Luglio 19th, 2012 Riccardo Fucile
CONFCOMMERCIO: PER RIDURRE IL SOMMERSO, PIU’ ALTO DEL MESSICO E DELLA SPAGNA, OCCORRE MIGLIORARE IL LIVELLO DEI SERVIZI PUBBLICI, L’EFFICIENZA DEL SISTEMA GIUDIZIARIO E IL PESO DELLE IMPOSTE
L’Italia registra il “record mondiale” nella pressione fiscale effettiva – cioè il peso fiscale che grava sui contribuenti in regola – che si attesta al 55% del Pil: gli italiani sono infatti uno dei popoli che paga più tasse.
E’ quanto sostiene l’Ufficio Studi di Confcommercio nella “Nota sulle determinanti dell’economia sommersa”.
Secondo le elaborazioni dell’Ufficio Studi di Confcommercio, la pressione fiscale apparente (cioè data dal rapporto tra gettito e Pil così come queste grandezze vengono osservate) nel 2012 è pari al 45,2%.
L’Italia si posiziona così al quinto posto sui 35 paesi considerati, dietro Danimarca (47,4%), Francia (46,3%), Svezia (45,8%) e Belgio (45,8%).
Pressione record.
Il nostro Paese, sottolinea Confcommercio, “supera anche molti paesi nordici, quelli dello Stato sociale funzionante. Si colloca sopra le medie europee e stacca di cinque punti percentuali assoluti la Germania (40,4%), di sette il Regno Unito (38,1%) di dodici la Spagna (32,9%), di quindici il Giappone (30,6%) e di quasi venti gli Stati Uniti (26,3%). Nel rapporto si evidenzia quindi come “nonostante un elevato livello di economia sommersa, gli italiani siano un popolo di pagatori di tasse, tra i maggiori pagatori al mondo”. Secondo Confcommercio, “il record mondiale dell’Italia nella pressione fiscale effettiva dipende più dall’elevato livello di sommerso economico che dall’elevato livello delle aliquote legali”.
Campioni di evasione.
Numeri che portano l’Italia in cima alle classifiche mondiali per il valore dell’economia sommersa, che è pari al 17,5% del Pil con imposte evase per 154 miliardi di euro.
Per il 2008 “l’Italia presenta un tasso di sommerso più che doppio rispetto al Regno Unito (8,1%), tra cinque e sei volte quello francese (3,9%), otto volte il tasso di sommerso stimato per il Canada”.
Osservando i dati degli anni passati, solo per Messico e Spagna si hanno tassi di economia sommersa in doppia cifra ma comunque inferiori di circa un terzo rispetto ai valori dell’Italia.
I dati dei paesi “più virtuosi”, sottolinea Confcommercio, quelli del Nord-Europa, “non sono affatto aggiornati e risalgono invece al 2000” mentre la Germania calcola il sommerso ma non pubblica statistiche e quindi non figura nella classifica.
Servizi pubblici scadenti.
Il problema – secondo Confcommercio – è proprio italiano perchè se la percezione dei servizi pubblici arrivasse ai livelli del Belgio, o l’efficienza e l’efficacia del sistema giudiziario si portasse sugli standard degli Stati Uniti, o ancora la pressione fiscale si riducesse ai livelli della Spagna, allora il tasso del sommerso crollerebbe dall’attuale 17,5% al 12-13% e il prelievo fiscale scenderebbe.
Secondo Confcommercio, l’Italia si posiziona al 25esimo posto su 26 paesi considerati per la percezione dell’output pubblico (sanità , infrastrutture, istruzione) e questo determina “un più elevato tasso di evasione, a parità di altre condizioni”.
Anche il costo dell’adempimento spontaneo “impatta sulla scelta di nascondere imponibile e imposte al fisco”: in questo l’Italia si colloca al 23esimo posto in classifica su 25 paesi considerati.
Stesso discorso se ci spostassimo su valori paragonabili a quegli degli Usa per efficienza e efficacia del sistema giudiziario: “Il tasso di evasione crollerebbe al 12,2%, l’imposta recuperata e distribuita ai contribuenti in regola sarebbe pari a 56 miliardi di euro, le aliquote legali su tutti i tributi potrebbero ridursi di quasi l’8%”. Nell’ipotesi poi di una pressione fiscale “che si riducesse del 17,3%, a livello spagnolo, il tasso di sommerso si ridurrebbe di 1,5 punti percentuali assoluti implicando un’emersione di imposta evasa pari a 16 miliardi di euro”.
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Luglio 19th, 2012 Riccardo Fucile
ROSI MAURO E BODEGA HANNO FONDATO IL MOVIMENTO TERRITORIALE “SIAMO GENTE COMUNE” PER RACCOGLIERE GLI SCONTENTI DELLA LINEA MARONI
Un nuovo partito per il vecchio cerchio magico.
