Luglio 30th, 2012 Riccardo Fucile
GLI ENTI PUBBLICI FINANZIATORI SI SONO RIDOTTI DA OTTO A TRE E MANCHERA’ UN MILIONE MEZZO DI EURO IN CASSA… MOLTI POLITICI STAVOLTA HANNO DECLINATO L’INVITO
Comunione tanta, quella che scende è la fatturazione.
Il Meeting di Rimini, la grande adunata di Comunione e Liberazione subisce l’effetto della sua tessera principale, quella di Roberto Formigoni, travolto da inchieste giudiziarie, vacanze, yacht e ville smeralde.
Il 2011 la raccolta pubblicitaria fu di sette milioni e centomila euro, quest’anno gli sponsor sono scesi di un milione di euro, lontani dal budget preventivo di 8 milioni e 400 mila euro.
L’anno scorso, con l’epopea berlusconiana al tramonto e un Formigoni saldo governatore tanto da poter correre per la leadership del Pdl, fu un tripudio di soldi pubblici che dalle Regioni (sette ), Comuni (tre), Province e due ministeri, vennero destinati a Rimini sotto forma di stand pubblicitari.
Quest’anno resistono la Lombardia, con i suoi 84.700 euro stanziati attraverso una delibera di giunta approvata mercoledì, l’Abruzzo — che con tutti i guai che ha da risolvere si ostina a contribuire alla cassaforte celeste — e l’Emilia Romagna che, comunque, con la carica dei ciellini raggiunge l’apice della stagione balneare e un indotto che produce fatture per 80 milioni da euro.
Soldi queste tre regioni ne versano, ma sono briciole in confronto allo scorso anno. Tutti gli altri, nonostante una prima promessa iniziale, hanno preferito tenersi alla larga dal Meeting e dalle polemiche.
Ma nella contrapposizione dei colori non c’è solo il rosso del bilancio, ma anche la grande assenza del celeste, Formigoni appunto, che a Rimini l’ha fatta da padrone per 32 anni e sessanta dibattiti a cui ha partecipato.
È il suo popolo quello che ogni anno si dà appuntamento a Rimini, il suo bacino elettorale, la forza che lo ha spinto fino al piano alto del Pirellone e a un passo dalla leadership del Pdl. In un anno le cose cambiano, ed è successo quello che la scorsa estate non era neppure preventivabile: Roberto, come lo chiamano le migliaia di ragazzi che nel Meeting credono e lavorano, quest’anno è la fonte di imbarazzo, l’uomo della rottura tra quelli che lo assolvono perchè “Dio perdona tutti”, quelli che più che la giustizia divina aspettano quella giudiziaria, prima di pronunciare la parola colpevole.
E quelli che lo accusano di “alto tradimento” della fiducia che in lui avevano riposto, ignari di quello che poteva accadere lontano dai padiglioni di Rimini.
Un’estate fa c’erano il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, imprenditori del calibro di Yaki Elkann, il ministro Giulio Tremonti, Angelino Alfano, appena promosso leader del Pdl, il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, Enrico Letta, Maurizio Sacconi, Gianni Alemanno, Piero Fassino, Roberto Calderoli e via via tutti i nomi del potentato d’Italia.
Quest’anno le uniche presenze che fino a oggi non sono in discussione sono quella del presidente del Consiglio, Mario Monti, e quella del ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera.
Il resto dei dibattiti è riservato a nomi di assoluto rispetto, ma che niente hanno a che vedere con la platea sconfinata dello scorso anno.
Il giallo sulla presenza di Formigoni.
Per il momento il celeste è dato tra i probabili. Cioè tra quelli che ufficialmente sono stati invitati, ma che non hanno confermato.
Difficile che Giorgio Vittadini, anima e portafoglio del meeting e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà , non lo sappia.
Se una conferma arriverà , il suo sarà un intervento politico su “Lombardia: presente e futuro”.
E il futuro nessuno meglio di Formigoni può saperlo.
Gli sponsor sono in fuga.
Il fatturato di Cl, e della sua cassaforte che porta il nome di Evidentia communications, sede a Milano, è in calo.
E a leggere le defezioni dell’ultimo minuto, il dubbio che l’effetto Formigoni abbia influito è forte.
L’ufficio stampa del meeting parla di crisi, ma in realtà , molti dei privati e pubblici che dovevano versare denaro sono scomparsi.
Hanno detto no la Regione Sardegna — che l’anno scorso mise, grazie a un assessore vicino a Cl,100.000 euro — il Friuli Venezia Giulia e il Veneto di Luca Zaia che l’anno scorso c’era.
Via anche i ministeri: l’anno passato in piena fase calante berlusconiana, la presidenza del consiglio si inventò la casa welfare, stand nel quale mettevano soldi il ministero del Lavoro, Inps, Inpdap, Inail, Italia Lavoro e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip).
Quest’anno Comunione e liberazione si dovrà accontentare della presenza di Monti. Ma tra le defezioni chi continua a sponsorizzare Cl, noncurante delle polemiche, è la Regione Lombardia.
Oltre 84 mila euro per la “promozione turistica della Lombardia”, e altre migliaia di euro per gli spazi pubblicitari di Trenord, compagnia ferroviaria partecipata dalla Regione tramite la sua Ferrovie Nord Milano.
Da anni ci provano i consiglieri dell’opposizione, ma la delibera che assegna soldi al meeting viene sempre fotocopiata, riproposta e approvata.
I soldi dei privati. I colossi che più di tutti contribuiscono alla messa in opera del meeting, oltre agli ottomila volontari che pagano per andare a dare una mano, si chiamano Intesa San Paolo, Enel, Finmeccanica e Wind. A seguire Coop, Trenitalia, Eni e Fiat.
