Destra di Popolo.net

MULTO’ I RE DEI VIDEOPOKER PER 98 MILIARDI, ORA IL COL. RAPETTO E’ STATO COSTRETTO A DIMETTERSI DALLA GUARDIA DI FINANZA: SIAMO LA VERGOGNA D’EUROPA

Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile

CHI FA IL PROPRIO DOVERE IN ITALIA RIMANE VITTIMA DEL KILLERAGGIO DEI POTERI FORTI.. UNO DEI MAGGIORI ESPERTI EUROPEI SUL CYBER CRIME E SULLE TRUFFE FISCALI MESSO ALLA PORTA DALLO STATO: “CANCELLATI 37 ANNI DI SACRIFICI”

Era un punto di riferimento, in Italia e non solo, per tutto ciò che riguarda le cyber-truffe e le inchieste telematiche.
Ed è stato l’uomo che, con le sue indagini, ha fatto infliggere una mega multa da 98 miliardi a dieci società  concessionarie del gioco d’azzardo di Stato, poi ridotta dalla Corte dei conti alla cifra comunque consistente di 2,5 miliardi. Ora il colonnello della Guardia di finanza Umberto Rapetto, 53 anni, ha annunciato le sue dimissioni su Twitter: “Chiedo scusa a tutti quelli che mi hanno dato fiducia, ma qualche minuto fa sono stato costretto a dare le dimissioni dalla GdF” scrive alle 9:44 del mattino del 29 maggio.
“Qualche modulo e una dozzina di firme sono bastati per cancellare 37 anni di sacrifici e di soddisfazioni e i tanti sogni al Gat GdF”, rincara la dose mezz’ora dopo.
Rapetto era stato il fondatore del Gat (Gruppo anti-crimine telematico), poi diventato Nucleo speciale frodi telematiche.
È il reparto che si occupa di contrastare le truffe via Internet, i criminali e gli attacchi informatici.
Giornalista pubblicista e autore di numerose pubblicazioni — era stato nominato Ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica Italiana da Carlo Azeglio Ciampi — il colonnello era noto per numerose inchieste condotte con successo: dall’operazione “Macchianera” che portò alla luce centinaia di frodi nei confronti dell’Inps, alle indagini che avevano portato all’arresto di criminali informatici in grado di penetrare nel sistema di sicurezza del Pentagono.
A costargli il posto, però, potrebbe essere stata proprio l’inchiesta sulle slot machine non collegate alla rete telematica dello Stato.
E’ di ieri la notizia degli arresti domiciliari di Massimo Ponzellini: l’ex presidente di Bpm ha ricevuto la misura cautelare per un finanziamento sospetto proprio alla società  di slot machine, Atlantis.
Le dimissioni arrivano dopo che, bocciata la sua promozione a generale, Rapetto viene rimosso dal Gat — dal prossimo luglio — e spedito a frequentare — da studente — un corso al Centro Studi della Difesa, struttura presso la quale insegnava da 15 anni.
Un’assurdità , che segue la bufera politica già  sollevata quando venne decisa la sua rimozione sulla quale si erano concentrate ben nove interrogazioni parlamentari provenienti da pressochè tutto l’arco politico (e nelle quali veniva sottolineato la sua “professionalità  specifica e riconosciuta a livello internazionale come esperto di lotta al crimine informatico”).
Il Comando generale delle Fiamme Gialle fece sapere che le sue indagini avevano “frequentemente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica soprattutto da un punto di vista mediatico” e che il suo allontanamento dal Gat non era “certamente una rimozione ma, al contrario, rientra nella normalità  delle vicende che interessano tutti gli ufficiali della Guardia di finanza”.
Ieri, però, sono arrivate le dimissioni.
Con tanta amarezza. Rapetto, oltre che a Twitter, si è affidato anche a Facebook per esprimere la sua delusione: “Grazie a tutti per la solidarietà : il momento è difficile e indesiderato…”.
Evidentemente per lui l’aria era diventata irrespirabile.

Commento del ns. direttore

Questa vicenda rappresenta, sia per lo spessore riconosciuto al col. Rapetto a livello internazionale, sia per l’evidente azione punitiva nei suoi confronti, determinata dall’aver toccato interessi e clan miliardari degli “amici degli amici” (con ascendenti coinvolti in processi di ‘ndrangheta), una delle pagine più sporche della nostra Repubblica.
Uno sputtanamento del nostro Paese a livello planetario di cui parlerà  la stampa internazionale, la quale avrà  buon gioco a sostenere che in Italia chi fa il proprio dovere viene ridotto a “studente di corsi dove aveva insegnato per 15 anni” mentre gli evasori si vedono abbuonata la multa di 92 miliardi.
Con che credibilità  Monti parla di lotta all’evasione e si congratula con la Guardia di Finanza?
Quale Guardia di Finanza?
Piccola considerazione sui partiti che parlano di legalità  e merito: vi sono vicende in cui non basta un’interrogazione parlamentare, occorre occupare Camera e Senato a oltranza, fino all’intervento dei reparti mobili.
Per sgomberare l’Aula devono usare la violenza fisica, come hanno usato quella morale contro Rapetto.
Queste sono le battaglie che vanno condotte per coerenza con le proprie idee e coi nostri valori di riferimento.
Queste sono le battaglie che portano consensi, a costo di finire manganellati.
Fino a ottenere che qualcuno (e non Rapetto) prepari le valigie e venga accompagnato alla porta a calci nel culo.

