telematica (con corsi online) John Kennedy di Milano.
Ma anche sull’esistenza di questa università  ci sono dubbi.
Così dopo i sospetti sulle lauree in Albania del ‘Trota’ e di Pierangelo Moscagiuro, caposcorta di Rosy Mauro, che potrebbero essere state pagate coi soldi del partito, anche i titoli di studio di Belsito sono finiti sotto la lente di in gradimento degli inquirenti.

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EVASIONE, IL RISCHIO SANATORIA PER L’ACCORDO TRA IL FISCO E LA SVIZZERA

Maggio 4th, 2012 Riccardo Fucile

PER RECUPERARE I CAPITALI ESPORTATI ILLEGALMENTE, L’AGENZIA DELLE ENTRATE STUDIA UNA CONVENZIONE SUL MODELLO DI GERMANIA E REGNO UNITO… MA L’ANONIMATO DEL CONTRIBUENTE SAREBBE GARANTITO ANCHE PER IL FUTURO

L’accordo per tassare i capitali degli evasori in Svizzera, l’ha detto Mario Monti, dipende dalla tregua sui frontalieri: il Canton Ticino ha sospeso unilateralmente il trattato che prevede di trasferire risorse ai Comuni di frontiera i cui cittadini lavorano e pagano le tasse in Svizzera ma consumano servizi pubblici italiani.
Per il solo 2010 si tratterebbe di 28 milioni di franchi, circa 23 milioni di euro, che sono rimasti in Ticino invece di arrivare nelle casse di Comuni italiani.
Proprio per le tensioni sui frontalieri il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha annullato (o almeno rinviato) una visita di Stato in Svizzera.
Ma non è questa l’unica ragione di prudenza del governo di Roma sull’accordo fiscale che permetterebbe di recuperare almeno una parte di quei 120-150 miliardi esportati illegalmente in Svizzera da contribuenti italiani.
L’Agenzia delle entrateda mesi vaglia con attenzione pro e contro di un accordo fatto sul modello di quelli approvati da Germania e Gran Bretagna (un forte prelievo una tantum, tra il 30 e il 40 per cento che sana il pregresso, poi un’aliquota annuale sopra il 26 per cento per i rendimenti. In cambio gli evasori e la Svizzera restano protetti dal segreto bancario). L’Agenzia delle entrate è preoccupata perchè la Convenzione — anche se con aliquote di imposta analoghe a quelle italiane, quindi non di favore — si presenti come una sanatoria.
E questo, secondo il Fisco, rischia di avere un impatto mediatico negativo perchè apparirebbe proprio come un condono, anche se molto oneroso.
nfatti la Svizzera agirebbe da sostituto di imposta ma l’anonimato del contribuente sarebbe garantito non solo per i rapporti pregressi, quelli sanati dal prelievo una tantum, ma pure per il futuro.
E comunque, notano i funzionari che rispondono ad Attilio Befera, non è bello trattare con un paradiso fiscale che sta ancora nella black list.
