Luglio 29th, 2012 Riccardo Fucile
E’ STATO L’AUTISTA DI RIINA: “DOPO L’ARRESTO SONO ANDATI A CASA SUA, C’ERANO COSE CHE INGUAIAVANO I POLITICI, HANNO FATTO FINTA DI NULLA”… “INGROIA LO MANDANO IN GUATEMALA, LUI SA CHE E’ MEGLIO COSI'”
Il nome di un morto e la sua strada, “tutt’assieme” come direbbe lui.
Gaspare Mutolo, pentito di mafia, ha una personale mappa di Palermo: è un cimitero senza pace.
Oggi la città dell’odio la dipinge ad olio, ed è soprattutto mare.
In mezzo vent’anni di collaborazione con le istituzioni: il salto nel vuoto, dall’altra di una barricata con pochissimi eroi e troppi farabutti (tanti travestiti da uomini dello Stato), l’ha fatta con e per Giovanni Falcone.
È lui il pentito che Borsellino stava interrogando nei dintorni di Roma, quando ricevette la famosa convocazione dal ministro.
Mutolo, come succede che un mafioso si pente?
Perchè vengono traditi i sentimenti e non si ha più paura.
A Buscetta gli avevano ucciso due figli, il genero, il cognato. A Mannoia il fratello: se uno è rispettato, non gli toccano nessuno. Appena Mannoia si vede toccato il fratello, parla con Falcone.
Ma nemmeno terminò che noi mafiosi sapevamo che stava collaborando: avevamo le nostre fonti. Ma è successo qualcosa, è la prima volta in assoluto che la mafia uccide tre donne: sorella, madre e zia. Avevamo avuto anche qualche lamentela perchè era con Giovanni Bontade, il fratello di Stefano, era stata uccisa anche la moglie.
Fa una differenza?
Sì: il palermitano ha una venerazione per la donna, è diverso dal catanese o dal trapanese: noi palermitani per la donna abbiamo un sentimento diverso proprio.
Quando è stato deciso l’omicidio Falcone?
Falcone lo seguivamo da vicino, era temuto e ammirato dai mafiosi. Aveva il coraggio dell’intelligenza.
Diverso da tutti.
Dell’omicidio di Falcone noi ne parliamo già durante il maxiprocesso: avevano scoperto il suo villino vicino a Valdese, c’era uno che aveva una pizzeria che ci raccontava gli spostamenti.
Volevamo ucciderlo in una strada sterrata e boscosa.
Santa Paola aveva mandato addirittura un lanciamilissi, la katiuscha: era “il regalo per il giudice Falcone”. Ma era molto scortato, non se ne fece nulla.
Lei lo sapeva che Falcone sarebbe stato ucciso?
Logico. Dopo che fu confermata la sentenza del maxi processo — io ero in carcere — i mafiosi cominciano a dire: ora ci dobbiamo rompere le corna a tutti, ai politici e ai magistrati. Non avevano mantenuto le promesse. Infatti muore Lima, infatti muore Falcone.
E lei perchè si pentì?
Per delusione che avevo con Riina decido di parlare con Falcone: nel dicembre del ’91 gli mandai un messaggio attraverso un avvocato: “dicci a Falcone che Mutolo gli vuole parlare”. Lo ammiravo e lo volevo aiutare. Venne il 15, gli dissi: “Voglio collaborare. E comincerò a parlare dal suo ufficio e dalla Cassazione, fino in Parlamento.
Lo avvisò del pericolo?
Gli dissi che i mafiosi erano preoccupati perchè non c’era più Carnevale. Carnevale era la nostra roccaforte in Cassazione (il giudice Carnevale fu assolto dalle accuse in Cassazione, dove, dopo una sospensione, ancora esercita le funzioni, ndr). È incredibile che faccia ancora il giudice”.
E Borsellino?
Venne il 1 luglio del ’92 la prima volta, insieme al giudice Aliquò. L’incontro doveva essere segreto: a Mannoia, mentre collaborava gli hanno ammazzato tutta la famiglia. Poi arrivò la telefonata. Mi disse: “vado dal ministro”. Finalmente, poco tempo fa, Mancino l’ha ammesso: lo poteva fare vent’anni fa che non c’erano tutte queste chiacchiere, di aver stretto la mano a Borsellino. Comunque poi Borsellino torna da me. Ed era preoccupato che già sapevano del nostro incontro, era una cosa segretissima. Per lui era stato uno choc.
Lei non aveva paura di Riina?
Se avevo paura m’impiccavo da solo. Borsellino diceva: chi ha paura muore tutti i giorni.
Che rapporti aveva con Riina, prima?
C’imparai la dama. Ce lo voglio dire perchè così anche lui si può ricordare dei momenti belli. Riina mi ha dato tanto e mi ha voluto bene tanto. Mi ha fatto regalare 50mila lire a testa da tutti i mafiosi per il mio matrimonio: ho fatto a mezzo con il compare d’anello. Lo fece sia per farmi avere soldi che per informare che lui ci teneva a me. In carcere una volta lo aiutai, che a lui ci era venuta la diarrea. Tutta la notte l’ho vegliato.
La trattativa è vera?
C’è, è stato rinviato Totò. E io non me la bevo che non sono andati a casa di Riina dopo che l’hanno preso. Se mi dicono: o tu cambi opinione o ti mandiamo alla fucilazione, io vado alla fucilazione. Perchè è impossibile che non abbiano perquisito. Sono andati in casa di Riina, hanno trovato cose che inguaivano i politici e hanno fatto finta di nulla.
C’erano rapporti tra la mafia e le istituzioni?
