Luglio 7th, 2012 Riccardo Fucile
DALLA A ALLA ZETA: ORA BUROCRAZIA E RICORSI NON FERMINO LE MISURE
AUTO BLU
Finora si era andati avanti solo con i censimenti. Le auto blu si contavano, ma di tagli reali, pochi o niente. Questa volta la sforbiciata del 50% per acquisto, manutenzione e noleggi di autovetture prevista si applica anche ai buoni taxi.
Sulla carta, un passo avanti netto. Ma per fare i conti finali occorre aspettare.
BENI CULTURALI
Rispetto al nulla del decreto Sviluppo, la spending review prevede un intervento nel settore dei beni culturali. È la soppressione di Arcus, creata nel 2004 per distribuire fondi pubblici a pioggia con criteri assai discutibili mentre siti archeologici importantissimi non vedevano un euro. Bene.
Purchè non vengano tagliati ancora, oltre al carrozzone, anche gli investimenti nel settore. Certo, visto che per la prima volta si punta a tagliare i dipendenti pubblici in eccesso si poteva osare di più: almeno introducendo maggiore flessibilità nell’orario di apertura dei musei.
CONSULENZE
Il divieto di dare consulenze a dirigenti pubblici appena andati in pensione, per quanto in certi casi specifici possa avere un senso, era stato già introdotto a Palazzo Chigi.
Ora dovrebbe essere generalizzato.
La pratica, anche in società statali, è diffusissima. Troppo. Recentemente si era vista proprio alla direzione generale di Arcus.
Resta da chiedersi perchè si sia atteso tanto. In ogni caso meglio tardi che mai.
DIPENDENTI PUBBLICI
L’eliminazione delle consulenze ai pensionati dovrebbe contribuire alla realizzazione di una delle misure centrali della spending review : la riduzione del 10% del numero dei dipendenti pubblici.
Taglio che dovrebbe salire al 20% per i dirigenti e che dovrebbe riguardare tutti gli apparati dello Stato. Una sfida coraggiosa.
Dal comunicato di Palazzo Chigi sembra di capire tuttavia che le amministrazioni periferiche, come le Regioni (dove ci sono le eccedenze di personale maggiori) sono escluse. Ahi ahi… Conoscendo certi governi locali c’è da toccar ferro. Ma lì purtroppo, senza un ritocco costituzionale, il governo ha le mani legate.
ENTI INUTILI
Il decreto stabilisce la soppressione dell’Isvap e della Covip: era ora.
Anche se, dopo aver fatto trenta, si poteva fare trentuno.
Per esempio, affidare compiti degli organismi cancellati alla Banca d’Italia, che dispone in abbondanza di personale ben preparato, invece che a un ente nuovo di zecca (l’Ivarp).
Giusta anche la chiusura dell’Ente per il Microcredito, dell’associazione Luzzatti e della Fondazione Valore Italia. Difficile tuttavia non ricordare com’è andata a finire tutte le altre volte in cui si è decisa la soppressione di enti inutili.
Come diceva Nino Manfredi: « Fusse che fusse la vorta bbona… »
FORNITURE
Le pubbliche amministrazioni spendono ogni anno 140 miliardi per acquistare beni e servizi. L’esperienza insegna che se tutti comprassero servendosi della Consip, creata apposta per gestire in modo centralizzato le forniture pubbliche, si risparmierebbe almeno il 20%.
Con la spending review si fissa ora il principio generale che gli acquisti vadano effettuati in questo modo, salvo che non si riescano a ottenere condizioni migliori.
Interessante la norma secondo cui per alcune forniture particolari, come elettricità , telefonia e carburanti, è obbligatorio servirsi della Consip oppure delle centrali di committenza regionali: chi non segue la regola rischia l’illecito disciplinare.
Sperando che, in un Paese dove nessuno viene chiamato a rispondere delle proprie azioni, alle minacce seguano, contro i «furbetti dell’acquistino», azioni concrete.
GIUSTIZIA
Scuola, università e ricerca si sono salvate: pare che ci abbia messo una buona parola Giorgio Napolitano.
Destino diverso toccherà alle strutture giudiziarie. Trentasette tribunali (su 165) e trentotto procure spariranno.
Con loro, 220 sezioni distaccate di uffici giudiziari e centinaia di giudici di pace.
Furibondi i sindacati: «Pagano sempre i cittadini, mai i poteri forti». Sarà .
Ma la sproporzione abissale tra il sovraccarico di personale di certi tribunali rispetto alle carenze drammatiche di altri gridava vendetta al cielo.
Un solo esempio: tempo fa la dotazione di giudici a Mistretta era non solo sette volte superiore a quella di Vicenza, ma tripla perfino rispetto a realtà calde come Brindisi o incandescenti come Santa Maria Capua a Vetere.
Non sarà forse «una svolta epocale» come sostiene Paola Severino, ma una riorganizzazione, come dimostrano decine di inchieste giornalistiche, era indispensabile.
HOUSE
Dal primo gennaio del 2014 le amministrazioni pubbliche potranno dare affidamenti diretti alle società cosiddette « in house », cioè a controllo totalitario, esclusivamente se il valore di ogni singolo servizio è inferiore a 200 mila euro. Vigilare sui frazionamenti.
IVA
Come sarà sciolto il mistero dell’aumento dell’Iva?
Il comunicato del governo afferma che la spending review consentirà di evitare l’aumento di due punti dell’Iva per gli ultimi tre mesi del 2012 e per il primo semestre del 2013.
Significa che comunque l’Iva salirà di altri due punti da luglio 2013, per scendere poi di un punto dall’inizio del 2014? Incomprensibile. Boh…
LOCAZIONI
Pare che nemmeno il ministro Piero Giarda sia venuto a capo di un rebus: quanto spendono le pubbliche amministrazioni per affitti di uffici e locali?
A scanso di equivoci, è previsto che vengano rinegoziati i canoni, per risparmiare almeno il 15%.
E che poi si faccia una ricognizione degli immobili demaniali che possono essere usati per gli uffici pubblici. Finalmente!
