Luglio 20th, 2012 Riccardo Fucile
A CESENATICO GLI UNIVERSITARI DI CENTRODESTRA INCONTRANO I PERSONAGGI IN CERCA DI AUTORE… ALFANO LATITANTE, MELONI, GASPARRI, SACCONI E GELMINI PRESENTI
Un’ovazione tutta per Giorgia Meloni, che ha minacciato la scissione dal Pdl se la tentazione di Silvio Berlusconi di tornare a Forza Italia dovesse rivelarsi qualcosa di più della “proposta” raccolta dalla Bild.
E, specularmente, tanta delusione per un Angelino Alfano che prima ha prima ha annunciato la propria presenza, poi l’ha posticipata, infine l’ha cancellata cercando di rimediare con una telefonata in diretta.
La settima edizione dell’evento dei giovani Pdl “Dedalo-La sfida delle idee”, quest’anno in scena sulla spiaggia di Cesenatico dal 18 al 20 luglio, restituisce al meglio quello che più che mai si sta rivelando il Pdl: un partito spaccato a metà , o mai nato.
Nel corso delle torride giornate al bagno Marconi, tra un’assemblea e un tuffo in mare, diverse centinaia di giovani e giovanissimi rappresentanti (da tutta l’Italia) di movimenti come “Azione Universitaria” e “Giovane Italia” si danno da fare per accogliere in grande stile i parlamentari.
La coreografia è quella classica dell’armamentario giovanile di matrice ex An: striscioni tricolore appesi qua e là , occhiali a goccia e qualche gadget da ‘nostalgia canaglia’, bandiere al vento col refrain “Azione”, polo nere come la pece con il colletto all’insù, qualche simpatica e innocua testa rasata.
Si promuovono assemblee plenarie e commissioni che spaziano dall’economia alle riforme universitarie, ci si arrangia a sistemare gli immancabili problemi tecnici e a raccomandare più silenzio quando, sotto il tendone bianco piazzato tra le docce e i campi da beach volley, si tengono i dibattiti coi big.
Il tema che tiene banco davvero, però, è quello: l’annuncio di Berlusconi di voler riscendere in campo intrecciato al tira e molla sul grande ritorno di Forza Italia.
Sullo sfondo (restano) tutte le richieste per cercare di voltare davvero pagina nel centrodestra: preferenze per i candidati al Parlamento, militanza sul territorio, sedi e coordinamenti adeguati, iniziativa politica come non se ne fa da un pezzo, trasparenza e meritocrazia.
Insomma, da questi giovani la “proposta” anticipata dalla Bild è vista come una sciagura.
Alfano, va da sè, a Cesenatico era il relatore più atteso: in scaletta era stato annunciato il 18 luglio alle 18, poi è slittato al 19 alla stessa ora.
Macchè, il 19 è il giorno della commemorazione di Paolo Borsellino a Palermo per i vent’anni di via d’Amelio, e il segretario berlusconiano non poteva mancare. “D’accordo, ma avevamo comunicato la nostra scaletta con un mese abbondante di anticipo. Abbiamo fatto sapere al segretario: vieni quando vuoi, noi ci adattiamo. È chiaro che gli impegni in agenda sono tanti, ma da anni contiamo comunque su ospiti illustri che un po’ di tempo lo trovano. Comunque, Alfano al confronto non sfuggirà ”, diceva qualche organizzatore poco prima della telefonata da Palermo.
Ma la vera star del Marconi si è confermata l’ex ministro della Gioventù, una Meloni apparsa in grande forma.
È lei che incalza subito il segretario: “L’anno scorso ha raccolto applausi sui temi più sentiti dalla nostra gente, tra cui quello del rispetto delle regole. Se il partito ha votato all’unanimità un documento in cui si dice ‘facciamo le primarie’, credo che come minimo si debbano riunire gli organismi ufficiali e non annunciare decisioni a mezzo stampa”.
Ma allora “fondiamo un nuovo partito”, corrono i giovani organizzatori all’ex presidente della Giovane Italia: “Questo — frena un pizzico Meloni — è prematuro, ma se si dovesse tornare Forza Italia ognuno a quel punto dovrebbe fare le proprie scelte, questo perchè la destra non può essere vista come ‘il’ problema”.
La parlamentare sa che con un Berlusconi di nuovo sotto il pressing della magistratura, fra l’altro, saranno mesi di nuovi patemi: “Se Berlusconi è ancora oggi la persona che raccoglie il maggior numero di consensi nel centrodestra, ben venga e avanti. Ma se io fossi in lui pretenderei, dico pretenderei di essere designato candidato dalle elezioni primarie, e quindi dal popolo italiano, piuttosto che dall’ufficio di presidenza del Pdl, cioè dalle solite quattro persone chiuse in una stanza”.
E ancora con l’indovinata metafora calcistica: “In questa fase Berlusconi sarebbe più efficace come allenatore che come centravanti”, rimarca la 35enne ex An tra gli applausi dei ragazzi.
A telefonare pubblicamente ad Alfano, qualche ora più tardi, pensa Maurizio Gasparri, che anche quest’anno non si è perso “Dedalo”.