Potrebbe essere questo il ruolo del movimento territoriale ‘Siamo Gente Comune’, operazione appena imbastita da Rosi Mauro e Lorenzo Bodega, pronti ad accogliere il gruppo di potere che controllava la Lega Nord prima dell’avvento di Roberto Maroni.
Una delle prime transfughe è Arianna Miotti, consigliere comunale di Arcisate (Varese) che sembrava destinata a fare carriera nella Lega bossiana ma è presto finita nel dimenticatoio l’indomani del colpo di spugna operato dai maroniani anche a livello territoriale.
Come lei hanno fatto anche due consiglieri comunali di Lecco e uno di Monteveglio (Bo).
Per ora nelle fila del Carroccio non sembra esserci molta preoccupazione sulle sorti del nuovo movimento, bollato dai più come una “scorreggia nello spazio” (cit.), ovvero un fenomeno assolutamente marginale e transitorio, destinato a fare proseliti solo tra una sparuta minoranza di leghisti.
La differenza potrebbe farla l’improbabile (ma ventilato) sostegno di Umberto Bossi, costretto a denti stretti a fare il presidente del “suo” partito, messo all’angolo senza più poteri sostanziali, ormai solo e dimenticato.
La pazza idea di un impegno, anche indiretto, del Senatùr per il successo dell’Sgc, è mutuata dalla storica vicinanza della famiglia Bossi con la Mauro.
Nei mesi difficili della lotta intestina, nelle settimane del crollo elettorale e poi, a ridosso del congresso, non sono mancate le strizzate d’occhio e i cenni d’intesa, con Bossi pronto ad affermare che per colpa della voglia di pulizia sono state promosse espulsioni frettolose.
Ma l’idea è stata subito smentita dallo stesso segretario protempore del movimento, il senatore lecchese Lorenzo Bodega, che ha bollato la notizia come una stupidata: “Io, da commissario nazionale di Sgc — ha dichiarato al quotidiano La Provincia di Lecco — dico subito a scanso di equivoci che questa storia è un’autentica balla”.
Chi se ne va oggi lo fa per disperazione, mosso da una profonda disaffezione verso un movimento che non riconosce più nè nella forma nè nella sostanza, nel totale disprezzo degli ex compagni di partito.
Chi rimane lo fa un po’ per opportunismo, un po’ con l’idea che verranno tempi migliori, con la consapevolezza che da qualche parte e per qualche tempo, c’è un salvagente pronto ad accoglierlo.
Il nuovo soggetto politico (che può contare su due senatori) così come è stato partorito non riuscirà certamente a raccogliere molti consensi.
Il partito ha anche una sede, dieci giorni fa infatti è stato inaugurato a Oggiono il “Bodega Art Cafè”, lo stesso senatore Bodega ha così commentato: “Questo vuole essere un luogo di incontro aperto a tutti, nessuno escluso. Un’attività nuova che si occuperà tra le altre cose anche di cultura ma cultura sarà anche fare politica”.
All’inaugurazione si sono presentati i big del nuovo partito, oltre a Bodega e la Mauro erano presenti il senatore leghista Armando Valli, Luciano Grammatica, Piero Moscagiuro e Marta Casiraghi.
Bodega ha parlato già come un leader: “Quest’anno finisce la mia carriera romana e mi dedicherò al territorio. Me ne sono andato dalla Lega perchè non ho condiviso certe cose e atteggiamenti ma è giusto che io continui a mettere a frutto l’esperienza maturata in questi anni (…) e portare avanti la nostra esperienza fatta sul territorio e promuovere l’informazione vera e non quelle mezze verità riportate dai giornali per infangarci, ci batteremo per un informazione puntuale e precisa fatta con i comizi e con i porta a porta. Ho avuto modo di conoscere bene Rosy Mauro, ha un carattere che può sembrare dura ma dà il cuore e l’ anima, non ha fatto niente ed è stata espulsa dalla Lega, è una persona eccezionale che subito tanta cattiveria ma ci saranno le sedi opportune per appurare la verità “.
Ha ribattuto in lacrime la Mauro: “In una fase così difficile come questa non sapete cosa significhi finire nella macchina del fango, è una cosa terribile che non auguro nessuno ma noi andremo avanti con determinazione. Tutto è partito da un complotto interno e non dalla magistratura ma da quei “barbari sognanti” che due anni fa hanno iniziato a distruggere il movimento. La magistratura farà il suo corso, io non sono nemmeno indagata ma sono già stata processata dai giornali. Bodega ha avuto il coraggio di dimettersi da un movimento che un innominabile è riuscito a distruggere in due anni costringendo persino Bossi a dimettersi”.
Ma tra gli invitati c’è anche Michela Vittoria Brambilla che commenta così la nascita del nuovo partito: “In politica mai come in questo momento c’è bisogno di un volto nuovo, ce lo dicono i cittadini, saluto con piacere la nascita di un nuovo movimento.”