Emiliano Liuzzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 30th, 2012 Riccardo Fucile
MAGLIE NERE DELLE PRESENZE BERLUSCONI E GHEDINI… IN PRATICA 126 DEPUTATI SU 630 E’ COME SE NON AVESSERO MAI VOTATO
Un deputato su cinque assente nel 2012.
Il Corriere della Sera stila la classifica degli assenteisti nell’era dei tecnici e del governo Monti e dei tanti voti di tante fiducia.
Maglie nere delle presenze in Aula Niccolò Ghedini e Silvio Berlusconi del Pdl.
Lo storico legale dell’ex primo ministro si è fatto vedere a una sola votazione su un totale di 1.026.
Il Cavaliere ha votato solo due volte, a gennaio e nel mese di febbraio. Secondo i dati sull’assenteismo elaborati dall’agenzia Dire in pratica il 20,05% dei deputati non è entrato in Aula, ovvero un quinto dei 630 deputati pari 126 parlamentari.
Tra i gruppi meno diligenti troviamo i deputati di Popolo e territorio, ex “Responsabili” che hanno raggiunto il 33,7% di assenze.
Secondi classificati, ma certamente non medaglia d’argento i deputati del Gruppo misto con il 30% di assenze.
I deputati di Fli agguantano terzo posto con il 25% .
A seguire Pdl con il 22,8% di mancate partecipazioni al voto, poi la Lega Nord con 14,4% delle volte.
I deputati dell’Udc raggiungono 13% di assenze, mentre l’Italia dei valori si colloca subito dopo, con il 12% di deputati che non hanno risposto all’appello del voto. Ultimi i deputati del Pd che con il 9,5% di assenze chiudono la classifica
Tra i deputati più assenti troviamo anche Simone Di Cagno Abbrescia del Pdl, Umberto Bossi e Marco Reguzzoni della Lega, Gianfranco Miccichè del Gruppo misto. Denis Verdini (99,24% di assenze), Michela Vittoria Brambilla (98,10%), Giulio Tremonti (97,34%), Vincenzo Barba e Maria Rosaria Rossi (96,20%), Antonio Angelucci (93,16%), tutti del Pdl.
Ci sono poi Luca Barbareschi (Gruppo misto) e Marilena Parenti, del Pd, subentrata il 7 giugno ad Antonello Soro.
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Luglio 30th, 2012 Riccardo Fucile
BOOM DELLE CAUSE DI LAVORO… CON IL FESTIVAL DI SANREMO LA RAI HA PERSO 17 MILIONI DI EURO
Ogni mattina gli avvocati della Rai entrano in ufficio e trovano sul tavolo una busta con i bolli del tribunale: un altro dipendente ha fatto causa all’azienda. Il rapporto è ormai di uno a dieci.
Ogni dieci dipendenti c’è una causa di lavoro.
Nel solo 2010 ne sono arrivate 285 nuove di zecca, 73 in più rispetto al 2009. La conclusione è che alla fine di quell’anno la Rai ne aveva aperte ben 1.309, a fronte di 13.313 dipendenti in tutto il gruppo.
IL PROVVEDIMENTO
Sarà la crisi, oppure le conseguenze di un provvedimento approvato due anni fa che ha peggiorato le condizioni degli indennizzi, ma i dati dicono che l’andazzo è andato addirittura peggiorando: l’anno prima ci si era fermati a quota 1.264.
E comunque con questa storia i nuovi vertici dovranno fare i conti.
Il benvenuto per la presidente Anna Maria Tarantola e il direttore generale Luigi Gubitosi è una relazione di 157 pagine appena sfornata dalla Corte dei conti nella persona di Luciano Calamaro, magistrato incaricato del controllo sulla tivù di Stato. Appena se n’è avuta notizia l’azienda si è premurata di precisare che quel rapporto riguarda il 2010, cioè un periodo gestionale, chiuso da oltre un anno, attribuibile all’ex direttore generale Mauro Masi.
Le cose, hanno fatto sapere, sarebbero assai migliorate. In effetti il risultato economico del gruppo Rai è passato da una perdita di 98 milioni nel 2010 a uno stiracchiatissimo utile di 4,1 milioni nel 2011.
Ma i fondamentali restano gli stessi.
I COSTI
A cominciare da un costo del lavoro che ha superato di slancio il miliardo di euro: 1.027 milioni, contro 1.014 un anno prima.
Il fatto è che pure il piano degli esodi incentivati (ne erano previsti almeno 400), che costano mediamente 108 mila euro a persona, si scontra con la realtà degli accordi sindacali per la stabilizzazione dei precari e delle cause di lavoro che spesso costringono l’azienda ad assumere.
Il risultato è che nel 2011 il numero dei dipendenti di tutto il gruppo si è ridotto appena di un centinaio di unità .
Mentre l’anno prima, dice la Corte dei conti, gli stipendi pagati dalla sola Rai spa erano saliti a 11.857, contro 11.698 nel 2008: ben 10.110 erano quelli per il personale a tempo indeterminato, 270 in più nei confronti di due anni prima. Ancora.
Soltanto i giornalisti in pianta stabile erano 1.675, ma considerando anche i 344 precari si arrivava allo spettacolare numero di 2.019, ridotto un anno dopo a 1.972. Per un costo medio, relativo esclusivamente ai garantiti, pari a 151 mila euro l’anno.
LE ASSUNZIONI
Nel solo 2010 le assunzioni a tempo indeterminato in tutta l’azienda sono risultate 430, una novantina in più rispetto a due anni prima, di cui 296 precari stabilizzati.
Dal 2008 al 2010 hanno avuto il posto fisso in Rai 1.121 persone: l’11 per cento di tutti gli attuali dipendenti a tempo indeterminato.
