Luglio 13th, 2012 Riccardo Fucile
TUTTO IL CENTRODESTRA NON ANDREBBE OLTRE IL 30%, SIA CON ALFANO CHE CON SILVIO CANDIDATO PREMIER… CENTROSINISTRA CON UDC AL 42%… IN RIPRESA IL GRADIMENTO PER MONTI CHE RISALE AL 49%
La vulgata vuole che Silvio Berlusconi abbia deciso di ricandidarsi a premier nel 2013 sulla base dei sondaggi.
Senza di lui il Pdl sarebbe crollato al 10% mentre grazie al suo ritorno riuscirebbe a conquistare il 30% dei consensi.
Di questi flussi di gradimento nell’ultima indagine demoscopica realizzata da Ipr Marketing non c’è però traccia.
Secondo il campione di mille cittadini intervistati con l’ausilio del sistema Telematico “Tempo Reale”, le sorti del Pdl prescindono infatti dalla scelta del leader.
Un’eventuale coalizione composta da Popolo della Libertà , Lega e altre formazioni di centrodestra guidata da Berlusconi otterrebbe il 30% dei consensi, esattamente gli stessi in grado di conquistare un identico schieramento con Angelino Alfano candidato premier.
Con il risultato che verrebbe ampiamente superata da un centrosinistra che mettesse in campo Pd, Udc e altri partiti minori a sostegno della candidatura di Pier Luigi Bersani a Palazzo Chigi.
I consensi per questo schieramento nel caso lo sfidante fosse Berlusconi crescerebbero addirittura dal 41 al 42%, mobilitando un 1% del potenziale elettorato del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che scenderebbe dal 21 al 20%.
Una tendenza elettorale che è pienamente corroborata dal giudizio che la grande maggioranza degli italiani continua ad avere del passato governo Berlusconi.
Stando al sondaggio Ipr, ben il 64% degli intervistati definisce “negativo” l’operato dell’ultimo esecutivo, mentre solo il 34% lo ritiene “positivo”.
Pareri molto diversi da quelli che gli elettori riservano all’attuale governo guidato da Mario Monti.
I tempi della luna di miele dell’insediamento, quando il consenso toccò l’eccezionale cifra del 62%, sono decisamente lontani, ma l’esecutivo dei tecnici in questo ultimo rilevamento recupera credibilità , grazie probabilmente alla determinazione mostrata dal presidente del Consiglio al vertice europeo di fine giugno.
Il sondaggio Ipr certifica che il 49% degli italiani sostiene di averte molta/abbastanza fiducia in Monti, contro il 44% che afferma di averne poca/nessuna.
A metà giugno questi due schieramenti erano invece appaiati in perfetta parità a quota 46%. Inoltre il 55% si dice convinto che il Professore stia raggiungendo l’obiettivo di salvare l’Italia e portarla fuori dalla crisi economica, anche se per il 48% “resta molto da fare”.
La fiducia in Monti non coincide però con quella nel governo in generale, che non va oltre il 40%, perdendo 5 punti rispetto allo scorso aprile (-10% su gennaio).
La (parzialmente) ritrovata fiducia nel premier non significa però che gli italiani lo vorebbero confermare a Palazzo Chigi.
Solo il 34% degli intervistati afferma infatti che il prossimo presidente del Consiglio dovrebbe essere ancora un tecnico contro il 51% che auspica il ritorno di un politico.
Da segnalare infine che nella graduatoria del consenso ai ministri rimane in testa la responsabile del Viminale Anna Maria Cancellieri, apprezzata dal 53% degli italiani, mentre la Guardasigilli Paola Severino raggiunge al secondo posto il ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera (48% per entrambi).
Crollo di credibilità invece per il ministro dell’Integrazione Andrea Riccardi che perde ben 4 punti percentuali, precipitando al quinto posto con il 45% di aprezzamento.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 13th, 2012 Riccardo Fucile
LE CANCELLERIE EUROPEE LANCIANO L’ALLARME A PALAZZO CHIGI
Da quando i giornali hanno riportato le dichiarazioni di Alfano che aprono la strada a una rinnovata leadership berlusconiana della destra italiana, i centralini di Palazzo Chigi e quelli del Quirinale hanno passato ai piani alti dei due palazzi molte telefonate provenienti dalle altre capitali europee con richieste di chiarimenti e segnali di inquietudine.
E il «percorso di guerra» di Monti a Bruxelles si è fatto, se possibile, ancora più difficile.