Tra le preoccupazioni dell’Agenzia delle entrate ce n’è anche una molto concreta: sul gettito c’è una grande incertezza, perchè il fatto che Berna agisca come sostituto di imposta è comodo, tutti i costi burocratici sarebbero a carico degli svizzeri, ma il perdurare del segreto bancario comporta che l’Italia non è in grado di sapere se gli svizzeri dicono tutta la verità . Per questo l’Agenzia prevede due strumenti di tutela: il primo è un meccanismo aggiuntivo di salvaguardia di scambio di informazioni, nel caso gli ispettori del Fisco, durante un’indagine scoprano una transazione con la Svizzera.
Tradotto: se gli ispettori o la magistratura italiana hanno fondate ragioni per sospettare che un italiano abbia un conto in Svizzera, Berna dovrebbe dimostrare che quel conto paga le tasse — tramite il governo elvetico — o sono guai.
Insomma, gli strumenti per capire se la Svizzera non collabora ci sarebbero.
La vera garanzia però è l’acconto, pagato subito da Berna, prima di raccogliere direttamente dai conti (e solo da quelli, le cassette di sicurezza sarebbero al riparo) le imposte previste dall’eventuale accordo. In attesa della gallina domani, l’uovo sarebbe certo.
Ma piccolo: 1-2 miliardi su 150 depositati nei forzieri di Ginevra e Lugano.
Ci sono delle precauzioni ulteriori che l’Italia può adottare e su cui i tecnici del governo stanno ragionando, soprattutto per limitare lo spettro della sanatoria ed evitare che l’operazione diventi un gran regalo ai criminali: il prelievo una tantum non dovrebbe sanare i cosiddetti “reati mezzo” commessi per esportare i capitali, tipo appropriazione indebita e falso in bilancio.
E dovrebbero essere perseguibili anche i “reati fine”, commessi utilizzando i soldi, tipo evasione, riciclaggio e corruzione.
Il problema più serio è un altro: risalire ai beneficiari ultimi dei conti o degli strumenti di investimento è complesso, senza meccanismi che garantiscano di superare gli schermi giuridici si rischia che il gettito sia quasi zero, come è successo in questi anni in cui era in vigore una direttiva europea non troppo dissimile dagli accordi di Germania e Gran Bretagna. Ma qualunque scelta faccia il governo Monti deve fare in fretta o rischia di trovare i forzieri vuoti.
Con i capitali emigrati nelle filiali asiatiche delle grandi banche svizzere.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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FINANZIAMENTO PUBBLICO: “IN ITALIA TROPPE LEGGI E POCHI CONTROLLI, LA DEMOCRAZIA INTERNA NON E’ TUTELATA”