I tagli vengono dunque subito compensati dalle assunzioni. Ed è chiaro che avere un numero di dipendenti pressochè doppio, in termini omogenei, rispetto al gruppo privato Mediaset, che ha un fatturato decisamente superiore (4 miliardi 250 milioni, contro 3 miliardi 41 milioni della Rai) non può essere considerato un dettaglio.
Del resto, non bisogna essere degli esperti di scienze economiche per rendersi conto che a viale Mazzini non nuotano nell’oro.
Il nuovo presidente della Rai Anna Maria Tarantola (Ansa/Percossi)Il nuovo presidente della Rai Anna Maria Tarantola (Ansa/Percossi)
IL BILANCIO
La posizione finanziaria netta alla fine del 2011 era negativa per 272 milioni, con un peggioramento dell’indebitamento di 118 milioni sull’anno precedente.
Il che non ha impedito di concludere l’acquisto degli stabilimenti Dear a Roma: 52 milioni e mezzo di euro.
Dice la Corte dei conti che c’è un «persistente sbilancio negativo fra ricavi e costi, le cui ripercussioni negative sulla situazione economico-patrimoniale e finanziaria della società stanno assumendo carattere strutturale e dimensioni preoccupanti».
Secondo i magistrati contabili «tutte le voci di entrata evidenziano problematiche».
E lo «sbilancio» non risparmia nemmeno le trasmissioni che dovrebbero fare, immaginiamo, soldi a palate.
Il Festival di Sanremo, per citare un caso. In solo due anni, nonostante introiti pubblicitari per 24 milioni 850 mila euro, la Rai ci ha rimesso la bellezza di 17 milioni 424 mila euro: 9 milioni 580 mila nel 2009 e 7 milioni 844 mila nel 2010.
Le perdite causate da uno degli eventi televisivi più importanti della stagione sono stati praticamente pari alle royalty intascate dal Comune di Sanremo, che ha una convenzione in base alla quale la tivù di stato corrisponde al municipio ogni anno per l’esclusiva del festival qualcosa come 9 milioni di euro.
IL CANONE
Certo, il bilancio soffrirebbe meno se le entrate del canone non fossero «notevolmente compromesse», per usare le parole della Corte dei conti, «dalle crescenti dimensioni dell’evasione».
Un fenomeno che avrebbe raggiunto 450 milioni l’anno. Va da sè che il suo «efficace contrasto», affermano i magistrati contabili, «contribuirebbe a riequilibrare la posizione economico finanziaria della società ».
Sempre presupponendo, naturalmente, che non si intervenga come forse sarebbe necessario sull’attuale struttura dei costi.
Peccato però che «al momento», sottolinea la relazione, «non siano state introdotte misure volte ad arginare il fenomeno».
La faccenda in effetti è molto complessa anche per la mancanza di norme specifiche. Ma tant’è.
Stime aziendali parlano di un tasso medio del 26,7 per cento, e crescente: era al 26,1 nel 2008 e al 26,5 nel 2009.
Nelle Regioni meridionali tocca punte mostruose. In Campania siamo al 44,5%, in Sicilia al 42,2, in Calabria al 39,7.
Impietoso è il confronto con le altre televisioni pubbliche europee: in Germania e Regno Unito l’evasione si aggira intorno al 5%; in Francia non supera l’uno per cento. Per non parlare poi del canone «speciale», quello dovuto dagli esercizi commerciali: i mancati introiti qui sarebbero dell’ordine del 60 per cento.
EVASIONE
Con le attività di recupero si portano a casa circa 400 mila abbonamenti l’anno.
Nel 2010 sono stati, per l’esattezza, 415.001.
Ma il numero dei nuovi abbonati così racimolati è appena superiore a quello delle disdette che arrivano ogni dodici mesi: 310.368 nel 2010, 323.545 l’anno precedente e 294.382 nel 2008.
Dalla contabilità separata si ricava che con i soli incassi del canone la Rai non riuscirebbe a coprire i costi delle attività del cosiddetto «servizio pubblico».
Il disavanzo, secondo i dati ufficiali, sarebbe stato di 364 milioni nel solo 2010.
Un piccolissimo contributo per alleggerirlo verrà quest’anno dalla decisione di Anna Maria Tarantola, che si è autoridotta lo stipendio rispetto ai 448 mila euro del suo predecessore Paolo Garimberti.
Mentre Gubitosi, dopo le polemiche sul suo trattamento, ha deciso di rinunciare al contratto a tempo indeterminato, accontentandosi dei 650 mila euro l’anno di paga per la durata del mandato.
È circa il 9 per cento in meno rispetto alla retribuzione di Masi (715 mila euro).
Ma ci sono sempre da fare i conti con la legge che impone un taglio anche alle retribuzioni dei manager delle società di Stato.
Sempre che prima o poi il decreto attuativo, già in ritardo di due mesi rispetto alla scadenza prevista del 31 maggio, salti fuori.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 30th, 2012 Riccardo Fucile
“QUI MUOIONO COME MOSCHE E VEDONO MORIRE I LORO FIGLI. EPPURE CERCANO UNA “SISTEMAZIONE” ALL’ILVA O ALL’ENI… E’ LA DANNAZIONE DI QUESTA TERRA: NON PENSARE AL FUTURO”
Se li ricorda uno ad uno i suoi 400 pazienti ammalati di linfoma.
Le storie, i nomi, la loro indole. Perfino il carattere. Per lei non sono mai un numero. Anche perchè nella città più inquinata d’Italia, fino a poco tempo fa non c’era un registro tumori.
“Una vergogna”, è l’unica parola dura che usa Barbara Amurri, 56 anni, gli ultimi dieci trascorsi tra le mura del reparto di Ematologia dell’Ospedale Moscati di Taranto, che ha fondato nel 1993 insieme all’allora primario Patrizio Mazza, ora consigliere regionale.
Quando torna a casa, nel quartiere San Vito, quartiere della marina, e il vento gira, “è come respirare direttamente con la canna del gas in bocca”.