«Ancora non riesco a credere che, dopo un totale fallimento politico ed economico, qualcuno possa pensare di riproporsi agli elettori», confida Hannes Swoboda, il capogruppo del Pse al Parlamento europeo.
«Tutto quello che Monti sta facendo è cercare di porre rimedio ai danni provocati da Berlusconi. La sua ricandidatura non sarà bene accetta in nessuna capitale perchè costituisce un danno per l’immagine dell’Europa che appare come una democrazia in cui non si sanno trarre le conseguenze delle esperienze negative».
Naturalmente, a livello ufficiale, tutte le bocche sono cucite.
Nessuno che abbia incarichi istituzionali si permette quella che apparirebbe come una plateale ingerenza negli affari interni di un Paese che ha appena riconquistato credibilità e prestigio sulla scena internazionale.
Ma l’annuncio di un ritorno di Berlusconi alle prossime elezioni conferma nel modo peggiore le preoccupazioni che molti governi avevano già espresso in via riservata sulla tenuta del Paese nel dopo-Monti.
E si scopre che le ultime dichiarazioni del Cavaliere, sulla possibilità di uscire dall’euro, sulle critiche all’Europa, sull’opportunità di far stampare moneta dalla Banca d’Italia, erano state ascoltate e registrate con attenzione anche quando sembravano, appunto, esternazioni di un fantasma incollerito.
«Non voglio immischiarmi negli affari interni italiani – dice Sylvie Goulard, esponente francese del gruppo liberale al Parlamento europeo, co-fondatrice del Gruppo Spinelli e relatrice del rapporto parlamentare sulle misure di rafforzamento della governance economica – ma tutte le capitali europee vorrebbero che il governo italiano restasse impegnato nella difesa dell’euro. Certo le ultime dichiarazioni di Berlusconi sulla moneta unica o sul ruolo della Banca centrale gettano all’aria tutti i progressi accumulati negli anni da uomini come Ciampi, Prodi, Draghi e Monti. Non credo proprio che nelle capitali abbiano accolto la notizia conpiacere. L’ultima cosa di cui hanno bisogno gli europei è una campagna elettorale italiana giocata sul sì o sul no all’Europa. Ovviamente la decisione finale spetta agli elettori italiani. Del resto hanno già avuto modo di sperimentare per tre volte i governi Berlusconi».
A stemperare le reazioni europee contribuisce il fatto che nessuno, per ora, prende sul serio le possibilità di successo della destra berlusconiana alle elezioni.
«Ma quello che nelle capitali non si è ancora capito, è che la presenza stessa di Berlusconi basta a complicare gli esiti del dopo-voto – spiega un alto funzionario italiano nelle istituzioni comunitarie -. Infatti, mentre prima si poteva comunque contare sulla possibilità di un governo di emergenza nazionale che tenesse insieme centrodestra e centrosinistra per l’adempimento degli impegni europei, la leadership berlusconiana rende di fatto impossibile anche una riconciliazione postelettorale».
Un altro fattore che fanno rilevare gli osservatori europei delle cose italiane è che l’annuncio del ritorno di Berlusconi, se anche dovesse dimostrarsi un “ballon d’essai” destinato a non avere seguiti concreti, ha comunque avuto l’effetto di togliere ogni credibilità politica ad Alfano, che era stato presentato in Europa come il suo delfino.
Il leader provvisorio del Pdl aveva perfino abbozzato una mini tournèe nelle capitali europee per accreditare la propria immagine e la propria autorevolezza.
Alla luce degli ultimi sviluppi, avrebbe fatto meglio a restare a casa.
Ma lo sconcerto per la ricomparsa di Berlusconi non si limita all’Europa.
Anche a Washington la notizia non deve aver fatto piacere.
L’entusiasmo con cui Obama ha accolto Monti in America è stata letto dai diplomatici anche come un segnale di sollievo per l’uscita di scena del Cavaliere, contro cui l’amministrazione democratica aveva decretato un vero e proprio ostracismo.
La riprova dei sentimenti americani per il leader della destra italiana si è avuta recentemente nel corso delle grandi manovre diplomatiche per la scelta del prossimo segretario generale della Nato.
Si sa che l’Italia vorrebbe mettere sul tavolo la candidatura dell’ex minsitro degli esteri Franco Frattini, uomo che si pensava ben accetto dagli americani.
Ma da Washington è arrivata una vera e propria doccia fredda: nonostante la stima personale per Frattini, gli Stati Uniti non vedono di buon occhio alla testa dell’Alleanza Atlantica un ex ministro di Berlusconi.
