Destra di Popolo.net

C’ERA UNA VOLTA IL POPOLO DELLE LIBERTÀ

Maggio 22nd, 2012 Riccardo Fucile

SCISSIONE? NUOVO SEGRETARIO? PARE CERTO CHE BERLUSCONI DECIDERA’ DI CAMBIARE NOME

Alle cinque della sera, sul solito Twitter, è il gigante piemontese del Pdl, Guido Crosetto, che ha votato no all’ultima fiducia messa dal governo Monti, a infierire sulla sconfitta del suo partito: “Massacrato il centrodestra, abortito il Terzo polo, azzoppato il Pd, esploso Grillo. Se Monti fosse politico salirebbe al Quirinale. O no?”.
Aggiunge Daniela Santanchè: “Noi abbiamo chiuso la nostra casa per ristrutturazione e gli elettori di destra ci hanno fatto capire che il grand hotel Monti non lo vogliono”.
Monti via, dunque, come ormai reclamano tutti nel Pdl, falchi e moderati.
Oppure Alfano, sempre via.
I ballottaggi rischiano infatti di essere la tomba politica del giovane segretario designato da B. nella primavera di un anno fa.
È toccato a lui mettere la faccia sulla catastrofe di queste elezioni amministrative. Da Lucca a Como e Monza, dalla Toscana alla Brianza. Il Pdl scompare dall’Emilia Romagna.
Male anche nella Campania degli inquisiti Cosentino e Cesaro.
A tenere però è la Puglia, con Trani in testa.
Scrive Giancarlo Lehner, falco berlusconiano: “Pdl al bivio, Angelino Alfano ha davanti a sè due strade: o si dimette o si dimette”.
La disfatta elettorale del Pdl è come se liberasse tutti gli istinti repressi di nomenklatura e peones.
In tv, nelle prime ore del post voto, vanno Mariastella Gelmini, Maurizio Lupi e Ignazio La Russa.
La linea è quella di prendersela con l’astensionismo e soprattutto di mettere il cappello sulla vittoria dei grillini.
“Molti dei nostri hanno votato il Movimento 5 Stelle”, è il refrain consolatorio. E conferma l’innamoramento del Capo per la novità  di queste elezioni.
Grillo rivoluzionario come il Berlusconi del ’94.
È una fedelissima di Palazzo Grazioli, Michaela Biancofiore, a invocare una nuova discesa in campo: “C’è una sola persona che può riaggregare ed essere credibile per gli elettori del centrodestra innanzi ad un Paese che si sgretola e si chiama ancora Silvio Berlusconi”.
In ogni fine c’è sempre la tentazione nostalgica del principio.
Anche Giancarlo Galan, ex governatore del Veneto, rimpiange la rivoluzione che fu ma spera: “Abbiamo perso, serve una nuova rivoluzione”.
E cita Casini, Maroni, Passera e Montezemolo come novelli Marx, Engels, Lenin e Mao dei moderati dispersi e orfani.
In via dell’Umiltà  a Roma, sede nazionale del Pdl, Alfano si rinchiude per ore nel suo ufficio. Perde anche nella sua Agrigento.
Guarda La Russa al Tg3 che non riesce a frenare un crudele Giuliano Ferrara che spiega: “La destra è messa malissima, ha preso scoppole bestiali”.
Compulsa i dati elettorali a mano a mano che arrivano e realizza che si trova al centro di un assedio. Anche interno.
Il sindaco di Roma Gianni Alemanno chiede congresso e cambio del nome. Osvaldo Napoli tira fuori un’antica immagine un po’ sinistra. Quella di una nuova traversata nel deserto.
L’ultima per B. e i berlusconiani durò cinque anni: dal 1996 al 2001.
Ma stavolta il tempo forse non basterà .
L’agonia della Seconda Repubblica si sovrappone all’esaurimento della spinta propulsiva del Cavaliere.
E le soluzioni che girano ricalcano uno schema reso già  vecchio dalla realtà : una confederazione dei moderati al posto dell’asse del nord con la Lega, cucita addosso al nuovo sistema elettorale se mai si farà .
Dopo tedesco e francese adesso si parla di modello spagnolo. Tormentoni surreali della Casta che sotto sotto non vuole rinunciare al Porcellum.
Alle sette e mezzo della sera, Alfano si decide a uscire.
Parla come un marziano: “Il centrodestra è ancora maggioritario nel Paese”. Insiste sulla novità  “epocale” annunciata da settimane e in programma per il 24 o il 29 maggio: “Il messaggio dei nostri elettori è fortissimo: chiedono una nuova offerta politica. Siamo determinati a offrirla a loro e al Paese”.
Alla fine, però, sarà  sempre Berlusconi a decidere. Ieri si è tenuto in contatto con Roma e poi ha affrontato l’analisi del voto in una cena ad Arcore. Chi era con lui prevede “stravolgimenti radicali”. Il cambio del nome è certo, resta da capire se Alfano sarà  blindato da una nuova segreteria
Le linee restano due. Da una parte il rassemblement neodemocristiano.
Ma l’ex ministro Beppe Pisanu, pontiere tra il Pdl e il Terzo Polo, gli avrebbe già  comunicato il no di Casini.
Anche Montezemolo sarebbe molto perplesso.
Dall’altra la tentazione del grillismo di destra, con la Santanchè pronta a cavalcarlo. Il nodo cruciale è Monti.
I primi, i famigerati moderati, sono per il sostegno. I secondi, i falchi, per la caduta.
Tenerli insieme per Alfano è quasi impossibile.

Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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IL COORDINATORE REGIONALE NAN INVITA FLI A “ESPORTARE IL MODELLO GENOVA A LIVELLO NAZIONALE”: A ROMA E’ UNA CORSA A TOCCARE FERRO

Maggio 22nd, 2012 Riccardo Fucile

L’AUSPICIO DI NON PRENDERE NEMMENO UN CONSIGLIERE E DI NON PRESENTARE MAI IL SIMBOLO DI FUTURO E LIBERTA’ MA DI NASCONDERSI NELLE LISTE CIVICHE PER POI NON RISULTARE ELETTI E’   DAVVERO UNA STRATEGIA ORIGINALE… PARE CHE UNA NOTA UNIVERSITA’ AMERICANA SIA INTERESSATA A STUDIARE IL CASO PATOLOGICO

Appena ieri ci eravamo lamentati che la dirigenza ligure di Futuro e Libertà  non avesse commentato il risultato elettorale delle amministrative di Genova che hanno visto la sconfitta di Enrico Musso al ballottaggio e la mancata elezione nella sua lista civica di un qualsiasi candidato riferibile a Futuro e Libertà .
Alla luce delle dichiarazioni rilasciate alla stampa, dopo mesi di silenzio, dal coordinatore regionale Enrico Nan, forse sarebbe stato meglio in effetti il silenzio.
Vediamo cosa ha detto Nan alla stampa: “Eravamo partiti da soli nell’appoggiare Musso ed è arrivato al 40%, un risultato lusinghiero per il Terzo polo. Quanto all’astensionismo, proporrò al mio partito un nuovo progetto: di usare il modello Genova a livello nazionale con una lista civica. Adesso si deve lavorare sul territorio con proposte in grado di rappresentare questa grande voglia di centro»
Visti i risultati (nessun eletto di Fli, 3 dell’Udc) – devono essersi detti i vertici romani di Fli – meglio fare gli scongiuri, questo ci vuole portare sfiga, non solo Mamone in sede.
Dobbiamo però dare atto a Nan di essere davvero originale nel sostenere tesi campate in aria e gabellate per buone.
1) Sono due anni che Musso si preparava a candidarsi, lavorando con la sua fondazione “Oltremare” e quindi si sarebbe presentato comunque, anche se Nan non fosse corso ad appoggiarlo, rinunciando persino al simbolo di Fli (che pur dovrebbe rappresentare) pur di non farsi contare dopo due anni di scandali e di inattività .
2) La lista civica di Musso ha raccolto il 15% di consensi e 5 consiglieri eletti: l’apporto dell’Udc può essere quantificato in un 3-4%, quello di Fli sotto il 2%, tutto il resto è merito esclusivo di Musso.
Risultato della brillante operazione: eletti di Fli zero (ne aveva uno), eletti dell’Udc 3, area lista civica Musso eletti 2.
3) Pur sapendo che al massimo Fli avrebbe potuto puntare su un solo eletto, invece che concentrare i voti su uno solo, sono stati presentati quattro candidati ( la somma dei soli primi due avrebbe garantito un consigliere).
4) Se Fli avesse chiesto tre liste distinte di appoggio a Musso (ovvero lista civica, Udc e Fli) ognuno con i propri simboli probabilmente tre eletti sarebbero andati ai civici, uno all’Udc e uno a Fli.

