Luglio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
PARTITO SULL’ORLO DEL SUICIDIO, ORMAI LA LEGA DIVENTA FILIALE DEL BERLUSCONISMO… MARONI PUNTA ALLA REGIONE LOMBARDIA PER ASSICURARSI UN DECENNIO DI POTERE… E BOSSI POTREBBE PUNTARE A UNA SCISSIONE
Muoia Bossi con tutti i filistei del nuovo corso leghista.
L’affascinante suicidio della Lega Nord, in corso ormai da mesi, è precipitato in uno psicodramma collettivo, con tanto di scena madre.
Proprio nel giorno dell’atteso congresso che doveva segnare la rinascita dal fango degli scandali.
Si doveva celebrare l’incoronazione di Bobo Maroni, con la benedizione di Bossi. Ma in tre minuti il Senatur ha fatto il presepe allestito dai maroniani e ha trasformato il Maroni day in un personale “Vaffa-day” ai successori, un addio amaro e polemico.
Due schiaffoni del fondatore hanno preceduto e seguito il discorso d’insediamento di Maroni, molto programmatico, piuttosto lungo, un po’ noioso.
Il vecchio leone invece ha dato spettacolo.
Nel primo intervento Bossi ha distribuito una serie di pesanti messaggi alla nuova reggenza leghista.
Un misto di accuse dirette e allusive, ironie sui moralizzatori con la scopa in mano, sospetti feroci di complotto ordito all’interno della Lega, perfino minacce di scissione («se non ci fosse più questa Lega, ci sarebbe un altro movimento»), i cui bersagli mai nominati ma evidentissimi erano Maroni e i suoi grandi elettori veneti, Zaia e Tosi. Tanto che Zaia è intervenuto per fermarlo, ricordando che il nuovo statuto è stato approvato all’unanimità .
E qui Bossi ha tirato il primo schiaffo: «Vado a vedere se mi avete imbrogliato».
Gli ha voltato le spalle e se n’è andato.
Dopo l’arringa di Maroni, il Senatur è tornato sul palco per prendersi l’ultima parola e raccontare la famosa storia delle due madri davanti al re Salomone.
Metafora chiarissima, dove la madre buona (Bossi), pur di salvare la vita del bambino conteso (la Lega), lo cede alla madre usurpatrice (Maroni).
Due belle mazzate, non c’è che dire.
Ora, il passaggio di consegne fra Bossi e Maroni sarebbe stato arduo anche con alle spalle un partito unito e solidale, ma così diventa un suicidio politico.
Perchè la Lega è stato il più personale dei partiti, il più dipendente dalla figura del capo e fondatore, dal quale discendeva la stessa identità del movimento.
Più delle idee, dei progetti e dei sogni, più del federalismo e della secessione, del mito Padania e di «Roma ladrona», la Lega è stata per vent’anni l’immagine riflessa di Umberto Bossi.
Un uomo delle valli con una canottiera azzurra, il sigaro appeso al sorriso strafottente, e sullo sfondo le villone di Berlusconi e i palazzi del potere.
Prima di ieri, era problematico sostituire questa immagine rozza e potente con quella di un avvocato della Varese bene, simpaticamente innocuo, con l’hobby del sax e una collezione di vezzosi occhialini colorati.
Ma dopo la maledizione del fondatore, diventa impossibile
Nella migliore delle ipotesi, la Lega di Maroni può provare a blindarsi nelle roccaforti locali, diventando una filiale provinciale del berlusconismo.
Sembra più o meno questo il progetto del nuovo direttorio composto da Maroni, Zaia, Tosi e Salvini. Se Berlusconi accetta di mollare Formigoni, nella primavera prossima Bobo Maroni si candiderà alla successione del governatore in Lombardia per il centrodestra.
L’elezione non è affatto scontata, ma la Lega punta sul solito masochismo del centrosinistra e sull’aiuto esterno di Grillo, che potrebbe abbassare di molto la quota necessaria per vincere.
Con il governo delle regioni dove si producono due terzi del Pil nazionale, la Lega di Maroni potrebbe quindi garantirsi un altro decennio di potere.
Niente più sogni di gloria e miraggi rivoluzionari, s’intende, ma ancora posti, soldi, poltrone importanti, sia pure nella ridotta, ma comoda dimensione di un partito «catalano».
Stare al governo in Lombardia e in Veneto, ma all’opposizione a Roma, sarebbe la condizione ideale per proseguire anche nella stagione maroniana il gioco fortunato della Lega di lotta e di governo, un piede dentro e uno fuori le istituzioni. Il punto debole di questo progetto è che si fonda sull’alleanza con Berlusconi, al quale della sopravvivenza della Lega e perfino del Pdl, non frega nulla.