Maggio 4th, 2012 Riccardo Fucile

UNO STUDIO DELL’UNIVERSITA’ OLANDESE DI LEIDEN CONFRONTA LE REGOLE SUI PARTITI IN EUROPA: ANALOGIE E DIFFERENZE

“Il sistema italiano? Troppe leggi, pochi controlli e la democrazia interna non è tutelata. In tutta Europa, in questo momento, c’è un dibattito sul finanziamento pubblico perchè i partiti ovunque registrano un calo del tesseramento. In parte sono in difficoltà  per la crisi economica, ma il problema principale è che il senso d’appartenenza alle forze politiche è diminuito”.
Daniela Romèe Piccio è una ricercatrice italiana che lavora all’università  di Leiden, in Olanda. Da due anni partecipa a un progetto – sostenuto dall’European research council – sui partiti e sugli strumenti con cui si finanziano.
Con quattro colleghi, ha esaminato anche i dettagli delle legislazioni europee ma c’è un primo dato – politico – che vuole sottolineare: “Stiamo studiando la situazione dei 27 membri dell’Ue più Islanda, Croazia, Serbia, Ucraina, Norvegia, Svizzera. Solo in Italia, però, la discussione è dominata da toni di così forte delegittimazione. Nel resto d’Europa si parla, magari, di riduzione di fondi. Di controlli più stringenti. Ma tendenzialmente il finanziamento pubblico non viene messo in discussione. E anche in Paesi come Gran Bretagna e Malta — in cui i partiti vivono di donazioni private – è in corso un ripensamento”.
Molte delle attuali proposte di legge puntano proprio a valorizzare le donazioni private. E’ la Gran Bretagna il punto di riferimento per questo modello?”
Sì. Ma ma anche lì i partiti non vivono solo di finanziamenti dei cittadini. Ci sono agevolazioni statali per lo svolgimento dell’attività  politica e poi un dotazione riservata all’opposizione”.
Come viene garantita, generalmente in Europa, la trasparenza dei finanziamenti privati?
“Quindici Paesi dell’Unione europea hanno un tetto massimo per i contributi privati. E poi, ovunque, esistono soglie oltre le quali la fonte della donazione deve essere resa pubblica. La media europea è di 3.500 euro. In Belgio c’è il tetto più basso, l’anonimato vale fino ai 125 euro. In Italia invece è molto alto: solo oltre i 50 mila euro scatta l’obbligo di una dichiarazione congiunta di donatore ed ente ricevente presso la tesoreria della Camera dei deputati. Anche la Germania, comunque, ha una soglia piuttosto alta, con i suoi 10 mila euro”.
In Italia molti, in questo momento, invocano il modello tedesco anche per il finanziamento pubblico. Come funziona?
“In effetti è un sistema interessante: il finanziamento pubblico in parte è collegato ai voti validi ottenuti, in parte dipende dalla capacità  di autofinanziamento perchè è proporzionale alle donazioni raccolte. Questo aiuta i partiti a rimanere ancorati alla società  civile: li spinge a cercare non solo il voto ma anche la motivazione più profonda dei simpatizzanti, fino al versamento di un contributo privato. Per accedere ai soldi pubblici basta aver ottenuto lo 0,5 dei consensi – in Italia la soglia è dell’un per cento – ma attenzione: la legge tedesca disciplina rigorosamente la democrazia interna, quindi i soldi pubblici vanno solo a quelle forze politiche che accettano regole precise per esempio sulla selezione della leadership, degli organi interni, perfino sulla tutela del dissenso sulla minoranza. Tutti aspetti che nel sistema italiano sono assenti, visto che non è mai stato attuato l’articolo 49 della Costituzione proprio sulla democrazia dei partiti. E questa è sicuramente un’anomalia”.
Quali sono le altre anomalie del sistema di finanziamento italiano?
“Nella maggior parte degli altri Paesi i controlli sono affidati a commissioni indipendenti speciali, con una continuità  nel tempo. Da noi invece le verifiche – come ha dimostrato la cronaca – sono solo formali, procedurali, non entrano mai nel merito, le voci di spesa non sono separate. E poi la regolamentazione del finanziamento pubblico in Italia viene affrontata in almeno 8 leggi diverse, una frammentazione francamente eccezionale. Mentre il Greco 2 (nrd, l’organo contro la corruzione del Consiglilo d’Europa) incoraggia l’attuazione di una singola legge che racchiuda tutte le informazioni, in modo chiaro e accessibile”.
A giudicare dal proliferare di proposte di legge 3 in materia è una raccomandazione – quella del Greco – destinata a restare inascoltata.

Tiziana Testa
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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CENTO CARABINIERI A GUARDIA DI VILLA CERTOSA, DIMORA SARDA DI BERLUSCONI : UN’ ASSURDITA’

Maggio 4th, 2012 Riccardo Fucile

GLI ITALIANI PAGANO LE FORZE DELL’ORDINE PER FARE LA GUARDIA A UN BIDONE VUOTO, DOVE L’EX PREMIER TRASCORRE SOLO POCHI GIORNI ALL’ANNO

