Luglio 25th, 2012 Riccardo Fucile
LO SCEMPIO ALLA STAZIONE CENTRALE DI MILANO: VAGONI DIVENTATI RIFUGIO DI INDIGENTI TRA SPORCIZIA E VANDALISMI
Dal finestrino di un qualunque treno in arrivo alla Stazione Centrale di Milano lo si può vedere con i propri occhi: nel vicino Parco Centrale giacciono abbandonate sui binari morti decine di carrozze, tra cui alcune vetture un tempo destinate al servizio dei treni notte.
Qui, tra la sporcizia, il degrado e lo scempio del vandalismo, hanno trovato casa decine di indigenti.
Alcune cuccette si sono trasformate in piccoli monolocali arredati e puliti con cura, altre in toilette assediate dalle mosche.
Fuori, tra le rotaie, le tracce di una quotidianità rubata: barbecue improvvisati ai margini dei binari, residui di sapone alla fontana e immondizia abbandonata in ogni angolo.
Culminato nel dicembre 2011 con la sospensione quasi totale del servizio, il progressivo taglio dei treni notte è stato avviato da Trenitalia a partire dal 2008.
A giugno Trenitalia ha comunicato di aver ripristinato alcuni treni notte: si tratta del prolungamento di due tratte che dalla Puglia arrivavano a Bologna ed ora arrivano fino a Milano e due tratte che da Sicilia e Calabria arrivavano fino a Roma ed ora arrivano fino a Milano (per un totale di 8 treni andata e ritorno).
Nel giro di cinque anni, la flotta effettivamente impiegata per il trasporto notturno si è ridotta da migliaia di unità a poche centinaia, con il conseguente abbandono delle carrozze inutilizzate negli scali ferroviari.
Il restauro e gli interventi di manutenzione su queste vetture non sono però andati di pari passo con le scelte legate all’interruzione del servizio: secondo quanto riportato dai documenti in possesso dei lavoratori del Binario 21 di Milano che hanno iniziato la loro protesta nell’autunno del 2001 e che hanno occupato a lungo la torre del binario della stazione centrale di Milano «dal 2007 ad oggi Trenitalia ha speso per il rinnovo dei treni notturni 350 mila euro per ogni carrozza, per un totale di circa 42 milioni. Treni lasciati marcire sui binari».
Una cifra che Trenitalia smentisce e esclude che corrisponda al vero senza però fornirne un’altra.
Resta il fatto che qualunque sia la cifra, l’investimento pare dunque andato perso, dal momento che gran parte delle vetture appena rimesse a nuovo sono oggi inutilizzate.
L’azienda esclude interventi radicali sulle carrozze dopo il 2007, ma dalle immagini girate nelle officine Rsi sembra però che i treni fossero sottoposti fino all’anno scorso a operazione di restauro consistenti.
Solo una minima parte dei convogli rimessi a nuovo sono in servizio sulla rete ferroviaria italiana.
Secondo l’ufficio stampa di Trenitalia «l’obsolescenza delle vetture fa della demolizione la destinazione preferita per i vagoni notte».
Seconda opzione, anche se meno probabile, rimane quella della vendita all’estero. Qualunque sia il destino dei treni notte, una cosa è certa: il deterioramento determinato dal passare del tempo e dal vandalismo non può che ridurre drasticamente il valore di questi treni.
Anna Pellizzone e Alessandra Tranquillo
(da “Il Corriere della Sera“)
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Luglio 25th, 2012 Riccardo Fucile
TONINO PENSA A UN “LISTONE CIVICO” DEL CENTROSINISTRA E A UN PATTO CON GRILLO
Il convitato di pietra si chiama Beppe Grillo. Per Tonino è «l’amico che sento spesso». Ma per i dipietristi, in pieno maremoto, è una calamita che sta attirando Di Pietro verso il definitivo distacco dal Pd e ad imboccare una strada in fondo alla quale sembra intravedersi un “coup de theatre”: lo scioglimento dell’Idv per creare una “lista dei cittadini”.
Un “Movimento dei valori”, una sorta di listone civico.
Con quale scopo? L’ex pm potrebbe metterlo in prima battuta sul tavolo del centrosinistra o, in caso contrario, schierarlo (schierarsi) sullo stesso fronte “antagonista” del MoVimento 5 Stelle.
Tonino è tentato. Molto. Anche se il logo di Idv non dovrebbe scomparire perchè, secondo gli ultimi sondaggi, garantisce comunque un 8% di consensi.
L’annuncio? A settembre, quando a Vasto si riunisce lo stato maggiore del partito.
Un anno fa proprio la “foto di Vasto” siglò l’alleanza di Di Pietro con Vendola e Bersani. Sembra passato un secolo.
“Vasto 2” arriva dopo l’opposizione al governo Monti, dopo una rottura con Bersani che appare quasi impossibile evitare, e nel mezzo di un Idv in piena fibrillazione.
Per il partito dipietrista è il momento forse più duro di tutta la sua storia.
E dire che di vicissitudini “Italia dei valori” in sette anni ne ha passate tante.
Basti pensare, solo in questa legislatura, all’abbandono di Scilipoti e Razzi passati dalla parte del “nemico” Berlusconi.
Di 29 deputati che erano nel 2008, i dipietristi sono oggi 20.
In questi giorni è un tam-tam sulla nuova possibile scissione dei filo-Pd in dissenso con la deriva grillina di Di Pietro che va dall’attacco al Quirinale alla strategia politica. La giornata di ieri è trascorsa per l’ex pm a negare che ci siano fronde interne, malesseri, addii: «È un bene che all’interno di un partito democratico come il nostro ci sia qualcuno che la pensa diversamente ha risposto – È un arricchimento culturale».
E via con le rassicurazioni, smentendo (e anche gli altri) esodi; mantenendo alti i toni contro il presidente Napolitano, contro Monti e contro «i morti viventi» della maggioranza che appoggia il governo.
Massimo Donadi, il capogruppo dipietrista a Montecitorio, ha ammesso che «in Idv lo sbandamento è forte».
Poichè la bufera delle polemiche interne infuria, lo stesso Donadi – che per primo si è smarcato dal “grillismo” di Di Pietro con un’intervista sull’Unità – resta abbottonato. Però di una cosa è certo: «Vasto non può ratificare scelte già fatte».