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Luglio 19th, 2012 Riccardo Fucile
IL POLICLINICO VATICANO E IL PIANO DI RIENTRO DOVUTO AI MANCATI INTROITI DA PARTE DELLA REGIONE LAZIO… RIDUZIONE DEI PAZIENTI E DEL PERSONALE, LE ECCELLENZE OSPEDALIERE SOLO PER CHI POTRA’ PAGARE
Una medicina di Serie A e una di Serie B, con corsie separate secondo il reddito, dove le eccellenze si pagheranno. Care, carissime.
Questo è lo scenario messo nero su bianco dalla dirigenza del policlinico Gemelli, l’ospedale del Vaticano forse più importante d’Italia, in un documento riservato che ilfattoquotidiano.it ha potuto consultare.
E’ il piano strategico preparato in gran segreto in questi mesi di crisi — profonda e drammatica — della sanità cattolica, considerata dai patti lateranensi equiparata a quella pubblica.
Un piano che mostra come sia in corso una sorta di rivoluzione copernicana nel sistema sanitario cattolico laziale, solo parzialmente dovuta ai conti in rosso.
Il documento intitolato “Linee guida del piano strategico e valutazione preliminare degli impatti economici“, datato 6 luglio 2012, indica con chiarezza la strada che l’attuale dirigenza del policlinico Gemelli sta intraprendendo.
“E’ presumibile che per il 2011 il Gemelli generi una perdita economica di 100 milioni di euro”, è la premessa.
Un buco di bilancio dovuto, secondo l’analisi del management, alla “riduzione del finanziamento in conto esercizio della Regione”.
Tagli ai bilanci della sanità del Lazio che hanno colpito duramente anche le strutture cattoliche equiparate al servizio pubblico.
Altri 100 milioni di euro in meno sono previsti per l’immediato futuro, con un rischio considerevole per le casse dell’ospedale.
La risposta è forse la più ovvia, ma è anche la cartina di tornasole che mostra con chiarezza la conseguenza dell’attuale politica sanitaria della giunta Polverini: occorre “accelerare la trasformazione del Policlinico”, si legge sul piano strategico del Gemelli.
In che direzione?
Dopo poche pagine il quadro appare chiaro: “La riduzione della spesa pubblica in ambito sanitario prevista per i prossimi anni accentuerà l’incremento della contribuzione di risorse private anche attraverso una maggiore intermediazione da parte di assicurazioni e casse assistenziali”.
In altre parole, un addio alla sanità pubblica ed universale, a quel modello che è ancora oggi ritenuto uno dei migliori del mondo.
Chi avrà la copertura di assicurazioni private — e care — potrà garantirsi l’eccellenza del policlinico universitario dell’università cattolica.
Per gli altri ci sarà un’assistenza con budget ridotti.
L’avvio di un’attività ospedaliera privata è la scelta strategica pensata per compensare la riduzione del finanziamento della sanità pubblica. Scrivono i manager nominati dall’Istituto Toniolo di Milano, proprietario della struttura: sarà necessario “lo sviluppo di attività assistenziali in regime privato”, con la creazione di vere e proprie offerte assicurative, come il “pacchetto Gemelli”.
Se vuoi l’eccellenza, in sostanza, devi mettere le mani al portafogli.
L’altra cura prevista per i conti in rosso del policlinico del Vaticano prevede un taglio deciso ai posti letto disponibili.
Dalle 1644 unità del 2011, già quest’anno si passa a 1588, per arrivare nel 2012 a 1400 degenze medie.
Un’operazione che è già stata avviata, e che prevede, parallelamente, la riduzione drastica del personale: 490 lavoratori, medici e non, dovranno lasciare nei prossimi anni il Gemelli, con un risparmio stimato di 30 milioni di euro.
Altri 22 milioni di euro verranno ricavati — nella cura da cavallo proposta nel piano strategico — dalla riduzione del “costo unitario del personale”.
Ovvero dal taglio degli stipendi reali. L’obiettivo finale — per il gioiello della sanità cattolica — è quello di rendere remunerativa l’attività assistenziale sanitaria, con circa 30 milioni annui di ricavi a partire dal 2016.
La strada della privatizzazione della sanità è ormai aperta.
Andrea Palladino
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 19th, 2012 Riccardo Fucile
NELLA RIVIERA ROMAGNOLA GIOVANI LAVORATORI COSTRETTI A TURNI MASSACRANTI E MAL PAGATI
Sono giovani, con un’età che arriva nella maggior parte dei casi ai 40 anni.
E sono sia italiani che stranieri, un esercito di lavoratori in nero (in toto o in parte) che, nel comparto del turismo sulla riviera romagnola, condividono situazioni analoghe, con paghe orarie che variano dai 3 ai 4 euro e turni che possono raggiungere le 15 ore al giorno (per tutti tra le 80 e le 90 ore a settimana).
Per Patrizia Rinaldis, presidente dell’Associazione italiana albergatori (Aia) di Rimini, sono “casi limite che non rispecchiano il nostro turismo”.