In sintesi: è Musso che ha trainato la lista, altrimenti l’Udc si scordava di passare da uno a tre consiglieri.
Quanto alla “gran voglia di centro” che sarebbe emersa a Genova, senza la personalità  di Musso, si sarebbe fermata al 5% invece che al 15% (che tanto in ogni caso non è).
Lasciamo giudicare a chi ci legge se questa “grande strategia” del segretario regionale bocchiniano (da non confondersi coi bocconiani) sia propedeutica a un harakiri politico e alle sue dimissioni o alla sua esportazione come modello nazionale.
Certamente a Roma molti sono corsi a toccare ferro.


LIGURIA FUTURISTA
Ufficio di Presidenza

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GRILLO, IL GABIBBO BARBUTO

Maggio 22nd, 2012 Riccardo Fucile

IL MOVIMENTO CINQUE STELLE E’ LA TRASPOSIZIONE POLITICA DI “STRISCIA LA NOTIZIA”? … LA SUGGESTIONE ESISTE, GRILLO E’ SICURAMENTE ANCHE IL GABIBBO, MA CHE GUARDA REPORT, HA LETTO “LA CASTA” E SA STARE SUL WEB

I due hanno in comune la cadenza, ligure, e l’ideatore, Antonio Ricci, di cui Grillo è stato a lungo il ventriloquo tv.
«Fantastico», «Te la do io l’America», «Te lo do io il Brasile»: l’unico programma di successo che Ricci non gli ha curato è «Te la do io l’Italia».
Quello se lo sta scrivendo da solo.
Se Grillo ricorda il pupazzo rosso che svergogna i potenti tra ghigni e sberleffi, l’attivista-tipo del Cinque Stelle assomiglia a uno di quegli inviati di «Striscia» che consegnano tapiri: informato, tignoso, sfacciato.
Quanto all’elettorato, ne esiste uno cresciuto con le tv berlusconiane che da anni si abbevera ai programmi satirici di denuncia e ha finito per introiettarne meccanismi e valori.
«Striscia» e «Le Iene» si pongono come giustizieri della notte, raddrizzatori di torti, vendicatori degli oppressi in contrapposizione a un Potere che magnanimo li finanzia attraverso la pubblicità . Secondo lo studioso dei media Massimiliano Panarari, il loro segreto consiste nel dare sfogo al rancore popolare verso un sistema concepito come nemico.
Ai seguaci di «Striscia» il movimento di Grillo non sembra antipolitica, ma politica: difesa del cittadino.
In realtà , sostiene Carlo Freccero, il termine corretto è Apolitica: il rifiuto dei partiti, ormai ridotti a meri comitati d’affari.
E qui l’albero genealogico del grillismo si allarga a «Report» di Milena Gabanelli e al bestseller «La Casta» di Stella e Rizzo.
E’ la versione sofisticata della tv di denuncia, il Gabibbo in bella copia, il grande giornalismo d’inchiesta.
Gabanelli incarna l’archetipo grillista del Controllore, colui o colei che incrocia i dati, macina le informazioni e rivela i segreti del Moloch che ci condiziona la vita, sia esso una multinazionale di farmaci o un assessore arrogante e corrotto.
Il milione di copie de «La Casta» è stato un fenomeno sociale che la cultura in ghingheri non ha voluto capire, forse perchè gli artefici non erano due intellettuali spocchiosi e incomprensibili, ma due bravissimi giornalisti.
Stella e Rizzo hanno dato sostanza di pagine al mal di pancia verso i partiti e il loro sistema chiuso di privilegi.
Cosa accomuna lo spettatore di «Striscia» a quello di «Report» ed entrambi al lettore de «La Casta»?
L’idea che destra e sinistra siano diventate la stessa cosa: se non nei valori, nel personale politico che ha smesso di incarnarli per dedicarsi esclusivamente alla gestione del potere.
Le radici televisive del grillismo affondano qui e gli hanno sicuramente creato un pregiudizio di simpatia fra gli elettori, anche fra coloro che non lo votano.
Di fronte a questo pregiudizio positivo vacillano i dibattiti sul sistema elettorale.
Il doppio turno, infatti, funziona quando l’avversario è percepito come una minaccia (un leghista per un democratico, un «comunista» per un berlusconiano) e spinge l’elettore avverso alle urne per incoronare il male minore.
Ma il Movimento Cinque Stelle non fa davvero paura a nessuno, semmai suscita curiosità .
Così si spiega perchè al ballottaggio di Parma il candidato del centrosinistra non sia riuscito nemmeno a fare il pieno dei voti presi al primo turno: migliaia di suoi elettori non hanno sentito l’urgenza di tornare alle urne.
Magari in cuor loro si saranno persino augurati il trionfo della «novità ».
Ma Grillo e il grillismo non si esauriscono nei vecchi mezzi di comunicazione, parola cartacea e tv.
Il Cinque Stelle non si può capire senza la «class action», quel fenomeno importato dagli Stati Uniti che induce le vittime di un medesimo torto a unire le proprie forze e a fare causa comune contro il potere che le ha defraudate di qualche diritto.
Il berlusconismo era delega passiva al demiurgo.
Il grillismo è assunzione collettiva di responsabilità .
Il berlusconiano votava col telecomando, l’attivista di Grillo (non chiamiamolo grillino) con la tastiera del Web.
I seguaci di Berlusconi cercavano di assomigliare al Capo fin dalle barzellette, mentre quelli di Grillo non assomigliano a Grillo: nell’approccio sono molto meno televisivi e molto più seri.
Il mito fondante del Movimento Cinque Stelle, solo in questo simile all’Uomo Qualunque di Giannini, è il Buon Amministratore.
Persa la speranza di sottrarre il mondo alle trame dei grandi capitalisti, il grillismo chiede alla politica di diventare apolitica, cioè di limitarsi all’ordinaria amministrazione.
Perciò la politica potrà  salvarsi solo se smentirà  Grillo, ricominciando a fare sogni grandi. Altrimenti il Gabibbo barbuto trionferà , così come «Striscia» trionfa da vent’anni contro una Rai che ha saputo, o voluto, contrapporgli sempre e soltanto dei Pacchi.

Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)

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CHI RAPPRESENTA IL MALE DEL NORD

Maggio 22nd, 2012 Riccardo Fucile

LA FINE DEL BLOCCO NORDISTA   PDL-LEGA… IL PROBLEMA DI UNA RAPPRESENTANZA POLITICA INSODDISFATTA CHE IL MOVIMENTO CINQUESTELLE RIESCE A INTERPRETARE

I risultati di queste elezioni “amministrative” segnano, in modo definitivo, la fine della Seconda Repubblica e del sistema partitico su cui si è fondato.
Indicano, in particolare, la fine del “blocco nordista”, l’asse forza-leghista (come l’ha definito Be
Infatti, se osserviamo il bilancio dei comuni maggiori dove si è votato in Italia, il rapporto fra i due principali schieramenti, appare rovesciato a favore del Centrosinistra.
Lega e Pdl escono, dunque, chiaramente sconfitti, da queste elezioni. Dal Pd e dal Centrosinistra. Ma anche dal malessere e dalla domanda di cambiamento, a cui ha dato visibilità  particolare il Movimento 5 Stelle, guidato da Beppe Grillo.
È la fine della “questione settentrionale” alle origini della Seconda Repubblica. Ma, al tempo stesso, questo voto la rilancia, come specchio di una domanda di rappresentanza politica, largamente insoddisfatta.
1. La Lega esce ridimensionata. Nelle città  maggiori (sopra i 15 mila abitanti) dove si è votato, prima di queste elezioni, aveva 12 sindaci. Ne mantiene solo 2.
Tra cui Verona, conquistata al primo turno: da Flavio Tosi, più che dalla Lega. Nei comuni maggiori del Nord cosiddetto “Padano” (al di sopra del Po), al primo turno, le sue liste hanno ottenuto il 7% dei voti, 12 punti in meno delle Regionali del 2010, meno della metà  rispetto alle politiche del 2008.
Se allarghiamo lo sguardo all’intera “zona rossa”, dove la Lega era cresciuta molto negli ultimi anni, il crollo è più vistoso.
Oggi, infatti, nel Centro-Nord, in queste elezioni ha totalizzato il 5,8%, ma aveva ottenuto quasi il 13% alle politiche del 2008 e oltre il 17% alle regionali del 2010.
2. Il PdL, ultima versione del partito personale di Silvio Berlusconi, va anche peggio. Dal punto di vista dei governi locali, anzitutto.
Nei comuni maggiori del Centro-Nord, da 49 a 20 per il Centrodestra, dopo questo voto, si passa a 44 a 12 per il Centrosinistra.
Ma lo sfaldamento appare ancor più sensibile dal punto vista elettorale. Il PdL, infatti, si attesta al 12-13%, nel Nord e nel Centro-Nord, mentre aveva ottenuto circa il 28% alle Regionali di due anni fa e il 33% alle Politiche del 2008.
3. Ne esce un quadro del Nord e del Centro-Nord largamente ri-disegnato. In un paio d’anni, ha quasi perduto i colori dominanti: il Verde e l’Azzurro.
D’altronde, oggi i partiti del Centrodestra   –   o di quel che ieri si chiamava così   –   non governano in nessun capoluogo di regione nel Centro-Nord. Gli ultimi   –   Milano e Trieste   –   li hanno perduti un anno fa.
Uno scenario analogo emerge anche se consideriamo i capoluoghi di provincia.
Prima del 2010, 22 capoluoghi del Centro-Nord erano governati dal Centrodestra, 16 dal Centrosinistra.
Oggi 21 sono amministrati dal Centrosinistra e 14 dal Centrodestra (1 dalla Lega da sola e 2 da giunte di altro colore).
Gli attori politici che avevano “inventato” la “questione settentrionale” oggi sono minoranza   –   e quasi periferici   –   nel Nord.
