Luglio 4th, 2012 Riccardo Fucile
SCHIFANI ENTRA A GAMBA TESA NELLA COMMISSIONE PER IL RINNOVO DEL CDA RAI PER FAVORIRE I CANDIDATI VOLUTI DA BERLUSCONI… FINI REAGISCE: “FATTO INUADITO, ORA CHIARISCA”… E IL PIDUISTA CICCHITTO VA IN CRISI ISTERICA
Il senatore “dissidente” del Pdl vota controcorrente in Vigilanza rispetto alle indicazioni del partito .
Nel pomeriggio Schifani decide di sostituirlo da un altro parlamentare e scoppia la polemica col presidente della Camera che giudica il fatto “di inaudita gravità politica”.
Il presidente del Senato, ex capogruppo di Forza Italia a Palazzo a Madama fino al 2006, entra a gamba tesa nella commissione per il rinnovo del cda del servizio pubblico per favorire i candidati voluti dal partito di Berlusconi e, nel giorno del voto per i nuovi consiglieri di viale Mazzini, decide di fare entrare Pasquale Viespoli di Coesione nazionale al posto di Paolo Amato.
Una decisione giustificata dalla volontà di tutelare la nomina dei candidati scegli dal partito di centrodestra e in particolare Antonio Pilati, berlusconiamo doc e ideatore della legge Gasparri, sul quale è stato avviato lo scontro interno tra i banchi del Pdl.
L’obiettivo è di controllare il servizio pubblico e in particolare l’informazione, in una congiuntura economica di crisi per Mediaset con utili in forte calo e il tracollo della raccolta pubblicitaria.
I fatti risalgono a questa mattina, quando il senatore Paolo Amato, membro della Commissione di vigilanza, aveva espresso la preferenza per la candidata Flavia Nardelli, proposta solo da Fli e Idv.
Una scelta che si traduce nella sua sostituzione dalla Vigilanza quando nel pomeriggio Renato Schifani decide di far prendere il suo posto a Viespoli. Una decisione legittima e dovuta per Schifani perchè, ha detto, “in seguito al ricalcolo proporzionale dei 20 seggi spettanti ai Gruppi di Palazzo Madama è risultato che il Pdl dovesse rinunciare a un componente”.
Un posto che sarebbe andato a Coesione nazionale.
In più, è stato Schifani stesso a spiegare che il nome “uscente” è stato suggerito da Gasparri che questa mattina, dopo avere appreso del voto “dissidente” di Amato, aveva parlato di “complotto”.
Ma il regolamento prevede che la sostituzione in commissione di Vigilanza possa avvenire solo su richiesta del diretto interessato e nel corso della sessione elettorale non possono essere effettuati cambiamenti.
Da qui la polemica con Gianfranco Fini che interviene duramente: ”Schifani ha ravvisato l’urgenza di intervenire solo oggi perchè era chiaro che la libertà di voto del senatore Amato avrebbe determinato un esito della votazione non gradito al Pdl? Se così fosse — ha scritto in una nota il presidente della Camera — saremmo in presenza di un fatto senza precedenti e di inaudita gravità politica”.
Fini ricorda anche le sollecitazioni di Viespoli dello scorso 12 giugno in merito alla rappresentazione del suo gruppo in Vigilanza, ma al parlamentare di Coesione nazionale aveva risposto ”che la questione poteva trovare soluzione esclusivamente nell’ambito della quota di seggi spettante al Senato in quanto il Gruppo ‘Coesione Nazionale’ non è presente alla Camera dei deputati”.
Per questo il problema, sottolinea Fini, “non è sulla correttezza formale della sostituzione del senatore Amato” bensì “sulla tempistica della decisione del Presidente Schifani.
Maturata “improvvisamente” soltanto oggi, nel giorno in cui “ il senatore Amato aveva pubblicamente annunciato di votare liberamente e secondo coscienza, disattendendo le indicazioni del suo Gruppo di appartenenza”.
Il Pdl però fa quadrato intorno alla decisione di Schifani.
Il primo a replicare a Fini è il capogruppo Pdl alla Camera, il piduista Fabrizio Cicchitto : “Di fronte a questa sua discesa in campo contro il presidente Schifani, non posso fare a meno di rilevare, che dal suo pulpito non possono venire lezioni di imparzialità , visto che mai come in questa legislatura la presidenza della Camera è stata in prima fila in ogni scontro politico innovando profondamente rispetto alla tradizione”.
Ed ecco il segretario del Pdl, Angelino Alfano, secondo cui Schifani ha evitato “uno squilibrio tra le forze politiche in Commissione, denunciato più volte in Aula”. “Il presidente Schifani – aggiunge Alfano – dovrebbe essere preso da esempio proprio dal Presidente della Camera, Gianfranco Fini, che oggi lo critica” e da cui “non accettiamo alcuna critica”.
Per Bersani ”quel che sta accadendo attorno al rinnovo del cda Rai ha dell’incredibile” e “i modi e i tempi della sostituzione del senatore Amato lasciano senza parole”.
Il segretario del Pd fa sua la richiesta avanzata dal capogruppo Pd al Senato Anna Finocchiaro affinchè il presidente del Senato riferisca in Aula.
Quanto alla Rai, aggiunge, “questa invereconda commedia imbastita dal Pdl sulle sorti di una delle più importanti aziende pubbliche italiane deve finire: o domani si chiude in modo positivo questa vicenda o il governo deve finalmente prendere in mano la situazione e garantire una gestione straordinaria della Rai”.