Per altri, invece, il “lavoro gravemente sfruttato è un fenomeno talmente epidemico che non possiamo segnalare un datore di lavoro piuttosto di un altro: lo fanno tutti”.
Ad affermarlo sono due realtà che da anni lavorano a fianco degli stagionali.
Sono il comitato Schiavi in Riviera e l’associazione Rumori Sinistri che nelle settimane scorse hanno collaborato con il consigliere riminese Fabio Pazzaglia della lista Fare Comune a un’interpellanza contro lo schiavismo nel turismo.
Scopo è quello di arrivare a settembre a un consiglio comunale tematico in cui trovino spazio le voci dei lavoratori, quelle che denunciano condizioni di mancato rispetto dei contratti nazionali di categoria e un uso “disinvolto” di strumenti ad hoc, come i contratti a chiamata.
“Parlare di questo argomento in riviera è difficile”, dice Pazzaglia.
“Si pensi che a Rimini ci sono 40 vigili che devono controllare gli ambulanti abusivi e solo 2 che invece devono occuparsi delle condizioni dei lavoratori in alberghi, ristoranti o impianti balneari”.
Gli ispettori del lavoro che girano sono 23, “ma non sempre sono nelle condizioni di rilevare reali abusi da parte dei titolari degli esercizi”, spiega Marco, uno degli attivisti di Schiavi in Riviera.
Trentatreenne, conosce bene il settore dato che “ho cominciato a lavorare come stagionale a 15 anni e ancora oggi ho bisogno di arrotondare per arrivare a fine mese. Così la sera faccio il cameriere”.
Marco ha iniziato nel 2008 a “fare squadra” con altri colleghi — oggi il gruppo è composto da una decina di attivisti e da un centinaio di sostenitori — e spiega che per “aggirare i controlli, i lavoratori sono istruiti a dire che è il loro primo giorno, hanno preso servizio da un’ora o da due e che non conoscono nessuno degli altri”.
Il meccanismo, secondo gli attivisti romagnoli, è quello dell’abuso del contratto a chiamata, conosciuto anche come contratto di lavoro intermittente.
“Avvalendosi male di questo strumento”, prosegue il giovane romagnolo, “i versamenti contributivi sono quasi inesistenti, non si ha diritto a indennità di disoccupazione e si può essere licenziati facilmente”.
E come se non bastasse, nel pieno della stagione, si viene “chiamati” tutti i giorni. Mauro, 19 anni, vive a San Mauro Mare e da quando ne aveva 14 d’estate fa il barista nei bar sulla spiaggia o in birrerie la sera.
“Succede che possa lavorare ben oltre i giorni pattuiti e vengo avvertito all’ultimo momento. Ma può succedere anche il contrario: se c’è maltempo mi dicono via sms che me ne posso stare a casa. Il messaggio può arrivare alle 7 del mattino, dopo che ho lavorato fino alle 2 e che mi sono già svegliato per riprendere. Quest’anno ho fatto un colloquio in un pub: volevano che lavorassi tutte le notti senza contratto per una paga di 3 euro all’ora. Ho rifiutato”.
Claudio di anni ne ha 24, è di origine campana ma vive da tempo a Rimini e fa il cameriere in una pizzeria. “Il contratto a chiamata per me vale sempre, prendo un migliaio di euro al mese e in una settimana posso fare fino a 90 ore”.
L’unica storia, tra quelle raccolte, con un esito positivo è quella Tommaso, 26 anni, un ragazzo riminese che lavora nel salvataggio. “Prima ero in un officina meccanica”, dice, “e quando sono rimasto disoccupato ho pensato di fare la stagione. Mi hanno preso ufficialmente per 6 ore e 20 minuti al giorno. Invece ne facevo almeno 8 e quando ho avuto un lutto in famiglia i miei datori di lavoro stentavano a lasciarmi i giorni per il funerale e per stare con i parenti. Allora ho iniziato a informarmi sui miei diritti e ho minacciato una vertenza. A quel punto mi hanno regolarizzato e regolare lo sono ancora oggi. Ma non tutti nel mio impianto lo sono”.
Laura, 40 anni, oggi fa la guida turistica, ha un contratto come si deve, ma del suo precedente lavoro in un hotel di Rimini non ha mai visto neanche un soldo.
“Ero regolarizzata per il 30% di quello che in realtà lavoravo, il restante stipendio mi veniva dato in nero. All’inizio ho accettato perchè avevo bisogno di denaro, ma poi passa il primo mese e non mi pagano, passa il secondo e la situazione è la stessa. A quel punto mi sono rivolta a chi poteva assistermi nell’avere quello che mi spettava. Durante una manifestazione davanti all’albergo, però, con sono stata aggredita a parole e non solo”.
Quello del passare dall’abuso contrattuale all’aggressività verbale e fisica è un nodo che segnala anche Manila Ricci dell’associazione Rumori Sinistri.