A Berlusconi interessa non far fallire le proprie aziende e quindi stare al governo, con chiunque
Nella peggiore delle ipotesi, la nuova Lega rischia di implodere in una guerra per bande locali e di consegnare altre quote di voti a Beppe Grillo, fino alla completa estinzione.
I segnali ci sono già . La minaccia di Bossi di fondare un nuovo movimento non è affatto campata in aria.
Il Senatur tiene famiglia, com’è noto, e controlla ancora un pezzo del movimento.
Se i successori non gli daranno una quota di nomine, lui ha chiesto il 20 per cento, è pronto a chiamare le truppe alla rivolta.
Nel caos dei prossimi mesi, è difficile prevedere come e dove andrà a finire la Lega. Conta anche la sorte e Maroni finora non è stato un principe fortunato.
Ha lanciato la candidatura alla vigilia di una tremenda batosta elettorale, si insedia nel fuoco delle polemiche.
Perfino il giorno del congresso, deciso da mesi, coincide con una giornata storta per la Lega, quella della finale di calcio, col Paese imbandierato di tricolori.
Curzio Maltese
(da “La Repubblica”)
Commento del ns. direttore
PROMEMORIA PER GLI ONOREVOLI DI FUTURO E LIBERTA’: E’ INTOLLERABILE CHE UNO STRISCIONE COME QUESTO NON VENGA RIMOSSO DALL’AUTORITA’ DI POLIZIA, COSTITUENDO VILIPENDIO ALLA NAZIONE… O CI PENSA MANGANELLI O QUALCHE FUNZIONARIO SI BECCA UNA DENUNCIA PER OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO
In quasiasi manifestazione pubblica se qualcuno srotolasse uno striscione con l’indicazione di uno Stato straniero accompagnato dalla parola “Merda”, gli autori verrebbero immediatamente fermati, identificati e denunciati per vilipendio di Stato estero.
Solo in Italia, al congresso di un partito rappresentato in Parlamento e che usufruisce del contributo pubblico degli Italiani, viene permesso di veicolare il messaggio “Italia merda” senza che nessun funzionario dello Stato intervenga per sequestrare l’oggetto di un reato e denunciare i responsabili.
Siamo all’assurdo che lo stesso neo-segretario della Lega, ex ministro degli Interni dello Stato italiano, lo veda e non ne ordini la rimozione, diventando correo morale nel reato.
E’ tempo che si ponga fine a queste manifestazioni di cialtronismo: o ci pensa Manganelli sussurrando il consiglio all’orecchio vellutato della Votino in fase preventiva o i funzionari di Stato presenti vengano denunciati per omissione di atti d’ufficio e il questore rimosso.
Questo chiediamo ai parlamentari di Futuro è Libertà , prima che qualcuno alla prossima occasione si incazzi e provveda da solo.
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Luglio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
IN TRE ANNI SALTERANNO 100.000 DIPENDENTI, 10.000 ENTRO IL 2012… I PROVVEDIMENTI ALLO STUDIO PER IL PUBBLICO IMPIEGO
Saranno qualcosa meno di diecimila entro l’anno e 80-90 mila entro il 2014.
In totale, nell’arco di tre anni, la cura dimagrante per il popolo del pubblico impiego (circa tre milioni e mezzo di lavoratori) sarà di 100 mila dipendenti.
In parte accompagnati verso la pensione con il ricorso alla mobilità o con una proroga della riforma Fornero (ancora da decidere) e la gran massa dovuta al riassetto organizzativo e al contestuale blocco del turn over.
Per i dirigenti di prima e seconda fascia il taglio sarà più forte, del 20%.
Nessuna abolizione anche parziale della tredicesima e per quanto riguarda i buoni pasto verranno tutti ricondotti alla cifra «storica» di 7 euro.
Questo è lo schema a cui fino a tarda sera di ieri, eccetto la pausa per la partita Italia-Spagna, stavano lavorando i tecnici di Palazzo Vidoni sede del ministero della Funzione Pubblica.
Oggi le varie soluzioni escogitate dagli uomini del ministro Filippo Patroni Griffi verranno analizzate dagli economisti del Tesoro e della Ragioneria generale dello Stato.
Poi domani l’incontro con i sindacati e nei giorni successivi la messa a punto del decreto sulla spending review che conterrà anche altre innovazioni.