Il presidente dei senatori Pdl, al fianco del collega Maurizio Sacconi, prima si inoltra in qualche acrobazia: “Le primarie? La consultazione popolare è senz’altro necessaria ma con Berlusconi l’esito è scontato (copyright di Maria Stella Gelmini il giorno prima, ndr) e lo capisco quando vuole prendersi una rivincita dopo lo smantellamento del suo Governo per uno spread alto ancora oggi”.
Poi, finalmente, Gasparri raggiunge l’interlocutore.
“Angelino? Pronto?”, e l’altro: “Maurizio!”.
Ma Gasparri: “Qui di Maurizio ce ne sono due”.
Forse si tratta del passaggio più interessante, un attimo dopo Alfano riparte dribblando opportunamente tutte le questioni vere. “Nel 2008 abbiamo preso il 37% e quindi dico che ogni divisione sarebbe un segnale di debolezza”, osserva quasi come a tranquillizzare i giovani e giovanissimi.
Per loro, comunque, ci sono subito elogi: “Non c’è nulla di più distante dall’idea di un nostro declino come le assemblee che fate lì oggi”, assicura il segretario.
Si chiude ovviamente con la sinistra: “Ci devono chiedere scusa per averci attaccato sullo spread, che è ancora alto. Ma non si scusano, e questo- taglia corto Alfano- è un buon motivo per chiedere di nuovo la fiducia agli italiani”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 20th, 2012 Riccardo Fucile
ABBIAMO TASSE SVEDESI E SERVIZI ITALIANI E UN SOMMERSO PARI AL 17% DEL PIL
La pressione fiscale in Italia è salita di due punti di pil con le manovre che si sono succedute da un anno a questa parte e che hanno largamente privilegiato (per circa 4/5 del totale) gli aumenti delle tasse rispetto ai tagli della spesa pubblica.
Oggi è pari al 46% mentre le entrate totali delle amministrazioni pubbliche sono salite al di sopra del 50% del pil. iù della metà del reddito generato in Italia finisce alle casse dello Stato.
La pressione fiscale effettiva, quella che grava su chi paga effettivamente le tasse, è cresciuta ancora di più perchè, nonostante il rafforzamento delle norme antievasione, la quota di economia sommersa è aumentata.
Quando si aumentano le tasse (in parte anche quando si riduce la spesa pubblica) c’è sempre un trasferimento di attività dal settore regolare, quello in cui opera chi paga le tasse, all’economia sommersa.
Secondo le stime più recenti dell’Istat, il sommerso conta per circa il 17 per cento del pil.
Quindi la pressione fiscale su quell’83 per cento di reddito tassato sarebbe addirittura del 55 per cento, il peso delle entrate pubbliche sul reddito regolare al di sopra dl 60 per cento.
Sono livelli oggi insostenibili.
Dato che le tasse sono concentrate sul lavoro, ci impediscono di utilizzare la risorsa da noi maggiormente inutilizzata e ne fanno lievitare i costi, riducendo la competitività dei beni prodotti in Italia.
I dati Ocse ci dicono che il divario con la Germania nel costo del lavoro per unità di prodotto è diminuito in tutti i paesi del contagio (i cosiddetti PIGS) tranne che in Italia.
E’ un segnale molto brutto per gli investitori. Inoltre, ciò che rende particolarmente pesante la pressione fiscale da noi è il fatto che a tasse così elevate non corrisponde una adeguata qualità dei servizi offerti ai cittadini.
Abbiamo tasse svedesi e servizi italiani, il prelievo non viene percepito come un pagamento a fronte di prestazioni, ma come una tassa tout court, che provoca al cento per cento una riduzione di benessere i cittadini.
La riduzione della pressione fiscale richiede inevitabilmente del tempo in un paese con il nostro debito pubblico.
Deve infatti basarsi su tagli di spesa corrente primaria. I risparmi nella spesa per interessi andranno questa volta utilizzati per ridurre il debito. E i tagli alla spesa corrente devono essere mirati, intelligenti.
Perchè alleggerire la pressione fiscale significa anche migliorare la qualità della spesa pubblica. Bisogna ridurre quella che serve solo a comprare consenso elettorale.
È quella che ha permesso alla Regione Sicilia, decisiva in molte elezioni, di mantenere in vita le baby pensioni per vent’anni in più che nel resto del Paese e di continuare ad assumere in massa dipendenti pubblici (ne ha più della Lombardia) mentre nel resto del Paese c’era il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego. Bisogna anche legare più strettamente i prelievi alle prestazioni effettivamente offerte a chi paga, e solo a chi paga.
I lavoratori devono sapere che i contributi che pagano daranno loro diritto a un reddito se perdono il lavoro.
I giovani devono sapere che i versamenti previdenziali aumenteranno il livello della loro pensione futura.
Solo così non li percepiranno come tasse, ma come assicurazioni o accantonamenti per la vecchiaia.
Per questo è così importante riformare gli ammortizzatori sociali istituendo un sistema trasparente che protegga chi paga i contributi.