Anche per questa partita, la ricomparsa del Cavaliere non aiuta certo ad aggiustare le cose.
Andrea Bonanni
(da “la Repubblica“)
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Luglio 13th, 2012 Riccardo Fucile
L’AGENZIA STATUNITENSE ABBASSA IL RATING DA A3 A BAA2: “PESA L’INCERTEZZA POLITICA”
Sull’Italia si abbatte un nuovo declassamento di Moody’s.
L’agenzia ha infatti tagliato di ben due scalini il rating dei titoli di Stato, portandolo da A3 a Baa2, ovvero ad appena due gradini dal livello ‘spazzatura’.
L’agenzia di rating mantiene inoltre un outlook negativo.
Sulla valutazione pesa il clima politico che viene considerato “fonte di rischio”. La decisione nel giorno in cui Mario Monti arriva negli Usa per convincere gli investitori a puntare sul nostro Paese.
L’agenzia di rating segnala la diminuita disponibilità degli investitori stranieri d’oltreoceano a comprare i bond italiani e il netto aumento dei costi di finanziamento del debito sui mercati.
Valutazioni che vanno di pari passo allo spread in salita: anche questa mattina il differenziale tra i Btp e il Bund a 10 anni ha aperto in rialzo a 474 punti (466 la chiusura di ieri) per poi passare a 485.
Il rendimento dei Btp è al 5,9%. Tiene per ora Piazza Affari, anche se dopo un’apertura in positivo (Ftse Mib a +0,26%) ha virato quasi subito in negativo (-0,29%).
Moody’s, spiegando la sua decisione, sottolinea come tra i fattori che probabilmente porteranno ad “un ulteriore netto aumento dei costi di finanziamento” dell’Italia ci sono anche “segnali di erosione” sul fronte degli investeminte esteri, oltre al rischio contagio da Grecia e Spagna, con i rischi di un’uscita di Atene dall’euro “che sono saliti” e il sistema bancario spagnolo sempre più in difficoltà .
Ma l’agenzia di rating punta il dito anche su altri fattori: dal “deterioramento delle prospettive economiche nel breve termine”, nonostante le misure e le riforme decise dal governo Monti, al “clima politico che, con l’avvicinarsi del voto della prossima primavera — scrive Moody’s — è fonte di un aumento dei rischi”.
Questo spiega anche l’outlook negativo, con il nostro Paese che resta sotto stretta osservazione da parte dell’agenzia di rating.
Per la quale “i rischi che gravano sull’attuazione delle riforme restano considerevoli”.
Il peggioramento dell’economia, poi, col Paese in recessione, “aumenta il peso dell’austerity e delle riforme sulla popolazione italiana”.
Questo porta le forze politiche a frenare, in qualche modo, l’azione del governo. Quest’ultimo — riconosce Moody’s — ha messo in campo “un programma di riforme che ha davvero le potenzialità per migliorare notevolmente la crescita e le prospettive di bilancio”.
Nonostante ciò la recessione incombe e raggiungere gli obiettivi di risanamento dei conti resta una enorme sfida, con il pareggio di bilancio — si sottolinea — slittato di due anni.
La notizia del downgrade è arrivata proprio mentre il premier Monti atterrava in Idaho, Stati Uniti, per recarsi alla Allen Conference di Sun Valley, dove è riunito il gotha della finanza e del mondo dei media ‘made in Usa’.
Lì il Professore — che interverrà nelle prossime ore intervistato (a porte chiuse) dal noto anchorman della Cbs, Charlie Rose, ha come obiettivo principale quello di convincere ad investire in Italia.
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Luglio 13th, 2012 Riccardo Fucile
PRIMO VERTICE DA CANDIDATO PREMIER: “NON ATTACCHEREMO MONTI”… LA CONSIGLIERA REGIONALE DOVREBBE FARE UN PASSO INDIETRO (GRATIS?) PER EVITARE IMBARAZZI AL PDL
«Sono stato un po’ anticipato…». Hanno tutti sgranato gli occhi quando Silvio Berlusconi ha detto allo stato maggiore del Pdl, convocato a palazzo Grazioli per un vertice di due ore, e ancora disorientato dalla novità della nuova scesa in campo del leader: «Non ho mai dichiarato di volermi candidare: sono gli altri a chiedermi di tornare».