Come la riduzione del 50% delle auto blu, il tetto di tre persone nei consigli di amministrazione nelle società controllate da Stato ed enti locali ma non quotate, l’obbligatorietà della fruizione delle ferie per i dipendenti pubblici (dirigenti compresi) senza la possibilità di compensi sostitutivi, la stretta sulle consulenze introducendo la proibizione di assegnazione di incarichi ad ex dipendenti.
La cifra magica è quella della riduzione del 10% per i dipendenti ministeriali (circa 180 mila) in virtù di quanto deliberato dal governo come esempio da seguire lo scorso 15 di giugno quando ha stabilito lo snellimento della pianta organica della presidenza del Consiglio e del ministero dell’Economia.
«Noi dobbiamo essere come la moglie di Cesare – ebbe a dire il viceministro del Tesoro Vittorio Grilli – al di sopra di ogni sospetto».
Insomma se vuoi che gli altri seguano, devi dare il buon esempio. Vedremo tra oggi e domani in che modo gli altri ministeri hanno seguito in base al loro impegno di presentare entro il mese un progetto di snellimento.
Lo schema di accompagnamento verso l’uscita per i dipendenti anziani dovrebbe essere il seguente: due anni di mobilità all’80% dello stipendio con alcune procedure che scattano qualora si verifichi la situazione da «esodato».
Per esempio, chi matura i requisiti entro il 2014 dovrebbe far valere le regole più favorevoli antecedenti la riforma Fornero.
Per lo Stato si tratterebbe di un anticipo di alcuni anni compensato però dal rinvio della liquidazione che verrebbe erogata solo al compimento dei 66 anni
Dopo la pubblicazione del rapporto Irpa (l’Istituto di ricerche sulla pubblica amministrazione fondato nel 2004 da Sabino Cassese) in cui venivano evidenziati tutti gli sprechi e gli extra costi derivanti dal cosiddetto «capitalismo municipale», cioè quelle migliaia di società controllate dagli enti locali e serbatoi di poltrone per politici trombati, anche l’Upi ha fatto la sua proposta. L’Unione delle province italiane (per altro in odore di tagli e forti accorpamenti) ha segnalato al governo una sorta di «autoriforma» che «garantirà allo Stato 5 miliardi di risparmi» derivanti dalla riduzione delle Province, l’istituzione delle città metropolitane e la riorganizzazione degli uffici territoriali dello Stato».
L’Upi ha calcolato che sono ben 3.127 le società , i consorzi ed enti vari – «buona parte delle quali create dal nulla solo per spartire poltrone e gestire potere» – che costano 7 miliardi di euro l’anno 2 dei quali per i consigli di amministrazione.
Roberto Bagnoli
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
BERSANI INVITA A TRATTARE CON LE PARTI SOCIALI… GIOVEDI IL CONSIGLIO DEI MINISTRI PER APPROVARE I RISPARMI… MA LE MISURE DIPENDERANNO ANCHE DALL’ANDAMENTO DELLO SPREAD
Pier Luigi Bersani, la scorsa settimana, lo ha detto chiaro e tondo a Monti.
In colloquio riservato a palazzo Chigi Bersani ha piantato un paletto sulla spending review: «Presidente, ti sconsiglio di fare il Consiglio dei ministri lunedì. Non daresti il tempo ai sindacati di approfondire la materia. E se hai in mente tagli lineari, non concordati con le parti sociali, noi stavolta non ti possiamo coprire».
Un analogo altolà è arrivato dal Pdl. Tanto che Fabrizio Cicchitto, premesso che «non sappiano nulla oltre quello che leggiamo sui giornali», mette in guardia il governo dal procedere con un colpo di mano: «Se pensano di arrivare in Parlamento con un pacchetto blindato e poi cavarsela con la fiducia, stavolta ballano davvero».
Il problema è che i partiti ormai sono in campagna elettorale.
E la scure del governo sul Welfare, la Sanità e il pubblico impiego rischia di essere un costo troppo grande da pagare in vista del voto.
Specie se sono vere le anticipazioni della vigilia.
Oggi “Mr. Forbici”, il consulente Enrico Bondi, consegnerà a Monti un pacchetto di tagli compreso tra i 9 e gli 11 miliardi.
E l’obiettivo del premier, per coprire le spese del terremoto, gli esodati e, soprattutto, evitare l’aumento dell’Iva a ottobre, è di arrivare almeno a 9.
Anche per costituire un margine di sicurezza nel caso i partiti e i sindacati si facessero troppo aggressivi nel percorso parlamentare dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri.
Nel governo c’è consapevolezza che «sarà dura», i partiti sono in tensione.