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Luglio 4th, 2012 Riccardo Fucile
VICEDIRETTORE LICENZIATO: AVREBBE GONFIATO LE ISCRIZIONI AL PARTITO CON NOMINATIVI DEI CORRENTISTI E POI TENTATO DI SOTTRARRE 72 MILIONI DAI LORO CONTI POSTALI
C’è l’inchiesta sulle tessere false presentate al congresso del Pdl barese da un lato e c’è l’indagine su un presunto tentativo di truffa da 72 milioni di euro ai danni delle Poste dall’altro.
Si tratta di due fascicoli apparentemente slegati tra loro tant’è che il primo è affidato al procuratore aggiunto Lino Giorgio Bruno e il secondo alla pm Isabella Ginefra. Eppure tra le due inchieste c’è sicuramente almeno un elemento in comune: il nome dell’indagato.
In entrambi i casi compare il nome dell’ex vice direttore dell’ufficio postale interno all’Ipercoop Mongolfiera di Bari Japigia, Dario Papa.
Ex perchè è stato prima sospeso e poi licenziato.
Ma per capire questa storia bisogna tornare indietro di qualche mese.
A febbraio scorso all’interno del Popolo delle libertà di Bari scoppia lo scandalo delle tessere false: ci sono 139 iscritti al partito a loro insaputa.
Aderenti che in realtà non avevano mai sottoscritto la tessera: risultano stranamente tutti residenti in via Colaianni, 10.
La Digos acquisisce i nominativi e interroga i finti tesserati che confermano: mai aderito al Pdl.
Partono allora le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Bruno, che arrivano in poche settimane ad un nominativo, quello di Dario Papa.
Sarebbe stato lui, secondo gli investigatori, a fornire dati personali e fotocopie delle carte d’identità dei 139 iscritti che in comune avevano solo una cosa: essere correntisti delle Poste.
I dipendenti dell’ufficio postale vengono convocati in questura e interrogati; la Digos vuole capire esattamente cosa sia accaduto e per conto di chi abbia agito Papa. L’ipotesi di reato è di violazione della privacy.
Esattamente nel periodo dello scandalo delle tessere succede un’altra cosa strana: qualcuno, munito di password, prova a spostare grosse somme di denaro custodite dalle Poste a conti correnti nell’Est Europa.
Il sistema di “alert antiriciclaggio” riesce a sventare in tempo la truffa.
Partono le indagini della polizia postale, coordinate dalla pm Ginefra, che portano ancora una volta al nome di Papa.
Il vicedirettore dell’ufficio postale avrebbe, secondo gli inquirenti, utilizzato le password in possesso del direttore e della specialista di sala consulenza che per questo, pochi giorni fa, si sono visti recapitare la lettera di licenziamento per omessa vigilanza.
“Abbiamo presentato ricorso al tribunale del lavoro – spiega Vito Battista, segretario provinciale della Slc-Cgil settore Poste che insieme con la Cisl sta seguendo la vicenda dei due – non vogliamo indicare colpevoli ora, ma l’azienda avrebbe dovuto sospendere i due lavoratori in attesa di accertare le responsabilità ; prima di licenziare in tronco, bisogna appurare i fatti”.
Tra le due inchieste l’unico collegamento sembrerebbe essere il presunto responsabile, ma, secondo la procura di Bari, ci sarebbe qualcosa di più.
Un sospetto alimentato dalla contestualità delle due operazioni.
Le indagini dunque continuano per capire se ci sia un collegamento tra le due vicende e quale, ma soprattutto per capire per conto di chi abbia agito Papa.
L’indagato non è stato ancora sentito dai magistrati che vogliono andare fino in fondo per trovare conferma a quelli che sono, per ora, solo sospetti.
Francesca Russi
(da “La Repubblica”)
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Luglio 4th, 2012 Riccardo Fucile
IMPRENDITORE NEL SETTORE DEI PROFUMI DICHIARAVA UN REDDITO INFERIORE A 20.000 EURO PER OTTENERE 800 EURO DI CONTRIBUTO FAMILIARE… ACCERTATO INVECE UN REDDITO SUPERIORE A DUE MILIONI DI EURO L’ANNO
Ricco e sfacciato. La guardia di finanza di Busto Arsizio ha pizzicato un imprenditore che, oltre ad evadere cifre milionarie, ogni anno si presentava in Comune autocertificando il diritto al contributo da 800 euro a sostegno del nucleo familiare e incassava l’assegno come un qualsiasi bisognoso.
Per ottenere il contributo dal comune di Cassano Magnago (Varese) l’uomo dichiarava di avere un reddito inferiore ai 20mila euro annui.
Tuttavia, secondo quanto accertato dalle fiamme gialle, l’uomo aveva un reddito lordo cento volte superiore: attorno ai 2 milioni di euro l’anno.
Il reddito milionario era frutto dell’attività di famiglia, un’azienda attiva nel settore del commercio all’ingrosso di profumi e cosmetici, che nei mesi scorsi è stata passata al setaccio dai finanzieri della compagnia di Busto Arsizio, che hanno scoperto un evasione di oltre 13,5 milioni euro. Stando agli accertamenti delle fiamme gialle ognuno dei quattro soci aveva un reddito annuo che si aggirava attorno ai 2 milioni di euro.