argomento: Costume, criminalità, denuncia, destra, Giustizia, radici e valori | Commenta »

CENTO MILIARDI DI GRANDI SPRECHI

Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile

IL GOVERNO PUNTA SULLE INFRASTRUTTURE PER LA CRESCITA MA, DALLA TORINO-LIONE AL BRENNERO, SI TRATTA QUASI SEMPRE DI INVESTIMENTI FERROVIARI DESTINATI AD ARRICCHIRE SOLO BANCHE E COSTRUTTORI

Il ministro Corrado Passera ha annunciato che, con l’intervento dei privati, si potrà  arrivare a investimenti di 100 miliardi nei prossimi anni.
Tantissimi soldi, ma ricordano quelli per le “grandi opere” di Berlusconi, mai concretizzatisi. Tuttavia un certo numero di “grandi opere”, oltre la Torino-Lione, stanno per davvero per essere avviate dal governo Monti.
L’attenzione si è spesso concentrata sul tunnel della Val di Susa, ma è forte il rischio che questi altri investimenti possano rivelarsi, nel complesso, un affare anche peggiore per il Paese.
Alcune sono già  finanziate in parte, altre hanno passato la cruciale soglia dell’approvazione del Cipe.
Si tratta del tunnel ferroviario del Brennero, della linea ferroviaria Milano-Genova (nota come “terzo valico”, essendocene già  due, sottoutilizzati), la linea Alta velocità  Treviglio-Brescia-Padova, le nuove linee ferroviarie Napoli-Bari e Palermo-Catania, che non sono ad alta velocità  ma costano come se lo fossero, e il miglioramento della linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria (forse, tra queste, la più sensata).
Vi è anche un’intesa politica “bipartisan” per la nuova linea Av Venezia-Trieste, mentre non è chiaro al momento il destino del Ponte sullo Stretto di Messina.
Il costo totale preventivato supera i 27 miliardi di euro (e chissà  poi il consuntivo).
Circa l’auspicato e generoso intervento dei privati, in questo settore in generale si tratta di “prestiti mascherati”, in cui i privati, forse anche a ragione, in realtà  non rischiano nulla. L’esperienza dell’Alta velocità  dovrebbe insegnare: la Commissione europea costrinse lo Stato a versare 11 miliardi “cash” alle Fs, perchè non riconobbe alcun reale rischio privato nell’operazione.
Ma la memoria è labile quando si tratta dei soldi dei contribuenti.
Quali caratteristiche hanno in comune le opere sopra elencate
Non sono stati resi pubblici i piani finanziari: cioè non è noto quanto sarà  a carico dei contribuenti e quanto a carico degli utenti.
La cosa sembra inquietante in un periodo di grande scarsità  di soldi pubblici. Non sono in generale note nemmeno analisi costi-benefici comparative di tali opere, per determinarne la priorità  in funzione del benessere sociale che creano (o distruggono).
I finanziamenti non sono “blindati” fino a garantire il termine dell’opera.
La normativa recente che consente di realizzarle “per lotti costruttivi”, invece che “per lotti funzionali” rende possibili cantieri di durata infinita.
Sono tutte opere ferroviarie, ed è noto che la “disponibilità  a pagare” degli utenti per la ferrovia è molto bassa, tanto che se si impongono tariffe che prevedano un recupero anche parziale dell’investimento, il traffico tende a scomparire, al contrario che per le autostrade.
Questo aspetto rende discutibile la scelta di privilegiare le ferrovie, quando i soldi sono così scarsi. In effetti, i benefici ambientali delle ferrovie sono indiscutibili.
Ma non è più così in caso di linee nuove: le emissioni “da cantiere” rendono il risultato ambientale molto dubbio.
Il contenuto occupazionale e anticiclico di tali opere appare modesto: si tratta di tecnologie “ad alta intensità  di capitale” (in media, solo il 25% dei costi sono di lavoro).
Vediamo ora i pochi aspetti specifici che sono noti di alcune di queste opere.
La debolezza delle informazioni di cui si dispone è un problema politico in sè: investimenti pubblici di questa portata dovrebbero essere documentati in modo trasparente.
Sul “terzo valico” l’Ing. Mauro Moretti, ad di Fs, si è espresso più volte mettendone in dubbio la priorità , tanto da dover essere ripreso con una lettera al Sole 24 Ore dall’ex ministro Lunardi. L’analisi costi-benefici della linea Av Milano-Venezia, è stata dimostrata inconsistente su lavoce.info.
Per il tunnel del Brennero, gli austriaci da tempo esprimono dubbi sulle proprie disponibilità  finanziarie.
Certo, se l’Italia costruisse la propria metà , vi sarebbero molti problemi per i treni, senza l’altra metà  del tunnel. L’analisi costi-benefici, presentata da Fs per la linea Napoli-Bari, è stata dimostrata del tutto indifendibile, sempre su lavoce.info.
Anche in questo caso, nessuna smentita è pervenuta.
È una leggenda che le infrastrutture generino nel tempo la domanda che le giustifica: la linea di Alta velocità  Milano-Torino, costata 8 miliardi e con una capacità  di 330 treni/giorno, ne porta, dopo tre anni dall’entrata in servizio, appena 20.
Nè la realizzazione del collegamento Torino-Lione ne genererebbe molti di più: le stime ufficiali (ma quelle del progetto completo, non di quello attuale, molto più modesto) parlano di neanche 20 treni aggiuntivi.
Ma il problema maggiore non è la debolezza della domanda ferroviaria quanto i cantieri infiniti, consentiti dall’attuale normativa.
Per ragioni di consenso si rischia di avere moltissime opere non finite in tempi ragionevoli, con costi economici stratosferici.
Non sembra il momento di perseverare con queste logiche, proprie di una diversa fase politica ed economica.
Ma chi avrà  il coraggio di dire di no a tanti “sogni nel cassetto” di politici, banche e costruttori locali, soprattutto in vicinanza di elezioni?