Sorpresi un po’ tutti, visto che ormai tutti davano per scontato il suo ritorno: da Alfano a Cicchitto, da La Russa a Gasparri e Corsaro, fino a Verdini e Quagliariello.
Ma hanno risposto nell’unico modo possibile, arrivati a questo punto della partita: «Lascia perdere, presidente, così faremmo solo confusione, ormai bisogna partire».
E ancora: «Se tu hai deciso presidente, siamo con te: visto che hai fatto un passo indietro per il Paese e non a motivo di una sconfitta elettorale».
Tonico, quattro chili in meno di peso, jogging quotidiano anche nelle ville romane e non solo nei weekend sardi, Berlusconi candidato premier alle elezioni del 2013 è tornato in prima pagina anche all’estero: ieri, in apertura dell’homepage del New York Times, edizione internazionale.
E ha anche riferito, in quanto patron del Milan, la sua personale spending review: «Ho venduto Ibrahimovic e Thiago Silva al Psg. Risparmiamo 150 milioni di euro. Per una cifra così non si può dire di no. Sarebbe da irresponsabili».
Anche il Pdl sarà costretto a una cura dimagrante: visto che la riforma del finanziamento pubblico colpisce innanzitutto il partito di maggioranza relativa, con una cifra consistente, cinquanta milioni di euro in meno.
E anche di questo si è discusso ieri.
Ma a parte tutto ciò, Berlusconi si è dimostrato preoccupato dei problemi economici del Paese e dell’Europa, di euro e di spread. «
Anche se è vero che nessuno ha la ricetta pronta o la bacchetta magica. Dobbiamo sostenere questo governo fino al 2013, non ci sono alternative».
Insomma, il ritorno di Berlusconi non è accompagnato da toni di fuoco contro il governo dei tecnici: «Non farò mai una campagna elettorale contro Monti», avrebbe detto infatti il Cavaliere.
Ma, questo il messaggio, «dobbiamo pensare sin da ora a cosa fare dopo, perchè dopo il passaggio elettorale del 2013, la politica dovrà riprendere il proprio ruolo». Soprattutto, è risuonato di nuovo a via del Plebiscito il refrain dei tempi di Palazzo Chigi: «No a nuove tasse per famiglie e imprese».
Tramontata l’ipotesi di primarie, sul tavolo di palazzo Grazioli è stato discusso innanzitutto il nodo della legge elettorale.
Un dossier da esaminare con attenzione, viste le conseguenze che potrà avere sui futuri scenari (e che infatti è stato testato nei sondaggi di Alessandra Ghisleri). Berlusconi vuole il proporzionale (con premio di maggioranza del 10 per cento al partito che raccoglierà più voti) e non transige sul fatto che sulla scheda debbano essere espresse le preferenze, «perchè il Porcellum fa solo vincere Bersani & Co…».
Le reazioni alla nuova discesa in campo spaziano dalle ironie agli entusiasmi.
Il presidente della Camera, Gianfranco Fini: «Gli italiani non credono più ai miracoli».
Mentre il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, afferma: «Avrei preferito Alfano».
Pier Ferdinando Casini commenta: «Non è un problema mio, ma del Pdl».
Sul fronte del Pdl, Giancarlo Galan ha commentato: «La notizia mi fa godere più di un orgasmo».
E intanto ieri è stata confermata la notizia che Silvio Berlusconi avrebbe convinto Nicole Minetti a fare un passo indietro e a dare le dimissioni da consigliera regionale della Lombardia.
Minetti, eletta nel listino bloccato di Roberto Formigoni senza passare per il voto popolare, è coinvolta nel Rubygate (oggi è attesa per l’udienza del processo a Milano) con l’accusa di favoreggiamento e induzione alla prostituzione.
Sono mesi, a quanto pare, che il Cavaliere tenta di convincere la consigliera regionale a fare un passo indietro, nell’ottica di un rilancio della propria immagine in vista della sua discesa in campo.
«Dimettermi? No, è solo un’indiscrezione. Io non ho presentato nessuna lettera di dimissioni, sono tranquilla e rimango al mio posto, ma non fatemi dire altro», ha dichiarato la consigliera regionale.
M.Antonietta Calabrò e Maurizio Giannattasio
(da “Il Corriere della Sera“)
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Luglio 13th, 2012 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE SI FA INTERVISTARE DALLA TEDESCA “BILD”, STUDIA I LOGHI DEI PARTITI NAZIONALISTI EUROPEI E POI PENSA ALL’AQUILONE TRICOLORE COME NUOVO EMBLEMA DEL PARTITO
L’unica panchina sulla quale Berlusconi si vede seduto è quella del Milan. Ecco perchè il Cavaliere faticava a immaginarsi ai giardinetti e da mesi scalpitava per rimettere gli scarpini della politica.