L’assegno familiare è stato chiesto (e ottenuto) per gli anni tra il 2007 e il 2010 e l’erogazione indebita è stata fermata dai finanzieri dopo la verifica fiscale nei confronti della società gestita dall’imprenditore assieme ai familiari.
Tutto è iniziato dall’attento esame della documentazione reperita dai militari della Guardia di Finanza nel corso di un’ispezione domiciliare svolta in concomitanza con l’apertura della verifica fiscale a carico dell’azienda.
Tra i documenti visionati, ai militari non è sfuggita la domanda presentata al Comune di Cassano Magnago per l’assegno familiare.
Al termine dell’ispezione, pertanto, i finanzieri hanno provveduto alla ricostruzione della reale posizione reddituale di ciascun socio, portando alla luce la paradossale vicenda.
Il “povero” imprenditore è stato segnalato alla Corte dei Conti per la restituzione delle somme indebitamente ottenute, inoltre dovrà pagare una pesante sanzione amministrativa da un minimo di circa 5mila euro ad un massimo di oltre 25mila.
Intanto, a seguito dell’accertamento della Guardia di Finanza, tutti i soggetti coinvolti nell’accertamento hanno già versato allo Stato circa 1 milione e 200 mila euro per i redditi evasi tra il 2006 e il 2008.
Tutti e quattro i familiari (padre e figli) coinvolti nell’accertamento sono stati denunciati per diversi reati di natura fiscale.
L’evasione da oltre 13 milioni di euro è stata infatti perpetrata tramite dichiarazioni fraudolente, attraverso false fatturazioni e artifici contabili che hanno permesso di contraffare la presentazione dei redditi, rendendo particolarmente insidiosa la condotta degli imprenditori.
Alessandro Madron
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 4th, 2012 Riccardo Fucile
VIA IL MARCHIO, PREZZI BASSI: “COPIO I CINESI, NON DIVENTERO’ MAI UN FORNITORE IKEA PER NON FARMI SPREMERE”
La notizia, se vogliamo, è che un falegname può battere la globalizzazione.
E per reggere l’urto della crisi non deve diventare per forza un fornitore Ikea. Anzi.
Se il falegname ha le idee chiare non c’è ostacolo che possa impedirgli di costruire bei mobili, di venderli a un prezzo contenuto, di realizzare margini di profitto per mandare avanti un’azienda moderna/snella e dare così ogni mese lo stipendio a una trentina di dipendenti.
L’esempio vivente e vincente è Paolo Ponti, un (mite) mantovano nato nel 1971, nipote e figlio di falegnami, che ha studiato architettura a Firenze.
Suo bisnonno era un ortolano di San Giacomo Po mentre il primo lavoro di falegnameria di suo nonno Walter fu una capanna a due ruote necessaria perchè quando il fiume cresceva portava via tutto.
Pur avendo bazzicato nell’aziendina di famiglia da quando aveva i calzoni corti, Paolo dopo la laurea non era così convinto di rientrare a Mantova e darsi alla falegnameria. Pensava di mettere a frutto gli studi fiorentini, l’amore per Leon Battista Alberti e il Brunelleschi e costruire edifici, chissà dove e magari assieme alla compagna di corso Daniela che ha sposato un anno dopo la laurea.
A dargli la spinta decisiva per tornare a casa è stata quella che nei manuali di management chiamano responsabilità sociale ma spesso non sanno bene cosa sia, un senso di appartenenza profondo alla piccola comunità rappresentata dalla gente di San Giacomo e dai suoi dipendenti.
«Mi chiedevo: se io smetto che faranno quando mio padre lascerà il campo? Non sono certo rientrato a Mantova per diventar ricco. I soldi vanno fatti, ma il giusto. In fondo, mi sono detto, meglio il falegname che costruire villette rovinando le periferie e consumando territorio».
Nella storia delle aziende familiari si ricama sempre attorno alla staffetta tra il padre e il figlio, il piccolo gossip di paese in questi casi impazza.
Alla Ponti le cose sono andate pressappoco così: Paolo ha detto al padre Ermes che sarebbe rientrato a una condizione, «comando io».
Così è andata e oltre a cambiare timoniere l’azienda ha scelto quasi subito di applicare un altro gioco.
Di cambiare paradigma. «Non ci crederete ma ho copiato i cinesi. Ero da loro e li ho visti far mobili. Applicavano un’organizzazione semplice, zero gerarchie e zero burocrazia. E ho pensato che anche noi a Mantova dovevamo far così. Era inutile comprare software gestionale o altre diavolerie, dovevamo mettere in connessione la testa e le mani dei nostri dipendenti. E avremmo vinto».
Tradotto in slogan, dal vendere mobili come pure faceva con un certo successo papà Ermes bisognava passare a risolvere i problemi dei clienti ma con un’organizzazione aziendale piatta, il minimo possibile di strutture e il massimo possibile di fantasia.
Non c’è un mobile Ponti uguale all’altro.
E visto che notoriamente la fortuna aiuta gli audaci, l’avvento al timone di Paolo è coinciso con una commessa importante: la Corneliani, uno dei grandi dell’abbigliamento di qualità , aveva deciso di aprire uno showroom a Parigi e per progettarlo bussò a casa Ponti.