E c’è anche fibrillazione nell’esecutivo con i ministri più colpiti – Salute, Esteri, Difesa, Giustizia – pronti ad alzare le barricate. Tanto che ieri, scherzando, a palazzo Chigi speravano nello stellone di Prandelli: «Se vince l’Italia per una settimana possiamo fare passare qualsiasi cosa».
Quello che a molti nel governo non va giù è il fatto che la stretta finale venga decisa, come al solito, nelle chiuse stanze di via XX Settembre.
Dal viceministro Vittorio Grilli e dal capo gabinetto dell’Economia, Vincenzo Fortunato.
Lo ha confessato lo stesso Piero Giarda, autore di un corposo rapporto sulla spending review, a un capogruppo di maggioranza che nei giorni scorsi gli chiedeva qualche dettaglio sui tagli: «E lo chiedi a me?
Noi ministri siamo ancora all’oscuro come voi».
Per superare le resistenze interne alla squadra di governo, oggi Monti ha convocato a palazzo Chigi una sorta di Consiglio dei ministri informale.
Mentre domani ci sarà l’incontro decisivo, quello con i sindacati e gli imprenditori. Il premier ha deciso di tirare dritto, come sulla riforma delle pensioni: «Le parti sociali le informiamo, con loro non si tratta».
Quanto ai partiti, se sarà necessario Monti procederà a colloqui separati con i tre segretari di maggioranza.
Un vertice “ABC” non è stato ancora fissato in agenda, ma giocoforza dall’entourage del premier ammettono che sarà necessario quantomeno informare i leader delle misure in arrivo.
L’unico a sconsigliare Monti di procedere con queste consultazioni è stato Pier Ferdinando Casini.
«Se ci convochi – è stato il “suggerimento” del leader centrista al premier – ciascuno di noi sarà obbligato a chiederti qualcosa. E non potremo uscirne a mani vuote. Meglio se il governo si prende la responsabilità di decidere».
E comunque l’eventuale vertice di maggioranza verrebbe formalmente convocato per parlare del Consiglio europeo e della situazione economica alla luce dei risultati di Bruxelles.
Poi ovviamente ci sarebbe il confronto sulla spending review.
Il Consiglio dei ministri per l’approvazione del decreto probabilmente sarà convocato giovedì, dopo che Monti avrà riferito in Parlamento sul summit Ue.
Sempre che non slitti tutto alla prossima settimana. Il premier infatti ha fatto sapere di voler monitorare l’andamento dello spread che venerdì, sulla scia delle buone notizie arrivate da Bruxelles, si è abbassato di 50 punti.
È chiaro che se dovesse confermarsi il trend positivo ci sarebbe un forte riverbero sugli interessi che l’Italia paga sul debito pubblico.
Consentendo al governo di rivedere al ribasso l’importo dei tagli.
Ad ogni modo i ministri che lavorano sul dossier hanno già pronta la tattica per far approvare la manovra in tempi rapidi: «Minacceremo i parlamentari di lavorare tutto agosto, come si faceva ai tempi della Finanziaria. Alla fine il 22 dicembre veniva sempre chiusa per lo spauracchio degli onorevoli di perdersi le vacanze di Natale»
Francesco Bei e Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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Luglio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
SI AVVALEVANO DI DIPENDENTI ASSUNTI DA SOCIETA’ COMPIACENTI PER OTTENERE COMMESSE A PREZZI RIBASSATI… SOTTRATTI AL FISCO 23 MILIONI NELLA TERRA DEL SASSOFONISTA, POI DICONO DEL SUD
Utilizzavano centinaia di lavoratori, formalmente assunti da altre società compiacenti che non pagavano nè contributi nè imposte, per adempiere alle commesse che si aggiudicavano in tutto il Nord Italia a prezzi molto competitivi.
Una maxi frode contributiva e fiscale è stata scoperta dagli uomini della guardia di finanza di Gallarate (Varese).
A seguito di una complessa indagine coordinata dalla Procura di Busto Arsizio (Varese), hanno denunciato 11 imprenditori, individuato oltre 1.400 lavoratori irregolari, scoperta un’evasione per 23 milioni di euro e sequestrato agli imprenditori responsabili della frode beni per oltre 4 milioni di euro, tra cui ville e yacht.
E questo non accade nel profondo Sud, ma nella patria di Maroni e Reguzzoni, per dare un colpo al cerchio (magico) e uno alla scopa.
Forse qualcuno farebbe bene a guardare a casa propria.