Al punto che – ben prima di anticipare ad Alfano i suoi propositi – aveva già approntato il simbolo con cui accompagnarsi per il suo ritorno in campo: l’ultima idea è un aquilone tricolore che continua a testare senza sosta, che mostra agli ospiti chiedendone il parere, e che nell’immaginario collettivo dovrebbe trasmettere quel senso di ottimismo necessario a favorire la rinascita del Paese.
La campagna elettorale vorrebbe giocarla facendo leva su uno spirito fortemente patriottico, che lo avrebbe indotto a prendere in esame anche alcuni simboli di partiti nazionalisti europei.
Epperò sul ritorno di Berlusconi ci sono delle cose che non tornano.
Non si è mai visto infatti un partito ancora senza nome ma con il simbolo, e soprattutto non si è mai visto un candidato che ancora non si candida, che ieri continuava a dare segni di incertezza davanti al vertice del Pdl, che si mostrava insofferente per gli «attacchi ingenerosi» letti sulla stampa, e che prendeva tempo per ufficializzare la sfida.
È vero che l’incertezza sulla riforma della legge elettorale impedisce di definire le strategie, tuttavia è impensabile tenere il partito nell’incertezza, che accentuerebbe il marasma e delegittimerebbe ulteriormente la classe dirigente.
Ecco il motivo per cui Cicchitto si è affrettato a ribadire che «Berlusconi sarà il nostro candidato premier».
Resta poi da stabilire la linea che il nuovo partito senza nome ma con il simbolo vorrà assumere, quel solco programmatico che servirà a evitare il rischio di pericolose oscillazioni tra un’istintiva «deriva grillina» del Cavaliere e il più istituzionale profilo del «montismo berlusconiano».
Sui temi di politica economica il fondatore del Pdl sembra avere le idee abbastanza chiare.
Le ha riversate in un’intervista alla Bild , nella quale ha parlato di euro e di Europa, spiegando che dall’avvento della moneta unica «è stata Berlino a trarre beneficio», e che «è ora di cambiare i meccanismi» così da garantire un ritorno alla prosperità per tutti i Paesi dell’Unione.
Berlusconi ha respinto l’accusa di parteggiare per la reintroduzione delle divise nazionali: «Si parla più in Germania di un ritorno al marco che in Italia di un ritorno alla lira».
E comunque si tratterebbe di una «soluzione molto difficile» che «segnerebbe la fine dell’Unione».
L’intervista al maggior giornale popolare tedesco è un segnale importante, sia per i contenuti «europeisti» sia perchè dimostra come il Cavaliere tenti di riaccreditarsi a livello internazionale.
È questa la scommessa più difficile, lo si è capito due giorni fa dall’eloquente «no comment» del portavoce della Merkel alla notizia di un ritorno in campo di Berlusconi.
«Il Pdl ha solide relazioni con tutti i grandi partiti moderati europei e dell’Occidente», dice Alfano come a derubricare la portata del messaggio in codice tedesco.
Intanto il Cavaliere fa le prove dell’aquilone.
Francesco Verderami
(da “Il Corriere della Sera“)
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Luglio 13th, 2012 Riccardo Fucile
“IL RAGIONAMENTO DELLA FRANCIA UGUALE AL NOSTRO: TAV TROPPO COSTOSA E SOPRATTUTTO INUTILE”
Si potrebbe definire la rivincita dei montanari.
Luigi Casel, uno dei leader della protesta No Tav, la mette giù così: «La tesi della Corte dei conti francese e il progetto di revisione del governo di Parigi dimostrano che non siamo quattro montanari scemi che da più di vent’anni si oppongono a quest’opera inutile. Il ragionamento del governo francese è uguale al nostro: la Tav costa troppo e soprattutto è inutile visto il calo vertiginoso del traffico merci tra Italia e Francia».
Casel non fa il minimo sforzo per nascondere l’assist di Parigi alla mobilitazione del movimento: «Esce rafforzata la nostra posizione che chiede un confronto istituzionale con il governo e gli enti locali non per discutere dove e come fare l’opera, ma se realizzarla davvero».
Del resto in queste ore la sinistra italiana, da Vendola a Ferrero al verde Bonelli, chiede di sospendere la realizzazione dell’opera.