Bisogna in qualche modo avviare un confronto e discutere di qual è la linea, se è cambiata rispetto al 2008, e dove si vuole andare a parare.
Pancho Pardi è della stessa opinione: «Un chiarimento ci vuole».
Ma la «semi rottura con Bersani è più una forzatura tattica che una reale volontà – sostiene Pardi – d’altra parte è stato Casini che con perfida finezza ha mostrato di essere disponibile a un accordo con Pd e con Vendola ma non con Idv».
Tonino sta sbagliando? «Non dico questo, d’altra parte in politica si procede anche con “colpi di assaggio”, però per me che sostengo a spada tratta l’alleanza con i Democratici, è necessaria una bella discussione, e sono sicuro non ci saranno scissioni».
A smarcarsi, dopo Donadi e Borghesi, è stato anche il senatore Elio Lannutti con tanto di lettera di dimissioni inviata a Di Pietro: «Caro Antonio, io con te ho chiuso…».
Poi c’è stata una mezza rappacificazione: racconta Franco Barbato.
Ma per Barbato, Tonino sta facendo la cosa giusta e «Donadi e Borghesi sono la semi sezione del Pd in Idv, dirò a Di Pietro che sono un “cavallo di Troia”».
Barbato è tra i sostenitori del “listone civico”.
Addirittura immagina già un logo misto: la scritta “Italia dei valori” e, incastonato, “I cittadini”.
Giovanna Casadio
(da “la Repubblica“)
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Luglio 25th, 2012 Riccardo Fucile
SANZIONI PER CHI NON RISPETTA I TEMPI…L’EMENDAMENTO AL DECRETO SVILUPPO
Tempi duri per il pubblico dipendente che non completi un procedimento nei tempi prescritti.
Un emendamento al decreto Sviluppo, presentato dai relatori Alberto Fluvi (Pd) e Raffaello Vignali (Pdl) con il parere favorevole del governo e approvato in commissione, introduce il suo immediato deferimento ai fini della valutazione che conduce alla sanzione.
Un inasprimento di quanto già previsto dal decreto Semplificazioni di febbraio, che aveva innovato introducendo la figura del dirigente con potere sostitutivo nei confronti del dipendente che non rilasci atti nei tempi previsti.
Un sostituto attivabile dal cittadino con denuncia.
La norma di cinque mesi fa stabiliva che, a fine anno, il dirigente dovesse tirare le somme rispetto ai dipendenti ritardatari, facendo scattare le sanzioni.
Ora l’emendamento al decreto accelera i tempi.
Prima di tutto prevede che il nome del dirigente con poteri sostitutivi sia ben visibile nel sito istituzionale dell’amministrazione di appartenenza.
Ma soprattutto aggiunge che lo stesso dirigente, in caso di termini non rispettati, «comunica senza indugio il nominativo del responsabile (del ritardo, ndr), ai fini della valutazione dell’avvio del procedimento disciplinare secondo le disposizioni del proprio ordinamento e dei contratti collettivi nazionali di lavoro».
Se non lo fa, diventa a propria volta responsabile dell’inottemperanza.
«Le imprese sono scappate dall’Italia non per le tasse e nemmeno per l’articolo 18 ma per i tempi lunghi della nostra pubblica amministrazione» commenta Vignali.
Di lavoro pubblico si parlerà nell’incontro con i sindacati sui tagli della spending review convocato dal ministro competente Filippo Patroni Griffi.
I sindacati cercheranno di capire quali criteri saranno utilizzati per i tagli del 10% del personale (20% per la dirigenza) entro ottobre.
Ma quello che le sigle vorrebbero sapere travalica i confini dell’attuale decreto di revisione della spesa.
La notizia fatta circolare ieri mattina da Confesercenti, e accolta dalle proteste di Spi-Cgil, di un taglio delle tredicesime dei dipendenti pubblici e dei pensionati, è stata smentita dal ministro che ha detto di averla sentita dai media.
Ciò non toglie che tra i sindacati ci sia allarme.
In sede di elaborazione del decreto che attualmente è al Senato, si era parlato di varie misure: dal blocco degli integrativi alla proroga di quello delle assunzioni, al congelamento delle tredicesime appunto, e a riduzioni stabili, in percentuale, degli stipendi, fino al taglio del 10% dei distacchi sindacali.
Poi di tutte queste misure non si è fatto più niente ma i sindacati temono che qualcuna finisca per entrare nel secondo atto della spending review.
Forse la sortita di Confesercenti è servita a scongiurare l’ipotesi, ma solo nell’immediato: si dice che il governo abbia chiesto a chi di competenza di conteggiare i risparmi relativi a un eventuale taglio delle tredicesime, sugli stipendi e sulle pensioni dei dipendenti pubblici (solo queste ultime valgono quasi 5 miliardi).
Intanto il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, insiste nel chiedere un patto sociale per governare la crisi.
«Un patto ci vorrebbe – ha commentato ieri il segretario della Uil, Luigi Angeletti – ma questo esecutivo ha già dichiarato che intende governare sino alla primavera del 2013 avendo come unico interlocutore il Parlamento».
Antonella Baccaro
(da “Il Corriere della Sera“)
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Luglio 25th, 2012 Riccardo Fucile
LA SCRITTRICE SILVIA AVALLONE: “A QUESTO PREZZO NON NE VALE LA PENA”… “HO VISTO TROPPI ASPIRANTI PROFESSORI, COI VOLTI SEGNATI DALLA DISILLUSIONE, MOLLARE TUTTO”
In quarta elementare, quando le maestre proposero alla classe d’interpretare l’ennesima fiaba di Andersen per la recita di fine anno, un gruppetto di scolarette dissidenti di cui facevo orgogliosamente parte alzò la mano in segno di protesta.
Era il 1993. Le nostre insegnanti sgranarono gli occhi. Noi, con l’impertinenza tipica dei nove anni, ribattemmo che no, non volevamo saperne di principi e principesse. «Benissimo» risposero loro «organizzatevela voi, la recita “alternativa”».
Credo sia stata la prima sfida della mia vita, il primo vero insegnamento che ho ricevuto (consapevolmente).
Nelle ore in cui gli altri bambini provavano le battute ufficiali, noi scrivevamo il testo del nostro spettacolo underground.