Paolo la sua prima libreria l’ha progettata ai tempi del liceo, la chiamarono Sintagma, era modulare e infinita (una Billy ante litteram?) e fu adottata dal Festivaletteratura di Mantova.
Il più giovane dei Ponti sostiene che per progettare mobili e interni le tecnologie Cad non servono o meglio non sono decisive.
Sono utili per fare verifiche ma guai a vederle come un oracolo.
Detto da un altro la demolizione del mito del Cad assomiglierebbe a una guasconata, ascoltata da lui convince l’interlocutore. «La nostra generazione ha iniziato l’università disegnando a mano con riga e squadra e ne è uscita usando Apple ma l’intelligenza del collegamento pensiero-mano è insuperabile».
Il falegname nel Ponti-pensiero è di conseguenza una figura leonardesca, sospesa tra antico e moderno, tra Rinascimento e globalizzazione. «I progettisti di interni non conoscono i materiali e c’è bisogno dunque che le persone lavorino assieme.
Prima da noi i falegnami avevano persino paura di entrare in ufficio, oggi si muovono a loro agio e non stanno ad aspettare che arrivi la scheda dal tecnico».
In azienda c’è solo una porta che divide lo studio dal laboratorio, è considerata la caratteristica che li rende diversi da tutti gli altri e quindi tutto resterà così anche in futuro.
A San Giacomo Po nasce dunque un esperimento che quasi crea una nuova figura professionale, il «falegname evoluto» come lo chiama Paolo, un esempio di quella ricomposizione tra lavoro manuale e intellettuale che i sindacalisti di ogni epoca hanno sempre sostenuto senza vederla mai realizzata.
Sul piano del business i Ponti puntano sulla specializzazione produttiva tipica dei distretti e della migliore tradizione del made in Italy ma la realizzano a modo loro: la ricerca della qualità non li autorizza ad alzare il prezzo più che si può, come fanno gli altri.
Il loro è un prodotto di tradizione artigianale e italiana veramente «democratico» e quella di San Giacomo Po alla fine è una boutique del mobile che si propone esplicitamente di fare prezzi concorrenziali con quelli dei cinesi.
Roba da non crederci. «Ma io non servo i super-ricchi, la mia clientela la pesco nella media borghesia».
Nel suo revisionismo dei canoni del business dell’arredamento di successo Paolo ha persino rinunciato al brand, una mossa che gli strateghi del marketing considereranno suicida ma lui ha deciso che investire sul marchio sarebbe costato troppo, l’avrebbe costretto a distrarre risorse e alla fine avrebbe fatto della piccola Ponti un’azienda «troppo commerciale».
Meglio investire sulla formazione e crearsi in casa i «falegnami evoluti» di domani.
Ci vogliono 5-6 anni perchè un giovane diventi veramente pratico del mestiere e aziendalmente profittevole ma Paolo non ha fretta, può aspettarne la maturazione.
«Un tempo – racconta – era facile reclutare operai. D’estate, finita la scuola, per tre mesi i ragazzi andavano a lavorare, poi c’era chi restava. Adesso dobbiamo cercarli sperando che abbiano voglia di imparare».
I Corneliani nella storia della nuova Ponti sono stati importantissimi.
Il primo cliente non si scorda mai. E tramite un loro agente Paolo ha potuto lavorare nientemeno che in Kazakistan realizzando negozi e grandi magazzini.
Poi è stata importante anche la nautica, Paolo e Daniela se ne sono innamorati e si sono fatti contaminare da quella cultura produttiva.
Realizzare mobili per yacht è una sfida professionale come poche, «le barche impongono limiti precisi e le misure sono particolari, gli arredi non possono essere realizzati in serie e sono differenti legni e finiture».
La Ponti del 2012 è una piccola azienda che cresce nonostante la crisi ma alla fin fine fattura 4 miliardi. Paolo pensa che sarebbe bene raddoppiare il giro d’affari ma se l’intervistatore gli chiede perchè non diventa un fornitore Ikea la risposta è secca.
«No, grazie. Gli svedesi usano le aziende italiane come limoni. Le spremono e poi le buttano».
Dario Di Vico
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 4th, 2012 Riccardo Fucile
OLTRE 2 MILIONI DI PRATICHE APERTE NEL 2011, CONTRO 1,8 DEL 2009, BOOM DI DOMANDE PER AMMORTIZZATORI SOCIALI… “SI SONO AGGIUNTI MOLTI GIOVANI ALLA RICERCA DI LAVORO O CON CONTRATTI PRECARI E PENSIONANDI”
Disorientati, scoraggiati, in preda ad ansia e incertezze: in tempo di crisi cresce il numero di italiani che si rivolgono al patronato Inca e aumentano i fattori che destano preoccupazione dagli ammortizzatori sociali alla pensione.
È quanto rileva il Bilancio sociale Inca, presentato questa mattina a Roma presso la sede dell’Inail, in via 4 Novembre.
Dai dati raccolti dal patronato, sono oltre 2 milioni le pratiche aperte nel 2011 sia in Italia che all’estero, contro 1,8 milioni del 2009.
Un dato, spiega il patronato, che mette in evidenza come negli ultimi tre anni, alla tradizionale platea di utenti, “si sono aggiunti molti giovani alla ricerca di lavoro o con contratti precari, pensionandi, che devono fare i conti con le nuove norme in materia pensionistica, costretti anche a subite le conseguenze delle numerose crisi aziendali e che non sanno come far fronte all’inasprimento dei requisiti di accesso al diritto a pensione: non c’è lavoro, mentre si allunga per tutti la prospettiva del pensionamento”.