Marco Ponti
(professore di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano)
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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CASALEGGIO: “IO COFONDATORE DEL MOVIMENTO CINQUE STELLE”

Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile

IL GURU DELLA COMUNICAZIONE, AL CENTRO DELLE POLEMICHE IN MERITO ALLA SUA INFLUENZA SU GRILLO, PARLA DEI SUOI RAPPORTI CON IL COMICO GENOVESE… TUTTO INIZIO’ NEL 2004: DA LI’ PARTIRONO IL BLOG, IL MEETUP E IL VDAY: “INSIEME ABBIAMO DEFINITO LE REGOLE, MA NON SONO MAI ENTRATO NELL’AMBITO DEI PROGRAMMI

“A chi si chiede chi c’è dietro Grillo o si riferisce a ‘un’oscura società  di marketing’ voglio chiarire che non sono mai stato ‘dietro’ a Beppe Grillo, ma al suo fianco”.
Gianroberto Casaleggio, ‘guru’ della comunicazione del blogger genovese a capo dell’agenzia per le ‘strategie di rete’ Casaleggio associati, scrive al Corriere della Sera per spiegare come sia nato e cresciuto il loro rapporto e quale sia il suo ruolo nel Movimento 5 Stelle, di cui è ‘cofondatore’.
Nelle ultime settimane, specie con la vittoria alle scorse amministrative e la polemica intorno al consigliere epurato in Emilia Romagna, Casaleggio è stato al centro delle polemiche perchè considerato l’ ‘eminenza grigia’ in grado di influenzare Grillo e di prendere decisioni sulle strategie politiche.
Nel 2003, spiega al quotidiano di via Solferino, ha deciso di lasciare Telecom e di aprire la sua agenzia di comunicazione in cui la Rete era protagonista.
“Internet — spiega — è un tema che mi appassiona e di cui mi occupo dalla metà  degli anni 90″. Per questo ha cercato di “comprenderne le implicazioni sia nel contesto sociale che in quello politico che in quello della comunicazione” perchè fermamente convinto che “la Rete stia cambiando ogni aspetto della società  e cerco di prevederne gli effetti”.
Abilità  e passione che a Grillo non sono sfuggite.
“Tutto iniziò nel 2004″, quando il comico lesse uno dei suoi libri, “Il Web è morto, viva il Web”. Da lì la svolta: “Rintracciò il mio cellulare e mi chiamò. Lo incontrai alla fine di un suo spettacolo a Livorno e condividemmo gran parte delle idee”.
Poi la collaborazione tra i due si è fatta sempre più intensa: “Progettammo insieme il blog beppegrillo.it, proponemmo la rete dei Meetup (gruppi che si incontrano sul territorio grazie alla Rete), organizzammo insieme i Vday di Bologna e di Torino, l’evento Woodstock a 5 Stelle a Cesena e altri incontri nazionali, come a Milano dove, il 4 ottobre 2009, giorno di San Francesco, al teatro Smeraldo prese vita il MoVimento 5 Stelle”.
Chiarisce che dietro a Grillo non c’è “un’oscura società  di marketing”, perchè lui è sempre stato al suo fianco.
Poi aggiunge di essere “in sostanza cofondatore” dei 5 Stelle, perchè con Grillo ha “scritto il ‘Non Statuto’, pietra angolare del MoVimento 5 Stelle prima che questo nascesse, insieme abbiamo definito le regole per la certificazione delle liste e organizzato la raccolta delle firme per l’iniziativa di legge popolare ‘Parlamento Pulito’ e le proposte referendarie sull’editoria con l’abolizione della legge Gasparri e dei finanziamenti pubblici”.
Casaleggio ha anche un ruolo attivo nella comunicazione dei “rappresentanti di liste che si candidavano alle elezioni amministrative” ma, rispondendo alle polemiche di chi lo ritiene il deus ex machina del movimento, chiarisce di non essere mai “entrato nell’ambito dei programmi delle liste, nè ho mai imposto alcunchè”.
Prende le distanze anche da chi lo accusa di essere vicino ai poteri forti, da Bilderberg alla Godman Sachs.
Ipotesi che da tempo circolano online, visto che nella Casaleggio associati c’è Enrico Sassoon, anche lui con un passato in Telecom, che oggi è   Board Member dell’Aspen Institute Italia. Insomma, Casaleggio dice di non essere il “grande fratello” di Grillo in stile orwelliano, anche se ammette che “Grillo per me è come un fratello, un uomo per bene che da questa avventura ha tutto da perdere a livello personale”.
E conclude la sua lettera con il motto del più antico ordine cavalleresco inglese: “Honni soit qui mal y pense”.
Tradotto: “Si vergogni chi pensa male”.