Nel ’71 il capomafia di Bagheria, Antonino Mineo, gli disse a Franco Restivo, ministro dell’Interno: dicci al tuo compare che se vuole mandare al confino noi palermitani, il primo che ci deve andare sei tu. Se no facciamo la pelle a te e a lui. Questi erano i rapporti: convivenza e connivenza, i contatti tra mafia e forze dell’ordine, mafia e politica ci sono sempre stati. Ci sono stati personaggi cui hanno pulito i cartellini penali per fargli fare i sindaci. La Sicilia è una fonte di guadagno e di voti, senza non ci sarebbe stata la dicci, Andreotti e nemmeno Berlusconi, che tramite Dell’Utri era legato a molti mafiosi. Io a Berlusconi lo ammiro, ci sa fare. Non m’interessa del bunga bunga, perchè c’era già a Palermo molti anni prima.
Cioè?
A questi uomini politici ci piace la bella vita. Nel ’74 mi trovai in casa dell’onorevole Matta, della diccì: aveva una villa a Partanna Mondello, la mia zona. Sotto c’era un night club, con le luci, un giradischi, una distilleria di liquori con centinaia di bottiglie. E una parete intera di vestiti di lamè e di scarpe: servivano per le “signore ”. Torniamo a oggi: lei ha detto “ci vorrebbero cinque Ciancimino per ripulire Palermo”.
Massimo Ciancimino dice cose importanti.
È assurdo che si sia bruciato con il pizzino che nomina Gianni de Gennaro. Quella porcata l’ha combinata o gliela hanno fatta combinare?
Mentre Ciancimino si trovava a Bologna, lo so da persona fidata, hanno fermato due persone che si aggiravano attorno alla sua casa: erano due dei servizi segreti. Io credo che volevano fermarlo. Come a Ingroia.
Cioè?
Adesso a Ingroia lo mandano in Guatemala: lui dice che ha accettato e ci vuole andare.
Ma secondo me lui sa che è meglio così, perchè ormai è un grande conoscitore della mafia: che deve fare deve diventare un altro Borsellino o un altro Falcone?
Speriamo che le cose cambino, anche se finchè ci sono uomini come Dell’Utri e Mannino (assolto per concorso esterno, di nuovo indagato per trattativa) a decidere le cose politiche, non ci sono speranze . La Sicilia è bella, io sono sicuro che mi farò uccidere là , ci voglio tornare.
Quante persone ha ucciso?
Tante. Ma c’era sempre una giustificazione.
Non è pentito?
Forse nemmeno era giusto uccidere queste persone, è una cosa che capisco ora. Ma sempre c’era una giustificazione. Non è cosa di cui avevo colpa. Una volta ho ucciso un tale, Imperiale, a pugnalate (che è diverso da uccidere con la pistola.) Quando mi sono guardato allo specchio ero una maschera di sangue. Non lo dimenticherò mai.
Lei ora è un pittore, e una volta ha detto: “quando dipingo mi dimentico chi sono”. È difficile avere il suo passato?
Io ho rifiutato il mio passato: per dimenticarlo che debbo fare, mi devo suicidare? Ho fatto quello che pensavo giusto. Oggi accendo la musica, dipingo il mare. A volte mi commuovo perchè so che sto dipingendo Mondello. Mi sento un altro e vorrei essere quello, ma non posso cambiare il passato. Finchè sarò in vita sarò sempre l’assassino che ha fatto quello che ha fatto.
Si ricorda lo sguardo di qualcuno degli uomini che ha ucciso?
Gaspare Mutolo, che ha parlato per tre ore senza fermarsi, sorride amaramente per un tempo lungo. E poi dice: “lo sguardo di chi muore sempre quello è. Pensi: è arrivato il mio momento. Quello sguardo l’ho avuto tante volte anch’io anch’io.
Silvia Truzzi
(da Il Fatto Quotidiano )
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Luglio 29th, 2012 Riccardo Fucile
LA SPENDING REVIEW IN VIA BELLERIO PER OVVIARE ALLA CRISI FINANZIARIA E ALLA PROSPETTIVA DI UN DIMEZZAMENTO DELLE ENTRATE ALLE PROSSIME ELEZIONI… “RIORGANIZZATI” ANCHE I MEDIA PADANI PER RISPARMIARE
La Lega Nord avvierà una sorta di spending review, al suo interno, per “ottimizzare la gestione dei conti e individuare quelle società collegate al movimento che sono ritenute inutili nel nuovo corso”.
E’ uno dei primi problemi che attende dopo la pausa estiva il Carroccio di Roberto Maroni, che dovrebbe presentare anche un progetto di riorganizzazione dei media padani – radio, quotidiano, web e tv – in favore di un unico portale internet “per ottimizzare il rapporto costi-benefici”.
Di questi temi, benchè non formalmente all’ordine del giorno, Maroni potrebbe fare cenno già nell’ultima riunione del Consiglio federale prima della pausa di estiva, in programma lunedì in via Bellerio.
Il Federale analizzerà il bilancio di previsione. Sul tema della gestione delle risorse, in una festa a Colico (Lecco) Maroni ha già preso spunto dalla consegna alla Procura di Milano del rapporto della società di revisione PriceWaterHouse sul bilancio 2011 per dire che se ne “terrà conto per riorganizzare il sistema di gestione contabile in modo adeguato”, dopo le criticità emerse in seguito alle inchieste giudiziarie.
PriceWaterHouseCooper, che dopo lo scandalo relativo ai fondi della Lega Nord era stata incaricata di svolgere una consulenza sul rendiconto del partito relativo al 2011, ha evidenziato “alcune criticità legate alla gestione pregressa”, ossia quella dell’ex tesoriere Francesco Belsito.
Lo ha spiegato il legale del Carroccio, l’avvocato Domenico Aiello, il quale ha precisato che la relazione della società di revisione sul rendiconto del 2011 (che verrà depositato in parlamento) verrà portata in Procura dagli avvocati del partito la prossima settimana.
Non si sa mai…
(da “Il Fatto Quotidano”)
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Luglio 29th, 2012 Riccardo Fucile
LA CAMERA DI COMMERCIO NON FINANZIERA’ PIU’ IL TEATRO, I GRILLINI SI RIFUGIANO SEMPRE NELLO “STIAMO VALUTANDO”… I CITTADIINI ASPETTANO SEMPRE CHE QUALCUNO SI ASSUMA QUALCHE DECISIONE
Il Teatro Regio perde i pezzi e la rivoluzione sul piano rifiuti non è ancora partita.