Come si può vivere lì?
L’accento marchigiano cede alla cadenza dolce delle vocali aperte del tarantino solo quando pronuncia la parola “casa”.
E si capisce che Taranto è la sua “missione”, come quelle che ogni estate porta avanti in Sudamerica.
Perchè non va via? Sorride. “à‰ la mia vita. La mia battaglia culturale, la mia trincea, la mia responsabilità , che mi porto dietro 24 ore su 24. Non voglio tirarmi indietro. Qui muoiono come mosche e vedono morire i loro figli, eppure cercano una ‘sistemazione’ all’Ilva o all’Eni o alla Cementir anche per loro. à‰ la dannazione di questa terra: il non pensare al futuro. Si vive cercando di allontanare il problema, poi domani il problema torna, ma l’importante è respingerlo adesso”.
L’Italsider prima, l’Ilva poi, sono state per gli operai una fonte di benessere reale.
“Se uno aveva voglia di lavorare, poteva fare anche tre o quattro turni di seguito e con gli straordinari venivano fuori stipendi più alti di quello un primario, di un professionista. Dov’erano allora i sindacati, l’Ispettorato del lavoro? Chi agiva in armonia con la società riversando nel mare, la notte, i veleni?”.
Poi quel benessere ha cominciato a vacillare, perchè la diossina, il pcb, hanno la capacità — spiega — di agire a livello cromosomico, per cui la dottoressa Amurri e il suoi colleghi hanno cominciato a registrare un dato inquietante: sono i figli e i nipoti degli operai ad ammalarsi sempre più spesso.
L’Ilva è entrata dentro di loro fino a divenirne parte.
Enza, è la prima bimba ad ammalarsi di leucemia.
Abitava nel quartiere Tamburi, a 500 metri dalla fabbrica. Aveva cinque anni e l’età di sua figlia, che portava spesso in ospedale, nel difficile gioco di equilibrismi di tutte le donne per conciliare il lavoro e la famiglia.
Enza era debole e non riusciva a tirarsi su per le scale, troppo piccola anche per arrivare al passamano: “Non ti preoccupare, tu sei sana, come me. Anch’io ho fiatone — la incoraggiava la sua compagna di giochi — Un gradino alla volta e ce la fai”.
Un gradino alla volta.
à‰ la rivoluzione culturale che Amurri cerca di incuneare in un background culturale fatto di rassegnazione: “Quando sanno di essere ammalati, soprattutto gli anziani, danno per scontata la morte. Invece ci sono degli obiettivi intermedi che è giusto raggiungere, per migliorare la qualità della vita”.
I più giovani dei suoi pazienti, cresciuti sotto un cielo plumbeo dai fumi, hanno come obiettivo intermedio la bellezza, l’armonia.
Un ragazzo appena saputo del sequestro ha pubblicato su facebook una foto dell’Ilva trasformata in un parco dei divertimenti: dalle ciminiere uscivano fuochi d’artificio. Una foto che ha strappato più di un applauso in reparto.
L’obiettivo intermedio di Paola, 35 anni, è decorare torte. Si è ammalata di linfoma di Hodgkin dopo aver avuto il suo primo bimbo: “Proporrei alla cittadinanza di fare un giro al padiglione oncologico e di ematologia dell’ospedale Moscati. Siamo tutti preoccupati per questi lavoratori, ma io come tanti ho pagato e stiamo pagando a caro prezzo le atrocità di quella che per decenni è stata una forma di pseudo ancora di salvezza per tante famiglie tarantine”.
Leandra è “il nostro orgoglio”, afferma trionfante Amurri. A 14 anni è stata curata da una leucemia che non lasciava scampo.
Ora ha 24 anni, il 16 giugno si è sposata.
Di chi invece non ce l’ha fatta, la dottoressa preferisce non parlare.
“Se ne cito uno mi sembrerebbe far torto agli altri”, sembra parlare di eroi, di caduti in guerra cui si deve memoria. Però una le è rimasta nel cuore. Gianna. Aveva 19 anni, era sola.
Una situazione famigliare drammatica. Rimane incinta e subito dopo scoprono la malattia. Gianna decide di tenere il bambino, per cui viene sottoposta ad una chemioterapia mirata in base allo sviluppo del feto.
“Era una ribelle, una scugnizza”, ricorda Amurri. “Mi prendeva in giro, saltava gli appuntamenti, diceva le bugie sulle medicine, che non prendeva.
Io interpretavo questa spavalderia come un’espressione della sua vitalità , la sua anima che reagiva”. Poi il bimbo è nato, a sette mesi.
E Gianna dopo poco se ne è andata, quando il suo fisico non ha più retto alle intemperanze della sua anima.
à‰ accaduto due anni fa.
Ma il ricordo brucia, sotto le polveri di Tamburi.
Maria Luisa Mastrogiovanni
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 30th, 2012 Riccardo Fucile
L’ACCONTO MEDIO E’ DI 84 EURO, MOLTO PIU’ ALTO NELLE GRANDI CITTA’, AD ESCLUSIONE DI PALERMO
Lavoratori e pensionati hanno versato in media per la prima casa un acconto Imu di 84 euro, ma se si considerano le sole città di Milano, Bologna, Genova, Roma, Napoli e Palermo, rispetto a quella media l’importo pagato è stato più alto del 54% (129 euro), con punte del 102% a Roma.
Sono i dati ricavati dai Caf Cisl sui versamenti d’acconto di 1,2 mln di dipendenti e pensionati.
Per gli immobili diversi dalla prima casa, lavoratori dipendenti e pensionati hanno versato acconti per un importo medio di 161 euro.
Inoltre, solo l’1,8% si è avvalso della facoltà di pagare l’Imu in tre rate: a determinare la scelta è stato spesso l’ammontare dell’imposta dovuta, 81 euro da chi ha pagato in due rate, 229 euro da chi ha optato per i tre versamenti.