Dai dati raccolti nel bilancio sociale, sono in aumento il numero delle pratiche aperte quasi tutte le aree tematiche.
A far registrare un incremento notevole dal 2010 al 2011, però, sono le domande per gli ammortizzatori sociali, passate dalle quasi 397mila del 2009, a 373mila del 2010, per raggiungere quota 553mila nel 2011.
Stessa cosa per quanto riguarda il sostegno al reddito alle famiglie: le domande sono aumentate da 137mila del 2009 a 164mila nel 2011.
Sfiorano il raddoppio, invece, le domande di tutela di maternità e paternità , passando da 25mila del 2009 a 42mila nel 2011.
Aumentano notevolmente anche le domande per la tutela delle persone invalide In un solo anno, dal 2009 al 2010, le domande sono passate da 190mila a 344 mila.
Sono 350mila nel 2011.
“L’incremento delle domande presentate dall’Inca è legato anche al passaggio dalla modalità di presentazione all’Inps della domanda in formato cartaceo all’obbligo di presentare la domanda in via telematica”, spiega il patronato.
Calano, invece, le domande che riguardano la pensione, passando da 235mila del 2009 a 195mila nel 2011.
Mentre aumentano le richieste di verifica delle pensioni in essere, da 140mila a 200mila nel 2011.
“Il ricorso al patronato in Italia e all’estero è aumentato in questi ultimi anni anche per le scelte compiute dagli enti di previdenza — spiega il patronato – con la chiusura di molti sportelli al pubblico e contemporaneamente con l’obbligo dell’invio telematico delle domande per ottenere le prestazioni previdenziali e assistenziali, senza tener conto del basso tasso di alfabetizzazione informatica degli italiani, che si attesta, secondo studi recenti, al 18° posto nella graduatoria europea: solo il 43% delle famiglie possiede un computer, contro il 54% della media europea”.
Non è solo la telematica, però, a incidere sugli indici del patronato.
Ad alimentare le preoccupazioni di chi si è rivolto all’Inca, ci sono le nuove norme e i trend del mercato del lavoro.
“La cosiddetta legge Monti-Fornero ha generato un profondo disorientamento tra i lavoratori e ha ulteriormente sfiduciato i giovani — spiega il patronato -, tra i quali si verifica il più alto tasso di disoccupazione e un livello di precarietà mai raggiunto finora nel nostro Paese”.
Aumentato anche il numero degli “scoraggiati”, tra i 15 e i 29 anni, che non lavorano e non frequentano corsi di formazione: nel 2010 erano oltre 2,1 milioni, 134 mila in più al 2009.
“Ansia e incertezza derivanti dai profondi cambiamenti legislativi in materie come pensioni e mercato del lavoro — spiega il patronato -, hanno costretto centinaia e centinaia di migliaia di persone disoccupate o in cerca di lavoro a riprogrammare la propria vita, esponendoli a rischi reali di povertà ”.
( da”il Redattore Sociale”)
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Luglio 4th, 2012 Riccardo Fucile
A MILANO 1.200 RIFUGI IN LEGNO NEI PARCHI PER UTILIZZARE I PEDRATORI NELLA LOTTA AGLI INSETTI CHE CON L’ARRIVO DEL GRANDE CALDO INVADONO LA CITTA’
Si chiama lotta biointegrata. Ovvero, il pipistrello che mangia la zanzara.
Milano prova a lanciare quest’arma finale nelle notti d’estate.
Ecco il bat-box nei parchi: da questa estate verranno posati 1.200 rifugi in legno per pipistrelli nei giardini della città .
E i primi 400 predatori saranno collocati presto in centro ma anche nelle zone 6 e 7. Non del tutto un inedito, il chirottero giustiziere.
Era il 1999 quando l’allora assessore all’Ambiente della giunta Albertini, Domenico Zampaglione, promise la stessa strategia di lotta: il pipistrello come sterminatore di insetti.
L’idea allora non decollò, alla fine non se ne fece niente. Ma lui, Zampaglione, si guadagnò così il soprannome di Bat-assessore.
Se ne tornò a parlare nel 2010, dopo che alcuni Comuni, tra cui anche Saronno, si convertirono alla lotta alle zanzare tramite un riequilibrio naturale che tanto piace agli ambientalisti contrari a forme di guerriglia più chimiche.
Ma anche qui nulla di fatto.
Stavolta il Comune sembra crederci di più: il progetto verrà presentato alla cascina Caldera nel Parco della Cave, presente anche l’esperto del settore Politiche ambientali di Palazzo Marino, Giancarlo Nostrini.
Con l’attuale titolare del settore Ambiente, Piefrancesco Maran, a mettere il sigillo sull’iniziativa dei propri uffici.
«La prima fase è sperimentale – sottolinea Palazzo Marino in una nota – sono state prescelte alcune aree verdi di Milano situate in luoghi non particolarmente rumorosi, dove i pipistrelli possono trovare quindi un habitat favorevole».
La novità si accompagnerà ai tradizionali interventi di lotta contro le zanzare.
Resta da capire però come e con quali lusinghe si convinceranno i predatori a restare in città per guadagnarsi il ruolo di zampirone volante, gratuito e naturale al 100 per cento.