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Luglio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
DOPO LE FORTI PROTESTE, MATTEO RENZI RENDE OMAGGIO ANCHE A FRA’ CIONFOLI E “UCCELLI DI ROVO”, PILASTRI DELLA CULTURA RIFORMISTA… ACCORATA DIFESA DI RENZI: “NON E’ VERO CHE VOGLIO ROTTAMARE TUTTO, TERREI LA PUPA E IL SECCHIONE E CENTOVETRINE”
Grossi guai per Matteo Renzi, il simpatico rottamatore del Pd che si prepara a correre alle primarie del partito.
Dopo l’ultimo spettacolo tenuto alla stazione Leopolda di Firenze (tutto esaurito, ma molti biglietti omaggio), si è alzato dalla società civile un nutrito coro di critiche.
Ha cominciato il Sandra Mondaini Fan Club, con un attacco frontale pubblicato in rete.
“Renzi — si legge nel testo — ha citato come pilastri della sua formazione politica i Righeira e Mary Poppins, dimenticando colpevolmente uno dei suoi più importanti ispiratori. Sappia Renzi che svecchiare un partito come il Pd senza citare Sbirulino è molto grave e mina alle basi la sua credibilità ”.
Una nota di protesta è stata inviata al sindaco di Firenze anche dai Jalisse e da Cristina D’Avena: “Quale presunta modernità si tenta di incarnare se non si parte da Licia dolce Licia?”, scrive la songwriter emiliana.
Ma i colpi più duri all’impostazione culturale di Matteo Renzi arrivano senza dubbio dal mondo del cinema “Aò, voi rottamà er partito e nun me chiami?”, ha mandato a dire Alvaro Vitali, dicendo di parlare anche a nome degli eredi di Bombolo.
Lo staff di Matteo Renzi è subito corso ai ripari: “Esprimiamo grande stima — si legge in una nota — per tutto il meglio della cultura italiana che si è sentito escluso, ma avremo altri spettacoli del Matteo Renzi Demolition Tour e sicuramente tutti avranno il loro spazio”. Giorgio Gori, da molti considerato il guru di Renzi, si sta dannando l’anima per procurarsi i diritti di vecchi telefilm: “Presentandosi alle primarie con Mork e Mindy — dice — Renzi avrà sicuramente una marcia in più, mentre Rin Tin Tin aggiungerà peso politico”.
Già , è anche sulla proposta politica di Renzi che si addensa una bufera di polemiche.
“Dopo le dichiarazioni di grande stima per Marchionne e Fornero, Renzi rompa gli indugi e rivaluti la figura di Mario Scelba”, scrive l’Unione Monarchica.
Protesta di segno opposto da parte di alcuni intellettuali: “Con tutta ‘sta paccottiglia pop anni Ottanta, Renzi si accredita come il nuovo Veltroni, ma più scemo”.
Telegrafico come sempre Massimo D’Alema: “No, questo non è possibile”.
Alessandro Robecchi
(da “Il MisFatto”)
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Luglio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
PRONTA LA STANGATA SUGLI STATALI, MA E’ VIETATO TOCCARE I RICCHI ASSEGNI DELLA PREVIDENZA DEI SOLITI NOTI: MINISTRI, GENERALI E PAPAVERI DI STATO
Il governo, lo stesso che si appresta a sforbiciare la spesa pubblica con la spending review e che ha varato la riforma della previdenza, ha detto no all’inserimento di un tetto alle pensioni d’oro.
Perchè? Di pensioni a 5 stelle tra i banchi dell’esecutivo ce ne sono diverse, basta leggere le indennità di diversi ministri e sottosegretari.
Un pacchetto di alti redditi che in parte aiutano a spiegare la reticenza con cui l’esecutivo ha affrontato finora il tema dei tetti agli assegni della previdenza pubblica.
La lista, del resto, chiama in causa addirittura il super-commissario ai risparmi, Enrico Bondi. Ma spicca anche un sottosegretario, Gianfranco Polillo, il sospettato numero uno del rinvio della norma.
Non è ancora chiaro, infatti, come sarà il provvedimento che il Consiglio dei ministri è chiamato a varare la spending review (10 miliardi di tagli quest’anno, il doppio nel 2013, per disinnescare la bomba dell’aumento dell’Iva previsto da Berlusconi).
E soprattutto non è chiaro se ci sarà o no un tetto massimo per le pensioni pagate dall’amministrazione pubblica che l’emendamento presentato dal deputato Pdl, Guido Crosetto, indicava in 6mila euro netti mensili.
Quell’emendamento è stato ritirato dopo le insistenti “pressioni” da parte del governo e degli stessi colleghi di Crosetto.