La stangata nelle città viene avvalorata dal dato diffuso dal ministero dell’Economia e delle Finanze sulla prima rata Imu: un terzo del gettito arriva dall’1,2% dei Comuni, ovviamente i grandi centri urbani, che da soli garantiscono oltre 3,2 miliardi di euro, appunto il 33,8% del totale. Inoltre, dai primi dieci Comuni in classifica arrivano oltre due miliardi di euro, pari a un quinto dell’incasso totale.
Nella lista del ministero, i Comuni che hanno superato i dieci milioni di entrate sono, in tutto, 95, su un totale di 8.095; quelli che vanno oltre i 20 milioni sono 39; solo 20 superano i 30 milioni e 15 arrivano oltre la soglia dei 40 milioni.
Oltre i 50 milioni ci sono solo 12 città , quasi tutte capoluogo di regione: medaglia d’oro per Roma, con 776,3 milioni di euro, seconda Milano (409,9 mln), terza Torino (202,7 mln). A seguire Genova (129,1 mln), Napoli (123,2 mln), Bologna (103,5 mln), Firenze (93,5 mln), Bari (65,3 mln).
Singolare il caso di Padova, prima città non capoluogo di regione, che incassa 61 mln e si lascia alle spalle Verona (59 mln), Venezia (58,3 mln) e Palermo (54,6 mln).
Le città .
Dopo Roma (102%) tra le sei città esaminate nel dettaglio dai Caf Cisl, l’impatto maggiore rispetto alla media nazionale si registra a Bologna (+140 euro per la prima casa, +67%) quindi a Genova (+27%) e a Napoli (+25%).
I contribuenti di Milano hanno invece pagato in media 99 euro per la prima casa (+18% rispetto alla media nazionale) e 224 per la seconda (+39%).
In controtendenza Palermo: l’acconto medio pagato sulla prima casa è stato di 54 euro, al di sotto della media generale del 36% e quello sulla seconda casa di 168 euro, solo il 4% in più della media nazionale.
Seconda casa.
Anche l’imposta media sulla seconda casa segna nei capoluoghi un +65% oltre la media nazionale (265 euro contro 161).
Anche per la seconda casa al primo posto è Roma con 325 euro, seguita da Bologna con 319.
E in questo caso anche Palermo, pur rimanendo il capoluogo con l’imposta media più bassa, con i suoi 168 euro è – a differenza che per la prima casa – sopra la media nazionale, sebbene di poco.
Detrazioni e figli.
Altro dato interessante è quello sulle detrazioni per i figli conviventi: il 67% dei contribuenti del campione dichiara di non averne, ma sul dato incide di certo il fatto che tra i contribuenti che si rivolgono al Caf i pensionati sono sicuramente i più rappresentati.
Ci sono poi il 12% di famiglie con un solo figlio, il 17% con due e il 3% con tre o più figli conviventi.
Il Caf Cisl ha elaborato anche la differenza in questi casi: i contribuenti senza figli hanno pagato circa 91 euro, quelli con un figlio 70 euro, quelli con due 68 euro e quelli con tre o più figli 70 euro.
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Luglio 30th, 2012 Riccardo Fucile
TRA ERRORI NELLA DIAGNOSI, RIMEDI PEGGIOR DEL MALE E IGNAVIA DELLA POLITICA, L’USCITA DALLA CRISI RIMANE ANCORA LONTANA
Il 20 luglio la Camera ha approvato il “Patto fiscale”, trattato Ue che impone di ridurre il debito pubblico al 60% del Pil in vent’anni.
Comporterà per l’Italia una riduzione del debito di una cinquantina di miliardi l’anno, dal 2013 al 2032.
Una cifra mostruosa che lascia aperte due sole possibilità : o il patto non viene rispettato, o condanna il Paese a una generazione di povertà .
Approvando senza un minimo di discussione il testo la maggioranza parlamentare ha però fatto anche di peggio.
Ha impresso il sigillo della massima istituzione della democrazia a una interpretazione del tutto errata della crisi iniziata nel 2007.
Quella della vulgata che vede le sue cause nell’eccesso di spesa dello Stato, soprattutto della spesa sociale.
In realtà le cause della crisi sono da ricercarsi nel sistema finanziario, cosa di cui nessuno dubitava sino agli inizi del 2010.
Da quel momento in poi ha avuto inizio l’operazione che un analista tedesco ha definito il più grande successo di relazioni pubbliche di tutti i tempi: la crisi nata dalle banche è stata mascherata da crisi del debito pubblico.
In sintesi la crisi è nata dal fatto che le banche Ue (come si continuano a chiamare, benchè molte siano conglomerati finanziari formati da centinaia di società , tra le quali vi sono anche delle banche) sono gravate da una montagna di debiti e di crediti, di cui nessuno riesce a stabilire l’esatto ammontare nè il rischio di insolvenza.
Ciò avviene perchè al pari delle consorelle Usa esse hanno creato, con l’aiuto dei governi e della legislazione, una gigantesca “finanza ombra”, un sistema finanziario parallelo i cui attivi e passivi non sono registrati in bilancio, per cui nessuno riesce a capire dove esattamente siano collocati nè a misurarne il valore.
La finanza ombra è formata da varie entità che operano come banche senza esserlo. Molti sono fondi: monetari, speculativi, di investimento, immobiliari. Il maggior pilastro di essa sono però le società di scopo create dalle banche stesse, chiamate Veicoli di investimento strutturato (acronimo Siv) o Veicoli per scopi speciali (Spv) e simili.