Per questo il Presidente dell’Inps dovrebbe dimettersi. È pagato ben al di sopra dei massimali posti per la dirigenza pubblica e non è stato in grado di mandare a casa di tutti i contribuenti un rendiconto di quale potrà essere la loro pensione futura in base a quanto versano oggi.
Un governo tecnico deve tagliare la spesa elettorale dato che non ne ha bisogno e deve riuscire a impegnare i governi futuri a continuare sulla strada dei tagli alla spesa sin qui solo inizialmente e timidamente intrapresa.
Può impegnarsi a destinare una quota consistente dei tagli alla spesa pubblica alla riduzione della pressione fiscale e chiedere alle forze politiche che compongono la sua maggioranza di fare altrettanto, chiarendo anche come e in quali aree questi tagli verranno perseguiti.
Ci vuole un impegno esplicito e misurabile.
Servirebbe ad aumentare il controllo democratico e a darci una prospettiva, rassicurando anche gli investitori.
Avremo altrimenti solo le consuete promesse da marinaio.
E più ci avvicineremo alle elezioni, più serrata sarà la gara a chi si impegna a ridurre di più la pressione fiscale.
Scommetto che questa volta si parlerà di almeno 5 punti di pil.
Tutti sulla carta dei programmi elettorali, solo su quella.
Tito Boeri
(da “la Repubblica”)
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Luglio 20th, 2012 Riccardo Fucile
INVIATI 24 ORE PRIMA DELLA SENTENZA… IL SOSPETTO CHE IL SENATORE SI PREPARASSE ALLA LATITANZA
Una fetta consistente del tesoro consegnato da Silvio Berlusconi a Marcello Dell’Utri è già al sicuro, in un conto cifrato di Santo Domingo.
L’hanno scoperto gli investigatori del nucleo speciale di polizia valutaria.
La guardia di finanza e la Procura stanno cercando di capire cosa si nasconda dietro i 40 milioni di euro versati negli ultimi dodici anni dall’ex presidente del Consiglio al suo amico di sempre, condannato per troppe e antiche frequentazioni mafiose.
L’8 marzo, il giorno prima del verdetto della Cassazione che avrebbe potuto portare Dell’Utri in carcere, Berlusconi fa un bonifico da 15 milioni di euro su un conto intestato all’amico e alla moglie.
Ufficialmente, a titolo di acconto per l’acquisto di una villa sul lago di Como, un affare firmato proprio quel giorno davanti a un notaio di Milano.
Il documento bancario acquisito dalla Finanza nei giorni scorsi parla chiaro: nel giro di una manciata di minuti, 11 dei 15 milioni di euro prendono il volo verso il conto di Santo Domingo.
E adesso, il procuratore aggiunto Ingroia, e i sostituti Di Matteo, Del Bene, Guido e Sava stanno preparando una rogatoria per cercare di seguire l’ultimo mistero di Marcello Dell’Utri.
Anche se non nutrono molte speranze: Santo Domingo resta il buen retiro di latitanti eccellenti e delle loro casseforti.
Proprio l’8 marzo, il senatore Pdl condannato per mafia era all’estero. N
on si è mai saputo dove, con certezza. Unico indizio: un paese di lingua spagnola.
Se ne accorsero per primi i cronisti che cercavano Dell’Utri per un’intervista: il suo telefonino era spento, rispondeva solo (in spagnolo) l’operatrice di un gestore telefonico.
Probabilmente, Dell’Utri era davvero nella Repubblica Dominicana, pronto a trascorrere una latitanza dorata, con i soldi di Silvio Berlusconi.
Dopo la sentenza della Cassazione, che ha disposto un nuovo processo d’appello, Dell’Utri telefonò a uno dei suoi bracci operativi, Massimo De Caro.
La conversazione era intercettata dai carabinieri del Ros per conto della Procura di Firenze, come ha svelato nei giorni scorsi L’Espresso, svelando i retroscena di un’inchiesta per corruzione.
Diceva Dell’Utri, con tono scherzoso: «C’è un oceano di mezzo», «e parlano spagnolo».
Ma non sono i viaggi di Marcello Dell’Utri a interessare i magistrati di Palermo.
La nuova inchiesta, che è un filone dell’indagine sulla trattativa mafia-Stato, punta a ricostruire a cosa siano serviti quei 40 milioni di euro.
La Procura ipotizza un’estorsione a Berlusconi commessa da Dell’Utri, l’ambasciatore di Cosa nostra a Milano, come lo definisce la sentenza della Cassazione.
Forse, quei 40 milioni di euro sono la prosecuzione del pizzo già pagato da Berlusconi negli anni Settanta, di cui parla pure la Cassazione. O forse, sono il prezzo del silenzio.
Dell’Utri respinge le accuse e se la prende con Ingroia: «È un fanatico, un ayatollah», si sfoga dai microfoni della “Zanzara”, su Radio24.
E va anche oltre: «La trattativa? Se si è trattato di evitare guai peggiori è stata la cosa giusta. Anche se con la mafia non bisognerebbe mai trattare».