4. Parallelamente, è cresciuto il Centrosinistra, intorno al Pd. Che oggi è il primo partito: del Nord “Padano” e, a maggior ragione, nel Centro-Nord.
Ma i suoi successi dipendono soprattutto dalla capacità  di fare coalizione.
Il Pd ha, infatti, perduto peso elettorale, rispetto alle Politiche e alle Regionali. Mentre in alcune fra le città  più importanti ha contribuito, con i suoi voti, a eleggere sindaci espressi da Sel. Come Doria a Genova. E, un anno fa, Pisapia a Milano.
L’antico Triangolo Industriale, Milano-Torino-Genova, dunque, oggi è governato dal Centrosinistra.
Ma (come ha osservato Gad Lerner) da uomini e soggetti politici, in prevalenza, “esterni” al Pd.
In altre città , il candidato del Pd e del Centrosinistra è stato sconfitto da altre coalizioni. A Belluno, ad esempio, si è affermato il candidato sostenuto da liste civiche di Sinistra. A Cuneo il candidato del Terzo Polo.
5. Lo stesso è avvenuto in alcuni comuni dove lo sfidante era espresso dal Movimento 5 Stelle. Anzitutto a Parma, ma anche in altre città . Come Mira e Comacchio.
Il risultato elettorale del Movimento 5 Stelle appare rilevante soprattutto nel Nord e nelle zone rosse del Centro.
Dove si presenta, infatti, supera, mediamente, l’11% (alle Regionali del 2010 si era attestato intorno al 3-4%).
In una certa misura, il “partito di Grillo” è l’attore politico che oggi interpreta, più di altri, il “male del Nord” (ma anche del Centro).
Espresso dalle aree territoriali e dalle componenti sociali coinvolte dalla crisi economica, dopo decenni di crescita.
Soffrono di un profondo deficit di rappresentanza politica. Le promesse di Berlusconi e della Lega sono rimaste tali. Promesse, slogan.
Mentre il Centrosinistra, imperniato sul Pd, è rimasto, a sua volta, coinvolto nel clima di insofferenza verso il sistema partitico. Afflitto dal vizio oligarchico e dal deficit etico.
6. Il successo del Movimento 5 Stelle sfrutta, dunque, il malessere generato dal governo, a livello centrale e locale.
Ma intercetta anche la diffusa domanda di rinnovamento del ceto politico. E la crescente sensibilità  intorno a temi legati alla tutela dell’ambiente e dei beni pubblici.
Naturalmente, una cosa è affermarsi su base locale.
Altra è competere su base nazionale. Il bello   –   e le difficoltà    –   per il “partito di Grillo” cominciano ora.
Perchè dovrà  governare, a livello locale. E dovrà  organizzare la propria presenza nazionale, in vista delle prossime elezioni.
Programmi, candidati, strategie e   –   perchè no?   –   alleanze. Oggi, però, a nessuno è concesso di liquidare questo Movimento come antipolitico.
Perchè agisce da attore politico, sul mercato elettorale. Dove si sta ritagliando uno spazio molto ampio (alcuni sondaggi lo stimano, già  ora, intorno al 20%).
7. Questa “piccola” consultazione amministrativa ha mutato profondamente le basi della “questione settentrionale”.
Nel Nord, infatti, si fanno strada domande di segno nuovo. Che non emergono da centrodestra ma da centrosinistra e, anzi, da sinistra. Esprimono istanze critiche verso il neoliberismo e i valori imposti dai “mercati” (finanziari) globali.
8. Dietro al voto, si scorge un Paese in cerca di rappresentanza politica. Se la Seconda Repubblica è finita, la Terza non è ancora cominciata.