Il nome di veicoli è quanto mai appropriato, perchè essi servono anzitutto a trasportare fuori bilancio i crediti concessi da una banca, in modo che essa possa immediatamente concederne altri per ricavarne un utile. Infatti, quando una banca concede un prestito, deve versare una quota a titolo di riserva alla banca centrale (la Bce per i paesi Ue). Accade però che se continua a concedere prestiti, ad un certo punto le mancano i capitali da versare come riserva.
Ecco allora la grande trovata: i crediti vengono trasformati in un titolo commerciale, venduti in tale forma a un Siv creato dalla stessa banca, e tolti dal bilancio.
Con ciò la banca può ricominciare a concedere prestiti, oltre a incassare subito l’ammontare dei prestiti concessi, invece di aspettare anni come avviene ad esempio con un mutuo.
Mediante tale dispositivo, riprodotto in centinaia di esemplari dalle maggiori banche Usa e Ue, spesso collocati in paradisi fiscali, esse hanno concesso a famiglie, imprese ed enti finanziari trilioni di dollari e di euro che le loro riserve, o il loro capitale proprio, non avrebbero mai permesso loro di concedere.
Creando così rischi gravi per l’intero sistema finanziario. I Siv o Spv presentano infatti vari inconvenienti.
Anzitutto, mentre gestiscono decine di miliardi, comprando crediti dalle banche e rivendendoli in forma strutturata a investitori istituzionali, hanno una consistenza economica ed organizzativa irrisoria.
Come notavano già nel 2006 due economisti americani, G. B. Gorton e N. S. Souleles, «i Spv sono essenzialmente società robot che non hanno dipendenti, non prendono decisioni economiche di rilievo, nè hanno una collocazione fisica».
Uno dei casi esemplari citati nella letteratura sulla finanza ombra è il Rhineland Funding, un Spv creato dalla banca tedesca IKB, che nel 2007 aveva un capitale proprio di 500 (cinquecento) dollari e gestiva un portafoglio di crediti cartolarizzati di 13 miliardi di euro.
L’esilità strutturale dei Siv o Spv comporta che la separazione categorica tra responsabilità della banca sponsor, che dovrebbe essere totale, sia in realtà insostenibile.
A ciò si aggiunge il problema della disparità dei periodi di scadenza dei titoli comprati dalla banca sponsor e di quelli emessi dal veicolo per finanziare l’acquisto.
Se i primi, per dire, hanno una scadenza media di 5 anni, ed i secondi una di 60 giorni, il veicolo interessato deve infallibilmente rinnovare i prestiti contratti, cioè i titoli emessi, per trenta volte di seguito.
In gran numero di casi, dal 2007 in poi, tale acrobazia non è riuscita, ed i debiti di miliardi dei Siv sono risaliti con estrema rapidità alle banche sponsor.
La finanza ombra è stata una delle cause determinanti della crisi finanziaria esplosa nel 2007. In Usa essa è discussa e studiata fin dall’estate di quell’anno.
Nella Ue sembrano essersi svegliati pochi mesi fa.
Un rapporto del Financial Stability Board dell’ottobre 2011 stimava la sua consistenza nel 2010 in 60 trilioni di dollari, di cui circa 25 in Usa e altrettanti in cinque paesi europei: Francia, Germania, Italia, Olanda e Spagna. La cifra si suppone corrisponda alla metà di tutti gli attivi dell’eurozona. Il rapporto, arditamente, raccomandava di mappare i differenti tipi di intermediari finanziari che non sono banche.
Un green paper della Commissione europea del marzo 2012 precisa che si stanno esaminando regole di consolidamento delle entità della finanza ombra in modo da assoggettarle alle regole dell’accordo interbancario Basilea 3 (portare in bilancio i capitali delle banche che ora non vi figurano).
A metà giugno il ministro italiano dell’Economia — cioè Mario Monti — commentava il green paper: «È importante condurre una riflessione sugli effetti generali dei vari tipi di regolazione attraverso settori e mercati e delle loro potenziali conseguenze inattese».
Sono passati cinque anni dallo scoppio della crisi.
Nella sua genesi le banche europee hanno avuto un ruolo di primissimo piano a causa delle acrobazie finanziarie in cui si sono impegnate, emulando e in certi casi superando quelle americane.
Ogni tanto qualche acrobata cade rovinosamente a terra; tra gli ultimi, come noto, vi sono state grandi banche spagnole.
Frattanto in pochi mesi i governi europei hanno tagliato pensioni, salari, fondi per l’istruzione e la sanità , personale della PA, adducendo a motivo l’inaridimento dei bilanci pubblici. Che è reale, ma è dovuto principalmente ai 4 trilioni di euro spesi o impegnati nella Ue al fine di salvare gli enti finanziari: parola di Josè Manuel Barroso. Per contro, in tema di riforma del sistema finanziario essi si limitano a raccomandare, esaminare e riflettere.
Tra l’errore della diagnosi, i rimedi peggiori del male e l’inanità della politica, l’uscita dalla crisi rimane lontana.
Luciano Gallino
(da “la Repubblica“)
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Luglio 30th, 2012 Riccardo Fucile
L’ALCATRAZ ITALIANA E’ OGGI UN PARCO NATURALISTICO IN CUI GLI ANIMALI GIRANO LIBERI, SOPRATTUTTO GLI ASINI, SIMBOLO DELL’ISOLA
Ci ha pensato il Parco Nazionale dell’Asinara, istituito nel 1997, a trasformare un luogo di pena in un paradiso mediterraneo.
E, mentre il carcere in cui furono rinchiusi Raffaele Cutolo e Totò Riina crolla giorno dopo giorno, la natura di questa meravigliosa isola, rimasta chiusa al pubblico per oltre un secolo, rinnova la sua meraviglia, fatta di coste frastagliate, di sabbie bianchissime, di acque turchesi e di una fauna che si moltiplica indisturbata dall’uomo.