Questo il risultato per la giunta Pizzarotti dopo l’ultimo consiglio comunale prima della chiusura per ferie.
Seduta infuocata che ha accentuato la fase di stallo per la maggioranza targata Movimento 5 Stelle, quella che la minoranza consiliare di Pd e Pdl definisce la politica dello “stiamo valutando”.
“Arriverà anche l’epoca in cui si smetterà di dirlo — fa notare Massimo Iotti (Pd) — Capisco l’inesperienza e il periodo di apprendistato, ma il tempo intanto passa e il consiglio praticamente non ha deliberato nulla”.
All’ordine del giorno in consiglio comunale, questioni che in città sono scoppiate in tutta la loro gravità , a partire dal Teatro Regio.
Proprio mentre in aula la minoranza chiede conto degli atti da pubblicare (“si renderanno pubblici solo i verbali approvati” replica il sindaco) e delle imminenti scadenze sul Festival Verdi, arriva la comunicazione della dipartita ufficiale della Camera di commercio dalla Fondazione del teatro.
Una scelta annunciata una settimana fa con le dimissioni del presidente Andrea Zanlari, che nel Cda del Regio ricopriva da appena due settimane il ruolo di vicepresidente.
Le motivazioni della scelta, rese note solo oggi dal comunicato ufficiale dell’ente, “sono da ricondursi al suo mancato coinvolgimento nelle iniziative per la definizione del prossimo Festival Verdi”.
La giunta della Camera di Commercio parla di decisioni “assunte senza un preventivo confronto fra tutti i soci” e attacca duramente la nuova gestione Cinque stelle, a cui imputa l’uscita dalla Fondazione.
“Le diverse voci del mondo economico che questo ente rappresenta si trovano disorientate di fronte al modus operandi del Comune rispetto al prossimo svolgimento del Festival Verdi e dall’incertezza che lo stesso genera tra gli imprenditori che hanno riposto fiducia nella sua realizzazione” si legge nella lettera inviata al presidente della Fondazione Teatro Regio Pizzarotti.
Da gennaio 2013 quindi tra i soci fondatori del Teatro Regio, che ha un buco di bilancio milionario, rimarranno solo Comune e Fondazione Monte di Parma, dopo l’uscita negli scorsi mesi di Fondazione Cariparma. Il che significa anche fondi che verranno a mancare, nonostante la Camera di commercio abbia garantito il proprio ruolo esterno alle attività della Fondazione e del Festival Verdi.
Sulla perdita di un pezzo importante del Regio, Pizzarotti svicola e rimanda ogni commento al mittente: “Se volete chiarimenti in più, chiedete a loro” taglia corto, rinnovando poi l’invito all’appuntamento di presentazione del Festival Verdi sabato.
Nella seduta fiume durata oltre sei ore, passa non senza polemiche la delibera sul piano finanziario della gestione rifiuti che aumenterà la raccolta differenziata in città , e l’assessore al Bilancio Gino Capelli fornisce il quadro del debito in conto capitale del Comune verso imprese e fornitori del comparto edile: 71 milioni di euro, di cui 68 riferibili agli anni scorsi.
Ma è dai banchi del Pd che con il consigliere Dall’Olio arriva la prima bocciatura: “Nella vostra campagna elettorale avevate promesso che in sei mesi sarebbero spariti tutti i cassonetti. Un’idea irrealizzabile che infatti nella realtà non si è realizzata”.
Il sindaco detta comunque l’agenda Cinque stelle in fatto di partecipate, sociale, urbanistica, ambiente per i prossimi cinque anni di governo.
E alla fine della lettura, in aula c’è un clima di perplessità . “Mi aspettavo un programma in cui si mettevano le basi di una nuova civiltà , voi avete parlato di rivoluzione, ma sono ampiamente deluso” attacca Elvio Ubaldi (Civiltà parmigiana).
E gli altri interventi non sono molto diversi.
Dal Pdl al Pd, tutti i gruppi puntano il dito sulla mancanza di novità , ma anche di concretezza in progetti privi di numeri, con concetti generici che sfiorano la demagogia.
“Non è questo lo spirito che vorrei — replica il sindaco — Siamo al secondo mese, non al quinto anno: non si possono fare bilanci. Stiamo cercando di costruire, cerchiamo una strada per condividere le decisioni perchè non le vogliamo imporre. State cercando di minare il nostro rapporto coi cittadini”.
Tirata d’orecchie al primo cittadino arriva in diretta dal consigliere Roberto Ghiretti (Parma Unita), infuriato per avere scoperto da Twitter un suo commento sulla seduta in corso: “Il sindaco può dirci in faccia le cose, non dobbiamo venirle a sapere da internet”.
Il presidente del consiglio Marco Vagnozzi riporta tutti all’ordine, ma incurante delle critiche, Pizzarotti strizza l’occhio (con un emoticon) con un altro tweet: “Basta un cinguettio per discutere?”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 29th, 2012 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DELL’ASSOCIAZIONE ANTIGONE: TASSO DI AFFOLLAMENTO DEL 145,8%, 89 MORTI DALL’INIZIO DELL’ANNO… IL TAROCCAMENTO DEGLI SPAZI INDIVIDUALI CALCOLATI
Nelle 206 carceri italiane non c’è spazio.
Sono 21 mila i detenuti in più, rispetto ai posti letti disponibili nei penitenziari del nostro Paese: ovvero, 145 persone per 100 letti.
Questi i numeri dell’Associazione Antigone, che dal 1991 si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario in Italia e dal 1998, con il pieno consenso del Ministero di Grazie e Giustizia, entra fisicamente nelle carceri italiane, per sondare le situazioni dei singoli penitenziari, per divulgare dati e segnali di pericolo, per lanciare campagne di denuncia e sottoscrizioni e richieste di partecipazione civile e solidale.
Le morti, i suicidi.