Purchè anche la Consip risolva il suo contratto. Il soggetto che ci deve far risparmiare paga infatti per la sua sede un affitto di 2,3 milioni l’anno al netto dell’Iva: 638 euro al metro quadrato.
Più caro della carissima pigione che la Camera paga per i palazzi Marini.
MEDICINE
Aumenterà lo sconto obbligatorio per i farmaci forniti al Servizio sanitario nazionale. Bene!
Lo sfondamento della spesa farmaceutica sarà anche a carico dei fornitori. Bravi!
Gli importi e i volumi di fornitura dei dispositivi medici saranno ridotti. Bis!
Purchè si metta mano al più presto al problema posto della caccia ai pazienti da parte di studi e associazioni che hanno scoperto l’affarone delle denunce contro ortopedici, chirurghi, otorini e così via.
I quali, costretti a difendersi, in mancanza di una legge chiara, ricorrono ad assicurazioni sempre più care e prescrivono analisi e farmaci e controlli anche superflui per evitare al massimo i rischi.
Una «medicina preventiva» che costa, secondo certi calcoli, 12,6 miliardi l’anno, cioè l’11,8% dell’intera spesa sanitaria.
NOMINE
Chi glielo spiega adesso ai politici trombati che le poltrone sono sempre meno?
C’è una regola che fissa a un massimo di tre i posti nei consigli di amministrazione delle società a totale partecipazione pubblica. Non solo.
Due su tre devono essere dipendenti pubblici.
Uno solo potrà essere esterno, col doppio incarico di presidente e amministratore delegato. Le società statali in questa situazione (per esempio il Poligrafico dello Stato) non sono molte. Speriamo soltanto che sia d’esempio per le migliaia di aziende controllate dagli enti locali. E più ancora nelle regioni a statuto speciale. Dove l’andazzo va avanti come prima, quasi che la crisi riguardasse solo il resto del Paese.
OSPEDALI
Alla fine l’hanno avuta vinta: gli ospedali con meno di 120 posti letto evitano la chiusura anche stavolta. Un film già visto.
Qualunque cosa riguardi le Regioni non si può toccare: pena il rischio di un ricorso (perso in partenza, ovvio), alla Consulta.
Se poi c’è di mezzo la sanità , che fa girare ogni anno 110 miliardi, lasciando qua e là spazi enormi alle clientele, apriti cielo!
Diciamolo: il governo era frenato in partenza da questi lacci e lacciuoli iper-autonomisti.
Ma diciamo la verità : o si modificano queste competenze, o non si farà mai un passo avanti.
PROVINCE
L’accorpamento delle Province, anzichè l’abolizione pura e semplice, era stato studiato proprio per evitare rogne davanti alla Corte costituzionale.
Ma il progetto della Funzione pubblica ha rischiato di fare la stessa ingloriosa fine della proposta avanzata la scorsa estate da Roberto Calderoli ed evaporata miseramente in poche ore. Il governo si è salvato in corner con l’impegno di predisporre un provvedimento ad hoc nel giro di venti giorni. Vedremo.
Intanto, a quanto pare, è saltato uno dei tre parametri fissati per lasciare in vita una provincia: avere nel proprio territorio almeno cinquanta Comuni. Non è un bel segnale.
QUASI PENSIONATI
I risparmi della spending review , dice la presidenza del Consiglio, faranno tirare un sospiro di sollievo ad altri 55 mila dei famosi «esodati».
Che potranno così andare anche loro in pensione. Una conferma ulteriore che i lavoratori rimasti nel Limbo, senza stipendio nè assegno di previdenza, erano molti più di 65 mila.
Altre sorprese in arrivo?
RICOSTRUZIONE
Monti ha promesso che grazie alla revisione della spesa ci saranno due miliardi in due anni per riparare i danni del terremoto.
Era il minimo del minimo, per i cittadini dell’Emilia Romagna.
Resta il tema: a quando un serio programma di prevenzione?
SPESE MILITARI
«Le Forze armate ridurranno il totale generale degli organici in misura non inferiore del 10%». Un sacrificio inferiore al resto della pubblica amministrazione.
Tutto qua? E gli stanziamenti per gli armamenti? E i privilegi ingiustificati degli alti gradi militari? Ci si può accontentare dell’«accelerazione della procedura di vendita degli alloggi di servizio di proprietà del ministero della Difesa»?
TAGLI
Tagli, sempre tagli, fortissimamente tagli. La spending review prevede anche un giro di vite, com’era intuibile, ai trasferimenti dal centro alla periferia. Giusto.
Dal prossimo anno le Regioni ordinarie rinunceranno a un miliardo. La crisi è crisi.
Le Province, a un altro miliardo. La crisi è crisi.
Ai Comuni, invece, toglieranno due miliardi: e qui, però, la rasoiata rischia di essere tremenda.
Pagano sempre gli enti locali più vicini ai cittadini, e i sindaci spesso si devono far carico di tutti i problemi.
Come lo spiegheranno quegli amministratori, ai loro amministrati, che devono tagliare altri servizi mentre alcuni pezzi dello Stato subiscono appena appena una spuntatina?
UFFICI
Agli impiegati pubblici toccherà stringersi. Non avranno a disposizione che fra 12 e 20 metri quadrati per addetto.
Riduzione degli spazi, riorganizzazione delle strutture, interventi di manutenzione più razionali: il tutto per risparmiare un bel po’ di quattrini. Perfetto.
Ciò che capiamo meno è perchè «una parte degli avanzi di gestione (cioè dei risparmi, ndr ) dell’Agenzia del Demanio» dovrà essere destinata «all’acquisto di immobili per soddisfare le esigenze allocative delle amministrazioni dello Stato».
Fateci capire: sono troppi o troppo pochi, i possedimenti immobiliari pubblici?
VALORIZZAZIONE
Parola che non può mai mancare. Qui c’è due volte: per dire che saranno rese «più efficaci» le disposizioni per «la valorizzazione» a fini economici di immobili pubblici e che pure le società immobiliari pubbliche che hanno come scopo «la gestione e valorizzazione» del mattone di Stato beneficeranno di un trattamento fiscale «di favore».
Dopo tutte le fesserie fatte con la scusa di «valorizzare» i nostri beni è obbligatorio vederci chiaro.