Ilvo Diamanti
(da   “la Repubblica”)

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CHI RIEMPIRA’ I VUOTI DELLA DESTRA

Maggio 22nd, 2012 Riccardo Fucile

IL PDL E’ IN ROTTA, I LEGHISTI SENZA UN LEADER, LA GENTE ESASPERATA: IL FUTURO LO DECIDERANNO GLI ASTENSIONISTI QUANDO TORNERANNO A VOTARE

La domanda sorge spontanea di fronte ai risultati dei ballottaggi: ma i partiti e il sistema politico che abbiamo conosciuto negli ultimi venti anni – e insomma la Seconda Repubblica – sopravviveranno all’ondata di piena che li ha investiti?
Il quadro uscito dalle urne ha certamente esasperato le tendenze del primo turno: emblematica la vittoria dei grillini a Parma; accentuato il crollo del centrodestra e del Pdl; totale, in sette ballottaggi su sette, la sconfitta della Lega; e la tenuta del Pd, secondo come la si guardi, si può considerare accettabile o striminzita, dal momento che Bersani a Genova vince con un candidato che non era suo e a Palermo soccombe al plebiscitario ritorno di Orlando.
Eppure, a dispetto anche delle prime reazioni emotive ai numeri e alle percentuali, non è detto che il virus che ha aggredito la politica italiana debba per forza essere considerato letale.
Anzi, a sorpresa, e in vista della prossima e ravvicinata scadenza delle elezioni politiche del 2013, potrebbe rivelarsi un male curabile.
Seppure imprevedibile in queste dimensioni, la vittoria del Movimento 5 stelle non prelude a un’Italia governata da Grillo, che tra l’altro è il primo a non avere obiettivi del genere.
E fuori dalle principali città  in cui s’è votato, non è affatto trascurabile il risultato del Pd al Nord, in centri come Monza, Como e Asti, strappati al centrodestra, e più in generale su tutto il territorio nazionale.
Quando canta vittoria, Bersani certo esagera, ma la sua ditta non è in cattiva salute. Almeno uno dei due schieramenti che si contenderanno la guida del Paese è in condizioni di correre.
Quanto a vincere, si vedrà , specie se l’alleanza con Nichi Vendola e la sinistra radicale si rivelerà  determinante.
La malattia ha invece avuto conseguenze devastanti nell’altra metà .
Il Pdl è in rotta da Nord a Sud. E se parte del suo elettorato a Parma ha incredibilmente votato per Federico Pizzarotti – portandolo alla vittoria e apprezzandone la natura tranquilla, da ceto medio, il contrario esatto di quella del suo leader Beppe Grillo -, il resto dell’esercito berlusconiano è disorientato. In maggioranza ha preferito disertare le urne.
Non crede più nell’alleanza con la Lega: tutto quel che è emerso su Bossi e i suoi familiari e famigli è perfino più inaccettabile per gli elettori berlusconiani del Nord che non per quelli leghisti.
I quali, a ogni buon conto, alla favola di Bossi vittima di una congiura della moglie e dei figli si sono rifiutati di credere e stanno ancora aspettando che Maroni dica una volta e per tutte cosa intende fare del Fondatore travolto dallo scandalo.
Inoltre, un Paese in cui quasi metà  degli elettori (e occorrerà  vedere quanti di centrodestra e quanti di centrosinistra) disertano i seggi, si rivela straordinariamente simile, una volta tanto, all’immagine che tutte le settimane ne diffondono i sondaggi.
La gente non ne può più. Anche se non è vero, s’è convinta che i tecnici al governo continuino ad aumentare le tasse perchè i politici non intendono rinunciare ai loro privilegi.
E più sente parlare a vanvera di tagli del numero dei parlamentari e dei rimborsi ai partiti, senza vedere nulla che si concretizzi, più continua a ritenere che sia così.
Malgrado ciò, non si può certo credere che la metà  di un elettorato che stavolta s’è protestato assente se ne resti a casa anche alle prossime politiche, quando si tratterà  di decidere chi deve governare il Paese.
Non è possibile. Gli astensionisti, com’è sempre successo, torneranno a votare.
E sarà  il modo in cui torneranno e il loro numero a decidere gli equilibri del 2013.
Per certi versi, anche se le analogie negli ultimi tempi sono diventate pericolose, siamo in una situazione simile a quella del 1993.
Il vecchio gruppo di comando berlusconiano è collassato, come Andreotti e Craxi vent’anni fa. E quel che è più grave, si tratta di un collasso politico, non giudiziario.
C’è un governo tecnico (che somiglia, ma somiglia soltanto, a quello di Ciampi), alle prese con difficoltà  peggiori di quelle d’allora e con l’appoggio sempre più intermittente dei partiti della sua maggioranza.
Anche adesso il centrosinistra regge, ha qualche falla aperta nel suo fianco destro e in quello sinistro, ma è sopravvissuto, finora, alla tempesta che sembrava voler inghiottire tutto il sistema.
C’è infine una fortissima spinta di protesta, che non è esclusivamente estremista (vedi Parma), e solo in condizioni eccezionali (vedi Palermo) può puntare al governo.
Ma può anche essere recuperata, o addirittura diventare determinante, nella vittoria di uno o dell’altro schieramento.
Fin qui, tutto quasi come alla fine della Prima Repubblica.
Ma a questa similitudine, per essere completa, manca Berlusconi.
Lui o un altro, uno nuovo, che non è detto che ci sia, ma potrebbe saltar fuori all’ultimo momento, esattamente come nel ’94.
Così se il centrodestra vuol tornare in campo deve solo decidere cosa fare: o manda in pensione il vecchio Silvio (e con lui il Pdl, ormai evidentemente in stato di liquidazione), o lo richiama in servizio.
Il rischio è altissimo in entrambi i casi. E non è affatto sicuro che anche stavolta la sorpresa, la novità  a destra, basti a fermare le ambizioni di un centrosinistra in lenta ma costante avanzata.
Ma per risvegliare gli elettori moderati sonnolenti o disgustati per quel che sta accadendo – non c’è altra scelta.