Uno scenario evocativo, che nel febbraio 2010 ha spinto un gruppo di lavoratori del petrolchimico di Porto Torres a occupare una delle strutture carcerarie dismesse, inscenando l’isola dei cassintegrati, con evidente intento parodico verso il più noto reality show isolano.
E in effetti a quella dei famosi, quest’isola ha poco da invidiare.
L’ISOLA DEGLI ASINI
I romani la chiamavano l’«isola di Ercole», ma a prevalere è stato l’impoetico nome di Asinara, legato alla presenza dei pazienti quadrupedi, che ancora oggi si aggirano per questo angolo di Sardegna.
Chi sbarchi al molo di Fornelli con i traghetti che partono da Stintino se li trova davanti, insolitamente bianchi, secondo il ceppo albino che qui prevale.
ANDARE PER SENTIERI
L’isola si può visitare in fuoristrada, a piedi o in bicicletta (da qualche tempo anche con un trenino gommato), ricordando che è piuttosto grande: oltre 51 kmq di superficie e ben 110 km di sviluppo costiero.
Una strada in cemento la percorre da sud a nord, collegando Fornelli, Cala Reale e Cala d’Oliva.
Ma il fascino dell’Asinara si coglie inoltrandosi per le sterrate e i sentieri che si staccano dall’asse principale.
Hanno nomi affascinanti: Sentiero del Granito, del Leccio, del Faro, della Memoria, dell’Asino Bianco e sono descritti da opuscoli che si possono ritirare arrivando a Fornelli.
Per l’alloggio c’è solo un ostello, in verità non molto economico.
UN PARADISO DELLA FAUNA
Il comandante Venanzio Cadoni della Forestale, che ha il compito di sorvegliare sia il Parco, sia l’Area Marina Protetta istituita nel 2002, è uno dei massimi esperti dell’isola.
«Dall’autunno alla primavera le zone umide accolgono una straordinaria quantità di uccelli: fenicotteri rosa, cavalieri d’Italia, ma ci sono anche specie stanziali come i gabbiani corsi, le pernici sarde, i falchi pellegrini. I cinghiali e i mufloni sono numerosissimi. È stata avviata la cattura delle specie introdotte dall’uomo, comprese i cinghiali, che sono degli ibridi a causa della presenza umana: con il loro pascolo eccessivo recavano gravi danni alla macchia mediterranea. Buona anche la situazione del mare, anche se avremmo bisogno di maggiori risorse per l’effettivo controllo».
L’ALCATRAZ ITALIANA
Il carcere dell’Asinara aveva distaccamenti in tutta l’isola.
A Fornelli c’era quello di massima sicurezza, dove erano detenuti gli esponenti delle Brigate rosse e dell’Anonima sequestri, più tardi quelli della mafia.
A Santa Maria i carcerati si dedicavano all’agricoltura e all’allevamento, mentre a Trabuccato si coltivava la vite.
Tumbarinu, nel centro dell’isola, era riservato ai detenuti che si fossero macchiati di «reati contro la morale».
Durante la prima guerra mondiale fu allestita una stazione sanitaria, da cui passarono 25 mila prigionieri austro-ungarici, seimila dei quali riposano oggi in un ossario.
A metà degli anni Ottanta sull’isola soggiornarono per diversi mesi per motivi di sicurezza anche i giudici Falcone e Borsellino, che qui istruirono il maxi-processo alla mafia.
Il carcere dell’Asinara è quello con il minor numero di evasioni: 2 in 112 anni contro i 29 di Alcatraz.
LA GUARDIA SCULTORE
Dopo avere fatto la guardia carceraria per molti anni, Enrico Mereu è tornato sull’isola e scolpisce i materiali offerti dalla natura: tronchi spiaggiati, ceppi, blocchi di granito e trachite.
Le sue opere sono sparse nei villaggi dell’Asinara, il suo laboratorio si trova a Cala d’Oliva.
Franco Brevini
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 30th, 2012 Riccardo Fucile
L’AMBASCIATORE AMERICANO A ROMA A COLLOQUIO CON L’EX PREMIER PER SINCERARSI SE HA DAVVERO INTENZIONE DI CANDIDARSI DI NUOVO ALLA GUIDA DEL CENTRODESTRA
«E allora, Mr. President, davvero ha intenzione di ricandidarsi alla guida del Paese?».
La berlina blindata di Silvio Berlusconi ha da poco varcato l’ingresso della sontuosa Villa Taverna, la residenza dell’ambasciatore statunitense David Thorne, nel quartiere residenziale dei Parioli, di fronte Villa Borghese.
Il corteo di auto ha attraversato sotto la canicola il centro di Roma già quasi svuotato..
È l’ora di pranzo e l’invito è stato rivolto all’ex premier tramite il suo braccio destro Gianni Letta.
Nessuno dei coordinatori e dei capigruppo del Pdl — riuniti a Palazzo Grazioli quella mattina per discutere di legge elettorale e partito — viene informato del perchè il “Presidente” debba uscire, per fare cosa, per vedere chi.
Ne viene messo al corrente solo Angelino Alfano. Al fianco di Berlusconi, però, ci sarà unicamente l’ex sottosegretario.
L’ambasciatore, da buon americano, è persona curiosa, ma soprattutto assai concreta. E va subito al sodo.
«Abbiamo letto della sua intenzione di tornare in competizione, presidente Berlusconi. È davvero così? Lo farà ? Che progetti ha per il suo futuro?»
Il Cavaliere sa bene che dietro quella domanda c’è il senso dell’invito a Villa Taverna. Consapevole che non si tratti di una curiosità personale dell’ambasciatore, diplomatico pur informatissimo sui movimenti della complessa politica italiana.
Negli ultimi dieci giorni, è stato sufficiente che Palazzo Grazioli mettesse in circolo l’informazione del «ritorno in campo» per mettere in fibrillazione le cancellerie di mezza Europa.