ZAVORRA
Una spending review che si rispetti non può che concludersi con un auspicio. Che la zavorra non la blocchi. Che le misure di buon senso (ce ne sono, e benvenute) non finiscano per impantanarsi in ricorsi al Tar o al Consiglio di Stato.
Che la burocrazia statale, mai così potente quando sono in discussione le sue prerogative e i suoi privilegi, rinunci per una volta a gettare sabbia negli ingranaggi.
Perchè, anche se qualcuno ancora non se n’è reso conto, siamo tutti sulla stessa barca.
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 7th, 2012 Riccardo Fucile
PD E PDL RESTANO DIVISI SUL NODO DEL PREMIO DI MAGGIORANZA… BERLUSCONI PUNTA A UN RUOLO DETERMINANTE
Se si fa, non si dice. Perciò è scontato che nel Pdl e (soprattutto) nel Pd venga fermamente smentita l’ipotesi di lavorare a una grande coalizione per il 2013.
D’altronde non avrebbe senso parlarne prima delle elezioni, sarebbe come invalidare anzitempo la partita.
Ma la prospettiva che il montismo succeda a Mario Monti non è sfumata, anzi.
Più va avanti l’esperienza del governo tecnico, più aumentano le probabilità che la «strana maggioranza» possa ricostituirsi in Parlamento dopo la contesa nelle urne.
Al momento non ci sono prove ma solo indizi, ed è attraverso l’analisi delle trattative sulla legge elettorale che si possono raccogliere degli elementi.
Ecco perchè è importante la mediazione in corso tra Pdl, Pd e Udc sulla riforma del sistema di voto: la tattica che stanno adottando disvela infatti dettagli sulla loro strategia politica.
Lo stallo di questi giorni non inganni, è tipico di una vertenza che sta arrivando a conclusione, tanto che gli sherpa impegneranno il weekend per lavorarci sopra.
Altrimenti i leader dei tre partiti non si direbbero convinti di poter raggiungere un’intesa già la prossima settimana, Alfano non la metterebbe in conto, Bersani non sosterrebbe che «ormai dovremmo esserci», e Cesa non si farebbe scappare di essere «molto ottimista».
Non c’è dubbio che i nodi ancora da sciogliere sono determinanti per disegnare il futuro sistema politico, ed è proprio dietro quei nodi che si può scorgere l’ombra della grande coalizione.
Il braccio di ferro sul premio di maggioranza ne è l’emblema.
C’è un motivo se il Pd preferirebbe assegnarlo alla coalizione vincente, mentre Pdl e Udc vorrebbero affidarlo al partito vincente.
Ed è chiaro come mai Bersani spinga per un premio comunque alto (15%), mentre Alfano e Casini puntino a tenerlo basso (10%).
«Il 15% per noi è inaccettabile, Pier Luigi», ha detto il segretario del Pdl al capo dei democrat durante il loro ultimo colloquio.
«Abbassando la soglia, si prefigura l’instabilità », è stata la risposta: «E tu, Angelino, dovresti convenire che sarebbe meglio puntare sulle coalizioni e non sui partiti. Perchè se non si organizzano i due campi in contesa e andiamo in ordine sparso, Grillo potrebbe spazzarci via tutti».
Ecco spiegata l’importanza della discussione «tecnica» sul premio di maggioranza, che disegna gli scenari «politici» del dopo-voto e lascia intuire il cambio di strategia in corsa del Pdl.
A dire il vero non è la prima volta che Bersani – dopo aver incontrato Alfano – ha pensato di aver chiuso il patto, rimesso poi in discussione da un vertice a palazzo Grazioli.
L’opzione delle preferenze, per esempio, sembrava ormai abbandonata.
E invece il Pdl ha preso a spalleggiare l’Udc, convinto – come ha spiegato Casini – che «i candidati nei collegi danno l’idea di persone paracadutate sul territorio, mentre le preferenze consentono di contrastare meglio il grillismo».
«Con le preferenze – ha obiettato Bersani – aumenterebbero le spese elettorali, si aprirebbe un varco pericoloso, ci sarebbe il rischio del malaffare e ci ritroveremmo con le inchieste della magistratura».
Ma il cuore della trattativa è il premio di maggioranza.
È da lì che si intuisce come il «montismo berlusconiano» abbia preso piede.
Altro che elezioni anticipate, il Cavaliere vuole mantenere un ruolo determinante in un sistema dove nessuno prenda il sopravvento.
E la grande coalizione è lo strumento idoneo all’occorrenza. Di più, è Monti il suo asso nella manica nonostante le tensioni del Pdl con il governo.
Il rapporto riservato e preferenziale tra l’attuale premier e il suo predecessore sfugge ai riflettori e alle dinamiche di Palazzo.
E Berlusconi sarebbe pronto a sconfessare anche se stesso pur di non uscire dal centro del ring. Come ricorda il segretario del Pri, Nucara, «fu Berlusconi a indicare Monti come commissario europeo, a proporlo come governatore di Bankitalia, a tentarlo con il ministero dell’Economia, e soprattutto a lanciarlo come candidato al Quirinale prima che ci arrivasse Napolitano».
Puntando su Monti, inchioderebbe Casini e manderebbe gambe all’aria ogni manovra fin qui ipotizzata.
La grande coalizione insomma è più di una suggestione.
Ma per farla non bisogna dirla, e se del caso è necessario smentirla.
Perciò il Cavaliere fece finta di prendere le distanze dal progetto «Tutti per l’Italia» che Giuliano Ferrara lanciò mesi fa sul Foglio . Era troppo presto.
E ora che sul Giornale Vittorio Feltri evoca Indro Montanelli per scrivere che sarebbe meglio «turarsi il naso» e guidare «tutti insieme» il Paese, ecco comparire un altro indizio.
Perchè non c’è dubbio che il fondatore del Pdl sia tornato a dettare l’agenda del partito, bloccando le primarie, facendo mostra di essere un allenatore che si allena per rientrare in campo. «Io rappresento tutte le anime del partito», ha detto l’altra sera davanti al suo gruppo dirigente.