Optammo per la satira e, senza esitazioni, decidemmo di prendere di mira loro: le autorità , quelle che volevano darci – letteralmente – una «bella lezione».
Tre imitazioni caricaturali (che, ripensandoci oggi, erano un dolcissimo e struggente riconoscimento della loro autorevolezza) provate e riprovate a casa e durante la ricreazione.
Il risultato, alla fine, fu un successo e le prime a chiedere il bis furono proprio loro: i nostri (amatissimi) bersagli.
Il mestiere d’insegnare, come si fa a farlo stare dentro una definizione?
Perchè la prima cosa che fa, un insegnante, è imprimere una direzione, una matrice, alla tua vita.
Nel ’93 le nostre maestre ci hanno dato fiducia, ci hanno rese responsabili. Hanno accettato di essere messe in discussione per dare a noi l’opportunità di crescere.
Naturale, dopo un’esperienza così, sognare un giorno di eguagliarle.
Il punto non è tanto la materia che insegni. Non è il complemento oggetto, ma il verbo.
Diventare il segugio che scova in ciascun ragazzino quel talento potenziale, a volte inaspettato, che è nascosto in tutti.
La guida che porta i suoi studenti a immaginare quante possibilità abbiano in futuro. La scuola è stata questo per me: imparare sul campo il significato e il perimetro della parola libertà .
Ci tengo a cominciare così, con passione, perchè è la passione che ti muove verso un mestiere del genere. Ciascuno di noi ha una madre, uno zio, una nonna che ha cresciuto intere generazioni e a cui magari, a distanza di anni, gli ex allievi telefonano ancora.
La bambina riconoscente che sono stata premeva per raccogliere il testimone, per contribuire a migliorare la società nel modo più incisivo: in mezzo a una fila di banchi disposti a ferro di cavallo.
A questo io ho rinunciato. Ho visto la scuola pubblica smantellata pezzo per pezzo, la ricerca agonizzare, l’università annichilirsi anno dopo anno. E, in parallelo, questo Paese perdere grinta, ambizione, ridursi a una cartolina del passato, in cui la cultura viene messa da parte in favore di non si sa bene quale scorciatoia, quale vicolo cieco. Ho cominciato a registrare la frequenza di certe massime come: «La laurea non serve a niente».
A una scuola pubblica peggiore può corrispondere solo un Paese peggiore.
Di insegnanti come quelli che ho avuto – fiduciosi, realizzati – in giro ormai ne vedo ben pochi. Un giorno sì e uno no incontro un ragazzo della mia età che scuote la testa avvilito e ripete sempre la stessa frase: «Sono in graduatoria, sto aspettando». Incontro anche cinquantenni che stanno aspettando.
Conosco pressochè solo supplenti.
La parola «graduatoria a esaurimento» ricorre con lo stesso alone sinistro del castello di Kafka. Ci sei, sei lì, proprio a un tiro di schioppo, eppure non ci sei mai.
Non c’è verso di raggiungere quello che oggi, nel nostro Paese, è diventato uno dei mestieri più ardui.
Non basta la laurea. Non bastava neppure la famigerata Ssis, scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario, che hanno allestito e dismesso nel giro di un decennio.
Ostaggi del tempo e dei punti, dei master online a pagamento che devi collezionare per scalare una o due posizioni.
Sfruttati, ricattati, in balia di un ingranaggio perverso che ti richiede esami su esami, tasse su tasse, precarietà su precarietà .
Ho chiesto a un’amica (trentacinque anni, un dottorato, due figli) quando prevedeva, all’incirca, di entrare di ruolo.
Mi ha risposto voltando gli occhi al cielo: «Mai».
Per il 2011/2012 hanno istituito un nuovo ponte per il castello kafkiano: il Tfa, tirocinio formativo attivo, che impegna per un anno a pieno ritmo e costa la bellezza di 2.500 euro.
Dopodichè: chi lo sa? Chi ha la forza di non lasciarsi scoraggiare dalle montagne di burocrazia, dai tempi biblici, dall’incertezza che ottiene in cambio, lungo la strada ha lasciato un vagone d’entusiasmo a disperdersi nel niente.
Quattro supplenze l’anno in tre scuole diverse. Che senso ha?
Non fai neppure in tempo a conoscerli, i tuoi studenti. Non ci sarà nessun percorso insieme, nessuna crescita.
Ho visto troppi aspiranti professori con i volti segnati dalla disillusione mollare tutto all’ultimo momento perchè «così, a questo prezzo, non ne vale la pena». Non sei nessuno.
Non hai più nemmeno un centesimo di quell’autorevolezza che avevano i tuoi insegnanti dieci, vent’anni fa. Sei in graduatoria, sei un supplente.
Uno che supplisce a un vuoto pazzesco.
C’è la dignità di mezzo. C’è un senso di frustrazione che ti attanaglia ogni mattina, ed è quello che ti leggono in faccia gli studenti le saltuarie volte in cui puoi varcare la soglia della classe.
Dovresti trasmettere loro energia, fiducia, curiosità , e tu sei il primo a non averne (più).
Se conosco anche storie a lieto fine? Certo, ma sono eccezioni.
Il 4 giugno scorso, il giorno in cui scadeva il bando d’iscrizione all’esame per il Tfa, i miei amici e io, tutti aspiranti professori ai tempi del liceo, ci siamo ritrovati intorno a un tavolo e ci siamo guardati in faccia.
Tu ti sei iscritto? Io no, e tu? Neppure io.
Troppo tardi, troppe poche certezze per un azzardo simile.
Follia pura, pensare di raggiungere una cattedra. E dire che mia madre, a soli vent’anni, dopo aver vinto il concorso di Stato era già di ruolo.
Cos’è successo nel giro di un paio di generazioni alla scuola pubblica?
Non basta una vita per insegnare, non bastano quarant’anni di servizio per arrivare a saperlo fare davvero (me lo ripeteva sempre il mio prof d’italiano).
E con un tempo determinato che non va dal lunedì al sabato, che ci fai? Come puoi dire ai tuoi studenti che il futuro si costruisce qui? Che i sacrifici ripagano sempre, se non riesci più a risultare persuasivo?
Continuo a credere che la scuola sia la sola opportunità uguale per tutti di diventare cittadini liberi e intraprendenti.