In epoca fascista era un modo di dire: fare la guardia al bidone (inteso, di benzina).
Oggi gli italiani pagano i rappresentanti delle loro forze dell’ordine per fare la guardia a un bidone che vale sì centinaia di milioni di euro, ma è vuoto.
Si tratta di villa Certosa, la residenza estiva di Punta Lada, Porto Rotondo, Sardegna, Costa Smeralda, di proprietà  dell’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
Non che il Cavaliere compaia nell’assetto proprietario.
Lui va fiero delle sue serre, orti botanici , sculture greche appoggiate sulla piscina.
Ma la dimora è intestata alla Idra Immobiliare, sede a Milano, del geometra Giuseppe Spinelli: lo stesso che fungeva da bancomat per le “Olgettine”, quelle ragazze poco vestite che allietavano le notti di Arcore.
Villa Certosa è vuota per gran parte dell’anno.
Berlusconi si concede qualche weekend e un periodo estivo variabile a seconda degli impegni.
Ma evidentemente le ragioni di sicurezza sussistono anche per le mura della villa: 365 giorni all’anno, 24 ore su 24, villa Certosa è pattugliata dai carabinieri.
Sarà  presidiata per altri due anni, obbligatoriamente. Lo dice la legge.
Solo che non si capisce come ogni dimora dell’ex premier (da Arcore, a palazzo Grazioli, fino appunto alla Certosa) possa essere considerata alla stregua di una residenza di Stato.
I “guardiani” della villa dell’ex premier sono 35 o 40 carabinieri, a seconda delle esigenze.
I militari presidiano i tre ingressi della villa: il principale, in via Strada della Certosa; il secondario, su via Punta Lada e, infine, quello più sicuro, solitamente utilizzato da Berlusconi, sulla strada privata che porta all’entrata dal Golfo di Marinella.
Negli ingressi della Certosa, infatti, ci sono almeno un’auto o una camionetta dei carabinieri con un minimo di tre militari di ronda per ogni ingresso.
Un presidio 24 ore su 24, con 4 turni da 6 ore, garantito da almeno 35 uomini.
L’ammontare degli stipendi per i militari destinati alla vigilanza nel buen retiro sardo di Berlusconi è di 700 mila euro l’anno.
Ma non è finita qui.
Si sa che l’estate è la stagione propizia per feste, vulcani finti, nani, ballerine e, appunto, militari.
All’arrivo di Berlusconi la vigilanza viene incrementata da almeno altre 6 unità  provenienti dal Reparto speciale dei Cacciatori di Sardegna di Abbasanta.
Quelli, tanto per intendersi, che avevano il compito di perlustrare tutti gli anfratti nelle montagne della Barbagia a caccia di ostaggi all’epoca dei sequestri di persona nell’Isola.
Che c’entra Berlusconi con un reparto dei carabinieri di eccellenza?
C’è da tener d’occhio il parco della Certosa: di decine di ettari.
La viglianza sulle ferie di Berlusconi, però, si estende dalla terra al mare.
Infatti c’è anche la motovedetta dei carabinieri chiamata a presidiare lo specchio d’acqua antistante villa Certosa.
E non c’è verso che qualche militare possa essere destinato ad altri compiti: per esempio, garantire la sicurezza di Olbia e la Gallura, un territorio con un tasso di criminalità  in aumento. Bisogna sperare che Berlusconi decida di trascorrere le vacanze alle Bermuda, perchè altrimenti d’estate i militari a garanzia della sua sicurezza arrivano alla cifra di 100 uomini. Non si sa mai che qualche attentatore travestito da velina possa beffare il corposo servizio d’ordine.

Costanza Bonacossa
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LA LEGA DEI VELENI SCOPRE LA “BADANTE” VOTINO: DOPPIO STIPENDIO PER L’ASSISTENTE DI MARONI, MILAN E GRUPPO