“Il problema è nel complesso così grave che non possiamo più gestirlo come gruppo di volontari. Sta dunque partendo una campagna che prevede anche l’attivazione di una linea telefonica perchè i lavoratori para-schiavizzati vanno oltre la stagione estiva e c’è un bisogno costante di supporto specialistico. Occorre rompere il meccanismo di omertà e il sistema del lavoro schiavistico del turismo”.
Un sistema che, se per gli italiani è drammatico, lo è ancora di più per gli stranieri, soprattutto donne comunitarie che arrivano dalla Romania.
I migranti sono sotto ricatto anche per il posto letto compreso nel “pacchetto” lavorativo (se protestano, l’alloggio rischia di saltare) e nel 2011 l’associazione Rumori Sinistri ha ricevuto 198 persone allo sportello antisfruttamento.
Di queste 174 erano romene e 142 hanno pagato agenzie di intermediazione italiane con uffici nei Paesi d’origine.
Il prezzo per lavorare a condizioni estreme in Italia si aggira sui 600 euro per i cittadini comunitari, ma può arrivare a 1700 per chi viene da nazioni extra Unione europea.
Quattro di queste lavoratrici, tutte romene, hanno però reagito e attraverso l’associazione hanno ottenuto il supporto di un avvocato romagnolo, Raffaele Pacifico, che in tarda primavera ha presentato una denuncia alla procura della Repubblica di Rimini per riduzione in schiavitù e mobbing.
“Ho raccolto i loro racconti in lingua originale e poi li ho fatti tradurre”, spiega il legale.
“Sono racconti crudi che parlano di avanzi di cibo da mangiare con gli animali domestici dei titolari degli alberghi, di giorni di riposo mai concessi e di assenze per malattia negate. Avendo pagato per venire in Italia a lavorare, queste lavoratrici non potevano tornare nel loro Paese prima della fine della stagione. Ora i magistrati sono in fase istruttoria e stanno valutando tutta la documentazione che ho allegato alla denuncia, certificati medici compresi”.
Mentre il consigliere Pazzaglia e le associazioni di lavoratori chiedono che si arrivi a un “certificato di qualità ” che attesti il rispetto degli operatori del settore per contratti e condizioni di lavoro, l’Aia respinge le accuse e dice che non si tratta di una situazione generalizzata.
“Casi ce ne sono”, spiega ancora la presidente De Rinaldis. “Il figlio di una mia collaboratrice, per fare il bagnino, ha preso 50 euro per dieci giorni, è una vergogna, prenderei chi lo ha trattato così a calci nel sedere”.
La rappresentante degli albergatori è in realtà ancora più esplicita quando parla di questo episodio, ma aggiunge riferendosi al comparto: “Vorrei andare io dai sindacati a dire che c’è personale in eccesso che non fa niente e che rifiuta di spostarsi per esempio dalle cucine ai piani se in cucina non c’è nulla da fare e invece serve una mano altrove”.
E insiste a parlare di “situazioni limite, da non difendere, certo, ma comunque marginali”.
Ma limite o meno che siano queste situazioni, i lavoratori sfruttati potrebbero bussare alla porta dell’Aia trovando un interlocutore che intervenga per sanare ciò che sano non è?
“Non è questo il nostro lavoro”, risponde Patrizia De Rinaldis. “Ci sono delle regole che devono essere rispettate, ma sono altri gli organi che lo devono fare. Personalmente faccio convegni e corsi per ribadire quali sono queste regole. Le verità è che noi per primi subiamo la concorrenza sleale di chi sfrutta i lavoratori usando forme di flessibilità estreme che mettono a rischio a 80 mila posti di lavoro nel settore”.
Antonella Beccaria
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 19th, 2012 Riccardo Fucile
PER LEGGE LA BATTIGIA DOVREBBE ESSERE DELLA COLLETTIVITA’, MA SPESSO COSI’ NON E’
Una corsa lungo la spiaggia, balzo da triplista sulla battigia, prima onda saltata, leggero cedimento sulla seconda e poi … splaff , schienata sulla terza.
Scena da mare.
Volete fare un bagno gratis attraversando la spiaggia attrezzata?
È un diritto garantito dalla legge. E vietato dalle norme.
Ripetiamo il concetto: un diritto allo stesso tempo tutelato (fin quasi in riva al mare) e negato (lì proprio dove batte l’onda).
È come potersi tuffare da un trampolino purchè ci si fermi prima di toccare l’acqua.
Un cortocircuito legislativo. E in teoria i castelli di sabbia in riva al mare potrebbero essere proibiti così come l’uso di «armi» quali palette e secchielli
È un paradosso che viaggia per migliaia di chilometri lungo il litorale italiano, soprattutto là dove le spiagge sono popolate di stabilimenti balneari.
I gestori, per altro, difendono giustamente il diritto dei clienti paganti a non ritrovarsi una barriera umana sul bagnasciuga.
Ma è un diritto quando le spiagge libere sono rarissime?