E infine Dell’Utri plaude a Napolitano, naturalmente per attaccare i magistrati: «Ha fatto benissimo a scontrarsi per le intercettazioni, è inaudito quello che è successo».
In questi giorni, la polizia valutaria di Palermo sta passando al setaccio i conti intestati a Dell’Utri e alla moglie, su cui sono arrivati i 40 milioni di euro.
Poco dopo i bonifici, i soldi prendono sempre moltissime destinazioni, anche per importi cospicui.
I magistrati vogliono capire dove siano finite davvero le donazioni di Berlusconi: Dell’Utri le ha messe al sicuro? O le ha distribuite a qualcun altro?
Sono le due ipotesi che ruotano attorno all’inchiesta di Palermo.
E intanto gli investigatori sono già a caccia di altri conti di Dell’Utri, che potrebbero essere intestati a prestanome.
Replica l’avvocato di Berlusconi, Niccolò Ghedini: «Se le notizie apparse sui giornali fossero vere, vi sarebbe da parte della Procura di Palermo una totale distorsione della realtà . La sentenza della Cassazione su Dell’Utri ha categoricamente escluso che mai vi sia stata una qualche commistione fra la nascita di Forza Italia e la mafia».
Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica“)
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Luglio 20th, 2012 Riccardo Fucile
L’INTERROGATORIO A FIRENZE DI ENZO CARTOTTO, EX ESPONENTE DELLA DC MILANESE E UNO DEI FONDATORI DI FORZA ITALIA
«Una volta, Dell’Utri mi disse: se parlo io per Silvio sono grossi guai». Inizia così il lungo racconto di un testimone d’eccezione, Ezio Cartotto, ex esponente della Dc milanese e soprattutto uno degli ideatori di Forza Italia: negli ultimi mesi è stato convocato prima dalla Procura di Palermo, per l’indagine sulla trattativa Stato-mafia, e poi dalla Procura di Firenze, che indaga sulle stragi del 1993 dopo le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza.
Entrambe le Procure hanno chiesto del ruolo di Dell’Utri e dei suoi rapporti con Berlusconi.
Quella frase sibillina — «Se parlo io per Silvio sono grossi guai» — Cartotto l’ha ricordata ai pm di Firenze, il 31 gennaio scorso, parlando della Banca Rasini, che negli anni Settanta fu all’origine delle fortune imprenditoriali del giovane Berlusconi. «Di queste vicende può esserne a conoscenza Dell’Utri, che una volta mi disse quelle parole», spiega Cartotto: «Ne sarà stato forse a conoscenza l’imprenditore Filippo Alberto Rapisarda, che mi parlò di sacchi di denaro che giungevano dalla Sicilia. Poteva saperlo l’apparente proprietario della Banca Rasini, Azzaretto, che era in realtà un uomo assolutamente assoldato al servizio di Giulio Andreotti».
Anche il verbale di Firenze è finito agli atti palermitani della trattativa Stato-mafia, dunque è ormai un documento pubblico.
Nel racconto di Cartotto spunta all’improvviso uno strano personaggio: «Era un uomo straordinario — dice il testimone, ai pm Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi — peccato che sia morto. Era un vecchietto ultraottantenne, ma era rimasto un personaggio di prim’ordine, di grande valore. Era stato nominato all’Eur, nominato dal vecchio regime, ma confermato da Giulio Andreotti. È stato lui a riferirmi un aneddoto, che vale la pena di essere raccontato».
I pm incalzano Cartotto: «E chi è questo signore?».
Lui non indugia oltre: «Si chiamava Mancuso, dottor Mancuso. E aveva l’ufficio all’angolo tra piazza Argentina e corso Vittorio. Io ogni tanto ci andavo. Da lui ho saputo come Berlusconi avesse ottenuto anticipi dal pa-dre, vero vertice della Banca Rasini».
Nelle confidenze del «dottor Mancuso», quegli anticipi sarebbero serviti a Silvio Berlusconi «per gli acconti sugli acquisti dei terreni».
Prosegue Cartotto: «Poi lui andava a prendere il resto dei soldi al Monte dei Paschi di Siena, il cui grande capo allora si chiamava Cresti, il numero 3 della P2, nell’elenco ufficiale».
Cartotto dice e non dice: «Vi risparmio il racconto che Mancuso mi ha fatto nei dettagli dell’abilità con cui Berlusconi è riuscito a convincerlo a comperare un pezzo dell’Edilnord di Brugherio».
Restano i misteri della Banca Rasini, già oggetto di indagini ai tempi del processo Dell’Utri.
«La vedova di Azzaretto ha venduto la Banca Rasini al Credito Commerciale», spiega ancora Cartotto: «E di chi era in quel periodo il Credito Commerciale?
Del Monte dei Paschi di Siena. E chi sedeva per l’unica volta nella sua vita in un consiglio di amministrazione di una banca e nel comitato esecutivo? Silvio Berlusconi».