Attualmente si sta occupando, tra le altre cose, di diffondere i dati della condizione carceraria del nostro Paese nel 2012. E la situazione è allarmante, per i fatti taciuti e omessi e per quelli più noti: il sovraffollamento, le pessime condizioni igienico-sanitarie, le morti spesso ingiustificate (89 dall’inizio dell’anno, fino al 22 luglio scorso); i suicidi (31) che tra le sbarre si rincorrono sempre più spesso.
Nel terzo millennio e nelle così dette società civili, i luoghi di pena sono per loro stessa natura obsoleti e inadatti a salvaguardare la dignità umana. “Per chi commette fatti non gravi – sostiene il Presidente di Antigone, Patrizio Gonnella – l’impiego in lavori socialmente utili è ben più utile che non scontare qualche mese in carcere, efficace solo invece nel creare carriere devianti e suicidi”.
Cifre che nascondono la realtà .
Se questo è vero in generale, gli istituti di pena italiani spiccano per le condizioni di sopravvivenza nelle quali vivono i detenuti.
Solo in apparenza, infatti, la capienza dei nostri penitenziari in questi anni è cresciuta.
C’è una mistificazione della realtà in queste notizie.
Dal 2007 al 2012, riferisce il Ministero della Giustizia, l’Italia ha aumentato la capienza delle sue carceri di 2.557.
In effetti si tratta semplicemente del fatto che, negli stessi istituti, i detenuti vengono stipati ovunque, trasformando in celle tutti gli altri ambienti, a scapito dei luoghi comuni, indispensabili per la quotidianità dei reclusi.
Nelle carceri c’è sempre meno spazio, dunque, ma sulla carta la loro capienza aumenta.
E alcuni casi sono particolarmente emblematici.
Reparti carcerari inagibili da nord a sud.
Partiamo da una delle regioni più progredite, la Toscana. La capienza della regione, secondo le fonti ministeriali cresce di oltre 300 posti, ma non ci sono nuovi istituti o nuovi padiglioni, e in realtà la vivibilità odierna è certamente peggiorata rispetto al 2007.
Oggi l’istituto di Arezzo è del tutto chiuso, e quello di Livorno lo è in buona parte, mentre a Porto Azzurro sono chiuse ben due sezioni.
In realtà c’è dunque meno spazio, ma la capienza regolamentare della regione cresce. Un’incongruenza evidente, che però fa gioco alle casse dello Stato, dal momento che rende qualunque piano carceri del tutto superfluo.
L’incongruenza, intanto, si estende ad altri luoghi di pena: a L’Aquila, dove a causa del terremoto il carcere è stato in buona parte sgomberato, ad eccezione del reparto per il 41bis (il regime di carcere duro per i reati di criminalità organizzata, terrorismo, evasione e simili). Anche in questo caso la capienza ufficiale dell’istituto è rimasta immutata.
Altrettanto succede a Gorizia. Qui le perdite degli scarichi dei bagni interni alle celle rendono inagibile un piano, sopra il quale i detenuti continuano a vivere e a camminare in una struttura impregnata d’acqua. Monza. Dove parte del carcere è stata sgomberata perchè quando piove si allaga. A Piacenza, mentre è iniziata la costruzione del nuovo padiglione previsto dal piano carceri, il padiglione per i detenuti sottoposti ad art. 21 (coloro che possono lavorare fuori delle mura carcerarie) è inagibile perchè piove all’interno del reparto. Sassari. Un intero piano della vecchia struttura carceraria ottocentesca è inagibile.
Roma. Nel carcere di Regina Coeli, due sezioni sono completamente chiuse. La VI sezione, chiusa a febbraio 2012, ospitava 157 detenuti.
Anche a Rebibbia un reparto è completamente fuori uso, per poter essere adeguato al regolamento del 2000; si tratta della prima ristrutturazione dell’edificio dalla data della sua consegna: era l’anno 1946.
Potenza e Matera. Anche nelle Case di Reclusione dei due capoluoghi lucani sezioni risultano chiuse.
Il trucco.
Gli esempi sono moltissimi, e si può dire che ormai ci sono celle inagibili praticamente in ogni istituto.
La realtà è che nei penitenziari le condizioni materiali si deteriorano, mentre non ci sono più risorse economiche per la manutenzione. Ma la capienza “regolamentare” misteriosamente aumenta.
Le carceri pugliesi le più disagiate.
La Regione con il più alto tasso di sovraffollamento è la Puglia, seguita da Lombardia e Liguria. I penitenziari più vivibili, invece, sono in Trentino Alto Adige. In Campania ci sono più imputati che persone condannate.
Mentre la regione con meno imputati è il Molise. Complessivamente 2 persone su 5 sono dentro ancorchè presunte innocenti.
“Ridurre i detenuti serve anche a ridurre la spesa pubblica. È questo un risultato capace di assicurare anche una maggiore sicurezza collettiva, infatti la permanenza in carceri indegne produce tassi alti di recidiva – dichiara ancora il Presidente di Antigone, Patrizio Gonnella – Per decongestionare il sistema bisogna agire sul fronte delle entrate e delle uscite. La legge Fini-Giovanardi va sostituita con una legge più coraggiosa, meno punitiva e più aperta”.
Già 89 i morti in carcere nel 2012.
Dall’inizio del’anno al mese di luglio, sono morte in carcere 89 persone, ai quali vanno aggiunti 2 decessi all’interno delle camere di sicurezza della questura di Firenze.
Di queste persone, 31 si sono tolte la vita.
L’ultimo è avvenuto il 15 luglio nel carcere di Carinola (Ce), Angelo aveva 41 anni. Altre 7 persone sono decedute per malattia. Ventitre detenuti sono morti poi per cause ancora da accertare. I restanti, sono stati uccisi in carcere, fulminati da un’overdose, o nella speranza di ottenere voce con uno sciopero della fame.
Il primato di Marassi.
Il triste primato spetta al Marassi di Genova, con i suoi 5 decessi: uno per suicidio, uno per infarto e gli altri da accertare.