Ma lo è solo a patto che lo siano anche gli insegnanti: liberi di diventarlo. Anzichè arrivare come me, a portarsi dietro un rimpianto.
Quello di non poter essere io la maestra che, di fronte a uno stuolo sfrontato di ragazzine, dice: «Va bene, inventate la vostra recita alternativa, provate a camminare con le vostre gambe. Io sono qui per questo».
Silvia Avallone
(da “Il Corriere della Sera“)
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Luglio 25th, 2012 Riccardo Fucile
IL QUESITO SPACCA IL CENTROSINISTRA: IL PD A DIFESA DEL MILIONE DI EURO DI FINANZIAMENTI A NIDI E MATERNE PARITARIE
Nemmeno il tempo di votare assieme al Pdl sui finanziamenti alle scuole private che per il Partito Democratico arriva un’altra grana.
I garanti del Comune di Bologna hanno dichiarato ammissibile il referendum consultivo proposto dal Comitato articolo 33.
Nella pratica, una volta terminata la raccolta di 9mila firme, ai cittadini bolognesi sarà chiesto da qui ad un anno di scegliere dove mettere un milione di euro delle casse comunali: se nella scuola pubblica o se indirizzarli ancora, come avviene da 10 anni, verso le private convenzionate.
Se vincesse l’opzione “pubblica”, e non è un’ipotesi di fantascienza vista la forza dei movimenti bolognesi di insegnanti e genitori, per i democratici e il sindaco Merola la situazione diverrebbe scottante, presi tra la volontà popolare da una parte e dall’altra l’alleato numero uno in città , Sinistra Ecologia e Libertà , che non ha mai nascosto di essere contraria ai finanziamenti pubblici alle scuole private e che raccoglierà le firme per il referendum.
Un referendum quindi che sta già costringendo, tutte le forze politiche a schierarsi apertamente. A cominciare dal Pd, che dopo aver fatto passare il proprio provvedimento con i voti del centro destra (Sel si è invece astenuta) ha fatto subito sapere di non apprezzare per nulla la decisione dei garanti.
“Porre come fa il referendum una scelta tra dare i soldi o pubblico o al privato significa disconoscere la legge dello stato — ha dichiarato l’assessore Pillati — Questo referendum è ideologico. La vera democrazia non ha prezzo, il costo di questa consultazione sarà invece di mezzo milione di euro”.
Rilancia il segretario provinciale Raffaele Donini: “Al Pd tocca il governo responsabile, altri hanno forse più spazio per fare ginnastica ideologica, magari anche facendo un po’ campagna elettorale. Se poi il Pdl vuole votare provvedimenti riformisti come il nostro sul finanziamento alle scuole private tanto meglio. Tutti devono ricordarsi che a Bologna governiamo noi, e che la città ha il 60% di scuole materne d’infanzia gestite dal Comune, il resto della Regione tre volte meno”.
Scontato con dichiarazioni del genere il “no” del partito a raccogliere firme per un referendum che cozza contro una linea più e più volte dichiarata: la gestione pubblica di una rete di scuole statali, comunali e private convenzionate.
Col Pd, e qui la “strana” alleanza a distanza si ripresenta, sia la Curia di Bologna, che ha definito il referendum “ideologico”, sia il Pdl, che ovviamente è contrario a spostare soldi dalle private paritarie alle scuole pubbliche.
“Ammettere quel referendum è stato demenziale — spiega Valentina Castaldini — È per giunta anche anticostituzionale. Mi meraviglio dell’incompetenza dei garanti”.
Anche Sinistra Ecologia e Libertà ha già deciso: “Raccoglieremo le firme necessarie”, spiega il coordinatore del partito Luca Basile.
“Il dato politico non è una possibile crisi formale di maggioranza, che non vogliamo e non ci interessa — spiega Cathy La Torre, capogruppo di Sel in Comune — quanto piuttosto la creazione di una nuova e temporanea maggioranza in Consiglio comunale per fare passare la convenzione sulle scuole private. Quasi una riedizione di un governo Monti a Bologna. E anche qui il Pd ha preso le distanza da Sel avvicinandosi al Pdl”.
Conclusione di Cathy La Torre: “Questa situazione avrà i suoi strascichi”.
Sulla questione i più duri di tutti sono i consiglieri del Movimento 5 Stelle, unici ad avere votato “no” alla nuova convenzione che per i prossimi 4 anni finanzierà le scuole private paritarie bolognesi attraverso una serie di incentivi e disincentivi economici.
“Raccoglieremo le firme per il referendum? Dobbiamo decidere tutti insieme a livello di movimento. Quello che posso dire personalmente — spiega il consigliere comunale Massimo Bugani — è che mi ci impegnerei volentieri”.
Gli fa eco il collega Marco Piazza: “Non possiamo che essere favorevoli a una consultazione democratica. Poi il quesito referendario è molto secco e potrebbe essere problematico. La giunta si era impegnata a coinvolgere la cittadinanza, questo non è successo e ora il referendum sarà un passaggio obbligato, compreso spese evitabili discutendo prima con tutti”. Identica la posizione di Federica Salsi: “Chiedere direttamente ai cittadini è sempre la cosa migliore”.
Lo scontro è tutto sui dati.
Il Pd fa presente come Bologna abbia da sempre una percentuale di scuole comunali tre volte superiore a quella regionale, e come togliere un milione di euro di contributi alle private paritarie darebbe una classe (pubblica) a solo 175 bambini, contro i 1737 attualmente ospitati nelle private convenzionate.
“Tutto giusto — spiega Bugani — si scordano però di dire che la differenza in termini di soldi ce la mettono le famiglie che spendono ogni mese 300 euro o più per pagare la retta dei figli. Non sono certo le scuole private che per magia costano 10 volte meno di quelle pubbliche. Poi sia chiaro, il referendum è solo consultivo, darà un indirizzo politico”.
Dal canto loro i democratici ribattono: “Le leggi nazionali impediscono l’assunzione di insegnanti. Con un milione di euro in mano non ci potremmo fare nulla”.
A metà del guado Sel. “Bisogna trovare un meccanismo alternativo al finanziamento alle scuole private — spiega La Torre — vista la situazione nazionale attualmente non sembrano esserci possibilità ”.
