COSI’ E’ NATA LA MOSSA DEL QUIRINALE
Luglio 17th, 2012 Riccardo FucileNAPOLITANO, IL GIORNO DEL CONTRATTACCO DOPO L’INUTILE DENUNCIA DI SOSPETTI E INSINUAZIONI
Un mese. Un mese durante il quale lassù al Quirinale hanno sperato che la situazione si sbloccasse, tornasse nei confini di quanto previsto dalla Costituzione e le intercettazioni con la voce del capo dello Stato venissero distrutte.
Un mese, in verità , durante il quale molto altro andava accadendo, tra spread in salita, Europa senza rotta e governo in crescente affanno.
Invece, nulla. Anzi, qualcosa di perfino più inquietante del nulla.
Nuove informazioni e dettagli sorprendenti, infatti, andavano emergendo giorno dopo giorno, rendendo la vicenda ancor più fosca.
Si apprendeva, per esempio, che le intercettazioni non solo non erano state distrutte, ma si intendeva «mantenerle agli atti del procedimento» per darne una valutazione; che le telefonate del presidente Nicola Mancino erano state passate al capo dello Stato attraverso il centralino del Quirinale e che – quindi – chi era in ascolto e in registrazione non poteva non sapere chi stava per esser intercettato; e perfino che – come annotato dal procuratore Ingroia su “l’Unità ” – le registrazioni dei colloqui del Presidente potrebbero anche essere più di due (come fino a ieri ipotizzato) «non essendo esatte neppure le notizie sul numero delle stesse».
A quel punto, nelle stanze del Quirinale l’interrogativo diventava chiaro: perchè? Cioè: perchè, se la Costituzione e una legge ad hoc varata nel 1989 stabiliscono che «le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorchè indirette e occasionali, sono da considerarsi assolutamente vietate e non possono essere quindi in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte, e di esse il pm deve immediatamente chiedere la distruzione», ecco, se questo è quel che è previsto dalla legge, perchè quelle intercettazioni restavano lì, a galleggiare, utilizzabili per qualunque fine?
Il 21 giugno, a L’Aquila, dopo settimane di attesa – durante le quali aveva potuto registrare l’iniziale e incomprensibile sottovalutazione di quel che andava accadendo – Giorgio Napolitano ruppe la consegna del silenzio che si era dato e rispose a quell’interrogativo: è in atto, disse, «una campagna di insinuazioni e sospetti nei confronti del Presidente della Repubblica e dei suoi collaboratori».
Il capo dello Stato fu applaudito, ricevette attestazioni di stima e solidarietà , ma l’offensiva non si fermò. Dovette infatti annotare molti silenzi, le repliche di Di Pietro («Nemmeno Napolitano è al di sopra della legge») e dei magistrati di Palermo, che ripetevano di star agendo nel rispetto delle norme e della Costituzione.
«Il Presidente – spiega oggi uno dei più stretti collaboratori del capo dello Stato – non poteva certo entrare nelle polemiche in atto o nel vivo dello scontro, anche se in alcuni momenti la tentazione è stata forte…».
Non restava, dunque, che la via dritta e costituzionalmente garantita del conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale: e da ieri l’Avvocato dello Stato ha appunto l’incarico di battere quella via.
Il meccanismo, dunque, è avviato: ma non garantisce tempi rapidi, la distruzione delle intercettazioni e – soprattutto – non risolve in alcun modo il pericolo di nuove e magari ancor più insidiose fughe di notizie.
Chi è stato vicino a Napolitano in queste settimane ne racconta l’irritazione e il turbamento crescenti: da una parte l’impegno a sostegno del governo Monti e del Paese in una fase di difficoltà acutissima, dall’altra la necessità di fronteggiare una campagna fatta di «interpretazioni arbitrarie e tendenziose, talvolta perfino con versioni manipolate».
E accanto a essa – anzi, oggettivamente parte della campagna stessa, secondo il Quirinale – gli attacchi obliqui di Antonio di Pietro e dei suoi uomini e le ironie grevi e talvolta volgari di Beppe Grillo e del suo blog…
Ora, raccontano, tutto è cambiato.
Lo stato d’animo del presidente è improntato alla assoluta determinazione. «Bisogna venire a capo di quanto accaduto, e riportare ogni cosa nell’alveo della legalità », ha confidato.
E non solo in difesa di se stesso: ma per evitare di trasmettere al suo successore «qualsiasi incrinatura delle facoltà che la Costituzione gli attribuisce».
Tra queste facoltà , c’è quella di poter sempre e liberamente parlare senza essere intercettato: anche se qualcuno, evidentemente, se ne è dimenticato…
Federico Geremicca
(da “La Repubblica“)