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TERREMOTO IN EMILIA: IN GINOCCHIO IL SISTEMA PRODUTTIVO DELLA REGIONE

Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile

SI PARLA DI OLTRE 2 MILIARDI DI DANNI E CIRCA 20.000 PERSONE RIMASTE SENZA LAVORO

Colpito mentre cominciava a rimettersi in piedi il sistema produttivo emiliano dovrà  purtroppo rivedere drammaticamente in peggio un conto dei danni che aveva appena iniziato a delinearsi con un minimo di chiarezza.
Dopo la prima scossa la situazione era la seguente: danni fino a due miliardi di euro tra industria, agricoltura e commercio, un capannone su quattro crollato o inagibile e 14mila posti a rischio nelle province di Modena e Ferrara che contano complessivamente 45mila occupati.
Tutte queste cifre sono destinate a peggiorare ma per sapere in quale misura bisognerà  attendere le prossime ore.
La Confindustria Modena parla però intanto di “una situazione molto peggiorata rispetto al primo terremoto” e di danni per l’industria a spanne almeno triplicati rispetto ai 500 milioni della scorsa settimana.
Il quadro più compromesso sembra essere quella del distretto biomedicale di Mirandola dove 5000 persone lavorano ad una produzione d’eccellenza che vale circa 800 milioni di euro l’anno.
Già  la scorsa settimana, 9 aziende su 10 erano state costrette a fermarsi e oggi il presidente di Assobiomedica Stefano Raimondi ha affermato: ”I danni subiti dalle aziende biomedicali che si trovano nella zona interessata dal sisma sono considerevoli. Siamo preoccupati per i rifornimenti di prodotti ai pazienti per alcune patologie, in particolare la dialisi”.
Gravi difficoltà  anche per la meccanica dove secondo l’assessorato al lavoro della Regione sono a rischio non meno di 5000 posti.
Le linee di montaggio dei big come Ferrari, o Lamborghini si sono fermate, almeno ad ora, solo per motivi precauzionali. Il cosiddetto sistema “just in time” prevede poche scorte in magazzino contando su forniture continue e puntuali. Basta che si inceppi un ingranaggio e un fornitore manchi una consegna e tutto il meccanismo si blocca. Rischia invece di veder vanificati i suoi sforzi il distretto della ceramica concentrato nell’area di Sassuolo.
Qui gran parte delle produzioni erano state rimesse in moto a tempo di record scongiurando la perdita di 1500 posti di lavoro temuta inizialmente.
Ora bisognerà  probabilmente ricominciare tutto da capo.
Quanto all’agricoltura sono ancora negli occhi di molti le immagini delle 300 mila forme di parmigiano reggiano andate perse lo scorso 20 maggio a causa del crollo delle strutture che le ospitavano.
Le primissime stime sulle conseguenze del sisma odierno parlano di altre 500 mila forme perse.
La stima iniziale di 200 milioni di danni è cresciuta, dice Coldiretti, fino a mezzo miliardo di euro. Così come andrà  alzato e di molto il conteggio delle perdite per l’intero settore agricolo sinora quantificate in un altro mezzo miliardo di euro.
Andranno purtroppo rifatti anche i calcoli dei danni subiti dalle imprese del commercio, del turismo e dei servizi che fino a ieri ammontavano a 300 milioni di euro con il 90% delle attività  bloccate nelle zone più vicine all’epicentro.
L’impatto economico del nuovo disastro potrà  ovviamente essere attenuato dalle contromisure che governo, enti locali e banche metteranno in campo.
Prima del sisma di questa mattina il governo aveva stanziato una prima tranche di aiuti da 50 milioni di euro e il rinvio di alcuni adempimenti fiscali.
Il sistema bancario aveva invece annunciato la sospensione di rate di mutui ipotecari per 800 milioni di euro e l’apertura di linee di credito a tassi agevolati per imprese e popolazione delle aree colpite.
Misure che sono state giudicate però ampiamente insufficienti da sindacati e organizzazioni imprenditoriali locali e che da questa mattina lo sono ancora di più.

Mauro Del Corno
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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LE MANI DELLE COSCHE SULLA SALERNO-REGGIO CALABRIA: PIZZO DEL 3% SULL’IMPORTO DEGLI APPALTI PER I CANTIERI

Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile

DODICI FERMI NEI CONFRONTI DI ESPONENTI DEL CLAN NASONE…. GLI IMPRENDITORI CHE NON PAGAVANO AVEVANO I MEZZI DANNEGGIATI O SUBIVANO PESANTI INTIMIDAZIONI