Andiamo sul concreto, non si può pensare che per un bagno ci si debba portar dietro il proprio avvocato
La norma «buona» è un comma della legge finanziaria 2007.
Impone l’«obbligo per i titolari delle concessioni di consentire il libero e gratuito accesso e transito per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione».
«Anche»? Che significa? Posso prendere il sole? Mettere giù il telo? Tirar su il castello di sabbia?
È un «anche» che resta appeso
A questo punto arrivano le norme «cattive», che valgono erga omnes, quindi anche per chi paga l’ombrellone di un bagno privato.
Sono ordinanze comunali o regionali. Coprono gran parte del litorale italiano.
Alla base ci sono direttive di sicurezza delle Capitanerie di Porto. Sono quasi in fotocopia.
E nel «quasi» c’è la differenza tra le più severe e le più liberali.
Tutte proibiscono di occupare con ombrelloni, sdraio e accessori simili «la fascia di battigia» destinata al libero transito, in genere 5 metri.
Detto questo, molte località aggiungono esplicitamente i teli all’elenco degli accessori vietati. Altre un «eccetera» che giustifica la più ampia discrezionalità del bagnino che ha funzioni di «polizia balneare» nel suo tratto di arenile e che in teoria dovrebbe usare lo stesso metro per i suoi clienti e per gli estranei.
Facciamo un Giro d’Italia.
Ad Amalfi (Salerno) teli fuorilegge anche se «provvisori» nella fascia di 3 metri dal bagnasciuga. Stessa cosa a Capalbio e in tutto il grossetano con il corridoio a 5 metri.
Al Lido di Venezia fuorilegge teli e «qualsiasi attrezzatura anche se precaria».
Teli out a Fiumicino (Roma).
Divieti di prassi anche a Viareggio e Forte dei Marmi: guai ad appoggiare l’asciugamano in riva al mare (entro 5 metri) però nelle spiagge libere, seppure regolamentato, «è consentito l’accesso dei cavalli».
La Sardegna ha una disciplina regionale standard che non vieta esplicitamente i teli ma nell’«eccetera» della sua norma ci può stare tutto.
E Rimini, Riccione, Cattolica?
La Riviera Romagnola con le sue sterminate spiagge?
Niente da fare: le concessioni dei bagni arrivano fin in prossimità dei 5 metri della fascia di transito poi scatta il divieto per «attrezzature mobili di qualsiasi tipologia» (l’asciugamano sarà «attrezzatura mobile»?).
In alcuni comuni della Liguria (per esempio Alassio, Pietra Ligure, Lavagna) vige il più stringente «divieto di sosta».
E oltre ai teli dovrebbero sparire «oggetti di qualunque tipo compresi effetti personali e indumenti» (palette e secchielli, per esempio, sono oggetti).
Giusto? Sbagliato? Certo il margine di 5 metri restringe ben di più le spiaggette liguri divorate dal mare che non le spiaggione romagnole.
E il nostro bagno garantito dalla legge e vietato dalle ordinanze?
Immaginiamo di arrivare in prossimità della spiaggia. Attraversiamo uno stabilimento per raggiungere il mare.
Devono farci passare, è una legge dello Stato. A quel punto siamo in riva al mare.
Via maglietta, bermuda e infradito, telo appoggiato in terra, rincorsa ….
«Scusi?». È il bagnino, l’ordinanza vieta di lasciare lì qualsiasi cosa.
E noi siamo senza avvocato. Si torna su.
Cambio veloce in auto o in hotel e via con gli slip e basta, sul marciapiede verso il mare… «Scusi?». È il vigile; giustamente fa notare che «sa, per il decoro… l’ordinanza… non si può stare in slip fuori dalla spiaggia».
E il bagno? Meglio una doccia.
Mario Gerevini
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 19th, 2012 Riccardo Fucile
“CI SONO TANTI PICCOLI CANI CHE ABBAIANO MOLTO MA NON FANNO PAURA”
«Non rispondo, ma il capo sono io».
Così Umberto Bossi, conversando in Transatlantico risponde a chi gli chiede un commento alle parole di Maroni: «Ci sono tanti cani piccoli – aggiunge – che abbaiano molto ma non fanno paura».
Il nuovo segretario federale della Lega aveva detto in un’intervista a Sette: «La presidenza di Bossi è un ruolo affettivo. Non ha nessun potere. È il riconoscimento concesso alla sua storia personale».
Parole che non devono essere piaciute al senatur.
Ormai nella Lega Nord si parla da separati in casa: Roberto Maroni da una parte, Umberto Bossi dall’altra.
E l’intervista al magazine del Corriere è forse l’atto ufficiale con cui l’eterno delfino del Carroccio ha messo alla porta il padre storico del movimento padano, riaffermando la propria leadership.
Bossi ha poi rivolto un pensiero a Berlusconi, invitando l’antico alleato a stare in guardia, se davvero è intenzionato a scendere di nuovo in campo.