E la storia che una svolta grancoalizionista possa indurre l’area degli ex An ad abbandonare il Pdl, non sta in piedi.
Ci pensa La Russa a far giustizia delle voci circolate negli ultimi tempi: «Nessun tipo di riforma del sistema di voto su cui stiamo discutendo presuppone di per sè la grande coalizione. Certo, sarebbe per me e per molti di noi inaccettabile precostituire o addirittura dichiarare la grande coalizione come obiettivo. Se invece questa formula di governo venisse imposta per effetto del risultato elettorale, sarebbe un’altra cosa».
Più chiaro di così.
Il «montismo berlusconiano» è ben incardinato nel centrodestra, il presidente del Senato Schifani non manca occasione nei suoi colloqui di ripetere che «l’emergenza dettata dalla crisi non cesserà purtroppo il giorno dopo le elezioni».
L’idea della grande coalizione nel Pdl si alimenta anche dei segnali che giungono dal campo avverso.
Pare che Berlusconi abbia letto più volte l’intervista rilasciata al Corriere da D’Alema e abbia avuto la sensazione che contenesse un messaggio subliminale.
Francesco Verderami
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 7th, 2012 Riccardo Fucile
ADOTTATE NORME CON PROFONDE INNOVAZIONI PER LA NUOVA LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE CON RIFERIMENTO ALLA LOTTA AL CAPORALATO… NORMA TRANSITORIA PER I DATORI DI LAVORO PER METTERSI IN REGOLA
Pene più severe per chi assume e sfrutta un immigrato irregolare.
Permesso di soggiorno per sei mesi allo straniero vittima di “grave sfruttamento” che denuncia il suo datore di lavoro.
Due norme che promettono di migliorare la vita dei migranti.
Ma è la terza, la norma transitoria, che annuncia di rivoluzionare il destino di molti: la sanatoria per chi mette in regola il dipendente extracomunitario, stipulando finalmente un contratto alla luce del sole.
E’ questo il risultato del decreto legislativo che il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva.
Via libera alla direttiva europea.
Il decreto approvato su proposta del ministro per gli Affari europei e del ministro del Lavoro, recepisce finalmente la normativa comunitaria in materia: la direttiva europea (2009/52/CE) sulle “norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”.
Nel nostro Paese impiegare chi non è in regola col permesso di soggiorno è già un reato previsto dalla legge Bossi-Fini e punito con l’arresto da tre mesi a un anno e una multa di cinquemila euro per ogni lavoratore impiegato.
Ora le pene si fanno più severe: sanzioni aumentate, in particolare, se i lavoratori occupati sono più di tre, se sono minori in età non lavorativa o se sono sottoposti a condizioni di “pericolo”.
Il permesso a chi denuncia.
Non solo: l’immigrato, vittima di casi di “grave sfruttamento”, che denuncia il suo datore di lavoro, potrà avere un permesso di soggiorno della durata di sei mesi, rinnovabili.
E ancora: il decreto nei fatti potrebbe dare il via libera a una piccola sanatoria.
Una norma transitoria permette, infatti, al datore di lavoro di “pentirsi” (entro una finestra temporale che si aprirà dopo la pubblicazione delle nuove norme) e denunciare i propri dipendenti irregolari.
Stipulando contratti di lavoro e, dunque, avviando anche in questo modo il processo di regolarizzazione.
La regolarizzazione.
l ministro Andrea Riccardi qualche mese fa, ha infatti espresso l’opinione che fosse necessario accompagnare l’applicazione delle nuove norme con una breve fase transitoria che preveda la possibilità di un “ravvedimento operoso” per il datore di lavoro, permettendo allo stesso di adeguarsi in tempi congrui alla nuova disciplina, previo pagamento di una somma, per evitare sanzioni più gravi.
Le Commissioni parlamentari della Camera (24 maggio 2012) e del Senato della Repubblica (4 e 5 giugno 2012) nel formulare il loro parere sullo schema di decreto legislativo hanno espresso a larga maggioranza la volontà di prevedere questa fase transitoria.
I tecnici dei Ministeri interessati stanno ora lavorando per ultimare i dettagli.
Si parla di una sanzione intorno ai 1.000 euro, oltre ai mancati pagamenti degli oneri fiscali, previdenziali ed assistenziali.
Vladimiro Polchi
(da “La Repubblica”)
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Luglio 7th, 2012 Riccardo Fucile
NEI CAMPI MEZZO MILIONE DI SCHIAVI AL LAVORO PER 20 EURO AL GIORNO
Schiavi e caporali. Datori di lavoro opachi e immigrati invisibili.
La nuova “legge Rosarno” mira a scoperchiare il mondo della clandestinità .
Due le armi: permesso di soggiorno a chi denuncia lo sfruttatore e regolarizzazione per il datore di lavoro che esce allo scoperto.
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MEZZO MILIONE DI INVISIBILI
Gli immigrati irregolari sono un esercito, anche se le loro fila si stanno sfoltendo.
Stando al XVII rapporto Ismu (Fondazione di studi sulla multietnicità ), al 1° gennaio 2011 non avevano un valido titolo di soggiorno 443mila stranieri, 11mila in meno rispetto al 1° gennaio 2010.
Dove vivono? «Per lo più al Nord Italia, ma la loro incidenza percentuale raggiunge il record al Sud spiega Alessio Menonna, ricercatore dell’Ismu – in base a un nostro studio di qualche anno fa gli irregolari sono il 53% del totale degli immigrati a Cosenza, il 46% a Foggia e il 45% a Vibo Valentia. Sono impiegati in nero nell’agricoltura, nell’edilizia, ma il vero bacino della clandestinità è stato il settore domestico. Almeno fino alla sanatoria 2009».
SANATORIE E CLIC DAY
Per la sanatoria colf e badanti 2009 è arrivata al Viminale una valanga di domande (295.112) e sono stati firmati 173.997 contratti.
Le nazionalità più rappresentate sono quella ucraina (37.211), seguita dalla marocchina (36.138), dalla moldava (25.685) e dalla cinese (21.633).