Ilaria Carra
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Luglio 4th, 2012 Riccardo Fucile
SECONDO I PM TUTTA LA SUA CARRIERA E’ STATA FAVORITA DALLA MAFIA, RAMO PROVENZANO, E LEGATA A QUELLA DI TOTO’ CUFFARO
Un patto politico elettorale mafioso avrebbe garantito l’ascesa di Saverio Romano, deputato del Pid ed ex ministro delle politiche agricole del premier Silvio Berlusconi. È quanto sostenuto nella lunga requisitoria del pm Nino Di Matteo, che ha chiesto la condanna dell’esponente del Pid a otto anni di carcere.
Romano è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e ha scelto di essere processato con il rito abbreviato.
Davanti al gup Ferdinando Sistito l’accusa — rappresentata in aula oltre che da Di Matteo anche dal procuratore aggiunto Ignazio De Francisci — ha passato in rassegna tutte gli elementi probatori che dimostrerebbero un patto politico elettorale siglato tra Romano e la parte predominante di Cosa Nostra, quella che faceva capo al boss Bernardo Provenzano.
Il pm Di Matteo ha paragonato a più riprese la condotta di Romano a quella di Salvatore Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia attualmente detenuto nel carcere di Rebibbia, dove sta scontando sette anni di carcere per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra.
“Cuffaro e Romano — ha spiegato Di Matteo- hanno condiviso le stesse clientele mafiose. Esiste un patto tra politica e mafia, un patto già accertato dalle sentenze definitive che condannano Cuffaro; un patto a cui ha partecipato anche attivamente lo stesso Romano”.
Quel patto politico mafioso avrebbe avuto la sua origine nel 1991 quando l’allora ventisettenne Saverio Romano si recò insieme a Cuffaro a casa di Angelo Siino, pilota amatoriale di rally e “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra, fautore dell’infiltrazione mafiosa nel sistema degli appalti regionali.
“Romano e Cuffaro — ha detto il pm — sapevano benissimo che peso avesse Siino dentro Cosa Nostra: in un primo momento Romano volle incontrarlo per chiedergli di tenere in considerazione nel sistema degli appalti anche gli imprenditori di Belmonte Mezzagno, suo paese d’origine. Poi all’incontro partecipò anche Cuffaro e l’oggetto del colloquio diventò quindi la richiesta di sostegno elettorale per le consultazioni regionali del 1991, in cui lo stesso Cuffaro era candidato”.
A sostegno della sua tesi il pm ha citato più volte le dichiarazioni dello stesso Siino, che oggi è un collaboratore di giustizia.
Il patto con Cosa Nostra, secondo la ricostruzione della procura, sarebbe poi continuato negli anni successivi raggiungendo il suo apice nel 2001, anno in cui Romano venne eletto per la prima volta alla Camera dei deputati e Cuffaro stravinse le consultazioni regionali diventando presidente della Sicilia.
Un exploit che sarebbe dovuto soprattutto al sostegno massiccio offerto da Cosa Nostra ai due politici cresciuti alla corte di Calogero Mannino.
E che sarebbe dimostrato dalla scelta di candidare a quelle elezioni regionali soggetti che facevano riferimento diretto a boss di Cosa Nostra: Domenico Miceli e Giuseppe Acanto.
“La candidatura di Miceli e di Acanto — ha rivelato Di Matteo — è una delle rate che Romano e Cuffaro devono pagare per mantenere i patti con Cosa Nostra. Miceli infatti rappresenta gli interessi del boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, uno che già all’epoca era stato condannato per mafia. La candidatura di Acanto viene invece chiesta dalla famiglia mafiosa di Villabate e dal boss Nino Mandalà : del resto sappiamo che quando Acanto arrivò all’Assemblea regionale una parte del suo stipendio da deputato regionale finiva a Mandalà , come riconoscimento per l’aiuto elettorale ricevuto”.
Il medico Domenico Miceli, ex assessore alla sanità del comune di Palermo, era considerato il delfino di Cuffaro, prima che la sua voce finisse registrata dalle microspie nascoste a casa di Guttadauro.
Una parte importante della requisitoria dell’accusa è stata dedicata alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Primo tra tutti Francesco Campanella, già presidente del consiglio comunale di Villabate poi condannato per mafia. Campanella, esponente dell’Udeur di Clemente Mastella, ha raccontato ai magistrati di un pranzo avvenuto a Roma a Campo de’ Fiori nel 2001, in compagnia di Franco Bruno, allora capo di gabinetto del sottosegretario alla giustizia Marianna Li Calzi, di Cuffaro e dello stesso Romano.
“Franco Bruno — si legge nel verbale di Campanella – conosceva perfettamente il mio cattivo rapporto con l’onorevole Romano, e scherzando a tavola disse: Saverio, tu sei candidato nel collegio di Bagheria dove c’è anche Villabate, ma lo sai che Francesco non ti vota, perchè voterà per il centrosinistra? Stizzito Romano si alzò e pronunciò una frase che mi resterà sempre impressa: No, Francesco mi vota, perchè siamo della stessa famiglia. E poi girato verso di me aggiunse: scinni a Villabate e t’informi. Franco Bruno poi mi disse: è un pazzo che dice ‘ste cose con un magistrato in giro. Tornato poi a Villabate affrontai l’argomento, proprio come lui mi aveva chiesto in quella battuta, con Mandalà , il quale mi confermò che Saverio Romano era stato indicato dalla famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno”.