Segue Roma, dove a Regina Coeli, dall’inizio dell’anno, sono tre i detenuti deceduti: uno era malato ed è morto nel centro clinico del carcere; un altro è stato colto da infarto durante la notte e, secondo le testimonianze dei compagni di cella, non adeguatamente soccorso dal medico di turno; per ultimo un trentenne trovato morto in cella, con tutta probabilità a causa di una overdose.
A Rebibbia, sempre nella capitale, un detenuto, minorato psichico, italiano, di 36 anni, è stato trovato morto nella sua cella.
Era un giorno d’aprile e si tratta del sesto decesso avvenuto nelle carceri del Lazio dall’inizio dell’anno.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 29th, 2012 Riccardo Fucile
OBAMA APPREZZA L’AZIONE DEL PREMIER E QUASI OGNI SETTIMANA I DUE SI SENTONO… E PUTIN SPERA NELLA STABILITA’ POLITICA
Come cambiano le cose e in poco tempo.
Se fino a qualche mese fa Stati Uniti e Russia avevano opinioni divergenti sulla situazione politica italiana, ora Obama e Putin convergono nelle loro posizioni, e auspicano che l’esperienza Monti non si esaurisca con la fine della legislatura.
Certo, non è una novità che le relazioni tra la Casa Bianca e Palazzo Chigi attraversino una fase molto positiva.
La crisi economica ha imposto a Washington di spostare l’attenzione dall’area del Pacifico verso l’Europa, riaprendo la rotta atlantica che per anni era stata quasi del tutto abbandonata, e che veniva solcata soprattutto per questioni militari.
Il punto è che – a causa dell’emergenza – il ritrovato interesse per il Vecchio Continente ha prodotto anche importanti modifiche nei rapporti con le cancellerie dell’Unione.
Per Obama oggi Monti è un interlocutore importante, tanto da aver spinto l’amministrazione statunitense a rivoluzionare il tradizionale modello di relazioni bilaterali, introducendo un sistema inedito per i due Paesi.
È tramite il premier italiano che il presidente americano cerca di capire lo stato dell’arte nell’area dell’euro, esortando il suo interlocutore a proseguire nell’azione politica che sta producendo al tavolo dell’Unione, apprezzandone la linea, compiacendosi anche per la cura che il suo governo pone – per esempio – rispetto a una maggiore integrazione del commercio transatlantico.
Non è questione di reciproca simpatia, ovviamente, c’è sempre un interesse alla base di questi rapporti.
Ma è evidente la novità segnata dall’inusuale frequenza dei contatti tra i due, che di norma si sentono al telefono con cadenza quasi settimanale.
E nei momenti critici, che di questi tempi sono frequenti, la linea viene usata anche più spesso.
Sarà perchè fin dall’inizio Obama ha salutato la nomina di Monti alla guida del governo con toni entusiastici, sarà perchè lo considera un «protagonista attivo» dell’Unione, fatto sta che l’inquilino della Casa Bianca fa il «tifo» per il professore.
È vero che il vocabolario diplomatico non contempla la parola «tifo», però è questo il messaggio che i vertici dei partiti della «strana maggioranza» hanno recepito dopo una serie di incontri riservati con emissari dell’amministrazione americana.
Il linguaggio adottato dagli ambasciatori sarà stato consono al tipo di colloqui, attento a non calpestare le regole delle relazioni internazionali, a non dare l’idea di ingerirsi negli affari italiani, però il sostegno a Monti e l’auspicio che il premier non traslochi da palazzo Chigi nel 2013 è parso a tutti inequivocabile.
Di sicuro non sarà stata una sorpresa per i dirigenti politici italiani ascoltare quei ragionamenti.
Più sorprendente, per lo stesso Monti, sarà stato ascoltare le parole di incoraggiamento che gli sono giunte da Putin nel corso del loro recente incontro a Sochi.
Il presidente russo, a più riprese, ha sottolineato come la «stabilità politica» sia importante per favorire la stabilità economica internazionale e anche le relazioni commerciali, spingendosi fin dove si era spinto in passato solo per l’«amico Silvio».
Così sono cambiate le cose e in pochi mesi: nelle valutazioni sull’Italia – un tempo divergenti – Stati Uniti e Russia finiscono ora per trovare un punto di sintonia.
È molto pericoloso monetizzare la democrazia, trasformarla in merce di scambio sui mercati finanziari, darle un valore come fosse una valuta.
E mettere le mutande alle elezioni, determinare l’esito del risultato prima della sfida, sarebbe come tentare di imbrigliare la storia. Infatti il premier non fa che ripetere di esser pronto a lasciare l’incarico appena terminerà il suo mandato.
«Ci tiene a far sapere che non si impegnerà », ha spiegato Casini l’altro giorno a un dirigente dell’Udc.
Stesso messaggio è stato destinato alle altre forze che appoggiano il governo.
Ma ci sarà un motivo se i partiti della «strana maggioranza» discutono e si dividono sul «Monti dopo Monti», se il tema terrà banco anche la settimana prossima che il premier trascorrerà tra Madrid, Parigi ed Helsinki, se la questione si riproporrà con più vigore con l’approssimarsi delle urne, se si preparano appelli perchè questa esperienza prosegua anche dopo le elezioni.
È evidente che il professore rimarrà un passo indietro rispetto al dibattito pubblico in atto, ossequioso della politica a cui spetta l’ultima parola.
E se il suo lavoro verrà riconosciuto positivamente, starà ai partiti chiamarlo nel caso per rinnovargli la fiducia, dopo la sfida elettorale.
Intanto dagli spalti, dentro e fuori i confini nazionali, c’è chi tifa per lui.
Francesco Verderami
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 29th, 2012 Riccardo Fucile
DALLE FARMACIE AGLI ENTI LOCALI, CHI SI MUOVE DIETRO GLI EMENDAMENTI ALLA SPENDING REVIEW
Si sono acquattati dietro il nastro rosso che da qualche tempo demarca il loro recinto, al primo piano di Palazzo Madama.