«In questo modo – prosegue Menonna – si sono sanati molti irregolari impegnati nel lavoro domestico. Con due limiti: sono stati regolarizzati spesso i casi meno gravi, di chi aveva un sia pur minimo reddito. E molti lavoratori domestici lo erano solo di facciata: in verità facevano tutt’altro, basta vedere gli alti numeri delle domande di cinesi».
Poi ad arginare in parte il fenomeno degli irregolari è arrivato il decreto flussi col clic day di gennaio 2011: a vincere un posto sono stati i più veloci, vista la scarsità delle quote in palio (86.580 nuovi ingressi).
L’IDENTIKIT DELL’IMMIGRATO IRREGOLARE
A fotografare l’opaco mondo degli invisibili è un’indagine condotta nel 2009 dall’economista Tito Boeri per la Fondazione Rodolfo Debenedetti.
Cosa ne emerge? Gli irregolari lavorano di più e guadagnano di meno rispetto a chi ha i documenti in regola.
Insomma, sono una risorsa per molti imprenditori privi di scrupoli.
Il 66% degli irregolari, infatti, ha un lavoro, nonostante sia privo di un titolo legale per rimanere in Italia.
È impiegato in nero e fa turni molto pesanti: l’80% non si ferma neppure il sabato, il 31,8% lavora di domenica e il 38% fa anche turni notturni (contro il 22% degli immigrati regolari). Lavorano tanto, ma guadagnano poco.
«Il 40% di chi non ha il permesso di soggiorno – spiega Boeri – guadagna meno di 5 euro l’ora, mentre fra i regolari la percentuale scende al 10%».
CAPORALI E SFRUTTATORI
Stando alla Flai-Cgil, oggi ci sono 400mila lavoratori che vivono sotto il giogo dei caporali e (secondo i sindacati) 60mila immigrati vivono ancora in condizioni di degrado simili a quelle riscontrare a Rosarno nei giorni della rivolta di due anni fa.
Gli sfruttati dell’agricoltura guadagnano (al netto della mazzetta al caporale) sui 20 euro per una giornata di lavoro.
Il contratto nazionale parla di 36,30 euro per sei ore e mezza di lavoro? Troppo.
Oggi un bracciante è fortunato quando prende 3,50 euro l’ora.
O meglio il padrone dà al caporale 3,50 euro l’ora per ogni operaio che gli porta e lui trattiene almeno 70 centesimi.
Nell’edilizia è invece di 200-300 euro al mese la “provvigione” che pretende il caporale.
Vladimiro Polchi
(da “La Repubblica”)
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Luglio 7th, 2012 Riccardo Fucile
L’INTERVISTA: “LA VERA SCOMESSA E’ IMPARARE A SPENDERE MEGLIO”
La lunga notte della spending review si fa ancora sentire ma il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha voglia di parlare e spiegare che sì, il taglio di 4,5 miliardi (non più 5) lo preoccupa ma che si è riusciti a farlo senza tagliare i servizi ai cittadini.
Che le Regioni potranno ricontrattare tutte le misure purchè i saldi restino invariati.
Che la riforma dei ticket fatta introducendo le nuove franchigie si deve fare per garantire maggiore equità .
Mettendo in chiaro che i 2 miliardi messi in cascina da Tremonti per il 2014 però dovranno arrivare.
E sugli ospedali assicura: abbiamo evitato pericolosi tagli con l’accetta ma gli ospedaletti inefficienti e i reparti sottoutilizzati dovranno essere chiusi.
E se non lo faranno le Regioni scatteranno i poteri sostitutivi.
E’ stata un battaglia difficile ?
«Ho letto di duelli all’arma bianca. Capisco che a voi giornalisti questo serve a far notizia ma in realtà c’è stato solo un confronto serio, che alla fine ha visto prevalere la ragionevolezza».
Però la Sanità lascia sul terreno 5 miliardi che si sommano agli 8 della manovra Tremonti delle scorso anno. Non è che a furia di grattare buchiamo il fondo del barile?
«Prima di tutto chiariamo che il taglio è di 4,5 miliardi e non 5,900 milioni il primo anno e poi 1,8 i successivi. Ma è chiaro che la sommatoria con le manovre precedenti ha creato una ragionevole preoccupazione».
E’ anche sua?
«Come ministro della Salute a contatto quotidiano con le realtà sanitarie regionali non posso che farmene carico. La Sanità è stata chiamata a contribuire per il 20% dell’intera operazione di revisione della spesa e abbiamo cercato di farlo senza intaccare direttamente i servizi offerti ai cittadini ma agendo con misure per spendere meglio. Certo, questo richiede alle diverse realtà regionali di cogliere una sfida comunque difficile. Ma sono convinto che il nostro sistema saprà vincerla».
Le Regioni però sono sul piede di guerra…
«A loro dico che la spending è solo il tassello di un percorso più complesso, che deve svilupparsi all’interno del nuovo Patto per la salute. Convocherò le Regioni a giorni e spiegherò che nel decreto c’è una clausola che consente di modificare le misure. Ma a saldi invariati perchè non possiamo promettere di investire risorse che non ci sono».
Presenterà anche la proposta del pagamento a franchigia che dovrebbe sostituire gli attuali ticket?
«Da parte di diverse regioni ho già riscontrato l’interesse ad approfondire quella che resta una proposta. Ma abbiamo il dovere di farlo perchè altrimenti dal 1° gennaio 2014 avremmo un aumento indiscriminato dei ticket per oltre 2 miliardi di euro, previsto dalla manovra del precedente governo. E questi si che manderebbero in tilt il sistema».
Ma dalle tasche dei cittadini sempre 2 miliardi in più dovranno arrivare…
«Il gettito deve essere quello. Non possiamo far finta di non avere vincoli finanziari. Ma un conto è varare un aumento indiscriminato di ticket che colpirebbero solo metà della popolazione non esente. Un altro è far pagare tutti ma meno e in rapporto alle condizioni di reddito e al nucleo familiare. E’ una questione di equità ».
Torniamo alla spending. Sulla chiusura dei piccoli ospedali ha vinto lei, no?
«Non ho vinto, ho solo fatto capire che non è il modo migliore di razionalizzare la rete ospedaliera chiudere gli ospedali da Roma con un taglio lineare sotto i 120 posti letto».