E Beppe Grillo su Twitter la mette giù così: «La Francia ha portato le stesse ragioni del movimento. Incarcereranno anche Hollande la prossima visita in Italia?».
Chiaro il riferimento al processo in corso al tribunale di Torino contro 45 attivisti del movimento accusati per gli scontri del 3 luglio dell’anno scorso a Chiomonte.
Ed è proprio a fianco della centrale elettrica del piccolo paese valsusino che dalla metà di giugno il movimento ha organizzato un campeggio di lotta che indubbiamente riceverà nuova linfa.
Sui siti del movimento rimbalzano gli sfottò nei confronti di Virano e si fanno le prime analisi.
«Non ci aspettiamo nulla – si può leggere su Notav.info -, del resto viviamo le politiche di un governo che taglia solo e alimenta l’austerity senza mai prendere in considerazione la cancellazione di questo enorme spreco di denaro pubblico. Però siamo soddisfatti, le nostre ragioni sono lì a disposizione di quanti hanno voglia di fare due conti».
E si aggiunge: «Il banchetto imbandito incomincia a traballare e, come ripetiamo da tempo, di scontato non c’è nulla».
La tesi di Casel è che le ragioni del No stanno diventando sempre più «popolari e attuali anche nel fronte politico dove alla fine c’è una ristretta cerchia di ultras che fa capo a pezzi del partito democratico».
Sandro Plano, presidente Pd della Comunità Montana Valsusa/Val Sangone, è il numero 1 del fronte istituzionale contro il supertreno, e sottolinea «l’effetto dirompente» della presa di posizione del governo francese.
Il motivo? «Il calo del traffico delle merci, tanto per fare un esempio, è uno degli argomenti spiega Plano – con i quali noi sosteniamo da sempre l’inutilità di quest’opera».
E aggiunge: «Per questo e per altri motivi – dai costi eccessivi alla necessità di spendere i fondi per affrontare la crisi – abbiamo sempre chiesto al governo italiano un ripensamento. E adesso che «le nostre tesi sono diventate le stesse sostenute dal governo del socialista Hollande sarebbe auspicabile un ripensamento da parte italiana».
Antonio Ferrentino, sindaco di Sant’Antonino e uno dei leader della protesta negli anni scorsi, è appena uscito da Sel per aderire al Pd invita alla cautela: «Credo si tratti di forzature giornalistiche. Il governo francese sta rivedendo la realizzazione delle reti interne su un’analisi costi e benefici e non sembra mettere in discussione la realizzazione della Torino-Lione».
Maurizio Tropeano
(da “La Stampa“)
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Luglio 13th, 2012 Riccardo Fucile
I FRANCESI DEVONO FARE I CONTI CON I BILANCI IN ROSSO, L’ITALIA PERENNEMENTE IN RITARDO NELLE DECISIONI…ORA I TEMPI SI ALLUNGANO E NULLA E’ PIU’ CERTO
Ancora 20 giorni fa, durante la sua visita a Roma per il vertice con Monti, Merkel e Rajoy, il presidente francese Franà§ois Hollande parlando della Torino-Lione era stato netto: «Si dovrà fare».
Ma ora che il nuovo governo francese ha iniziato a sua volta a fare i conti coi bilanci in rosso, tutti i piani di spesa sono rimessi in discussione a cominciare dal faraonico «Schema nazionale delle infrastrutture di trasporto» varato nemmeno due anni fa: troppi 260 miliardi di investimenti nell’alta velocità , quando solo per arginare il deficit entro il 2013 occorre varare manovre per 40 miliardi e quando il debito pubblico (al 90% del Pil) drena ogni anno 50 miliardi di spesa per interessi.
Per questo il governo di Parigi ha deciso di mettere sotto osservazione 10 progetti su 14. Compresa la Torino-Lione, che da sola di miliardi alle casse francesi ne costa in tutto ben 12. «Troppo cara» per il bilancio della Rèpublique, secondo la Corte dei conti d’Oltralpe, che pochi giorni fa ha esplicitamente invitato il governo a fare scelte precise e ad individuare delle priorità . In cima alla lista dei progetti da cassare c’è la Nizza-Marsiglia, perchè non è stato ancora trovato un accordo sul tracciato e perchè costa addirittura 15 miliardi di euro, subito dopo però viene la Torino-Lione.
Da Parigi spiegano che nulla è deciso, ma il rischio che il progetto del collegamento tra Piemonte e Rhà’ne-Alpes venga congelato è grande.