I carabinieri li hanno sentiti pianificare le incursioni notturne, organizzare i danneggiamenti. Stabilire quali mezzi dovevano saltare in aria e quali essere devastati a mazzate.
Per lavorare sui cantieri della Salerno-Reggio Calabria, dovevano pagare tutti.
E nella zona di Scilla-Villa San Giovanni, i soldi toccavano a loro. Il 3% dell’importo dell’appalto, e “non meno”, doveva andare ai “Nasone-Gaietti”.
Ora una decina di componenti della cosca sono finiti in manette su richiesta della Dda di Reggio Calabria, che ha deciso di affondare il colpo mentre la cosca era ancora pienamente operativa.
I carabinieri del Comando provinciale hanno notificato dodici “fermi” nei confronti di altrettante persone ritenute legate al clan degli scillesi.
Il procuratore aggiunto Michele Prestipino e i pm Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, hanno firmato i provvedimenti nel tentativo di bloccare lo stillicidio di intimidazioni che negli ultimi mesi ha riguardato una serie di aziende impegnate nella fornitura di servizi e materiali o subappaltatori dell’A3 e non solo.
In questo senso, il boss Giuseppe Virgilio Nasone, e i suoi uomini erano determinati. Nonostante l’arresto di un picciotto della “famiglia” catturato nei mesi scorsi – quando si era presentato ad un imprenditore per chiedere una mazzetta da sei mila euro – il gruppo non aveva nessuna intenzione di fermarsi. Anzi.
Le microspie dell’Arma li avevano sentiti ragionare: “Non è che le cose non si possono fare, basta stare attenti”.
Le cose da fare erano gli attentati. E di soldi ne arrivavano tanti dalle ditte intimorite.
Alcuni imprenditori pagavano per evitare che le attrezzature, in molti casi particolarmente costose, fossero danneggiate.
Altri per paura o per evitare che gli operai subissero ritorsioni anche violente.
“Dobbiamo fare come quelli di Gioia Tauro — dicevano — quelli che pagano sono apposto. Agli altri gli facciamo saltare i palazzi”.
L’inchiesta della Procura di Reggio Calabria ha preso il via dalla denuncia di un imprenditore che non si è voluto piegare.
Così, a marzo del 2011 è finito in carcere Giuseppe Fulco, cugino dei Nasone.
Gli inquirenti, incassato il risultato, tuttavia, non hanno mollato la presa ed hanno continuato ad ascoltare i suoi commenti in carcere.
Ed è durante i colloqui con la madre e la sorella che sono venuti fuori una serie di elementi che hanno consentito di ricostruire la rete di rapporti interni alla cosca.
Il clan infatti continuava a versargli “la mesata” ed a spartire con lui gli utili di altre estorsioni. Altre microspie e una serie di pedinamenti hanno fatto il resto, riuscendo a dare un volto ed un nome ad ogni componente del clan e a ricostruire i singoli episodi.

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CNEL, OLTRE 10.000 CERVELLI IN FUGA, MA C’E’ IL BOOM DEGLI INFERMIERI ROMENI IN ITALIA

Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile

SECONDO LA RICERCA, GERMANIA, GRAN BRETAGNA E SVIZZERA SONO LE METE SCELTE DAI GIOVANI ITALIANI… IL NOSTRO PAESE E’ INVECE POLO ATTRATTIVO PER LAVORATORI STRANIERI CON UNA FORMAZIONE MEDIO BASSA

Medici, avvocati e architetti in fuga all’estero per trovare lavoro.
Sono oltre 10 mila i professionisti che tra il 1997 e il 2010 si sono trasferiti stabilmente in altri paesi europei.
Circa 4mila persone vivono in Gran Bretagna, 1500 scelgono la Svizzera e   poco più di 1000 persone optano per la Germania.
Lo conferma l’indagine del centro studi del Forum nazionale dei Giovani in collaborazione con il Cnel.
I lavoratori altamente qualificati che lasciano l’Italia sono medici (2640), insegnanti delle scuole superiori (1327), avvocati (596) e architetti (214).
Tuttavia il Belpaese è un polo di attrazione per chi arriva dall’estero.
Il saldo tra gli arrivi e le partenze è positivo per circa mille unità .
Tra il 2007 al 2010 sono arrivati in Italia professionisti rumeni (5125), spagnoli (1306) e tedeschi (1030).
In genere, la loro qualifica è medio-bassa: la maggior parte sono infermieri (6531).
Le difficoltà .
Per i lavoratori altamente qualificati lasciare il proprio paese non è una passeggiata. Secondo il Cnel, i principali ostacoli sono la libera circolazione in Europa, il riconoscimento dei titoli, l’omogeneità  dei percorsi formativi.
I professionisti più agevolati nella mobilità  Ue sono i medici e gli architetti.
Le maggiori difficoltà  le incontrano psicologi e giornalisti; seguono notai, commercialisti, consulenti del lavoro e avvocati.
Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) l’Italia risulta avere una regolamentazione tra le più complicate in Europa.
Peggio solo la Slovenia, la Turchia e il Lussemburgo.
Professionisti over 50.
Tra gli oltre 2 milioni di iscritti agli ordini professionali, appena il 9,4% ha meno di 30 anni.
Nell’indagine, un notaio su due ha più di 50 anni e quasi tre medici su quattro sono over 45.
Ci sono più giovani nella categoria dei giornalisti e degli avvocati: oltre il 60% ha meno di 45 anni.