Maggio 4th, 2012 Riccardo Fucile

LA DONNA OMBRA DI BOBO CONTINUA A SEGUIRE L’EX MINISTRO TRA IMPEGNI TELEVISIVI E CONFERENZE… GUADAGNA 8.000 EURO AL MESE

A ciascuno la sua badante. Anzi, no:c’è una badante per ogni stagione.
O ancora meglio: cambiano i leader, ma le badanti migliori restano le terrone.
E’ tempo di veleni nella Lega di stanza nei Palazzi romani.
L’ombra di Rosi Mauro è ancora lì a ricordare un passato che non si allontana e c’è chi guarda al futuro sapendo che somiglierà  proprio a quel passato lì.
Forse persino troppo.
Al centro dei livori e dei rancori delle file del Carroccio di lotta e non di governo è ritornata di recente la procace Isabella Votino, ex portavoce di Bobo Maroni al ministero dell’Interno, soprannominata dai cronisti di Palazzo “porta silenzi” per il muro omertoso che soleva ergere intorno al suo dante causa ai tempi del Viminale.
Nelle ultime settimane eccola di nuovo lì, onnipresente alle spalle di Maroni.
In tv come altrove.
E c’è chi pensa – e non ne fa mistero – che la mora trentenne sannita, ombra del barbaro sognante da quando era capogruppo alla Camera, una volta eletto nuovo segretario della Lega, possa diventare addirittura qualcosa di peggio di quella che è stata Rosi Mauro con Bossi negli ultimi anni.
Le premesse paiono esserci tutte.
Perchè non solo Bobo le ha ritagliato un prestigioso posto nell’ufficio relazioni istituzionali del Milan, ma ha anche preteso che restasse a far parte del gruppo degli addetti stampa del Carroccio alla Camera.
Dove non c’è mai, ma pazienza.
Ma è andata così. Che l’estate scorsa, quando già  tirava aria pesante per la tenuta del governo Berlusconi, Maroni abbia bussato alla porta di Adriano Galliani, suo amico personale, per trovare un lavoro a Isabella.
Galliani, presosi   tempo per riflettere su “un incarico adeguato allo spessore della persona”, si presentò poi con una proposta da non poter rifiutare, guarda caso alla vigilia del voto alla Camera sull’arresto di Nicola Cosentino.
Dove, si sa, Maroni aveva provato a far fronda, uscendone però sconfitto.
Tanto, Isabella aveva già  firmato   come responsabile dell’Osservatorio   per le manifestazioni sportive del Viminale per conto del Milan.
Uno stipendio serio per una ragazza di 30 anni, oltre i 4.000 euro al mese, un po’ meno però di quello che prendeva al Viminale.
E allora occorreva rimediare. Detto fatto.
Il generoso Bobo non solo l’ha confermata propria assistente personale come deputato, ma ha anche preteso il mantenimento del suo ruolo all’interno del gruppo comunicazione della Lega alla Camera.
Sono partiti altri 4.000 euro solo per poter seguire, nella consueta veste di addetta stampa, il Maroni ovunque lui vada.
Maroni, quando c’è da gratificare il valore personale, la scopa la ripone nel ripostiglio.
Isabella ha fatto tanto per lui.
Arrivata a Roma sotto l’ala protettrice di Psquale Viespoli, la beneventana Isabella è pure amica personale di Alemanno e si muove con disinvoltura anche nella “Roma godona” delle feste vip, ma la si può incontrare anche nei locali più trendy di Milano, omaggiata come “donna più potente del Viminale dopo Rosa Russo Iervolino” da industriali e onorevoli, star televisive e fotografi.
Adora festeggiare i suoi compleanni in locali glamour, dal Cavalli Just Cafè di Milano al Majestic di Roma, passando per Palazzo Ferrazzoli fino al mitico ristorante meneghino da Giannino, dove arriva di solito accanto al “suo” Bobo direttamente da San Siro, dopo aver asssistito alla partita del Milan.
Insomma, un’assistente davvero preziosa, di cui Maroni non sembra poter fare a meno.
Le badanti, si sa, valgono tanto oro quanto costano.

Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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QUANTO CI COSTERA’ L’IMU: 200 EURO PER LA PRIMA ABITAZIONE

Maggio 4th, 2012 Riccardo Fucile

IL 30% DEI PROPRIETARI E’ ESENTE E CON DUE FIGLI A CARICO COSTERA’ MENO DELLA VECCHIA ICI…L’ITALIA E’ TRA I PAESI CON LA PIU’ BASSA TASSAZIONE IMMOBILIARE