Anche ieri i lobbisti non hanno mollato l’osso, fino a tarda sera.
Per giorni e notti pronti ad agganciare i senatori della commissione Bilancio dalle cui mani passavano i destini delle loro aziende e dei loro committenti.
Ora più pubblici che privati.
E ancora una volta tornano a casa dimezzando quanto meno le perdite, attenuando gli affondi di “Mr. Forbici” Enrico Bondi.
Hanno potuto contare, come sempre, sulla sponda convinta di parecchi senatori. Senza distinzione di schieramento.
Certo, non è il quasi successo con cui «rappresentanti degli interessi diffusi delle categorie» hanno salutato l’approvazione delle liberalizzazioni, a gennaio.
Fatto sta che, a sentire i commenti, anche questa battaglia campale sulla spending review in parecchi possono dire di averla almeno pareggiata.
Con buona pace del governo e dello stesso presidente Monti, che ancora due giorni fa metteva in guardia degli agguati, dicendosi sicuro di spuntarla sulle lobby.
La partita, dopo l’ultima notturna di ieri in commissione, si sposta da lunedì in aula.
Ma quel che è fatto, è fatto: si viaggia spediti verso un maxi emendamento con fiducia.
E allora ecco i vincitori e i (pochi) vinti dell’eterno braccio di ferro con corporazioni private e burocrazie pubbliche.
Fare la voce grossa – e avere i mezzi per farsi sentire – paga sempre.
E così, ancora una volta, i farmacisti possono ritenersi in parte soddisfatti.
«Le farmacie italiane hanno chiuso e chiuderanno ancora: insostenibile per noi qualsiasi ulteriore prelievo», protestava in mattinata Annarosa Racca, presidente di Federfarma, per quell’articolo 15 che incideva sul settore.
È proprio attorno al nodo farmacie e sanità privata che si consuma lo scontro finale in commissione.
Col Pdl schierato a testuggine in difesa soprattutto delle prime. Senza alcuna remora.
Al punto che il senatore abruzzese Paolo Tancredi, con la massima nonchalance, finisce col depositare il suo emendamento all’articolo 15 pro-farmacie omettendo di “sbianchettare” l’intestazione del fax che gliel’aveva recapitata il 26 luglio. «Farmacia Lurano », si legge, proveniente dal numero 0354… che sembrerebbe ricondurre alla provincia di Bergamo. Incidenti che capitano quando si agisce in piena scioltezza. Sicuri di farcela.
E infatti in tarda sera sembrava si andasse verso uno sconto sui tagli previsti alla categoria. Ma restava aperto ancora il capitolo sanità privata, sul quale il ministro Renato Balduzzi ha insistito: tagli 70 milioni alle strutture accreditate nel 2012, da 140 nel 2013 e da 180 nel 2014.
Con la senatrice Simona Vicari che alla fine perde la pazienza e lo accusa di intelligenza col Pd: «Il ministro fa più politica che spending review, farebbe bene a spogliarsi dagli interessi di parte».
I presidenti delle Province non hanno avuto bisogno di lobbisti, per loro hanno operato direttamente i senatori della «strana maggioranza».
A conti fatti, addio all’accorpamento, si passa al più cauto «riordino».
Anzi, proprio quegli enti locali indebitati che fino a poco tempo fa sembravano votati alla cancellazione, riceveranno cento milioni di aiuti.
Non male, ieri sera il presidente dell’Upi Giuseppe Castiglione quasi festeggiava: «Il riordino apre ora per noi la possibilità di rispondere ad una sfida importante».
E di tirare un sospiro di sollievo.
Lo tirano con lui Domenico Benedetti Valentini, il pidiellino che riesce a salvare la sua Spoleto, ma anche i democratici che mettono in salvo la Provincia di Terni, per esempio. Pasquale Viespoli, il “Responsabile” beneventano, ieri pomeriggio si è pure fiondato a Palazzo Grazioli da Silvio Berlusconi per sponsorizzare la sua battaglia.
Combattuta (e vinta) assieme a Clemente Mastella, che della sopravvivenza di Benevento Provincia aveva fatto una battaglia di principio.
«È l’assalto di vecchi partiti e burocrazie» commenta sconsolato il deputato del Misto alla Camera Santo Versace.
Ma tant’è. E non è neanche una novità .
Al pallottoliere, al momento, sembra siano destinati a pagare dazio giusto categorie prive di lobbisti all’altezza.
Come gli esodati o i contribuenti di otto Regioni che subiranno l’aumento dell’addizionale Irpef.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Luglio 29th, 2012 Riccardo Fucile
IL DATO E’ CRESCIUTO DEL 22% RISPETTO AL 2010, E’ RADDOPPIATO RISPETTO A CINQUE ANNI FA… CORRISPONDE A 1152 EURO A FAMIGLIA
Ci sono soprattutto piccoli o grandi drammi familiari dietro le cifre sul recupero crediti contenute nel rapporto Unirec (Unione nazionale delle imprese recupero crediti) diffuso oggi. Famiglie, tante e sempre di più, che sono state costrette ad alzare bandiera bianca davanti alla rata di un mutuo, di un prestito o persino di fronte ad una bolletta della luce o del gas.
Nel 2011 i crediti da recuperare hanno raggiunto quota 38 miliardi di euro con un balzo del 22% rispetto all’anno prima e il doppio rispetto a cinque anni fa.
L’80% di questa montagna di denaro è costituita da mancati pagamenti delle famiglie.
Le pratiche avviate sono ben 32 milioni per un importo medio di 1152 euro a famiglia, ossia 195 euro in più del 2010 nonchè record assoluto dal 2007.
In quasi sei casi su dieci si tratta di bollette di elettricità , gas, acqua o telefono.
Il resto è costituito da rate di mutui, prestiti o delle micidiali carte di credito revolving che permettono di pagare a rate ma con tassi di interesse che possono arrivare fino al 25%.