Marcello Sorgi
(da “La Stampa”)

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MONTI TRA GLI SFOLLATI DEL TERREMOTO: FISCHI E CONTESTAZIONI A SANT’AGOSTINO

Maggio 22nd, 2012 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO IN VISITA ALLE ZONE COLPITE DAL TERREMOTO…ALCUNI CITTADINI LO HANNO ACCOLTO CON URLA E SLOGAN

Il presidente del Consiglio, Mario Monti, è arrivato verso le nove a Sant’Agostino, il paese del Ferrarese che ha pagato il maggior tributo di vittime nel sisma di sabato notte.
Al suo arrivo, il premier è stato contestato da alcuni cittadini, non più di una decina, che lo hanno accolto gridando: «Vergogna, ladri, potevi stare a casa».
La protesta, hanno spiegato alcune donne, è legata alle alte tasse, a partire dall’Imu.
Al suo arrivo a Sant’Agostino, insieme al presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani, al capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, e al questore di Ferrara, Luigi Mauriello, Monti ha scambiato alcune parole con li sindaco di Sant’Agostino, Fabrizio Toselli, proprio di fronte al municipio sventrato dal sisma.
Prima di entrare in una palazzina dove si terrà  un incontro con gli altri sindaci della zona e con i tecnici, il presidente del Consiglio è stato apostrofato con fischi e ‘buù da un piccolo gruppetto di cittadini di Sant’Agostino.
Semplici cittadini, hanno spiegato, «decisi a far sentire la propria voce in un momento difficile in cui, oltre alla paura» per il terremoto si sente anche «disagio per le tante tasse, per l’Imu» e per il rischio che le spese della ricostruzione del dopo terremoto pesino sulla cittadinanza.
«Poteva stare a casa – ha spiegato una signora – è venuto perchè questo è un circo mediatico. Abbiamo tanti problemi, c’è rabbia e paura. Da uno Stato ci si aspetta quello che lo Stato dovrebbe fare: fischiamo per esprimere il nostro malcontento».
Durante l’incontro di oggi i sindaci della bassa padana chiederanno al premier l’esenzione dal Patto di Stabilità  per poter investire i soldi nelle casse comunali.

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