Eppure sotto quella linea di demarcazione si dice che gli ospedali siano anche pericolosi.
«No, perchè ci sono anche piccoli ospedali mono-specialistici che svolgono una funzione importate. Altri garantiscono il servizio in zone disagiate di montagna. Ci sono centri di medicina interna, per le cure oncologiche o l’assistenza geriatrica che hanno ragione di esistere se operano in rete col territorio. Tagliare con l’accetta non serve».
Allora tutto resterà come prima?
«No, perchè nel decreto c’è una clausola di salvaguardia dove si dice che le Regioni devono avviare una verifica sugli standard di qualità ed efficienza e poi chiudere chi non vi rientra».
E se non lo faranno?
«Scatteranno i poteri sostitutivi».
Ma ci sono anche grandi ospedali con reparti sottoutilizzati tenuti aperti solo per garantire il posto al primario mentre altrove le liste d’attesa esplodono…
«E’ vero, e il decreto interviene anche lì riducendo i posti letto al tasso di 3,7 ogni mille abitanti e non sarà un taglio lineare perchè c’è una clausola che prevede proprio la chiusura delle unità operative complesse sottoutilizzate».
Sull’industria farmaceutica siete andati giù pesanti. Non c’è il rischio di disinvestimenti?
«Alla fine si è inciso meno di quanto previsto. E poi nel decreto sanitario che sto mettendo a punto si daranno maggiori certezze sui tempi di autorizzazione alla commercializzazione dei nuovi medicinali e sulla tutela brevettuale. Tutte cose che compensano il sacrificio richiesto oggi».
Paolo Russo
(da “La Stampa”)
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Luglio 7th, 2012 Riccardo Fucile
IL BANCHIERE TEDESCO, EX VICEMINISTRO DELLE FINANZE: “C’E’ UNA SPACCATURA TRA NORD E SUD DELL’EUROPA”
Dal 34° piano dell’Eurotower la vista della “Mainhattan”, la skyline delle grandi banche affacciate sul Meno, è spettacolare.
Jà¶rg Asmussen ha l’aria rilassata, nonostante l’andirivieni continuo con Bruxelles, che per il membro tedesco del board della Bce è diventata una seconda casa.
Il successore di Jà¼rgen Stark è incaricato di seguire i dossier europei.
E in questa prima intervista a un quotidiano italiano il banchiere centrale tedesco racconta le nuove sfide per l’Europa, mette i primi, decisi paletti sulla futura vigilanza bancaria affidata all’Eurotower e sull’utilizzo dei fondi salva-Stati ma racconta anche cosa pensa di Mario Monti, della “politica dei piccoli passi” di Angela Merkel e dell’ipotesi che la Grecia o la Finlandia escano dall’euro.
È vero come sostenuto anche da molti giornali tedeschi, che Merkel è uscita sconfitta dal vertice Ue mentre c’è un vittorioso «fronte del sud» Monti-Rajoy?
«Quello che mi preoccupa è che c’è una spaccatura percepita tra Nord- e Sudeuropa. È sbagliato porre la questione su chi ha vinto e chi ha perso. Dobbiamo chiederci solo se ha vinto l’Europa. Questo modo di vedere le cose sta svanendo e questo mi preoccupa».
E l’Europa ha vinto?
«Credo che il Consiglio abbia preso delle decisioni importanti. Tra le altre cose ha anche approvato un ampio pacchetto per la crescita. Altrettanto rilevante è stata la lettera dei quattro Presidenti, Draghi, Barroso, Juncker e Van Rompuy alla vigilia del summit che si interroga su come continuare a costruire l’Europa. È stato un vertice importante ma ora tutto va velocemente tradotto nella realtà — non ci si può rilassare».
Il Consiglio Ue vorrebbe affidare alla Bce una funzione importante: la vigilanza europea sulle banche. È plausibile che sia pronta per fine anno? Se non lo fosse, come si farà a ricapitalizzare le banche spagnole, visto che la vigilanza è la premessa per il salvataggio diretto attraverso il fondo salva-Stati Esm?
«Per arrivare alla vigilanza bancaria europea, che ritengo senza dubbio importante come parte dell’unione finanziaria, bisognerà risolvere molte questioni pratiche. Il vertice Ue ha chiarito che la Commissione dovrà fare entro fine anno una proposta, basata sull’articolo 127.6 del Trattato, che cita esplicitamente la Bce. Ma l’attivazione può avvenire anche dopo. Penso dunque che la vigilanza europea sarà pienamente in funzione solo nel corso del 2013. Sino ad allora il governo spagnolo potrà attingere ai salva-Stati per ricapitalizzare le banche».
Ma questo significherebbe aggravare il debito pubblico della Spagna: sarebbe il governo a chiedere soldi al salva-Stati, non le banche.
«È vero, ma appena il nuovo meccanismo sarà efficace, il credito verrà trasferito. L’aumento del debito sarebbe temporaneo».
Secondo lei quando l’Esm interverrà sulle banche è giusto che ne acquisti il controllo?
«Penso che debba valere il vecchio principio che se uno mette a disposizione del capitale, deve anche avere il controllo. Deve sapere cosa accade con la banca. Il principio deve essere: se si chiedono soldi, si accetta il controllo».
Quanto deve essere estesa secondo lei la vigilanza bancaria? Deve comprendere anche le banche locali come ad esempio le Landesbanken?
«Siamo all’inizio di una discussione. Ma nel consiglio direttivo della Bce siamo unanimemente convinti che sia importante separare la politica monetaria, che deve restare indipendente, dalla vigilanza bancaria. Bisogna fare in modo che ciò sia garantito attraverso processi decisionali e organizzativi separati. Ed è importante che la vigilanza bancaria sia sottoposta ad un chiaro controllo democratico. Stiamo parlando di soldi dei contribuenti europei ed è giusto dunque che ci sia un controllo parlamentare».
Alcuni, come Finlandia e Paesi Bassi, si oppongono all’acquisto diretto di bond da parte dell’Esm. Secondo lei come deve funzionare?