Per l’accusa le dichiarazioni di Campanella troverebbero pieno riscontro in quelle dell’altro pentito Stefano Lo Verso, per anni vivandiere di Provenzano. “Nicola Mandalà — ha raccontato ai magistrati Lo Verso — mi disse che per la politica non avevamo problemi: abbiamo l’amico e socio di mio padre, Renato Schifani, abbiamo nelle mani Dell’Utri e al centro abbiamo Cuffaro e il paesano di mio padrino Ciccio (il boss di Belmonte Mezzagno Pastoia nda), Saverio Romano”.
E nei verbali del pentito Giacomo Greco, pure lui originario di Belmonte Mezzagno, si legge che lo stesso Provenzano “aveva interesse” nell’elezione di Romano.
L’ex ministro ha ascoltato impassibile tutta la requisitoria dell’accusa e alla fine dell’udienza è andato via senza voler rilasciare alcuna dichiarazione.
Adesso la palla passa ai suoi legali, gli avvocati Raffaele Bonsignore e Franco Inzerillo, che inizieranno l’arringa difensiva il 6 luglio. Per il 17 è invece attesa la sentenza del gup.
Giuseppe Pipitone
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 4th, 2012 Riccardo Fucile
“ANCHE CASINI LA PENSA ESATTAMENTE COME ME” … “NEL 2013 RIPARTIREMO DAL LAVORO DI MONTI”
Coerenza, Per il presidente della Camera è impensabile un’alleanza con i partiti che hanno contrastato l’azione del governo Monti, anche perchè il «risanamento non è finito»
Monti è al sicuro, presidente Fini, o c’è chi ancora spera di votare a ottobre?
«Elezioni in autunno causerebbero all’Italia danni inimmaginabili. E per quanti irresponsabili possano esserci in giro, escludo che vogliano spingersi a tanto. Semmai vedo un altro rischio. Che l’ultimo scorcio di legislatura, anzichè spingere Pd e Pdl a sostenere il governo, li renda sempre più interessati a piantare bandierine qua e là … Mi auguro che sappiano resistere alla tentazione».
Dovrebbero votare i tagli di spesa senza fiatare?
«No, anzi io credo che le parti sociali e i gruppi politici abbiano ragione quando invitano Monti, il quale ne è ben consapevole, a varare il decreto della spending review dopo un sia pur minimo confronto preventivo. A patto che questo confronto non diventi, si capisce, una telenovela».
I tagli al pubblico impiego si preannunciano sanguinosi…
«Intervenire sul numero dei dipendenti si può, anzi si deve. Sempre ricordandoci dove possiamo ottenere i veri risparmi. Qui parlano chiaro i dati di bilancio. Quelli del 2011 dicono che, solo per acquisti di beni e servizi della pubblica amministrazione, sono stati spesi 140 miliardi di euro».
Una montagna.
«Cresciuta negli ultimi 5 anni del 17 per cento per quanto riguarda la spesa dei ministeri, del 23 per quella dei comuni, del 37 per le regioni e addirittura del 50 per cento nella sanità ».
Quindi sarebbe sbagliato concentrare i tagli sul numero dei dipendenti…
«Incominciamo col risparmiare sui beni e servizi. A quel punto molti timori sul pubblico impiego e sui tagli al sociale sarebbero ridimensionati».
Al posto di Monti, che altro farebbe?
«Poichè l’Imu è una sorta di patrimoniale, prenderei in considerazione l’ipotesi di detrarla dalla dichiarazione dei redditi».
Che può fare di buono il Parlamento di qui alla primavera 2013?
«Deve occuparsi di riforme. A cominciare da quella, ineludibile, del sistema elettorale. Se vogliamo davvero rilegittimare il ceto politico, non si può fare a meno di restituire intera ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Quindi meglio collegi maggioritari dove venga eletto chi arriva primo, e perfino i leader dei partiti corrano il rischio di restare fuori».
Alfano vi sfida ad approvare il semi-presidenzialismo con doppio turno. Accetta il guanto?
«Da 30 anni sostengo il modello francese, e non ho certo cambiato idea. Però questo baratto con cui Lega e Pdl stanno ipotizzando un’elezione diretta del Presidente in cambio del Senato federale, sembra solo un’operazione propagandistica e Fli ha contribuito a bocciarla. Bene fa Napolitano a ricordare che queste riforme debbono essere largamente condivise. Già nel 2006 la riforma costituzionale del centrodestra venne bocciata al referendum confermativo per il mancato appoggio della sinistra. E referendum ci sarà pure stavolta».
Torniamo alla legge elettorale.
«Deve garantire stabilità . La sera in cui si apriranno le urne il mondo vorrà sapere chi governerà questo paese. Non possiamo permetterci situazioni di tipo greco. Già ora, all’estero si chiedono: dopo Monti, che succederà in Italia?».
Ecco: che succederà dopo Monti?