Ancora più grande se si considera che mentre sul versante francese una parte significativa delle opere, come le discenderie, è stata già realizzata, noi – per i mille noti motivi – non abbiamo combinato praticamente nulla.
A questo punto di che cosa ci potremmo lamentare coi francesi? Di nulla.
Dopo anni di tentennamenti, inerzie e ritardi non possiamo dire niente.
Ci possiamo solamente attaccare agli accordi, che certamente un loro peso ce l’hanno, ma che possono sempre essere messi in discussione.
Al contrario degli altri progetti, che si sviluppano tutti all’interno del territorio francese, la linea con la Francia non solo fa parte dei corridoi ferroviari previsti dall’Unione europea, ma è pure oggetto di un trattato internazionale.
Che certamente non può essere stracciato. Ma certamente può essere ridiscusso.
Ad esempio si può immaginare una diversa tempistica dell’opera che potrebbe essere rinviata a dopo il 2017, anno in cui tra l’altro la Francia pensa di raggiungere il pareggio di bilancio.
Il paradosso di questa vicenda, che la dice lunga sulla nostra capacità di progettare il futuro del Paese, è che comunque sia andiamo al rimorchio dei francesi.
O ci muoviamo solo per effetto di pressioni esterne.
Abbiamo detto sì al progetto dietro la spinta di Parigi, e poi ogni scelta nell’infinito iter di questa tormentatissima infrastruttura, dalla scelta del primo tracciato alla sua modifica, è stata dettata dal rischio di perdere i fondi europei oppure dal pericolo di dover pagare delle penali.
Non siamo stati in grado – governi, enti locali, forze politiche di esprimere una visione, di scegliere il progetto della Torino-Lione come vero progetto, non di Torino o del Piemonte, ma del Paese.
E di conseguenza non ci siamo minimamente preoccupati di costruire per tempo il consenso attorno a questa opera, a cominciare dalle sempre dovute compensazioni per le popolazioni più direttamente esposte all’impatto di una infrastruttura di questa portata come quelle della Val Susa.
E’ probabile che i francesi ci ripensino e decidano di salvare la Torino-Lione, ma se dovesse andare male per noi non sarebbe una semplice sconfitta.
Sarebbe una sconfitta doppia.
Paolo Baroni
(da “la Stampa“)
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Luglio 13th, 2012 Riccardo Fucile
ISTAT: GRANDE APERTURA NEI CONFRONTI DELLE SECONDE GENERAZIONI, DELLA SOCIETA’ MULTICULTURALE E DEL RICONOSCIMENTO DELLA CITTADINANZA… L’81% E’ D’ACCORDO CON I RICONGIUNGIMENTI FAMILIARI… SOLO UNA MINORANZA DAREBBE IL VOTO AGLI IMMIGRATI RESIDENTI
Gli italiani mostrano grande apertura verso la società multiculturale, le seconde generazioni e il riconoscimento della cittadinanza.
Il 72% degli intervistati dall’Istat per la rilevazione “I migranti visti dagli italiani” è favorevole all’acquisizione della cittadinanza italiana per i figli di stranieri nati nel Paese.
La quasi totalità delle risposte è che sia giusto dare la cittadinanza agli immigrati che ne fanno richiesta dopo un certo numero di anni di residenza regolare in Italia.
Sono sufficienti 5 anni per il 38% dei rispondenti, 10 per il 42%, 15 anni per il 10% degli intervistati.
Un residuale 8 % ritiene che non debba essere mai concessa la cittadinanza.
Ma si ferma al 42,6% la quota di quanti si dichiarano molto o abbastanza d’accordo a riconoscere il diritto di voto nelle elezioni comunali agli immigrati che risiedono da alcuni anni in Italia, anche se non hanno la cittadinanza italiana.
La maggioranza (57%), invece, è poco (18%) o per niente d’accordo (39%).
Riguardo agli immigrati irregolari che non hanno commesso reati, il 54% degli intervistati risponde che non devono essere espulsi, “seppure un numero comunque elevato (46%) ritiene che, invece, ciò debba avvenire”.
Dalle risposte fornite emerge il riconoscimento di un ruolo positivo della società multiculturale.
Oltre il 60%, infatti, ritiene che “la presenza degli immigrati sia positiva perchè permette il confronto con altre culture”.
L’affermazione per cui “ogni persona dovrebbe avere il diritto di vivere in qualsiasi paese del mondo abbia scelto” trova d’accordo (molto 54%, abbastanza 33%) la quasi totalità dei rispondenti.