«È già previsto che l’Efsf e l’Esm siano attivi sul mercato primario e secondario, non è una novità . Ma il funzionamento di entrambi è legato a delle condizionalità , sia sul versante dei conti pubblici sia su quello delle riforme strutturali. Ritengo che si tratti di un meccanismo corretto. Gli aiuti finanziari devono essere concessi in cambio di impegni. È un principio basilare. E il vertice non ha cambiato questo principio».
Non pensa che l’Esm avrebbe bisogno di una licenza bancaria per funzionare in modo credibile, per essere insomma un «frangifiamme» forte?
«Penso che l’Esm non dovrebbe avere una licenza bancaria e neanche accesso alla Bce. Si tratterebbe di finanziamento indiretto degli Stati ed è giustamente vietato dai Trattati. Sono assolutamente contrario. Quanto al capitale del salva-Stati: il sottinteso del dibattito sul “frangifiamme”, è sempre che quanto più alta è la dotazione, tanto più siamo al sicuro. È sbagliato. Il firewall è l’ultima risorsa. La migliore protezione contro il rischio contagio sono i conti pubblici e una politica economica solidi. Vale anche per l’Italia».
Ma non basta, evidentemente. Nonostante l’avanzo primario, i mercati continuano a bastonare i nostri rendimenti.
«Sono convinto che il governo Monti abbia fatto dei passi fondamentali. È vero, ha assicurato alle finanze pubbliche un avanzo primario — è molto importante — e ha approvato una riforma del lavoro. Ma il punto di partenza dell’Italia è complesso: ha il secondo debito più alto dell’Eurozona dopo la Grecia. Deve continuare a procedere sulla via delle riforme perchè ha un problema fondamentale con il potenziale di crescita che è estremamente basso. Secondo il parere unanime di Ocse, Fmi e Commissione europea, è attualmente vicino allo zero. Le riforme strutturali dovranno rispondere alla domanda: come può il l’Italia, che invecchia anche molto in fretta, crescere di nuovo? Dal lato dell’aggiustamento fiscale, ha fatto parecchio. Ma ora deve incrementare la propria produttività e chiedersi se può riconquistare le quote di mercato mondiale che ha perso».
Pensa che l’Italia avrà bisogno di chiedere aiuti alla Ue e al Fmi?
«Credo che l’Italia possa farcela da sola, ma se prosegue senza indugi sulla via delle riforme e se affronta seriamente il problema della crescita. Agire solo sul versante fiscale non basta. L’Italia deve crescere».
E allora perchè non promuovere gli eurobond?
«Anzitutto va specificato che ci sono diverse proposte sugli eurobond. Per me è chiaro tuttavia che qualsiasi forma di messa in comune dei debiti non può che stare alla fine del processo dell’unione fiscale, quando ci sarà stata una vera convergenza tra il monitoraggio e le responsabilità europee. Allo stato attuale la discussione sugli eurobond è prematura e fuori luogo, e infatti non c’è stata, al vertice».
A che punto siamo della crisi?
«Credo che siamo un bel pezzo avanti sulla via della stabilizzazione, ma non siamo fuori dal tunnel. Abbiamo dinanzi processi di risanamento che in molti paesi dureranno anni. Siamo sulla strada giusta ma non dobbiamo pensare che la crisi finirà domani».
Qual è secondo lei il contributo di Mario Monti ai rapporti in Europa, soprattutto dopo l’indebolimento dell’asse franco-tedesco?
«Mario Monti, per come l’ho conosciuto, ha sempre avuto una visione molto europeista. È stato commissario Ue per il Mercato interno in un momento importantissimo e gode di una grande credibilità fuori e dentro l’Italia. Ma penso che continui ad essere fondamentale che la Germania e la Francia cooperino in modo stretto».
Merkel è criticata spesso per la sua “politica dei piccoli passi” e perchè sembra spesso più preoccupata per le elezioni regionali che per il futuro dell’Europa.
«Non sono d’accordo. Merkel concilia ciò che è economicamente ragionevole con ciò che è politicamente possibile. e la Germania è un paese federale mentre l’Italia o la Francia sono molto più centralizzati. È normale che presti più attenzione alle elezioni dei Là¤nder. I cancellieri lo hanno sempre fatto».
La Grecia ce la farà a restare nell’euro? E se non fosse così, la sua uscita dalla moneta unica sarebbe ancora un rischio per l’Europa?
«Non sappiamo cosa succede se un Paese lascia l’unione monetaria. Sono sempre molto sorpreso dalla leggerezza con la quale giornalisti e studiosi discettano su questa eventualità . Io sarei molto cauto. Credo che sarebbe molto dannoso per la Grecia, politicamente ed economicamente, ma anche per il resto dell’Eurozona. Per entrambi. La Bce preferirebbe che la Grecia rimanesse nell’euro. Ma è anche importante che rispetti gli impegni presi. Il memorandum non è stato concepito per far piacere a Merkel o Monti o alla trojka. Con o senza salvataggio la Grecia avrebbe dovuto intraprendere un duro cammino di riforme, il suo debito pubblico non era sostenibile. La sua competitività si è molto indebolita, negli ultimi dieci anni».
Secondo lei i rendimenti tedeschi sui titoli di Stato così bassi potrebbero essere un sintomo che il mercato scommette su un “supereuro”, su un euro dei Paesi forti?
«I rendimenti sui titoli tedeschi sono effettivamente schiacciati da una estrema avversione al rischio e ritengo questa dinamica esagerata».
La Finlandia può uscire dall’euro?
«Se oggi guardiamo all’utilizzo dell’euro come moneta mondiale di riserva, ha un’estensione molto maggiore della somma delle valute europee che c’erano prima. I vantaggi ci sono per tutti».
Tonia Mastrobuoni
(da “La Stampa”)
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Luglio 7th, 2012 Riccardo Fucile
DOVEVA ANDARE AI CITTADINI EMILIANI COLPITI DAL SISMA: 100 EURO DA OGNUNO DEI 48 MEMBRI … MA IN 21 NON HANNO ANCORA FIRMATO PER CONSENTIRE IL PRELIEVO
Modena chiama, Napoli risponde. Ma solo a metà .