Giovanni Stinco
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 25th, 2012 Riccardo Fucile
CONSIDERAZIONI E PENSIERI SU UNA OLIMPIADE IMMAGINARIA… L’EUROPA CHE HA FATTO LA STORIA E RISCHIA DI ESSERE SFATTA DALLA CRONACA
Non prendetemi per pazzo. Oppure sì. Ma insomma, provate a immaginare.
Provate a immaginare che tutti gli atleti delle nazioni dell’area euro presenti a Londra si sfidino nelle rispettive specialità .
Immaginate che i primi tre classificati, e soltanto loro, partecipino poi ai Giochi con la divisa della Unione Europea.
Immaginate davanti al video una ragazzina spagnola che tifa Federica Pellegrini e un pensionato tedesco che incoraggia il centometrista francese Lemaitre.
Immaginate il medagliere olimpico, con l’Europa Unita che lotta per il primo posto contro l’America e la Cina, e quasi sicuramente le supera, sentendosi di nuovo il centro glorioso del mondo e non un insieme di piccole, rissose e decadenti periferie.
Immaginate quale effetto avrebbe sull’identità del Vecchio Continente la condivisione di emozioni così possenti.
Forse persino l’euro cesserebbe di essere una moneta svizzera finita per sbaglio nelle nostre tasche, assurgendo finalmente a simbolo di qualcosa di vivo.
Avete immaginato?
Ora riatterrate sulla realtà schizofrenica delle prossime settimane, quando nei discorsi economici invocheremo politiche unitarie e in quelli agonistici ci scanneremo per le piccole patrie di appartenenza, nani destinati alla sconfitta: in pista come in Borsa.
Prendetemi per pazzo, ma non per scemo.
So bene che la crisi d’Europa non si risolve con una manciata di medaglie.
Ma so anche che lo sport sarebbe un buon mastice per tentare di mettere insieme le membra di questo gigante depresso, che ha fatto la Storia ma rischia di essere sfatto dalla cronaca.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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Luglio 25th, 2012 Riccardo Fucile
SULLE “UTILITA’ A FAVORE DEL GOVERNATORE”, DALL’INCHIESTA SPUNTANO ANCHE LE VACANZE PASQUALI A SAINT TROPEZ
Capodanno ai Caraibi. Pasqua a Saint Tropez.
Non sono titoli di cinepanettoni, genere ormai esaurito, ma programmi di vita di Roberto Formigoni.
Sì, non ci sono solo le già note vacanze invernali alle Antille, a spese del faccendiere della sanità Pierangelo Daccò, e quelle estive in Sardegna.
Ora dall’informativa della polizia giudiziaria di Milano sulle “utilità a favore del presidente di Regione Lombardia” spuntano anche le vacanze pasquali.
Se tra Natale e Capodanno Roberto Formigoni amava interrompere il lungo inverno milanese con un salto (gratis) nel clima caldo dei Caraibi, a Pasqua preferiva la Costa Azzurra.
Sempre in compagnia del fido amico e convivente Alberto Perego e sempre con (ricchi) conti saldati da Daccò, che poi si rifaceva facendosi pagare consulenze milionarie dai suoi “clienti” (80 milioni solo dalla Fondazione Maugeri).
Il Celeste è fatto così: il suo voto di povertà , evidentemente, va in vacanza almeno due volte l’anno, a Natale e a Pasqua.
Lo documentano gli investigatori della Guardia di finanza e della polizia di Stato nella loro relazione inviata il 27 giugno ai magistrati di Milano che, indagando sui conti folli di San Raffaele e Maugeri, si sono imbattuti nei “regali” di Daccò al presidente: “Viaggi in località connotate da eccezionali livelli di lussuosità , con una costanza temporale (intesa quale reiterazione) che non consente di qualificare il fatto come una mera occasionalità o come una forma di liberalità una tantum, bensì come il segno evidente di un rapporto organico e stabile nel tempo”.
Dal 2008 al 2011, Formigoni trascorre le vacanze pasquali in Costa Azzurra. Montecarlo, Cannes, Saint Tropez.
A disposizione ha una barca (“Cinghingaia” nel 2008, “MiAmor” nel 2009, 2010 e 2011). Una Mercedes. Una villa hollywoodiana a Saint Tropez. Voli aerei su jet privato.
Settimane sante: paga tutto Daccò.
Le raccontano i piloti dei voli e chi ha organizzato i viaggi, le confermano i comandanti e i marinai delle barche, le documentano le carte bancarie del fiduciario svizzero Giancarlo Grenci.
Ecco che cosa dichiara Giuseppe Danzi, collaboratore di Daccò dal 2007 e organizzatore di alcune delle “vacanze di gruppo” di Formigoni e amici.
“Mi è capitato”, dice Danzi ai magistrati, “di prenotare dei biglietti in periodi pasquali quando, in genere, lo stesso gruppo andava in vacanza in Costa Azzurra… Per quello che mi risulta, durante quelle vacanze la famiglia Daccò andava in albergo mentre Perego e Formigoni utilizzavano la barca”.
A raccontare con dovizia di particolari la vacanza a Saint Tropez è Diego Passalacqua, marinaio a bordo del “MiAmor” dal 2008 al 2010:
“Nel 2010, ricordo un incontro, durante la Pasqua, avvenuto a Saint Tropez. Nell’occasione, Daccò ha dato l’ordine di recarci con la barca MiAmor a Saint Tropez, con a bordo solo l’equipaggio. Quando siamo giunti lì, la famiglia Daccò (Pierangelo, Annita, Erika e Massimo Buscemi) ci ha raggiunti a bordo; so che sono arrivati lì in elicottero (…). Durante il soggiorno in Francia, avevamo noleggiato un’autovettura per lo spostamento, una Mercedes di grossa cilindrata. Avevamo la necessità di un’auto del genere perchè a bordo, come riferito da Daccò al comandante, sarebbe salito il presidente Formigoni. In effetti, ricordo che Formigoni e il suo segretario Willy alloggiavano in una villa all’ingresso di Saint Tropez; una villa ‘importante’, nel senso che si trattava di una struttura nota per ospitare persone importanti”.
Willy è MauroVilla, un altro dei Memores Domini del gruppo di Formigoni e Perego.
Gianluca Ridolfi è invece il comandante dell’aereo che vola in Costa Azzurra per le vacanze di Pasqua del 2011 (Venerdì Santo compreso).