Per non affogare ci si aggrappa sempre più spesso alle cambiali, aumentate del 40% negli ultimi tre anni.
Non di rado non si fa però altro che rimandare la resa dei conti tanto che il 27% dei “pagherò” rimane poi inevaso.
Per una volta, ma è una ben amara constatazione, il paese si mostra unito e senza grandissime differenze tra Nord e Sud.
A furia di tirarla la cinghia si è spezzata in Lombardia come in Sicilia, nel Lazio come in Campania.
La situazione peggiore riguarda la Sicilia dove i crediti da recuperare ammontano a 6,7 miliardi di euro, il 17% del totale.
Le pratiche sono 4 milioni e 900 mila su una popolazione di 5 milioni di abitanti, forzando un po’ la statistica è come se ogni siciliano avesse un debito da 1340 euro da saldare.
In valori assoluti dopo la Sicilia si trovano Campania e Lombardia entrambe con un valore dei mancati pagamenti che supera i 4 miliardi di euro .
Seguono il Lazio (3,4 miliardi), la Puglia (2,5 miliardi), il Piemonte (2,4 miliardi), la Toscana (2,2 miliardi), l’Emilia Romagna (2,1) e la Calabria (2 miliardi).
La differenza tra Nord e Sud rimane per quel che riguarda la quota di crediti che alla fine delle procedure si riescono effettivamente a recuperare.
Il tasso di recupero più basso si registra in Calabria (18,5%) che si confronta con il 27% della Lombardia.
Tutte le regioni mostrano comunque un peggioramento rispetto agli scorsi anni anche da questo punto di vista.
Facile indovinare come andrà nel 2012: peggio.
Stando alle indicazioni dei primi mesi l’anno si chiuderà con un ammontare di crediti da recuperare superiore ai 39 miliardi di euro, con un ulteriore aumento del 2,6%.
Mauro Del Corno
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 29th, 2012 Riccardo Fucile
L’ILVA NON RISPONDE SUI SOLDI CHE INVESTIRA’ PER LA BONIFICA DELLO STABILIMENTO DI TARANTO
Basta una domanda, e una risposta che non arriva, che la Taranto avvelenata a morte da fumi, diossine e polveri sottili aspetta da anni, per mettere in difficoltà il colosso dell’acciaio, l’Ilva.
Dottor Bruno Ferrante, ci dice quanti soldi investiranno l’Ilva spa e la famiglia Riva per le bonifiche e il risanamento dello stabilimento?
“La domanda è precisa, ma non può avere una risposta altrettanto precisa. Perchè non è ancora chiaro quali misure bisogna adottare e soprattutto chi le deve prendere”. Fine.
Questo sa dire il presidente dell’Ilva (ex vicecapo della Polizia, ex prefetto ed ex candidato del Pd alla carica di sindaco di Milano) a una città in ginocchio.
Nessun riferimento neppure a quei 7 milioni e 200 mila euro che il ministro Clini e il governo indicano come parte dei 336 milioni di investimenti del protocollo per Taranto, messi a disposizione da fantomatici “privati”.
La città era isolata dal resto d’Italia. Sconvolta dai blocchi stradali che fino a notte fonda hanno impedito l’accesso e l’uscita dalle mura, con i nervi a fior di pelle e con migliaia di operai in sciopero.
Certo, l’uomo scelto dalla famiglia Riva per rifare l’immagine all’Ilva, assicura che l’azienda non abbandonerà Taranto, che penserà ai lavoratori, ma manda anche una serie di messaggi alla magistratura e ai giudici del Tribunale del riesame che il prossimo 3 agosto dovranno riconsiderare arresti di manager e vertici dell’azienda e sequestro di parte dello stabilimento. “In questi anni noi abbiamo applicato le norme a nostra conoscenza, la magistratura va oltre le attuali disposizioni legislative. L’Ilva chiede un quadro normativo chiaro”.
Nessuna risposta alle raccapriccianti accuse lanciate in mattinata dal procuratore generale di Lecce Giuseppe Vignola: “L’Ilva mentre di giorno rispettava le prescrizioni, di notte le violava. E ora l’azienda non può limitarsi a fare una imbiancata o interventi di facciata”.
Povera Taranto uccisa da 60 anni di veleni.
Leggete i dati del professor Francesco Forastiere, perito della procura, sulle morti negli ultimi 13 anni per le emissioni dello stabilimento.
Sono 386,30 ogni 12 mesi, il 4% dei decessi.
Numeri, uomini e donne, famiglie in lutto.
E tarantini che di notte guardano terrorizzati i fuochi sprigionati dal mostro.
“Durante le ore notturne si ha l’impressione di assistere a esplosioni che liberano fumo e fiamme in grado di illuminare l’area e i manufatti circostanti”.
Non è un passo tratto da Blade Runner, ma è lo scenario che emerge dalla relazione dei carabinieri del Noe sui veleni dell’Ilva.
E poveri operai. Gli invisibili, li chiamavano. Vittime certe del mondo Ilva, oggi additati come untori.
Si sono ripresi la parola e hanno rivelato verità scomode.
Irrompono nella sede della Fondazione Ilva, zeppa di telecamere e giornalisti, dove Ferrante tiene la sua conferenza stampa e parlano.
“Il 30 marzo (quando gli operai manifestarono contro i magistrati, ndr) ci avete pagato la giornata e i pullman per andare alla manifestazione. Oggi abbiamo scioperato, ma voi avete continuato a produrre, avete fatto 23 colate di acciaio al posto delle solite 18. Che gioco state facendo?”.
Silenzio imbarazzato e fine della conferenza stampa.
Eppure in mattinata gli operai avevano chiesto risposte nette e chiare.
Ottomila di loro alle 7 del mattino erano già nel piazzale dello stabilimento. Sul palco i tre segretari generali di Fiom, Uilm, e Fim. “Governo, istituzioni e Ilva devono prendere decisioni chiare e mandare messaggi netti”, è l’esordio di un Maurizio Landini più volte interrotto dagli applausi. “Noi siamo interessati a continuare a lavorare, ma in condizioni di sicurezza. Noi siamo in prima fila nella lotta per il risanamento ambientale. Cara Ilva, il tempo delle furbizie è finito, diteci quanti soldi volete investire per bonifiche e risanamento”.