“Smuovi un campo troppo ampio” gli aveva detto in Commissione proprio Polillo.
Il sottosegretario sa bene di cosa parla perchè è titolare di una pensione di 9.541,13 euro netti al mese percepita dall’ottobre del 2006 dopo oltre 40 anni di servizio come funzionario della Camera.
A pensar male, ovviamente, si dovrebbe ritenere che è la propria pensione a indurre a smussare un provvedimento tutt’altro che simbolico (consentirebbe un risparmio di 2,3 miliardi solo per il pubblico, di 15 estendendolo anche al privato).
Ma questo presupporrebbe un’azione retroattiva del taglio che, a eccezione dei pensionati comuni (ai quali hanno bloccato l’adeguamento all’inflazione per gli assegni superiori ai 1.400 euro), come gli esodati, non si dà mai nella legislazione italiana.
Forse si tratta invece di una mera rappresentanza di un interesse “di casta”.
Se però si volesse capire chi potrebbe effettivamente essere beneficiato dal mancato tetto, ecco il nome di Elsa Fornero.
Il ministro del Lavoro che in pensione ancora non ci è andata ma che gode di una lunga carriera a cui aggiunge importanti consulenze e incarichi prestigiosi.
Nel 2010 ha dichiarato un reddito di 402mila euro lordi annui, per cui non è difficile prevedere per lei una pensione al limite della soglia-Crosetto.
Ma quanti altri “cloni” di queste figure potrebbero essere salvati?
Ancora altri esempi, magari proprio considerando l’estensione al privato: il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha dichiarato nel 2011 oltre 7 milioni di euro.
Il suo collega allo Sviluppo Corrado Passera, oltre 3,5 milioni.
Per non parlare di Piero Gnudi, con una dichiarazione dei redditi da 1,7 milioni.
Legittimo attendersi che, quando andranno in pensione, saranno ben oltre il tetto.
Diamo ancora un’occhiata alle pensioni di chi è al governo.
Il ministro Anna Maria Cancellieri dal novembre 2009 è titolare di una pensione di 6.688,70 euro netti al mese.
È il frutto di una lunga carriera nell’amministrazione statale, con l’ingresso al ministero degli Interni nel 1972.
Il ministro della Difesa, Ammiraglio Giampaolo Di Paola, percepisce 314.522,64 euro di “pensione provvisoria”pari a circa 20mila euro mensili.
È pubblicata, inoltre, sul sito del governo quella del sottosegretario allo Sviluppo economico, Massimo Vari che percepisce 10.253,17 euro netti al mese, frutto di una lunga attività di magistrato fino a ricoprire la carica di vice-presidente emerito della Corte costituzionale.
Vari è in attesa di un’altra indennità per gli anni trascorsi alla Corte dei conti europea. C
osì come è pubblicata la pensione di Andrea Riccardi, 81.154 euro lordo annui (circa 4mila euro al mese) frutto del lavoro di docente universitario.
Impossibile da rintracciare nella dettagliatissima documentazione reddituale del presidente del Consiglio, invece, la pensione di cui è beneficiario dal novembre del 2003 pari a 3.330,11 euro netti mensili frutto dell’attività di docente universitario.
Poca cosa in confronto alle vere pensioni d’oro e poca cosa, soprattutto, rispetto al reddito superiore al milione di euro dichiarato da Mario Monti nel 2011.
Vale la pena di considerare, però, che quella pensione che è comunque tre volte una buona pensione di un lavoratore medio, è stata conseguita all’età di 60 anni, nonostante i tanti proclami sulla necessità di aumentare l’età pensionistica.
Ma il caso che forse è destinato a brillare di più è quello del responsabile massimo della spending review, Enrico Bondi.
Il “commissario tecnico”, il fustigatore degli sprechi gode di una pensione di 5.827,07 euro netti mensili.
Bondi ha lavorato molto, la pensione è certamente meritata ma anche lui ne gode dal 1993 e quindi all’età di 59 anni.
I casi citati rappresentano adeguatamente le categorie beneficiarie di “pensioni d’oro”: alti dirigenti pubblici (Polillo, Cancellieri), super-magistrati (Vari), alti ufficiali delle Forze armate (Di Paola), docenti universitari (Riccardi e Fornero).
Si tratta di una èlite del pubblico impiego riscontrabile anche dall’importo medio annuo delle pensioni Inpdap: si va dai 40 mila euro annui delle Forze Armate, ai 47 mila dei docenti universitari ai 64mila dei medici Asl, fino ai 134mila euro annui dei magistrati.