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LE MANI DELLE COSCHE SULLA SALERNO-REGGIO CALABRIA: PIZZO DEL 3% SULL’IMPORTO DEGLI APPALTI PER I CANTIERI

Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile

DODICI FERMI NEI CONFRONTI DI ESPONENTI DEL CLAN NASONE…. GLI IMPRENDITORI CHE NON PAGAVANO AVEVANO I MEZZI DANNEGGIATI O SUBIVANO PESANTI INTIMIDAZIONI

I carabinieri li hanno sentiti pianificare le incursioni notturne, organizzare i danneggiamenti. Stabilire quali mezzi dovevano saltare in aria e quali essere devastati a mazzate.
Per lavorare sui cantieri della Salerno-Reggio Calabria, dovevano pagare tutti.
E nella zona di Scilla-Villa San Giovanni, i soldi toccavano a loro. Il 3% dell’importo dell’appalto, e “non meno”, doveva andare ai “Nasone-Gaietti”.
Ora una decina di componenti della cosca sono finiti in manette su richiesta della Dda di Reggio Calabria, che ha deciso di affondare il colpo mentre la cosca era ancora pienamente operativa.
I carabinieri del Comando provinciale hanno notificato dodici “fermi” nei confronti di altrettante persone ritenute legate al clan degli scillesi.
Il procuratore aggiunto Michele Prestipino e i pm Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, hanno firmato i provvedimenti nel tentativo di bloccare lo stillicidio di intimidazioni che negli ultimi mesi ha riguardato una serie di aziende impegnate nella fornitura di servizi e materiali o subappaltatori dell’A3 e non solo.
In questo senso, il boss Giuseppe Virgilio Nasone, e i suoi uomini erano determinati. Nonostante l’arresto di un picciotto della “famiglia” catturato nei mesi scorsi – quando si era presentato ad un imprenditore per chiedere una mazzetta da sei mila euro – il gruppo non aveva nessuna intenzione di fermarsi. Anzi.
Le microspie dell’Arma li avevano sentiti ragionare: “Non è che le cose non si possono fare, basta stare attenti”.
Le cose da fare erano gli attentati. E di soldi ne arrivavano tanti dalle ditte intimorite.
Alcuni imprenditori pagavano per evitare che le attrezzature, in molti casi particolarmente costose, fossero danneggiate.
Altri per paura o per evitare che gli operai subissero ritorsioni anche violente.
“Dobbiamo fare come quelli di Gioia Tauro — dicevano — quelli che pagano sono apposto. Agli altri gli facciamo saltare i palazzi”.
L’inchiesta della Procura di Reggio Calabria ha preso il via dalla denuncia di un imprenditore che non si è voluto piegare.
Così, a marzo del 2011 è finito in carcere Giuseppe Fulco, cugino dei Nasone.
Gli inquirenti, incassato il risultato, tuttavia, non hanno mollato la presa ed hanno continuato ad ascoltare i suoi commenti in carcere.
Ed è durante i colloqui con la madre e la sorella che sono venuti fuori una serie di elementi che hanno consentito di ricostruire la rete di rapporti interni alla cosca.
Il clan infatti continuava a versargli “la mesata” ed a spartire con lui gli utili di altre estorsioni. Altre microspie e una serie di pedinamenti hanno fatto il resto, riuscendo a dare un volto ed un nome ad ogni componente del clan e a ricostruire i singoli episodi.

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PAOLO BERLUSCONI, ROMANI, SANTANCHE’: “TUTTE LE PRATICHE DEL PRESIDENTE”

Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile

LE CARTE DI PONZELLINI: TRAMITE SUO PASSAVANO FINANZIAMENTI AGLI AMICI CON CANALI PRIVILGIATI…LA VISIBILIA DELLA SANTANCHE’ “NON SEMBRA FINANZIABILE, MA CANNALIRE FA PRESSIONI PER CONCEDERE IL CREDITO”