Sul piazzale volti di operai giovani di una fabbrica dove il tasso di sindacalizzazione è molto basso.
Solo 5mila iscritti, 3500 della Uilm, 1.300 della Fim-Cisl, 1.100 della Fiom.
E tanta rabbia. Quando parla Rocco Palombelli, sindacalista di queste parti che ha fatto carriera nella Uilm, lo sommergono di fischi.
“Mi ritengono un traditore — ci dice —perchè sono andato a Roma”
. “La nostra rabbia è sacrosanta, qui il rischio è di fare la fine dell’Italsider di Bagnoli, a Napoli: diventare un deserto di disoccupati”, si sfoga un operaio.
“L’Ilva è un corpo senza testa”, ci dice Giovanni Lippolis. “Se fallisce questa fabbrica, in Italia rimane solo Marchionne”, profetizza Mauro Liuzzi.
Mentre parlano con noi le loro parole vengono coperte dagli ordini di un delegato di fabbrica. Si occupa Taranto. “Compagni blocchiamo tutto. Gli operai dei tubifici vanno a Statte. Agglomerati, rivestimenti e appalti, sulla Statale 106…”.
Gli operai sanno cosa fare e dove andare e Taranto si ferma. Lo sciopero è finito alle 7 del mattino, gli “invisibili” dell’Ilva torneranno in piazza il 2 agosto.
Il giorno dopo il Tribunale del Riesame dovrà dire una parola definitiva sugli arresti di Riva padre e figlio, dei manager e soprattutto del sequestro di parte della fabbrica.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 29th, 2012 Riccardo Fucile
ERA IL BRACCIO DESTRO DI DE PEDIS… BUFERA SUL SINDACO DI ROMA PER L’ASSUNZIONE DI “PROVOLINO”
Dalla banda della Magliana al Campidoglio.
Tra gli uomini di fiducia che il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha voluto nella sua avventura, c’è anche Maurizio Lattarulo, già braccio destro del boss De Pedis e luogotenente dell’estremista nero Massimo Carminati.
Condannato con sentenza definitiva il 6 ottobre del 2000 «in quanto membro dell’associazione a delinquere banda della Magliana», “Provolino”, così lo chiamavano gli altri della gang, nel luglio del 2008 viene arruolato dal primo cittadino della Capitale come consulente esterno per le Politiche Sociali.
«Sarebbe curioso capire con quali competenze in materia», si domanda Giovanni Barbera, presidente del consiglio del XVII Municipio di Roma, che domani invierà alla commissione trasparenza del Comune un’interrogazione urgente.
Prima ancora di nominare nel 2009 l’amico Stefano Andrini, pure lui estremista di destra, come ad di Ama Servizi, e di sistemare con l’infornata di Parentopoli, nel 2010, il Nar Francesco Bianco come operaio all’Atac, Lattarulo ottiene un posticino nel cuore del potere. Con delibera della giunta comunale entra nello staff dell’assessorato alle Politiche sociali. Contratto a termine, articolo 90, che con «riserva di accertamento dei requisiti per l’accesso allo stesso» inizia il 23 luglio 2008 e cessa con la fine del mandato di Alemanno.
Da luglio a dicembre 2008 riceve dal Comune 13mila euro e rotti, nei due anni successivi 30.670 euro e 65 centesimi.
E oggi è segretario particolare dell’attuale presidente della Commissione politiche sociali, Giordano Tredicine. «Non sappiamo con quale tipo di contratto sia rimasto», dicono fonti interne del Campidoglio.
Ma nella seduta in consiglio comunale di fine giugno, in cui si discuteva del bilancio Acea, lui c’era.
Nell’ordinanza di rinvio a giudizio firmata dal giudice Otello Lupacchini, il magistrato che istruì il processo contro i componenti della Banda della Magliana, viene citato novanta volte il suo nome.
“Provolino” è in prima linea al fianco di personaggi del calibro di De Pedis, Massimo Carminati, del cassiere della banda Nicoletti, di Paolo Frau e di Giuseppe de Tomasi.
«Stava con i “testaccini” – ricorda Lupacchini, oggi sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello – e le riunioni per decidere gli affari della banda avvenivano in via di Villa Celimontana 38».
Insomma non era un personaggio di poco spessore Maurizio Lattarulo, tanto che nell’ordinanza di rinvio a giudizio viene indicato più volte come “braccio destro di De Pedis” e “tirapiedi” di Carminati.
Il suo ruolo, raccontano le carte, insieme agli altri boss, era quello di gestire i circoli scommesse e le sale giochi della città , «aperti dalla banda per riciclare il denaro sporco provento di usura e spaccio».
Racket e gioco d’azzardo erano il suo settore di competenza, fino al salto di qualità : l’usura.
C’è un passaggio dell’ordinanza in cui Enrico Boldrini, pentito della gang e negli anni ’80 gestore di un negozio di noleggio di videogiochi finito nelle maglie della Banda, sostiene che Lattarulo (con Carminati e Maragnoli) andava da lui a riscuotere il pizzo (20 milioni di lire ogni fine mese) per conto di De Pedis.
Ridotto in miseria, Boldrini si diede alla latitanza e quando tornò, per ricominciare bussò alla porta di Provolino: «Mi rivolsi a Lattarulo, il quale, in più occasioni, mi erogò finanziamenti per qualche decina di milioni di lire, al tasso del 4 o 5% mensile».
E ancora: «Confermo di aver indirizzato al Lattarulo dei gestori di circoli in difficoltà economiche: si trattava di persone che versavano nelle mie stesse situazioni di vessazione». Forse tutto questo deve essere sfuggito ad Alemanno quando ha deciso di affidargli la consulenza per le Politiche sociali.
Federica Angeli
(da “La Repubblica”)
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