Andata Linate-Nizza il 14 aprile, ritorno Digione-Linate il 28 (la fattura della società Alba è di 51.750 euro, “non è stato possibile individuare le modalità di pagamento”): “Io sono sicuro del fatto che ho portato Daccò e famiglia da Linate a Nizza”, dichiara Ridolfi.
“Non sono sicuro se fosse anche presente Formigoni con i suoi amici. Dopo aver dormito a Nizza, la mattina successiva ho riposizionato l’aereo senza passeggeri a Digione. Qui sono sicuro di aver trasportato Daccò con famiglia e Formigoni con gli amici da Digione a Linate”.
Conferma Mauro Moltedo, comandante di tre delle barche (“Ojala”, “Cinghingaia”, “AdMaiora”) che Daccò metteva a disposizione di Formigoni : “A Pasqua di ogni anno, Daccò con la sua imbarcazione si spostava per una settimana in Costa Azzurra (Montecarlo e/o Saint Tropez). Io personalmente ho condotto solo nel 2008 la ‘Cinghingaia’ a Montecarlo con a bordo Perego e Formigoni. Nel 2009 e 2010, Perego e Formigoni sono andati con la famiglia Daccò a bordo del ‘MiAmor’. Non so invece se abbiano pernottato sullo yacht oppure sulla terraferma. Quello che so è che veniva affittata una villa dove alcuni degli ospiti pernottavano”.
Alla fine, nell’interrogatorio del 19 maggio 2012, anche Daccò non può che ammettere di aver pagato quei viaggi.
Concludono gli investigatori: le relazioni Daccò-Formigoni hanno “natura ‘affaristica’, caratterizzata non da un sentimento di amicizia ma da interessi economici”.
Quali? I ‘benefit’ del presidente sono garantiti “da fondi illegittimamente sottratti alle casse di San Raffaele e Maugeri che a loro volta distraggono somme erogate dalla Regione”, grazie a “provvedimenti/delibere” suggerite e conquistate da Daccò.
Gianni Barbacetto e Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 25th, 2012 Riccardo Fucile
IL MOVIMENTO CINQUE STELLE DEFINISCE L’OPERAZIONE “UNA BUFALA”… TUTTO VERTE SULLA VALIDITA’ O MENO DELLE MIGLIAIA DI FIRME RACCOLTE CHE PER LEGGE POTREBBERO ESSERE NULLE
Giù le mani dall’antipolitica.
E’ scontro frontale tra il movimento di Beppe Grillo e il piccolo partito Unione Popolare (UP) che da maggio sta raccogliendo le firme per abolire la diaria dei parlamentari, un’operazione referendaria anticasta dal sicuro impatto ma dall’esito quanto mai incerto.
Lo scontro nasce e corre in Rete da tempo, ma oggi si materializza anche su Sky Tg 24 con un confronto diretto tra il segretario politico dell’Up Maria Di Prato e il consigliere del M5S torinese Vittorio Bertola, che ha definito l’intera operazione ‘una bufala’.
Tutto verte sulla validità delle firme raccolte a migliaia al motto “tagliamo gli stipendi d’oro dei parlamentari”.
Chi non metterebbe la croce sopra?
Il problema è che le firme raccolte tra maggio e luglio (il termine è il 31, a quanto pare) potrebbero essere nulle.
La legge che disciplina la materia referendaria (Legge 25 maggio 1970, n. 352) individua infatti finestre temporali e paletti procedurali precisi nell’anno che precede lo scioglimento delle camere, com’è a tutti gli effetti il 2012.
Il primo problema riguarda il deposito delle firme che l’articolo 31 della legge vieta nell’anno anteriore alla scadenza di una delle Camere.
Le firme si possono raccogliere ma possono essere depositate solo dal primo gennaio 2013 per poi svolgere il referendum l’anno successivo, nel 2014.
Ma i dubbi non sono finiti.
C’è anche un problema di validità delle firme raccolte perchè l’art. 28 del testo stablisce che “salvo quanto disposto dall’art. 31 il deposito presso la cancelleria della Corte di cassazione di tutti i fogli contenenti le firme e dei certificati elettorali dei sottoscrittori deve essere effettuato entro tre mesi dalla data del timbro apposto sui fogli medesimi a norma dell’articolo 7, ultimo comma”.
Le firme depositate quindi non devono essere più vecchie di 90 giorni e quelle raccolte sarebbero scadute da un pezzo.
Insomma, un pasticcio che è stato sollevato dagli stessi cittadini che si erano mobilitati per sostenere il quesito e sul quale il M5S ha poi messo il carico polemico, accusando i promotori di dilettantismo, demagogia e malafede sulla pelle dei cittadini.
Perfino di puntare spudoratamente a fare cassa con rimborsi.
“Questa è una diffamazione bella e buona da parte dei grillini, finora abbiamo speso 30mila euro autofinanziandoci e se avremo un giorno dei rimborsi li devolveremo”, sbotta la Di Prato che finalmente, bersagliata dalla domanda, scioglie le riserve sull’intenzione finale di entrare in Parlamento.
“Ebbene sì, Unione popolare correrà alle prossime politiche, è un movimento fatto di cittadini e abbiamo fatto tutto per ridare equità al Paese, dal referendum contro i nominati in Parlamento a questo contro i privilegi dei parlamentari. Mi sembra strano poi che un movimento anticasta che dovrebbe firmare per primo ne attacchi a un altro, forse perchè li offuschiamo. E poi mi sembra che anche il M5S voglia correre alle elezioni”.
Insomma da che pulpito, dice la Di Prato.
Ma lei si candida? “Non io direttamente, io voglio candidare un progetto”.
Poi il correttivo “voglio dire che non importa poi se sono io o non sono io, premieremo chi avrà avuto dei meriti in queste battaglie. Non faremo primarie ma la dirigenza di Up lancerà un’attenta campagna di raccolta delle candidature aperta a tutti i talenti e delle capacità con criteri di selezione oggettivi. Non candideremo gente inquisita, gente che viene dalla politica come Parisi potrebbe rientrare perchè non facciamo la caccia alle streghe come Grillo”. Candidati, primarie, tutta roba prematura perchè qui siamo ancora a capire se il referendum chiesto ad aprile e prossimo alla chiusura della campagna di raccolta firme è legittimo o meno.