L’apertura verso il multiculturalismo, emerge in particolare da alcune risposte.
La maggior parte degli intervistati (82%), infatti, si dichiara poco (24%) o per niente d’accordo (58%) con l’affermazione che “è meglio che italiani e immigrati stiano ognuno per conto proprio”, manifestando chiaramente di apprezzare la convivenza tra culture diverse.
Una quota simile (81%) si dichiara poco (27%) o per niente d’accordo (54%) con chi ritiene che “l’Italia è degli italiani e non c’è posto per gli immigrati”.
(da “Redattore Sociale”)
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Luglio 13th, 2012 Riccardo Fucile
IL LABIRINTO ELETTORALE: PARTITI DIVISI PERSINO AL LORO INTERNO E LA RIFORMA NON MUOVE UN PASSO
Se pensi alla legge elettorale, t’assale un moto di disperazione.
Ne è rimasto vittima perfino Napolitano, tanto da scrivere una lettera ai presidenti delle Camere per sollecitarne la riforma.
Risultato? I leader di partito si sono dichiarati pronti a votarla l’indomani; ma i giorni passano, senza che il Parlamento cavi un ragno dal buco.
D’altronde sono già scadute invano le tre settimane entro cui Bersani e Alfano (l’8 giugno) avevano promesso di raggiungere l’accordo.
Nel frattempo ogni forza politica cavalca almeno un paio di soluzioni contrapposte, sicchè il primo problema è di capire da che parte sta il partito.
Valga per tutti l’esempio del Pd: la linea ufficiale è per il doppio turno, la bozza Violante punta al proporzionale, i veltroniani spingono per il modello spagnolo, i prodiani vorrebbero riesumare il Mattarellum. Da qui lo stallo.
La Camera sta ferma, perchè in prima battuta deve occuparsene il Senato.
I senatori giacciono a loro volta immobili, perchè la riforma costituzionale (fissata il 17 luglio) ha la precedenza su quella elettorale.
Nel complesso ricordano quei due signori troppo cerimoniosi: prego s’accomodi, no dopo di lei, e intanto nessuno varca l’uscio del portone.
Davanti a questa scena, hai voglia a dire che la peggiore decisione è non decidere. È vano osservare che una buona legge elettorale va scritta dietro un velo d’ignoranza, senza l’abbaglio del tornaconto di partito.
Niente da fare, ciascuno pensa al proprio utile immediato; perfino Grillo ha scoperto le virtù del Porcellum, da quando i sondaggi lo danno in forte ascesa.
Anche se spesso i calcoli si rivelano sbagliati. Vale per le riforme della Costituzione approvate alla vigilia d’un turno elettorale, all’unico scopo di guadagnare voti: come quella del governo Amato nel marzo 2001 (due mesi dopo vinse il centrodestra); o come la devolution di Bossi nel 2005 (ma nel 2006 vinse il centrosinistra). E vale per la legge elettorale. D’altronde, anche il Porcellum nacque dall’intenzione – fallita – di tirare uno sgambetto all’avversario.
C’è allora modo di venirne a capo?
Forse sì, ma a una doppia condizione: di merito e di metodo. Innanzitutto rammentando che i congegni elettorali non sono fedi, ma strumenti.
La loro qualità dipende dalle stagioni della storia, tuttavia non esiste uno strumento perfetto, non c’è una superiorità assoluta del maggioritario o del proporzionale. Esistono però strumenti imperfetti, e noi italiani ne sappiamo qualcosa.
Cominciamo dunque a sbarazzarci dalle tentazioni più peccaminose: un premio di maggioranza troppo alto, tale da distorcere il risultato elettorale; l’idea di trasmigrare dalle liste bloccate a un sistema tutto imperniato sulle preferenze (cadremmo dalla padella alla brace); una soglia di sbarramento impervia, o al contrario ridicolmente bassa.
Quanto al metodo, non c’è che da seguire il suggerimento di Napolitano: si voti a maggioranza, al limite con maggioranze alterne sui singoli capitoli.
Ma per non generare un Ippocervo, sarebbe bene votare in primo luogo sugli indirizzi generali, dalla scelta dei collegi (sì o no all’uninominale), fino al vincolo di coalizione e a tutto il resto.
Poi toccherà agli sherpa tradurre i principi in regole. Sapendo tuttavia che il tempo stringe, ormai è come una corda al collo dei partiti.
Michele Ainis
(da “Il Corriere della Sera”)
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