Nella fascia di pensioni superiori ai 4mila euro lordi mensili ci sono 104.793 persone che si riducono all’aumento del tetto individuato (non ci sono dati per fasce superiori ai 4mila euro).
I risparmi possono comunque essere molto alti.
Basti pensare che l’incidenza degli stipendi dei dirigenti pubblici arriva spesso al 20% dei costi sostenuti con punte del 40% nella Sanità (o, per fare un esempio più piccolo, all’interno della Presidenza del Consiglio).
Del resto, basta guardare la media degli stipendi dei dirigenti, 90.288 euro quelli di seconda fascia, 192mila euro quelli di prima fascia, per accorgersi che la loro incidenza è di almeno 5 volte lo stipendio medio dei dipendenti pubblici.
Acquistano così una certa concretezza le proiezioni dei Cobas dell’Inpdap che, sulla base della spesa pensionistica dell’Istituto, 60 miliardi nel 2011, stimano in almeno 2 miliardi e 300 milioni i risparmi annui ottenibili con un tetto pensionistico di 5mila euro al mese.
Risparmi che potrebbero arrivare a 15 miliardi nel settore privato.
A parziale conferma di quest’ultima stima basti prendere la pensione di uno dei più grandi dirigenti privati del settore bancario: Cesare Geronzi.
L’ex dominus della finanza italiana è titolare di tre pensioni: la prima, su base retribuitiva, è di 22.307 euro netti al mese (avete letto bene, ventiduemila euro al mese); la seconda, integrativa, è di 10.465 euro netti mensili.
Come se non bastasse ce n’è una terza, di “soli” 896,38 euro mensili frutto di una pensione “contributiva”.
Il totale è di 33.668 euro netti mensili.
Se fosse stabilito un tetto di 5 o 6mila euro, Geronzi dovrebbe rinunciare ad almeno 27mila euro.
Si pagherebbero almeno 30 esodati.
Un po’ meno se si ponesse a 10mila euro il tetto consentito per il cumulo degli assegni.
Ma comunque un bel risparmio.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
ALDO BONOMI DEL CENTRO DI RICERCA AASTER: “OGGI GLI SPAESATI VOTANO GRILLO”
“No, non è solo colpa delle inchieste». Aldo Bonomi, direttore del Consorzio Aaster dal 1984, è uno che il territorio, totem caro ai leghisti, lo studia per professione.
Ne interpreta gli umori e i cambiamenti.
«È in atto una metamorfosi della politica e la Lega, se non cambia, farà fatica a trovare spazio».
E ancora: «È finita l’epoca in cui il movimento riusciva a intercettare lo spaesamento, l’onda neo populista e i rancori del Nord».
Poco c’entrano, secondo il sociologo Bonomi, l’ex tesoriere Belsito, la laurea albanese di Renzo e le perquisizioni in via Bellerio.
«C’è dell’altro…», dice.
Professore, la Lega avrà un nuovo segretario. Sono passati dieci anni dall’ultimo congresso, il ritrovo al Forum di Assago segna la rinascita del partito?
«Ci andrei piano. Restano dei temi irrisolti. E non penso solo agli scandali giudiziari. Quelli sono sopraggiunti quando già il movimento era debole».
Si riferisce alla divisione tra «barbari sognanti», l’anima maroniana del partito, e «cerchio magico»?
«Non è solo quella. Certo, le correnti sono sempre state importanti nella Lega, almeno da quando agli inizi degli anni ’90 si è strutturata come partito. E con quelle Maroni dovrà ancora fare i conti: il “lombardismo” non basta più, cresce l’importanza dell’ala veneta. Ma il mio è un ragionamento meno “politichese” e più antropologico».
Si spieghi…
«Lo scenario è cambiato. Pensiamo alle vallate alpine, i focolai del primo leghismo alla fine degli anni ’80. Quelli erano i luoghi attorno a cui le leghe costruivano il loro consenso sugli “spaesati”. Ma la periferia, per esempio la Val Susa, adesso è diventata centro dello scontro politico. E la Lega è arrivata tardi rispetto ai grillini o alle altre formazioni politiche. Lì, come sui beni pubblici, si pensi all’acqua. Temi che per chi ha in mente il “territorio” dovrebbero essere alla base dell’azione politica».
Tra gli striscioni presenti oggi ad Assago si legge la scritta «Prima il Nord». Come a dire: «Noi siamo ancora la voce del Settentrione». È così?