La partita è molto delicata perchè è sul filo di questo verdetto che si gioca la credibilità dei promotori e al tempo stesso la possibilità per loro di monetizzare il consenso nelle urne con migliaia di voti.
La parola ai professionisti del referendum.
Quelli contattati dal Fatto Quotidiano non hanno dubbi: le firme raccolte finiranno in un cassonetto bianco di via Cavour, perchè quando sarà possibile depositarle saranno già vecchie.
“La pretesa di congelarle fino a gennaio è davvero curiosa, di congelato c’è solo il pesce”, ironizza Valerio Onida, presidente dell’associazione dei Costituzionalisti (Aic).
Stesso discorso per Augusto Barbera (“la legge parla chiaro, dovranno inventarsi qualche escamotage”), Tommaso Frosini (“la legge impone continuità nella raccolta, quella a puntate non si era mai vista”) e tanti altri.
Up però schiera pareri opposti come quello di Andrea Morrone, una vita passata dietro i referendum (compreso quello sul porcellum di cui era presidente e finito nel nulla) tanto da farci un libro (La Repubblica dei referendum, Il Mulino, 2003): “La legge è da sempre poco chiara o meglio sembra voler dare maggior peso alla democrazia rappresentativa che a quella diretta ponendo limiti al referendum che sono troppo stretti e in alcuni passaggi poco giustificabili, come il divieto di deposito nell’anno pre-elettorale. So che i promotori stanno pensando di presentare quelle firme a settembre con l’intenzione di impugnare un’eventuale rigetto della Cassazione alla Corte Costituzionale”, dice Morrone.
Così la penserebbero altri costituzionalisti Clarizza, Loidice, Guzzetta.
Alla fine l’unica certezza è che il referendum, se si potrà celebrare, si svolgerà solo nel 2014.
Thomas Mackinson
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 25th, 2012 Riccardo Fucile
LA PROCURA DI MILANO GLI CONTESTA IL REATO IN CONCORSO CON DACCO’, MAUGERI, PASSERINO, SIMONE… I SOLDI DRENATI DALLE CASSE DELLA FONDAZIONE PAVESE SAREBBERO TRANSITATI SU CONTI IN SVIZZERA
Corrotto con “utilità per un valore di circa 8,5 milioni di euro per 15 delibere regionali con cui sono stati stanziati rimborsi per la Fondazione Maugeri di circa 200 milioni di euro in 10 anni. Ecco il cuore dell’avviso di garanzia per Roberto Formigoni nell’ambito dell’inchiesta sulla Fondazione Maugeri cui vengono contestati come utilità i viaggi esotici, le gite in barca e anche l’acquisto da parte dell’amico Alberto Perego a prezzo di favore della villa in Sardegna. Al governatore della Lombardia è stato notificato oggi un invito a comparire perchè nei prossimi giorni si presenti davanti ai pm di Milano.
Il reato contestato è corruzione aggravata dalla trasnazionalità in concorso con l’imprenditore e amico Pierangelo Daccò, il presidente della Fondazione Maugeri Umberto Maugeri, Costantino Passerino, ex direttore amministrativo della Fondazione, Antonio Simone, ex assessore regionale alla Sanità negli anni ’90, e altri.
La Procura di Milano contesta al governatore fatti commessi a Milano e all’estero tra il 2001 e al novembre 2011.
L’iscrizione nel registro degli indagati risale al 14 giugno scorso, il 23 la notizia fu pubblicata dal Corriere. La sua iscrizione è stata dissecretata oggi con la notifica di un’informazione di garanzia con contestuale invito a comparire.
La data fissata dalla Procura è sabato 28 luglio.
La Regione, tra il 2001 e il 2011, ha approvato provvedimenti sui cosiddetti rimborsi su ‘funzioni non tariffabili’.
Ovvero concessi in via discrezionale dal Pirellone.
Tra i benefici che avrebbe ricavato il presidente lombardo, anche il mezzo milione di euro che gli è stato versato dall’uomo d’affari Pierangelo Dacco’ al fine di sostenere le spese elettorali nelle amministrative del 2010.
Un’ipotesi, questa, di finanziamento illecito, che viene ‘assorbita’ nel reato più grave di corruzione aggravato dalla transnazionalità .
Formigoni, resta inoltre indagato per un’altra ipotesi di finanziamento illecito ai partiti, che pero’ non gli è contestata nell’invito a comparire.
In una nota firmata dal procuratore della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati si legge che “in data odierna è stata notificata al presidente Roberto Formigoni informazione di garanzia per i reati di cui agli artt. 81 cpv 110, 319, 321 cp e art. 4 l.146/06 in concorso con Pierangelo Daccò, Umberto Maugeri, Costantino Passerino, Antonio Simone e altri” per fatti commessi in Milano e all’estero dal 2001 al novembre 2011”, con contestuale invito a comparire. L’aggravante della transnazionalità , contestata dalla Procura di Milano a Roberto Formigoni, affine al reato di corruzione, è prevista dalla legge n.146 del 2006. La contestazione dell’aggravante per Formigoni è legata alle condotte delle persone arrestate ad aprile nell’inchiesta sul caso Maugeri, tra cui Pierangelo Daccò e l’ex assessore Dc Antonio Simone.
Secondo l’accusa, infatti, sarebbe stata messa in piedi un’associazione per delinquere che operava anche attraverso conti all’estero, e in particolare in Svizzera e riconducibili a Daccò e al suo collaboratore Giancarlo Grenci.
Inoltre, a Formigoni vengono contestati fatti commessi tra Milano e l’estero dal 2001 al novembre del 2011, lo stesso periodo in cui, secondo le indagini, avrebbe operato l’associazione che drenava fondi dalle casse della Maugeri per dirottarli all’estero.
L’inchiesta.
L’ipotesi di reato di corruzione fa invece riferimento ai benefit di ingente valore patrimoniale — vacanze, soggiorni, utilizzo di yacht, cene di pubbliche relazioni a margine del Meeting di Rimini, termini della vendita di una villa in Sardegna a un coinquilino di Formigoni nella comunità laicale dei Memores Domini — messi a disposizione del governatore dal mediatore Daccò come poi è stato evidenziato nel rapporto di polizia giudiziaria in cui si è quantificato in 9 milioni di euro il conto finale dei vantaggi economici ottenuti dal Celeste.