(da “La Repubblica”)
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Luglio 20th, 2012 Riccardo Fucile
DA TRE SETTIMANE OBBLIGO DI DOCUMENTI INDIVIDUALI… LA NOVITA’ COMUNICATA SOLO IN TRE RIGHE NEL SITO DEL MINISTERO DEGLI ESTERI
Esiste di questi tempi un guaio peggiore che vedersi sfumare le ferie proprio quando si è all’aeroporto con la famiglia al seguito e le valigie al piede?
Probabilmente no, ma è esattamente quanto capitato nelle ultime tre settimane a centinaia di vacanzieri italiani, che hanno sperimentato di tasca loro una nuova norma entrata in vigore nel silenzio generale il 26 giugno scorso: questa obbliga anche i minorenni che devono espatriare ad avere una loro carta d’identità o un passaporto individuale.
Non basta più, insomma, che un bimbo abbia i propri dati riportati sul documento del genitore, pena vedersi rifiutare l’imbarco in aeroporto. Norma tassativa e che non ammette deroghe.
Alzi la mano chi ne era a conoscenza.
Tra i tanti naufraghi delle vacanze c’è Silvia Cavallo, passeggera (mancata) della compagnia Ryanair, che ha scritto ai giornali raccontando la sua disavventura: «L’11 luglio scorso sono rimasta bloccata all’aeroporto di Ciampino con i miei due figli minori. E la stessa cosa è successa a tante altre famiglie con bambini. Abbiamo pagato un conto salato ma mi sono chiesta: davvero è colpa mia?».
La signora allude al fatto di aver dovuto ricomprare un nuovo biglietto aereo ma soprattutto al fatto che nonostante l’importanza della novità , nessuno l’aveva mai divulgata. In effetti dell’avvertenza ancora ieri non c’era traccia sul sito internet dell’Alitalia, nè su quello di Ryanair, per citare le due compagnie più popolari.
La pagina web della Sea, la società che gestisce gli aeroporti di Milano, nella sezione «Documenti di viaggio» ha un link che invita a consultare il sito «Viaggiare sicuri» del ministero degli Esteri.
Dove in effetti, in tre righe, è annunciato l’obbligo del documento d’identità anche per gli under 18.
Lo stesso accade su quello della romana dell’Adr dove ai passeggeri viene solo consigliato di leggere «il sito internet della linea aerea con cui si è scelto di volare» e di «verificare l’idoneità e la validità dei documenti richiesti per la destinazione prescelta».
La nuova circolare campeggia invece in bella evidenza sul sito della polizia dove viene anche specificato che «i passaporti dei genitori con iscrizioni di figli minori rimangono validi per il solo titolare fino alla naturale scadenza».
«A Fiumicino abbiamo già assistito a decine di casi di persone rimaste a terra perchè non sapevano della novità , soprattutto la settimana scorsa – racconta Antonio Del Greco, dirigente della polizia di frontiera -. Per chi ha scoperto all’ultimo momento di non poter partire, l’unica possibilità è stata farsi rilasciare il passaporto dal commissariato di Fiumicino, dove proprio per questo motivo è stato rinforzato il servizio».
Tra le vittime della «trappola» burocratica anche un padre e un figlio in procinto di imbarcarsi per Kiev per assistere alla finale degli Europei Italia-Spagna.
Ma, d’altra parte, la Questura della Capitale già da un paio d’anni consigliava, a chi doveva rinnovare il passaporto, di farne anche uno nuovo anche per i figli minorenni nell’eventualità di viaggi negli Usa, in Canada, Australia e in altri paesi del Commonwealth.
«Qualche caso si è verificato anche da noi – aggiunge Giuseppina Lanni, responsabile della Polaria di Capodichino, a Napoli – ma ci siamo preparati per tempo, d’accordo con i vettori».
A Malpensa invece i viaggiatori vittime del provvedimento sono stati non meno di 120: tante sono infatti le pratiche per documenti d’identità richieste allo sportello apposito che si trova in aeroporto e gestito dal comune di Ferno, il municipio lombardo nel cui territorio sorge lo scalo.
«Se il comune di residenza del passeggero ci invia i documenti necessari, in meno di un’ora siamo in grado di risolvere l’inconveniente» dice Mauro Ceruti, sindaco di Ferno.
Certo, occorre anche una buona dose di fortuna: bisogna che l’orario di apertura dello sportello e degli uffici anagrafe sparsi per l’Italia coincidano e comunque da questa scialuppa di salvataggio sono esclusi i viaggi per cui è richiesto il passaporto. «L’informazione da parte di compagnie, agenzie di viaggio, aeroporti, istituzioni – denuncia Carlo Rienzi, presidente nazionale del Codacons – è stata insufficiente e per questo a mio giudizio i consumatori danneggiati dovrebbero chiedere un risarcimento al ministero degli Interni. La norma richiedeva mesi perchè tutti gli interessati potessero adeguarsi e invece è stata introdotta proprio a ridosso delle vacanze».
Claudio Del Frate
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Luglio 20th, 2012 Riccardo Fucile
LA VEDOVA DI PAOLO: “IO E I MIEI FIGLI NON SIAMO PERSONE SPECIALI”.. “ABBIAMO IL DOVERE DI SERVIRE LO STATO”
Rispetto per le istituzioni, speranza nella verità , fiducia nel futuro.