«C’è grande incognita. Io mi auguro che venga superata con la nuova legge elettorale e con alleanze che nascano dai programmi, dalle cose da fare. Andrebbe evitato invece il teatrino delle coalizioni “contro” qualcuno e non “per” qualcosa, dove viene dimenticato o si considera ininfluente tutto quello che il governo e la maggioranza hanno fatto per senso di responsabilità . Lei lo vede Bersani che tiene un comizio con Di Pietro o con Vendola, senza poter dire una parola su mercato del lavoro, pensioni, tagli alla spesa e su tutto il complesso delle riforme perchè gli altri due sarebbero in disaccordo?».
Su Vendola, l’Udc aveva dato segnali di apertura…
«Credo che Casini la pensi esattamente come me. Identica difficoltà avrebbe Alfano se si trovasse Maroni a fianco: fino al giorno prima su fronti opposti, e il giorno dopo come se nulla fosse insieme…».
Il Polo che lei e Casini interpretate, con chi conta di stringere alleanze?
«Anzitutto con le personalità , le associazioni, le liste che nascono dalla società civile e anche alle ultime Amministrative hanno dimostrato di non essere un fenomeno passeggero».
Okay. Ma tra i partiti tradizionali, quali possono essere i vostri potenziali partner?
«Quelli che si collocano entro il perimetro rappresentato dalla maggioranza attuale. Non possono essere la Lega, la Destra di Storace, l’Italia dei Valori e Sel per il semplice motivo che l’azione di risanamento e sviluppo avviata da Monti non potrà certo ritenersi conclusa alle prossime elezioni. Anzi, di lì dovrà ripartire».
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Luglio 4th, 2012 Riccardo Fucile
PER GLI UFFICI DI PRESIDENZA DEL CONSIGLIO PREVISTA SOLO UNA RIDUZIONE DI 5 MILIONI NEL 2012 E 10 PER IL 2013 A FRONTE DI UN FONDO CHE CON BERLUSCONI LIEVITO’ IN ANNO DA 363 A 616 MILIONI
C’è un’unica voce, nella bozza circolata ieri sulla spending review, che riguarda direttamente Palazzo Chigi.
È la diminuzione, di 5 milioni nel 2012 e di 10 per il 2013 del “fondo di funzionamento” della Presidenza del Consiglio.
Una miseria se pensiamo che, quando al governo c’erano i Berlusconi, i Brunetta e le Brambille, quel fondo lievitò in un solo anno da una previsione di 363 milioni di euro a un consolidato quasi doppio di 616.
Per “pesare” la misura basti pensare che solo sul capitolo “auto blu” il palazzo di governo segna in un anno la cifra di 9 milioni di euro, e nulla è cambiato nemmeno con le “severe” norme varate da Brunetta.
Come prima, infatti, i capi dipartimento della Presidenza dispongono di due autisti dedicati e di una macchina.
L’unica differenza formale è che l’auto è in capo al dipartimento e non più al dirigente.
È per l’appunto una formalità .
Oggi come allora infatti , quell’automobile serve che è a capo del dipartimento.
Non è l’unica anomalia di una macchina che non riesce a riformare se stessa.
Bruno Stramaccioni, sindacalista Usb a Palazzo Chigi, ne cita diverse altre: “Hanno esternalizzato i servizi informatici. Sa quanto costano? Undici milioni di euro nel triennio. Hanno azzerato un comparto che funzionava, con professionalità che si erano formate con anni di lavoro, per fare cosa? Per darlo alla Selex?”.
Il problema delle auto blu, poi, è strettamente connesso alla presenza di forze di polizia all’interno del Palazzo.
All’ultimo censimento ce n’erano oltre 500 sui circa 4100 impiegati della Presidenza. “Tra questi 259 — spiega Stramaccioni — scadevano al 30 giugno. A quella data sarebbero dovuti tornare nelle loro amministrazioni di provenienza: polizia, gdf, penitenziaria. Il dipartimento invece ha chiesto la proroga per tutti. Resteranno qui: a guidare le auto, a vigilare sull’ufficio passi, ma anche a stare negli uffici, cosa che non dovrebbero poter fare”.
Pazienza. Tutto resta immobile nei corridoi del Palazzo.
Ricordate la struttura di missione per i 150 anni dell’Unità d’Italia? A un anno dalla sua scadenza naturale, è ancora lì.
A guidarla è sempre Giancarlo Bravi, pensionato da diversi anni, rimasto in Presidenza con una consulenza.
Anche questa struttura di missione dovrebbe andare a scadenza, ma pare già pronta la soluzione: verrà trasformata in una struttura di missione per gli Eventi. Niente taglio.
A fronte di spese che continuano ad essere fuori controllo, di dirigenti arrivati per diretta collaborazione di politici, e poi rimasti, senza nè arte nè parte, nei posti direttivi dell’amministrazione di governo (o anche a non far niente), tra i dipendenti serpeggia il malumore.
“Vogliono mandare a casa il 10% dei dipendenti della pubblica amministrazione? Inizino da questi raccomandati che ricoprono posti di responsabilità senza aver sostenuto concorsi e senza titoli adeguati”.
Nei meandri di questa amministrazione pietrificata ci sono anche due curiosità .
La prima: Mario Monti non ha compiuto nessun atto formale per rinunciare al proprio compenso (ovviamente non l’ha ritirato e non lo farà , ma non c’è nessuna regola perchè non lo faccia in futuro).
La seconda: il ministro Moavero non ha dato i propri ferimenti bancari all’ufficio del personale. È lì da mesi ma non sanno come pagarlo.
Eduardo Di Blasi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: governo, Monti, sprechi | Commenta »