«Come si è fatto vivo, la magistratura lo ha mazzolato subito», ha spiegato il presidente della Lega citando anche l’inchiesta Stato-mafia.
«Deve stare attento a quel che fa…», ha aggiunto Bossi.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 19th, 2012 Riccardo Fucile
BOSSI E’ ORMAI SOPPORTATO IN LEGA SOLO “PER UN MOTIVO AFFETTIVO”… SI ACCENTUA LO SCONTRO TRA PASSATO E PRESENTE DEL CARROCCIO, SEMPRE A RISCHIO SCISSIONE
Ormai nella Lega Nord si parla da separati in casa: Roberto Maroni da una parte, Umberto Bossi dall’altra.
L’eterno delfino del Carroccio mette alla porta il Senatur e riafferma la sua leadership: «Bossi non ha nessun potere – chiarisce – E la sua presidenza è un ruolo affettivo, il riconoscimento concesso alla sua storia personale».
Sono parole che non lasciano spazio ad interpretazioni. Dure e amare.
Anche se non è dato sapere come siano state accolte dal diretto interessato: Bossi, infatti, non replica.
Tace ancora ed all’avanzata del suo successore oppone soltanto una “resistenza gandhiana”.
C’è Giacomo Stucchi, deputato della vecchia guardia bossiana, che difende il ‘capò. Ed attacca Maroni: «È incredibile come un figlio possa disconoscere l’opera del ‘padrè », afferma a Montecitorio il parlamentare ligure.
Insomma, il dramma padano ha tutti i contorni di una guerra interna dalle conclusioni più inattese, anche una impensabile (almeno fino a qualche mese fa) ‘scissionè leghista.
Il partito è attraversato da fremiti separatisti, ma stavolta solo interni.
Maroni, forse infastidito dalle continue punzecchiature di Bossi, sbaraglia il campo da fraintendimenti sulla guida del partito: «Al congresso – spiega – ho detto chiaramente ai delegati: ‘Se mi eleggete sappiate che voglio pieni poteri sulla linea politica e sulla gestione del partitò. Mi hanno eletto».
Insomma, il partito l’ho conquistato con i voti dei militanti e la linea la detto io.
Bossi, dal suo canto, appare impegnato in una guerra di trincea: piccole sortite che innervosiscono l’avversario per poi ritirarsi nel silenzio.
Come le dichiarazioni negli incontri pubblici in giro nei feudi leghisti: a corrente alterna dà un colpo alla leadership di Maroni e poco dopo esprime parole di elogio per Bobo.
I due vengono descritti da separati in casa anche a Via Bellerio.
Maroni impegnato in lunghe riunioni con il nuovo gruppo dirigente per rilanciare il partito e dar vita al “Fronte del Nord”.
Bossi, chiuso nel suo studio, che riceve le visite dei suoi fedelissimi e fa le pulci al neosegretario.
Così l’ex responsabile del Viminale smentisce che il ‘senatur’ abbia ancora poteri di comando e decisionali: «Non è così», dice seccamente.
Una risposta indiretta al ‘capò che invece, durante alcuni incontri pubblici, aveva avocato a sè i poteri di reintegro nel partito di chi è stato espulso.
A sentire i bossiani, comunque, di «scissioni interne non se ne parla. I panni sporchi si lavano in famiglia».
Al massimo – spiegano – si può creare una corrente come fu quella dei ‘Barbari sognantì. Sarà .
Eppure, in Parlamento tra qualche deputato è sempre più forte il sospetto che in futuro possa nascere una “Rifondazione leghista”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 19th, 2012 Riccardo Fucile
IL TIPO DI ESPERIMENTI A GREEN HILL NON SERVONO ALL’UOMO: SOLO L’1% DEI FARMACI TESTATI SU ANIMALI ARRIVA IN FARMACIA … E’ LA LEGGE CHE OBBLIGA ALLA SPERIMENTAZIONE SU ANIMALI, NON LA SCIENZA
«Vengono usati per impianti odontoiatrici: gli spaccano la mandibola per poi provare gli impianti. Oppure gli modificano il cuore, poi li sottopongono a stress fino all’infarto».
Michela Kuan, biologa, spiega il destino dei beagle allevati a Montichiari per la sperimentazione animale.
Si dice sempre che la vivisezione è necessaria per salvare vite umane.
«Gli animali sottoposti al fumo delle sigarette per 24 ore al giorno non si ammalano di tumore ai polmoni, e neanche l’amianto ha provocato loro danni: non è stato così per l’uomo. Poi l’aspirina: per alcuni malati è un salvavita per gli animali è tossica».
Allora perchè proseguire?
«La legge obbliga al passaggio sull’animale, ma meno del 5 per cento dei farmaci testati sugli animali superano l’esame e di questi solo l’1 per cento arriva al commercio. Non si capisce perchè, se non per motivi economici, ci si affidi a un sistema fallimentare: molte molecole testate sull’animale non servono all’uomo. E chissà quante ne vengono scartate, perchè gli animali muoiono, mentre sarebbero utili all’uomo».