Controffensiva del ministero del Tesoro sul caso Imu.
A poco più di un mese dal fatidico 18 giugno quando si pagherà  la prima rata e di fronte alla minaccia di “rivolta fiscale” della Lega “l’uomo del fisco” di Via Venti Settembre, il sottosegretario all’Economia Vieri Ceriani, replica con numeri e tabelle.
“Il 30 per cento dei proprietari di prime case sarà  esente dall’Imu mentre il restante 70 per cento pagherà  in media 200 euro”, ha dichiarato ieri in un breve incontro con la stampa.
Ma dalle tabelle diffuse in serata emerge anche un altro aspetto: nel confronto tra la vecchia Ici, eliminata da Berlusconi nel 2008, mossa definita un errore da Monti nei giorni scorsi, e la nuova Imu, le differenze sono impercettibili.
Se si confrontano le due tasse, con la stessa aliquota al 4 per mille, considerando la detrazione Ici più bassa (era di 103,29 euro) e quella dell’Imu più alta (200 euro) e tenendo conto anche della rivalutazione delle rendite catastali del 60 per cento, la partita della tassa più pesante è in molti casi vinta dalla vecchia Ici
Se si prende, ad esempio, una casa con una rendita di 400 euro, in pratica di 80 metri quadrati in un quartiere popolare, per un single si scopre – secondo le tabelle del ministero dell’Economia – che con l’Ici si pagavano per lo stesso appartamento 64,7 euro e con l’Imu solo 68,8 euro, in pratica 4,1 euro in più.
Per le famiglie con figli il vantaggio dell’Imu prima casa rispetto all’Ici prima casa è ancora più evidente, visto che c’è una detrazione aggiuntiva di 50 euro per ciascun figlio a carico.
Ad esempio per una famiglia con due figli (detrazione pari a 300 euro) che abita in un appartamento con una rendita catastale media di 500 euro, di solito una zona modesta, il risparmio con l’Imu, rispetto ad una ipotetica Ici del 2012, è di 70,7 euro.
Per case più modeste e con quattro figli, l’Imu arriva addirittura ad essere azzerata: è il caso delle abitazioni con rendite catastali da 100 a 500 euro per una famiglia di quattro figli che non pagheranno nulla.
Il Tesoro propone anche un raffronto tra una ipotetica aliquota Ici al 5 per mille e l’attuale aliquota dell’Imu al 4 per mille.
Questo caso, più aderente alla realtà  giacchè l’aliquota media dell’Ici in tutti i Comuni italiani prima dell’abolizione era del 4,8 per mille, mostra che i risparmi dell’Imu rispetto all’Ici sono ancora più marcati.
Il risultato del confronto si inverte per le abitazioni di maggior pregio. In questo caso, dicono i grafici del ministero dell’Economia, si pagherà  più oggi con l’Imu che ieri con l’Ici.
Con le due aliquote al 4 per mille, il costo dell’Imu comincia a battere considerevolmente l’Ici oltre agli 800 euro di rendita catastale.
Ad esempio per una appartamento con una rendita di 2.000 euro, situato in una zona residenziale e in categoria elevata, l’aggravio dell’Imu potrà  arrivare fino a 407 euro, anche in questo caso la presenza dei figli potrà , per effetto delle detrazioni, mitigare la “gabella” sulla casa.
A conti fatti, spiega la nota del Tesoro, ci saranno 4,6 milioni di immobili (il 23,9%) che grazie alle detrazioni non pagheranno nulla.
Per il restante 76,1% il peso medio della tassa per quest’anno per immobile sarà  di 235 euro. Mentre se si prendono i singoli proprietari, su 24,3 milioni di italiani che hanno una casa di proprietà  6,8 milioni saranno esenti, mentre 17,5 milioni, ovvero il 72%, pagheranno in media 194 euro.
La nota del Tesoro, che ricorda come l’Imu sulla prima casa è stata reintrodotta con “l’obiettivo del consolidamento dei conti pubblici”, non manca di sottolineare “l’anomalia italiana”, come l’ha definita Ceriani: nessuno dei principali paesi dell’Ocse esenta infatti la prima casa e in Italia il peso del prelievo sugli immobili è pari allo 0,6% del Pil, mentre in Francia è del 2,4 e in Gran Bretagna del 3,5.
Naturalmente il confronto Imu-Ici è fatto dal Tesoro con una aliquota Imu ferma al 4 per mille e una Ici alla media pre-abolizione.
Tuttavia i conti effettivi potranno farsi solo a fine anno: infatti già  13 comuni di città  capoluogo, come testimonia l’Osservatorio della Uil servizi territoriali, hanno deciso di portare l’Imu prima casa in alcuni casi oltre il 5 per mille e avranno tempo fino al 30 settembre.
Senza contare che anche l’aliquota di base potrà  variare con un decreto del governo se il gettito non produrrà  i 21,4 miliardi attesi.

Roberto Petrini
(da “la Repubblica“)

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