A lui la mano libera per finanziare gli amici. Ai sindacati “nomine, assunzioni benefits e politiche salariali privilegiate”.
È questo il patto scellerato tra le sigle sindacali della Popolare di Milano e l’ex presidente Massimo Ponzellini che ha permesso di creare all’interno della banca una struttura parallela per gestire il credito.
Ponzellini spingeva e aggiustava “le pratiche del presidente” in genere dubbie e piene di problematiche secondo il suo tornaconto personale, mentre i sindacati raggruppati nell’associazione “Amici della Popolare di Milano” godevano di alcune garanzie per stipendi e carriere.
“L’anello di congiunzione di queste due politiche – scrive il giudice per le indagini preliminari Cristina di Censo nell’ordinanza d’arresto – è rappresentato dal direttore generale Enzo Chiesa, la cui figura è espressione dei soci dipendenti”.
A muovere le leve del credito sono Ponzellini e il suo braccio destro Antonio Cannalire, legato alla banca da un contratto di consulenza, “con la collaborazione di Enzo Chiesa e di volta in volta, con la condivisione o la tolleranza degli altri dirigenti”.
La validità  dello schema è confermata dal fatto che sarebbe dovuto sopravvivere anche all’uscita di scena di Ponzellini con l’avvento del nuovo presidente, Andrea Bonomi.
È lo stesso Cannalire in una telefonata con Paolo Berlusconi, fratello dell’ex premier e tra i “privilegiati” del credito facile della Bpm, a rassicurarlo. “A lui (Berlusconi ndr) Cannalire promette di presentare Bonomi, spiegando che rappresenterà  la continuità  con Massimo. Se Bankitalia non fa ulteriore pazzie Bonomi dovrebbe continuare la continuità  di Chiesa”.
Dello stesso tenore, tra ricatti e sottintesi sono le telefonate tra Cannalire e i sindacalisti Sergio Girgenti (Fibacisl), Daniele Ginese (Fabi) e Gallo (Cisl).
Libero e al di sopra della lotta di potere tra le sigle sindacali della banca, Ponzellini ha potuto gestire con tranquillità  le sue pratiche.
La più importante era relativa ai giochi d’azzardo, con la società  Atlantis/BPlus, beneficiaria di un finanziamento da 150 milioni di euro.
La banca avrebbe prestato soldi alla Atlantis pur sapendo che, risalendo la catena di controllo, la società  faceva capo attraverso una società  offshore delle Antille Olandesi a Francesco Corallo, figlio di Gaetano, condannato per reati di criminalità  organizzata, e legato al clan di Nitto SantaPaola.
I ricavi della Atlantis, attiva nei giochi d’azzardo e vincitrice di una gara d’appalto con l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (Aams), sarebbero inoltre finiti al di fuori dei confini nazionali.
Nel settore giochi opera direttamente anche Cannalire, come socio nella Jackpot Game di Marco Dell’Utri, figlio del senatore Marcello, e di altre società  tutte con rapporti di credito con la Bpm “caratterizzati da vistose irregolarità “.
A una di queste, la M2Holding, la Atlantis/BPlus avrebbe versato due bonifici da 500mila euro. Secondo la ricostruzione dei pm Mauro Clerici e Roberto Pellicano, anche Ponzellini avrebbe ottenuto dei corrispettivi da Corallo, attraverso una società , la Pegasus Bridge.
Gli inquirenti hanno scoperto una rimessa da 900mila euro e un contratto con la Atlantis sequestrato allo stesso Ponzellini in cui si parla di pagamenti per altri 3,5 milioni di sterline inglesi in tre anni (a 100mila al mese).
Al mondo del gioco appartengono anche altre società  vicine al duo Cannalire – Ponzellini, la Sisal e la Almaviva dell’Imprenditore Alberto Tripi.
Tutte erano interessate oltre ai finanziamenti di Bpm anche all’attività  di un amico di Cannalire e Ponzellini, l’onorevole Marco Milanese, il parlamentare del Pdl ex braccio destro di Giulio Tremonti.
A Milanese, da tempo ritenuto il referente delle società  attive nel settore giochi, sarebbe toccato il compito di far recepire nel cosiddetto decreto Abruzzo del 2009, la normativa relativa alle slot machine di ultima generazione, sulle quali le società  erano pronte a investire.
Del resto, Tremonti era in cerca di nuove entrate fiscali per far fronte all’emergenza sismica. E il gioco d’azzardo era una buona fonte.
La Sisal avrebbe promesso versamenti per 860 mila euro e Almaviva altri 240mila euro.
Il giro di amici di Ponzellini, tuttavia è più ampio e abbraccia un ampio fronte politico e imprenditoriale (da Gavio a Ligresti, alle Generali).
Cannalire chiama la segretaria dell’allora ministro Paolo Romani dicendo: “Mi dice il mio capo, Ponzellini, finchè c’abbiamo una banca si può invitare stasera Paolo a cena”.
In particolare Romani si sarebbe interessato a un finanziamento per Ilaria Sbressa e il suo canale televisivo. Anche Paolo Berlusconi si sarebbe rivolto a Cannalire.
La richiesta, però, aveva creato delle perplessità  nel capo divisione crediti, il quale, ricorda il gip nell’ordinanza, faceva presente che il cliente “chiede una cosa che fatta così sta un po’ sull’impossibile, nel senso che chiede l’anticipo su utili che ci saranno forse in società “.
Ma gli affidamenti arrivano.
L’ex ministro Ignazio La Russa avrebbe contattato Ponzellini per spingere una pratica: “quel giorno – scrive ancora il gip – tale Giordano della Quintogest chiamava direttamente Cannalire riferendo di avere spiegato a La Russa che la sua pratica non era di facile trattazione e che questi aveva replicato “allora chiamo io Massimo, vedrai che è facile””.
Pure Daniela Santanchè (Pdl) è in confidenza con Cannalire: chiede soldi per Visibilia, una società  “non finanziabile”.
Spunta anche un prestito a Giovanni Acampora, avvocato condannato dalla corte d’appello di Milano per corruzione nella vicenda Imi-Sir.
Per lui intercedono il senatore Alfredo Messina e l’onorevole Aldo Brancher.

Walter Galbiati e Emilio Randacio
(da “La Repubblica”)

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PLUFF, MONTI BUCA IL PALLONE