Mentre infuria lo scontro istituzionale tra la procura di Palermo e il Quirinale sull’uso delle intercettazioni sulla trattativa Stato-mafia, mentre due fratelli di Paolo Borsellino — il leader delle «Agende rosse» Salvatore e l’europarlamentare Rita — scendono in campo contro il Colle, la vedova del giudice, Agnese, e i suoi tre figli affidano a una lettera il ricordo dell’uomo ucciso vent’anni fa in via D’Amelio e diventato icona dell’antimafia.
Lontani dalle polemiche dirette, ma decisi a dire la loro su quello Stato in cui continuano a credere seppure «non abbia fatto tutto quello che era in suo potere per impedire la morte» del magistrato.
Seppure la mancata protezione non sembri la sua «sola colpa».
Seppure Manfredi abbia di recente bollato come un processo-farsa quello che a Caltanissetta portò a sette ergastoli in seguito a un colossale depistaggio e abbia accusato il responsabile delle indagini, Arnaldo La Barbera, di essere «uno che aveva molta fretta di fare carriera».
Nonostante tutto questo, la famiglia sceglie di ribadire fiducia nelle istituzioni perchè «abbiamo il dovere di rispettarle e servirle come mio marito sino all’ultimo ci ha insegnato», dice la vedova nella lettera.
È lei a firmare venti righe rivolte ai giovani, dettate dal letto dell’ospedale dove — scrive — «affronto una malattia incurabile con la dignità che la moglie di un grande uomo deve sempre avere».
Righe partorite insieme con i figli, tra le flebo e il via vai dei dottori: un ricovero che non le ha consentito, come già era successo per l’anniversario di Capaci, di partecipare alle commemorazioni del marito.
Righe composte e serene che suonano come un controcanto nel giorno della memoria diventato terreno di scontro.
A portare pubblicamente il testimone del ricordo è stato Manfredi, oggi commissario di polizia a Cefalù: mercoledì sera, alla chiesa di San Domenico, insieme con gli scout, a ridare voce al celebre discorso che il padre tenne il 23 giugno del 1992, per il trigesimo di Falcone.
Ieri mattina alla caserma Lungaro, insieme con i familiari degli agenti della scorta caduti con il padre: Agostino Catalano, Eddie Cosina, Fabio Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina, tutti giovani.
Poi a Palazzo di giustizia, con il figlioletto Paolo — quattro anni e mezzo — aggrappato ai suoi pantaloni, ad ascoltare le parole di Diego Cavaliero, uno dei giudici ragazzini che Paolo formò alla procura di Marsala, e poi di don Cesare Rattoballi, il prete al quale il giudice affidò i pensieri più intimi sulla ineluttabilità della morte alla quale andava incontro.
«Non indietreggiando nemmeno un passo di fronte anche al solo sospetto di essere stato tradito da chi invece avrebbe dovuto fare quadrato attorno a lui», scrive adesso la moglie, in memoria di un marito amatissimo «che non è voluto sfuggire alla sua condanna a morte, che ha donato davvero consapevolmente il dono più grande che Dio ci ha dato, la vita».
E non perchè avesse la vocazione al martirio, non perchè volesse lasciare tre figli orfani ma perchè — ha chiarito poche settimane fa il figlio — «non toccava a lui pensare alla sua sicurezza personale, perchè c’erano altre persone e istituzioni deputate a farlo».
Malgrado questo, malgrado «le terribili verità che stanno mano a mano affiorando sulla morte di mio marito», malgrado «alcuni momenti di sconforto” dovuti “alla lettura in ospedale delle notizie che si susseguono sui giornali», scrive, Agnese si dice orgogliosa dei figli perchè servono lo Stato, quello stesso Stato in cui credeva il marito.
Manfredi ha reso omaggio a suo padre come è stile di famiglia: lavorando sodo.
E raccogliendo i frutti di un’inchiesta che ha portato a dieci arresti tra i paesi delle Madonie.
La sorella Lucia è rimasta al timone del dipartimento Salute dell’assessorato regionale alla Sanità .
L’altra sorella, Fiammetta, appartata nella sua casetta di contrada Kamma a Pantelleria – l’isola che il giudice adorava – ieri ha fatto celebrare una messa in ricordo del padre. Una messa di campagna, con il parroco del paese, i contadini, pochi amici.
Tutti, come sempre, uniti come una falange.
Tutti con nomi scelti dal padre sulla base delle sue passioni letterarie: la Fiammetta di Boccaccio; la Lucia manzoniana; Manfredi, ultimo re di Sicilia.
Tutti e tre desiderosi di un profilo basso, di una testimonianza discreta.
Lontani dai clamori, perchè «non ci sentiamo persone speciali, non lo saremo mai». Anche ieri, mentre Palermo e tutto il Paese si dilaniava tra accuse e polemiche, tutti testardamente fiduciosi nel futuro.
«Io non perdo la speranza in una società più giusta e onesta — dice Agnese ai giovani – sono anzi convinta che sarete capaci di rinnovare l’attuale classe dirigente e costruire una nuova Italia».