Al vaglio degli inquirenti ci sarebbero anche alcune delibere varate dalla Giunta regionale nel corso degli anni “nell’interesse” della Fondazione Maugeri alla base delle accuse mosse dalla Procura al presidente Formigoni.
In particolare i pm milanesi sono arrivati ad ipotizzare nei confronti del governatore la corruzione anche analizzando una serie di provvedimenti “complessi” che hanno ritoccato al rialzo i cosiddetti “drg”, acronimo che sta per “Raggruppamenti omogenei di diagnosi” con il quale si indica il sistema di retribuzione degli ospedali per l’attività di cura, introdotto in Italia nel 1995.
Tra i beneficiari di questi rialzi, tra varie strutture sanitarie, rientrava proprio la Fondazione Maugeri.
Per gli inquirenti, questa è l’ipotesi, tali delibere di giunta sulla maggiorazione dei rimborsi sarebbero state la contropartita dei benefit di lusso, come i viaggi esotici e le vacanze su mega yacht, e di “altre utilità ” pagate da Daccò, come da lui stesso a messo a verbale, a Formigoni e al suo entourage senza ricevere un euro di rimborso.
Vacanze, viaggi e altro di cui Formigoni non ha mai mostrato le ricevute che diceva di avere. Senza dimenticare le dichiarazioni dell’amico Simone che nel corso di un interrogatorio aveva affermato di essere lui lo sponsor della legge regionale del 2005.
I provvedimenti approvati dalla giunta Formigoni hanno cominciato ad essere affrontati negli ultimi interrogatori e, in particolare, in quelli resi da Passerino, arrestato il 13 aprile insieme agli protagonisti dell’inchiesta.
E’ probabile che proprio le parole di Daccò, finito in carcere anche per l’inchiesta San Raffaele, aveva smentito di avere avuto i rimborsi dei benefit.
Ma non solo aveva spiegato agli inquirenti che per “aprire le porte in Regione Lombardia” sfruttava “la mia conoscenza personale con Formigoni per accreditarmi presso i miei clienti”. Durante l’inchiesta, nata come costola del crac dell’istituto San Raffaele, sono state arrestate finora sette persone, (Maugeri Passerino Simone tra gli altri) per associazione a delinquere aggravata dal carattere transazionale e finalizzata al riciclaggio, appropriazioni indebite pluriaggravate, frode fiscale ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Il presidente Formigoni, che ha annunciato querele richieste di risarcimento danni, ha più volte respinto qualsiasi ipotesi di coinvolgimento nelle vicende giudiziarie che hanno travolto la sanità della Lombardia e che non era indagato perchè non aveva ricevuto l’avviso di garanzia.
Ma questo valeva fino a oggi.
Tranne il Pdl il mondo politico chiede un passo indietro a Roberto Formigoni dopo l’invito a comparire con contestuale avviso di garanzia della Procura di Milano per corruzione aggravata dalla transnazionalità .
”L’avviso di garanzia ricevuto da Roberto Formigoni mostra con l’evidenza dei fatti che, in questi mesi, non era lui a essere diffamato, ma, semmai, che lui è un corrotto” dice il capogruppo di Sinistra ecologia e libertà in Consiglio regionale Chiara Cremonesi, che torna a chiedere le dimissioni del presidente della Regione.
Richiesta avanzata anche dal segretario nazionale di Rifondazione comunista — Federazione della Sinistra, Paolo Ferrero. “L’avviso di garanzia a Formigoni è solo l’ultimo episodio di una situazione insostenibile in Regione Lombardia — scrive Ferrero, in una nota -: si vada subito a elezioni, i cittadini lombardi hanno diritto ad avere rappresentanti degni, basta con quest’assemblea piena di indagati e condannati. Formigoni si dimetta e la Lombardia torni alle urne”.
Sulla stessa linea d’onda il Pd. “Serve un’assunzione di responsabilità che fino a qui non c’è stata: il voto anticipato continua ad essere l’unica strada percorribile per rinnovare una situazione sempre più ingestibile” in Lombardia — dicono il segretario regionale lombardo del Pd, Maurizio Martina, e il capogruppo in Consiglio regionale, Luca Gaffuri -. La notizia di oggi conferma e aggrava la preoccupante situazione che coinvolge direttamente il vertice della Regione Lombardia. Tale situazione, per i pesanti fatti che vengono contestati, non è in alcun modo paragonabile a vicende di altre Regioni”, proseguono gli esponenti del Pd.
Anche l’Udc chiede le dimissioni.
“Ora che Godot è arrivato, manifestandosi nell’avviso di garanzia da mesi negato e scongiurato, la commedia è finita: il presidente Formigoni deve severamente valutare di dimettersi per anteporre l’interesse dell’istituzione e dei cittadini all’egoistica evocazione di complotti giornalistici e giudiziari — fanno sapere i consiglieri regionali dell’Udc in Lombardia, Gianmarco Quadrini, Enrico Marcora e Valerio Bettoni — Siamo sempre stati garantisti e non a corrente alternata a seconda delle latitudini e delle convenienze politiche. Tuttavia il lungo protrarsi di questa situazione di reticenza nel fare chiarezza rischia di minare ulteriormente l’affidabilità della politica, la credibilità di Regione Lombardia e la sua governabilità ”.
“Siamo arrivati ai titoli di coda. L’accusa di corruzione, con l’aggravante della transnazionalità , certifica una volta di più l’inadeguatezza di Formigoni a governare ancora la Lombardia e guidarla verso l’Esposizione internazionale del 2015 — dichiarano i consiglieri regionali lombardi dell’Italia dei Valori Stefano Zamponi, Gabriele Sola e Francesco Patitucci — .
Invece di restare aggrappato alla sedia con le unghie, Formigoni liberi la regione che tiene in ostaggio dimettendosi subito”
Il Pdl scende in campo per rispondere a Sel: ”E’ vero che sugli organi di stampa, come c’era da aspettarsi, ha avuto poca eco la notizia del rinvio a giudizio del presidente Vendola (incidentalmente anche capo di Sel), ma ci chiediamo se la collega Cremonesi legga i giornali la mattina prima di chiedere la dimissioni del presidente Formigoni” replica in una nota del capogruppo del Pdl al Consiglio regionale della Lombardia, Paolo Valentini.
Nessun commento per ora dalla Lega.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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