Maggio 30th, 2012 Riccardo Fucile

“FERMARE I CAMPIONATI”, ZAMPARINI: “PREMIER INDEGNO”, ABETE: “NON SI PUO’ FARE”….E A PALERMO RETATA PER IL TOTONERO

In fondo alle esperienze si trova coraggio. Superata l’afasia, la parola prende il volo. Forse è solo campagna elettorale. Si vedrà .
Dopo aver riflettuto sulla discarica di Villa Adriana, Mario Monti si occupa di altra spazzatura.
Rifiuti che emanano l’odore nauseante di qualcosa coperto troppo a lungo.
“Mi domando se per due o tre anni non gioverebbe una totale sospensione del calcio. Non è una mia proposta o una risoluzione del governo, ma la riflessione di una persona che era appassionata di questo sport, quando il pallone era ancora tale”.
Poi, liberato, Monti affonda. Cita il ricatto. L’omertà .
Le connivenze: “È particolarmente triste e fa rabbrividire quando una disciplina che dovrebbe esprimere i valori più alti si rivela un concentrato di fattori deprecabili. In questi anni abbiamo assistito a fenomeni indegni”.
Basta per segnare la tanto evocata discontinuità , veder accorrere Gianfranco Fini, travestito da pompiere: “Le parole di Monti non vanno interpretate alla lettera”, e far incazzare Gianni Rivera: “Provo dispiacere. In Monti avevo fiducia, ma ha detto frasi fuori luogo e fuori tempo. Non sono un difensore della corporazione, ma non bisogna esagerare e queste uscite non le capisco”.
Se voleva essere l’ultimo disperato tentativo di stupire, Monti non ha fallito.
Turbato i sonni già  agitati di un universo da sempre abituato a essere ricevuto a Palazzo Chigi o al Quirinale, in cerca di perdonismi, battute o amnistie nell’imminenza di Mondiali o Europei.
Questa volta, si intuisce, andrà  diversamente.
Non si sospenderà  nessun torneo, ma si cercherà  di far pulizia con inedita durezza. In tempi brevi.
Il giorno dopo è stato simile al precedente. Caos.
Erano ancora negli occhi le luci blu delle volanti, gli arresti di Stefano Mauri, Omar Milanetto e delle altre comparse funzionali alla suburra da retropalco.
Ancora nella testa le perquisizioni casalinghe di tanti giocatori di Serie A e il lodevole impegno dei loro legali, concentrati con facce da podio e morali in cantina, nel negare l’evidenza.
E poi gli imbarazzi del lunedì nero della Nazionale a Coverciano, i balletti dialettici di Cesare Prandelli su Leonardo Bonucci (senza avviso di garanzia e ancora in gruppo) e Domenico Criscito (indagato e ormai a casa sua), l’indignazione sic di Antonio Conte per non essere stato interrogato dai magistrati prima che i poliziotti, applicando una loro precisa direttiva, cercassero in telefoni e computer conferma alle parole del pentito Filippo Carobbio (ex Siena): “L’attuale allenatore della Juve sapeva delle combine”.
Il solito minuetto volto a tenere unito un giocattolo in frantumi con una Lega allo sbando e il presidente federale Giancarlo Abete che riesuma un cavallo di battaglia dialettico del Berlusconi più loquace.
La demonizzazione.
Dopo aver avvertito: “Condivido l’amarezza, ma quella di Monti non è la soluzione”, Abete intona la litania: “ Il calcio è nella società  civile. Non è meglio, ma non è neanche peggio. No alle demonizzazioni”.
Che il momento fosse grave si era capito già  nella nottata di lunedì.
L’interessato controcanto a reti unificate dell’azionista di maggioranza Sky (oltre 400 milioni di euro annuali erogati alle società  di A e B) per voce di una preoccupata Ilaria D’Amico, era esondato in una serata monografica a tema: “Il protagonismo dei magistrati e la giustizia spettacolo”.
Tutto prevedibile. Tutto fuori sincrono.
La realtà  parla una lingua che i padroni del vapore non possono interpretare.
Mentre i suoi colleghi, ecumenici, da Claudio Lotito, Lazio, ad Andrea Agnelli, Juve, cianciano di “assoluta estraneità  delle società ” o di calciatori sinceri (non sia mai che parlino davvero) utilizzando una formula empirica buona per tutte le stagioni, ma non esattamente a prova di tribunale: “Ci siamo guardati negli occhi e ho capito che il ragazzo non mentiva”.
Del salto di qualità  e del rumore si incarica il domatore del circo, uno specialista, Maurizio Zamparini, padrone del Palermo.
Anche se trascina in Sicilia questa non è una storia semplice.
E Zampa fa quello che sa fare meglio. Urla: “L’unica cosa indegna in questo Paese è che uno come Monti osi dire quel che ha detto: ci sta massacrando, sta distruggendo l’Italia. Dovrebbe pensare prima di parlare. Prima di dire che bisogna chiudere il calcio, dovrebbe riflettere sui suoi problemi e su tutto ciò che sta facendo chiudere con i suoi provvedimenti. Monti dimostra di essere ignorante perchè allo Stato, ogni anno, le società  di calcio versano 800 milioni di euro”.
Purtroppo per Zamparini, ieri a Palermo ci sono stati arresti per totonero, scommesse clandestine.
E nel mucchio, è apparsa una sua vecchia conoscenza: Giovanni Pecoraro, un ex dipendente di Zampa che lavorava nella doppia veste di procuratore sportivo e responsabile delle giovanili.
Già  messo in carcere (e scagionato) anni fa per concorso esterno in associazione mafiosa.
Pecoraro è tornato dietro le sbarre, con l’agghiacciante corollario dettato dal magistrato Antonio Ingroia, a fare chiarezza: “Tutto il settore del gioco clandestino, compreso quello del calcio, è da tempo gestito da Cosa nostra. Da un libro mastro scovato a casa di Provenzano abbiamo ricostruito a tappeto la rete di chi gestiva le scommesse”.
È strano che Zamparini non ricordi, perchè come mise a verbale l’ex avvocato del boss Salvatore Lo Piccolo ed ex buon amico di Pecoraro, Marcello Trapani, oggi collaboratore di giustizia, mafiosi e capi tifosi a Palermo, erano soliti andare assieme allo stadio spartendosi biglietti omaggio della società .
“L’incontro fu sollecitato dall’allora direttore sportivo Rino Foschi — sostenne Trapani — dopo che era stato contestato dai tifosi, per la riduzione dei biglietti omaggio”.
Il quadro è questo. Era lo stesso anche ieri.
Domani, forse, mancherà  la cornice.

Antonio Massari e Malcom Pagani
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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