Laura Anello
(da “La Stampa“)
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Luglio 20th, 2012 Riccardo Fucile
“LA LOGICA DELLA GUERRA NON MI APPARTIENE”
Nell’aula magna del primo piano di palazzo di Giustizia, quando il presidente della Corte d’Appello finisce di leggere il messaggio del Capo dello Stato, la platea di magistrati rimane fredda.
Qualche timido applauso parte dalle autorità presenti.
«Ho apprezzato e condiviso il richiamo del Capo dello Stato alla necessità di lavorare senza sosta e senza remore per accertare la verità sulla strage di via D’Amelio».
Dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia arrivano segnali di pace in direzione dell’Alto Colle. Nel giorno del ventennale della strage di via D’Amelio, Ingroia racconta delle indagini e delle polemiche che lo hanno visto al centro dell’attenzione, in questi giorni.
E annuncia che a settembre partirà per il Guatemala, accettando l’offerta delle Nazioni Unite per un incarico annuale.
Sostiene il procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, che è stata dichiarata guerra contro di lei e l’ufficio di Palermo.
«Io non mi sento in guerra con nessuno, però che sia diventato un bersaglio questo lo avverto anch’io. Non mi appartiene la logica della guerra, in questi anni ho cercato di muovermi sempre seguendo gli insegnamenti di Paolo Borsellino».
Quali?
«Cercare la coesione istituzionale e la collaborazione tra le istituzioni per quello che dovrebbe essere l’obiettivo di tutti: la ricerca della verità ».
Nel suo messaggio in occasione dell’anniversario di Borsellino, il Capo dello Stato fa un appello perchè vengano scongiurate sovrapposizioni nelle indagini su torbide ipotesi di trattativa tra Stato e mafia…
«È vero che in passato c’è stata qualche incomprensione tra le procure che indagano sul biennio stragista del ’92-’93. Ma da tempo ormai il coordinamento funziona a perfezione come attestato dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso».
Non è irrituale che la Procura di Palermo si appelli all’opinione pubblica?
«Noi lavoriamo nel rispetto delle regole ma se occorre ci appelliamo all’opinione pubblica per denunciare quello che non va. Ricordo che nell’estate del 1988 anche Paolo Borsellino si rivolse all’opinione pubblica denunciando un calo di tensione all’interno della magistratura, e perciò rischiò in prima persona un provvedimento disciplinare del Csm».
Procuratore Ingroia, chiariamo la questione delle intercettazioni indirette che coinvolgono il Capo dello Stato…
«Proprio per evitare il rischio di precipitosi o intempestivi depositi di intercettazioni che a nostro parere devono assolutamente rimanere segrete – così come fino a oggi è avvenuto – , sono state depositate soltanto le intercettazioni ritenute rilevanti (tra le quali non risultano telefonate del Presidente della Repubblica, ndr.). Quelle del tutto irrilevanti sono rimaste in un altro procedimento che avrà tempi certamente molto più lunghi rispetto al fascicolo definito in questi giorni».
Si invoca la necessità di far chiarezza sulla trattativa e implicitamente si accusa il Capo dello Stato di frapporre ostacoli a questo obiettivo. Ma scusi, procuratore Ingroia, nei prossimi giorni non chiederete il processo per la trattativa?
«La Procura di Palermo ritiene di aver ricostruito la trama e lo svolgersi di questa trattativa; di aver individuato i principali protagonisti, ma non ancora tutti coloro che hanno avuto un ruolo nella trattativa, nella consapevolezza che rimangono ancora dei buchi neri».
Quali?
«Più che quali insisterei oggi nel segnalare che per risolvere i punti ancora da chiarire dobbiamo superare l’omertà in Cosa nostra di quel tempo, e reticenze nel mondo istituzionale di quel tempo».
Come superare queste reticenze?
«Credo sia necessario che la politica, le istituzioni comprendano di dover procedere quanto prima alla revisione della legge sui pentiti, allungando il periodo dei sei mesi entro i quali il collaboratore di giustizia deve dichiarare tutti i temi sui quali vuole parlare».
Allora, procuratore Ingroia accetta l’offerta delle Nazioni Unite? Va in Guatemala?
«Da tempo le Nazioni Unite mi hanno proposto un incarico annuale di capo dell’unità di investigazione e analisi criminale contro l’impunità in Guatemala. La proposta la considero una sorta di prosecuzione della mia attività in Italia. In quelle latitudini, per fortuna, i giudici antimafia italiani sono apprezzati anzichè denigrati e ostacolati».
Sembrava che volesse rinunciare all’offerta dell’Onu…
«I fatti accaduti negli ultimi giorni, la delicatezza del momento mi stanno facendo riflettere sui tempi entro i quali accettare la proposta. Intanto ho deciso di rinunciare alle mie ferie».
(da “La Stampa”)
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Luglio 20th, 2012 Riccardo Fucile
STAMPA BRITANNICA, IL SETTIMANALE INGLESE ATTACCA: “POCHE COSE POTREBBERO ESSERE PEGGIORI: RITORNO ALLARMANTE, MA NON DA ESCLUDERE”
Ancora una volta l’Economist, l’autorevole settimanale britannico, torna a occuparsi di Berlusconi.