Per i terremotati dell’Emilia il Consiglio comunale della città partenopea ha deciso di devolvere un gettone di presenza dei 48 eletti del popolo: valore, 100 euro ciascuno.
La raccolta fondi è partita 10 giorni fa, ma quando ne mancano quattro al termine quasi la metà dei consiglieri non ha ancora dato l’ok.
“Non sapevamo di dover andare a firmare di persona in ragioneria”, si giustificano in molti.
La lista che gira in queste ore tra i corridoi del Palazzo è diventata la cartina dell’imbarazzo: 21 consiglieri comunali su 48 non hanno ancora concesso il loro gettone di presenza.
Quasi la metà degli eletti, gli “sbadati della beneficenza”: i 6 di Federazione della Sinistra, i 4 del Pd e altri 10 sparsi tra Pdl, gruppo misto e sigle di opposizione.
Corrono voci, covano sdegni e nelle ultime ore c’è chi si precipita a firmare. Sarebbero altri 7 i consiglieri ad aver sanato nelle ultime ore il loro debito con la coscienza, per cui da 21 passerebbero a 14 quelli che non hanno ancora donato il loro gettone per la “tragedia dell’Emilia”.
E c’è tempo solo fino a martedì 10 luglio, termine ultimo.
In tanti non si sono ancora decisi.
Semplici ritardatari o portoghesi della politica?
Il fatto è che l’adesione era stata data da tutti i gruppi in Aula il 19 giugno, senza bisogno di una votazione, tanto che fu ritirato anche un ordine del giorno, a firma di un esponente dell’opposizione, visto che alcuni consiglieri avevano già avviato l’iniziativa, dando il loro assenso agli uffici del Consiglio. Inutile “sancire la beneficenza”: ogni singolo consigliere sarebbe di lì a poco passato in segreteria e con una firma avrebbe offerto un contributi per l’Emilia.
Con il prelievo del gettone pronto a scattare sullo stipendio di fine luglio.
Ma dopo le buone intenzioni troppi di quei consiglieri non si sono più fatti vedere.
E tra loro c’è chi se la prende con gli uffici del dipartimento del Consiglio: colpa di segretari e amministrativi se i politici dimenticano.
“Solo ieri — attacca Ciro Fiola, capogruppo del Partito democratico — ci hanno mandato dagli uffici del Consiglio i fogli per sottoscrivere la donazione. Lo faremo entro martedì”.
A contestare la procedura è anche il capogruppo della Federazione della sinistra, Sandro Fucito: “Una modalità assurda, mai vista. Sono andato proprio ieri a prelevare i moduli di sottoscrizione per i miei sei consiglieri. Non sapevamo di dover andare di persona per dare l’assenso alla donazione. Di solito, il presidente del Consiglio legge due righe in Aula e tutto avviene in automatico”.
Ma negli uffici di via Verdi, sede del Consiglio, non mancano le stroncature: “Quando devono riscuotere i fondi per i gruppi politici i consiglieri sono pronti a fare la fila fuori dalle stanze della ragioneria. Ora che devono rimetterci per beneficenza non si fanno vedere, latitano, e se la prendono con gli uffici che non li hanno avvertiti. Dobbiamo mica inseguirli”.
Tra i primi ad aver devoluto il gettone ci sono i 14 consiglieri dell’Italia dei valori e gli otto di ‘Napoli è tua’, la lista civica del sindaco Luigi de Magistris. Spiega il capogruppo Idv, Franco Moxedano: “La procedura è pubblica da 10 giorni: facemmo dei comunicati stampa, inviammo una nota al presidente del Consiglio Pasquino e addirittura si stava presentando un ordine del giorno in Consiglio prima della seduta di bilancio, ma ci sembrava pleonastico firmare, visto che noi dell’Idv avevamo già dato l’autorizzazione agli uffici”.
Ora che l’imbarazzo è certo, nel Palazzo scommettono che tutti i 48 consiglieri saranno ligi al loro dovere.
Come a dire: quando non provvede, la Casta si ravvede.
Alessio Gemma
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 7th, 2012 Riccardo Fucile
SI AGGIUNGONO ALLE 10 CITTA’ METROPOLITANE… RIDOTTE DEL 50% SULLA BASE DI POPOLAZIONE ED ESTENSIONE
La sforbiciata alle 107 Province italiane deciso dal governo in sede di spending review terrà conto di due criteri: l’estensione (probabilmente 3mila km quadrati) e la popolazione (numero di abitanti inferiore a 350 mila).
Il processo di revisione prevede però, entro la fine dell’anno, anche una fase di accorpamento (mediante una procedura che vede il governo trasmettere la propria deliberazione con i criteri esatti al Consiglio delle autonomie locali, istituito in ogni regione, che verrà poi approvato dallo stesso Consiglio entro 40 giorni) ma, alla luce della definizione esatta dei parametri, è possibile stilare una prima lista delle Province che potrebbero essere oggetto di taglio.
Sono in tutto 38 le province con meno di 35omila abitanti e meno di 3mila chilometri quadrati che rischiano di saltare:
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VERCELLI,
ASTI,
BIELLA,
VERBANO-CUSIO-OSSOLA,
LECCO,
LODI,
ROVIGO,
GORIZIA,
PORDENONE,
IMPERIA,
SAVONA,
LA SPEZIA,
PIACENZA,
RIMINI,
MASSA CARRARA,
PISTOIA,
LIVORNO,
PRATO,
TERNI,
MACERATA,
ASCOLI PICENO,
FERMO,
RIETI,
TERAMO,
PESCARA,
ISERNIA,
BENEVENTO,
MATERA,
CROTONE,
VIBO VALENTIA,
CALTANISSETTA,
ENNA,
RAGUSA,
ORISTANO,
OLBIA TEMPIO,
OGLIASTRA,
MEDIO CAMPIDANO,
CARBONIA IGLESIAS
A questa lista vanno ad aggiungersi le Province, cassate, delle 10 città metropolitane, vale a dire:
ROMA,
MILANO,
TORINO,
GENOVA,
VENEZIA,
BOLOGNA,
FIRENZE,
BARI,
NAPOLI,
REGGIO CALABRIA
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