Antonella Mariotti
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Luglio 19th, 2012 Riccardo Fucile
“HA SCELTO GLI ARREDI, LE CABINE ERA PRATICAMENTE RISERVATE, VI TENEVA GLI EFFETTI PERSONALI”
Sull’Ojala, quella a prua e quella a poppa erano cabine assegnate. Inviolabili. Accessibili solo ai legittimi proprietari: il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni e l’amico-commercialista Alberto Perego.
Cuccette extralusso “dove”, mette a verbale uno dei comandanti, “venivano custoditi i loro effetti personali imbarcati all’inizio della stagione e portati via nel mese di ottobre.
Nessuno era autorizzato ad utilizzarle salvo in rarissimi casi”.
Un fatto inconsueto, visto che il Ferretti 70 (maxi-yacht da oltre 20 metri) risulta di proprietà di una terza persona: Pierangelo Daccò, consulente nel campo della sanità , vicinissimo (da sempre) al governatore.
Niente viaggi da semplici ospiti, dunque, ma un utilizzo “quasi esclusivo”.
Tanto che è “opinione comune di tutti i testimoni” che la presenza dei due “a bordo non era quella di meri passeggeri occasionali, bensì quella tipica dei proprietari del bene stesso”.
Il quadro, finora inedito, emerge dall’ultima informativa di polizia giudiziaria messa agli atti dell’inchiesta sugli 80 milioni di fondi neri usciti dalla Fondazione Maugeri e traghettati in un complicato risiko di conti esteri.
Ecco allora l’ultimo capitolo della storia che vede indagato per corruzione e finanziamento illecito ai partiti lo stesso Formigoni.
Solo ora, infatti, si comprende come i due membri dei Memores Domini (il cosiddetto “gruppo adulto” di Cl) tra il 2007 e il 2011 non solo abbiano navigato dalla Sardegna alla Costa Azzurra, ma abbiano anche utilizzato il personale di bordo per organizzare cene in ville sontuose. Insomma, quella era roba loro.
Questo emerge sfogliando le oltre duecento pagine dell’annotazione.
Una situazione nella quale Perego si trovava a meraviglia, “tanto da intervenire persino nella scelta degli allestimenti e degli arredi delle imbarcazioni”.
E se uno si occupava dello scenografia, l’altro (il presidente) a bordo “era solito lavorare”.
Lo racconta Mauro Montaldo, uno dei capitani degli yacht. Sentito dai magistrati, dichiara: “Ricordo che faceva frequenti telefonate di lavoro, inviava e riceveva email tramite il computer di bordo e rilasciava interviste telefoniche”.
Detto questo, chi pagava?
Alla domanda risponde un altro dei capitani degli yacht, Silvio Passalacqua: “Il comandante faceva fronte a tutte le spese utilizzando la carta di credito delle società (intestate a Daccò, ndr). Mi si chiede se Perego o Formigoni abbiano mai pagato personalmente qualche spesa della barca e rispondo di non averli mai visti versare alcunchè, neanche un centesimo”.
Passalacqua, negli anni, ha condotto diverse imbarcazioni.
Alla fine, è stato licenziato dallo stesso faccendiere della sanità .
Motivo? “Daccò mi chiese di mettergli a disposizione due componenti dell’equipaggio perchè doveva organizzare una festa sulla terraferma (…) alla quale partecipavano Formigoni e Perego. Io mi rifiutai”.
Tutti fatti “accertati” e definiti “gravi”, se si tiene conto “che i benefit di Formigoni sono garantiti con somme provenienti da pagamenti illeciti e da fondi (…) sottratti alle casse delle fondazioni San Raffaele e Maugeri che a loro volta distraggono denaro proveniente dalla Regione”.
Quanto? Tre milioni e settecentomila euro in quattro anni solo “per l’utilizzo delle tre imbarcazioni (Ojala, Cinghingaia, Ad Maiora) da parte di Formigoni e Perego”.
Giunti a questo punto, ecco la logica conclusione degli investigatori: “La ragionevole evidenza di uno stretto nesso causale e cronologico tra gli illeciti pagamenti erogati a favore di Daccò e Antonio Simone (ex assessore Dc amico da sempre del presidente lombardo), le utilità messe a disposizione di Formigoni (mediante beni di lusso e servizi), nonchè la formazione ed emanazione di delibere di Regione Lombardia, va a completare un quadro che delinea l’esistenza di un gravissimo sistema illecito”. Conclusione: “L’esosità dei benefit giustificherebbe — per usare un eufemismo — l’entità elevatissima delle somme illecitamente percepite dagli Enti ospedalieri”. Questi i fatti.
Ora a costruire l’ipotesi d’accusa finale dovranno pensare i magistrati.
Antonella Mascali e Davide Milosa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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