E, ancora una volta, in termini non proprio lusinghieri: il Cavaliere annuncia il suo ritorno alle redini del Pdl?
Il magazine gli risponde così: Berlusconi è «The last thing Italy needs».
Ovvero l’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno: «Poche cose potrebbero essere peggiori per la credibilità e l’affidabilità creditizia dell’Italia del fatto che gli investitori passino i prossimi nove mesi a domandarsi se Silvio Berlusconi tornerà a fare il primo ministro».
Il settimanale ripercorre poi le ultime vicende dell’ex premier: negli otto mesi in cui ha lasciato il vertice del partito, la popolarità del Pdl è «precipitata».
Per tre motivi: il partito sta pagando un prezzo per il «suo sostegno parlamentare» al governo tecnico di Mario Monti; il Pdl è «perso senza il suo fondatore»; Berlusconi non si rende conto che un numero crescente di italiani sta percependo che gli otto anni in cui ha guidato il Paese sono stati «un disastro per l’economia» del Paese.
Ma, secondo l’Economist, le risorse di Berlusconi «sono praticamente senza limiti, la sua comunicazione è eccezionale» e ha un asso nella manica: cavalcare la protesta degli italiani contro l’aumento delle tasse e i tagli alla spesa del Governo Monti.
La promessa di ribaltare l’attuale governo «potrebbe anche invertire le fortune del Pdl nei sondaggi».
E, avverte il settimanale, per quanto «allarmante» sia lo spettro di un suo ritorno, le possibilità di vittoria di «Berlusconi non si devono ancora escludere».
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Luglio 20th, 2012 Riccardo Fucile
SCOPERTE DALLA FORESTALE NEGLI HANGAR LE CARCASSE DI ANIMALI CONGELATI… SI AGGRAVA LA POSIZIONE DELL’AZIENDA: 400 CUCCIOLI NON ERANO IN REGOLA
Orrore a Green Hill. Nei cinque hangar dell’allevamento di beagle destinati alla vivisezione sequestrato l’altro giorno dalla Procura di Brescia sono state trovate carcasse di animali congelati.
Quando hanno aperto la cella frigorifera veterinari e agenti sono sbiancati in volto. Impilati, fianco a fianco, c’erano decine di animali. Morti.
I veterinari hanno fatto il conteggio dei cadaveri, hanno tolto i corpi dai frigoriferi e hanno cominciato a contare: poco meno di cento il totale.
Tutti i corpi di beagle sono stati sequestrati e sono già stati disposti accertamenti ed esami per cercare di capire come siano morti i cani e perchè le carcasse fossero ancora conservati.
Una scoperta agghiacciante che rischia di aggravare la posizione dell’azienda e dei tre indagati (l’amministratore unico, la francese Ghislaine Rondot che vive a Lione, il direttore dell’allevamento e il veterinario responsabile) nell’inchiesta nata da un esposto presentato all’inizio di giugno congiuntamente da Lav (Lega antivivisezione e Legambiente).
I magistrati Sandro Raimondi e Ambrogio Cassiani oltre ai maltrattamenti sugli animali stanno valutando di contestare anche il reato di «uccisione di animali senza necessità »
L’ispezione degli uomini della Digos di Brescia e del Nirda del Corpo Forestale dello Stato al canile – oggetto dallo scorso ottobre di una serie manifestazioni di ambientalisti, assalti, liberazione di cuccioli, raccolta di firme per la chiusura – si è protratta per l’intera giornata portando alla scoperta anche di un’altra irregolarità pesante: quattrocento cuccioli non avevano il microchip.
La piccola capsula con il numero identificativo deve essere installata alla nascita, ma i veterinari che hanno esaminato gli oltre 2.300 beagle allevati a Montichiari, su alcuni esemplari hanno usato il lettore senza successo: 400 cuccioli non erano in regola.
I veterinari dell’Asl hanno immediatamente registrato i cuccioli che ancora risultavano sconosciuti all’anagrafe canina.
La Procura ha disposto anche la schedatura di tutti i cani.
Per ogni esemplare è stata compilata una scheda contenente il numero identificativo e tutti i dettagli sulle condizioni di salute e di vita dell’animale.
Al setaccio anche tutta la documentazione dell’azienda, controllata dalla multinazionale americana Marshall.
La Procura vuole ricostruire i percorsi seguiti dai cuccioli dopo la vendita: il sospetto è che non tutti finiscano nei laboratori per la sperimentazione scientifica e farmacologica, ma che alcuni esemplari siano utilizzati per esami necessari a testare prodotti cosmetici.
Accusa che Green Hill continua a definire «infondata».
E per i beagle è già corsa all’adozione: la Federazione italiana diritti animali e ambiente ha chiesto l’affido dei cani di Green Hill con una lettera inviata alla procura di Brescia.
Le richieste sono state talmente tante che la casella di posta elettronica della procura è andata in tilt.
Wilma Petenzi
(da “il Corriere della Sera“)
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