Ed è notorio quanta formalità , quanta freddezza abbia contraddistinto i rapporti tra la Casa Bianca e il governo Berlusconi negli ultimi due anni di permanenza a Palazzo Chigi.
Sarà anche per questo che alla domanda dell’ambasciatore l’ex premier risponde concedendosi un ampio margine di incertezza.
«Vede Mr. Thorne, sarei molto tentato, è una svolta alla quale penso da tempo, me lo chiedono in tanti e soprattutto sono i sondaggi a spingermi in quella direzione» spiega il Cavaliere. Che cita gli ultimi rilevamenti in cui una riedizione di Forza Italia, per di più guidata da lui, garantirebbe al partito almeno 5 punti in più rispetto all’attuale previsione del Pdl privo della sua guida.
«Tuttavia — mette le mani avanti — sarebbe una scelta forzata, preferirei riservare per me il ruolo di padre nobile. Sto cercando delle valide alternative, ma non è facile».
Sono i dubbi che lo attanagliano, confermati da chi è andato a trovarlo negli ultimi giorni. Perplessità che al cospetto del rappresentante dell’amministrazione democrat statunitense Berlusconi ha voluto quasi sottolineare, ostentare.
Quasi a voler rassicurare il suo interlocutore.
La situazione resta molto fluida, nonostante ancora ieri il segretario Alfano si dicesse «convinto che lui accetterà le nostre insistenze e si candiderà , a prescindere dal tipo di legge elettorale».
Certo è che nella residenza sarda della Certosa, dove è volato per il fine settimana, Berlusconi si è portato un bagaglio carico di incertezze, che la colazione a Villa Taverna ha in un certo senso appesantito.
Obama viaggia verso una probabile rielezione in novembre. E l’opinione che dell’ex premier hanno maturato da anni a Washington è stata svelata, semmai ce ne fosse stato bisogno, dai documenti riservati pubblicati da Wikileaks nel novembre 2010.
Il rapporto personale con Putin («Straordinariamente stretto: ne sembra quasi il portavoce in Europa») , la inadeguatezza («Inetto, vanitoso e incapace») e i troppi festini («Frequenti lunghe nottate e l’inclinazione ai party significano che non si riposa a sufficienza») erano solo alcuni dei tratti distintivi che connotavano Mr. Berlusconi nei report inviati dai diplomatici Usa alla Segreteria di Stato americana.
Erano passati giusto un paio d’anni dalla sortita con cui da Mosca, il 6 novembre 2008, l’allora premier italiano aveva salutato l’elezione di Obama alla White House: «Bello, giovane e abbronzato», facendo scendere il gelo in mezzo mondo.
Quel gelo, da Washington a Berlino, per il Cavaliere non si è mai sciolto.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Luglio 30th, 2012 Riccardo Fucile
IL COORDINATORE DEL PDL NON ESCLUDE UN VOTO A MAGGIORANZA COI SUOI AMICHETTI CHE SI PULISCONO IL CULO CON IL TRICOLORE, TANTO AMATO A PAROLE DALL’EX MINISTRO DELLA DIFESA
Non pensi il Pd di escludere la Lega dalla riforma della legge elettorale.
Non sia mai.
Ignazio La Russa, parlando ai microfoni di Sky Tg2, chiarisce la posizione del Pdl: “Non speri la sinistra di fare quello che fece negli anni Settanta, una sorta di arco costituzionale per escludere la Lega in un tema che deve coinvolgere maggioranza e opposizione”, ha detto il coordinatore del Pdl.
“La Lega non si può escludere, ci sta che noi si faccia maggioranza aggiungendo la Lega”, ha insistito, “e se la sinistra ponesse dei veti, in linea di principio non c’è nulla di antidemocratico nel formare una maggioranza sulle riforme tra noi e chi ci sta, Lega per prima o compresa”.
Per un ministro macchietta della Difesa, che amava veder sfilare la Folgore con il tricolore ben esposto, arrivare a ritenere essenziale l’apporto di quel partito che con il tricolore ci si puliva il culo è davvero l’apoteosi del suo percorso politico.
Senza i suoi amichetti padagni, il buon ‘Gnazio non gioca.
La Russa, poi, è tornato sulla proposta di presentare a giorni un ddl per una legge elettorale che consegni il premio di maggioranza al primo partito e contempli le preferenze, rivendicando la correttezza del Popolo della libertà , di fronte alla critiche del Pd, nella decisione di andare avanti con un testo sulla legge elettorale anche senza l’intesa di tutta la maggioranza.
Il presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro si dice ‘allarmata’ dalla volontà del Pdl di anteporre i propri interessi a quelli del Paese: “Noi continuiamo testardamente a cercare un’intesa. Facciamo tutto il possibile, tenendo fermi due paletti: la nuova legge elettorale deve dare governabilità al Paese e prevedere i collegi e non le preferenze”, ha detto, sostenendo che Pdl e Lega, “vogliono indebolire sia il governo sia l’Italia”.
Il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini non ha intenzione di lasciare solo Bersani: “A me non sorprende l’idea di un mega-premio di maggioranza al partito vincente. Serve alla governabilità . Non ci trovo niente di lesivo e secondo i sondaggi il destinatario del premio non sarebbe il Pdl”, ma “è importante che tra i partiti della maggioranza si stabilisca un principio di condivisione. Se si programmasse un colpo di mano e la creazione di un nuovo asse Pdl-Lega avrebbe ragione Bersani”.
“Ormai il Pdl e la Lega sono pronti: premio al primo partito e nessuna coalizione predefinita, così dopo il voto ognuno potrà avere le mani libere sia sul programma che sulle alleanze per consentire al sovrano di Arcore di continuare ad essere determinante per liberarsi per sempre dai processi e difendere le sue aziende”, ha affermato il presidente dei senatori dell’Italia dei Valori, Felice Belisario.
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