«Maroni ha sempre avuto in testa un’idea del partito nei termini di “sindacalismo territoriale”. Un movimento che interpreta bisogni e paure della gente. Ma la sua visione è stata azzoppata dalla Lega di lotta e di governo, quella che ha sempre avuto un rapporto ambivalente con Berlusconi. Però, se si guarda alle ultime elezioni è proprio la Lega dei sindaci, quella territoriale, che ha perso: nei sette comuni dove è andata al ballottaggio è stata sconfitta».
Perchè anche la Lega dei sindaci rischia di perdere?
«Anche la Lega ormai deve ripensarsi in un’ottica europea. Dove parole d’ordine come federalismo avranno senso solo in un contesto più allargato e non di scontro tra settentrionali e meridionali».
Bossi, da parte sua, ha portato a Milano la notizia della nascita della «Macroregione Alpina»…
«Non può bastare l’economia. L’Europa, anche da parte della Lega, deve essere concepita come una comunità politica».
Davide Lessi
(da “La Stampa”)
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Luglio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
ALESSANDRO CAMPI, DOCENTE DI STORIA DEL PENSIERO POLITICO: “DOPO LA BUFERA HANNO BISOGNO DI APPARIRE UNITI”
“Maroni sarà un leader di transizione e Bossi è meglio che si metta da parte se vuole lasciare un buon ricordo di sè».
Alessandro Campi, docente di storia del pensiero politico all’Università di Perugia, è convinto che il nuovo segretario della Lega non ha il carisma e la forza del Senatur.
L’ex ministro dell’Interno dovrà tener conto del nuovo equilibrio territoriale.
Professore, sta dicendo che prima o poi Zaia o Tosi faranno le scarpe a Maroni e il Carroccio sarà a trazione veneta?
«Non ci sarà più una Lega come l’abbiamo conosciuta finora, con un capo che faceva il bello e il cattivo tempo. Quella di Maroni sarà una segretaria che dovrà avere carattere collegiale più di quanto si immagini. Ora questo partito ha bisogno di un unanimismo ipocrita. Poi si faranno avanti gli Zaia, i Tosi che vogliono far apparire Maroni il nuovo Bossi ma è operazione di chirurgia plastica. La Lega ha la necessità vitale di compattarsi attorno a un nuovo leader perchè viene fuori da periodo difficile, ma l’egemonia lombarda è finita».
Intanto Maroni dovrà mettere a fuoco una linea politica. Crede che la Lega si ritirerà al Nord e non parteciperà alle elezioni politiche?
«La Lega esce da una brutta vicenda brutta giudiziaria ma soprattutto politica. Più che lo scandalo il Carroccio viene dal fallimento dell’esperienza di governo: aveva delle ottime carte da giocare ma ha perso la partita. Ha portato a casa molto poco, nè il federalismo nè la diminuzione delle tasse. Ora potrebbero riscoprire posizioni ultra indipendentiste con un rapporto privilegiato col territorio al punto che non si candida a livello nazionale. Non credo però che ciò convenga. Per un partito come la Lega è più opportuno cavalcare la battaglia anti-europeista, anti-statalista, anti-banche, anti-tasse. Da questo punto di vista il Carroccio è più attrezzato perchè fa parte del suo bagaglio ideologico che risale a Miglio, alla radice anarcoide liberista. Una sorta di Tea Party americano, una posizione che poi era il cavallo di battaglia di Berlusconi delle origini. Non a caso il Cavaliere e Bossi erano in sintonia, al di là dei rapporti personali, mentre Alfano è più orientato verso posizioni centriste e moderate e su una linea che è quella del Ppe. Ecco perchè non penso che Pdl e Lega potranno ritrovare un’alleanza».
Lei considera chiusa anche la stagione dell’intesa Pdl-Lega?
«La Lega in questo momento non ha il problema di trovare un’alleanza ma di crearsi una nuova verginità politica, di superare uno scandalo che ha toccato la sua stessa identità : incarnavano un’ identità luterana, ma è scivolata nel classico familismo italiano».
Cosa ha lasciato il leghismo bossiano alla politica italiana?
«Ha vinto culturalmente, e non lo dico in positivo, sul piano del linguaggio e nello stile di lotta politica: brutale e semplificatorio. All’inizio invece sembrava immediatezza. Con l’anti-italianismo ha incuneato il germe della divisione territoriale, dell’egoismo degli interessi tra nord e sud. Con il federalismo avrebbe potuto avere il merito di una diversa articolazione dell’Italia, ma non ha saputo giocare questa formidabile carta».
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”)
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Luglio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
IL LEADER VERSO UN POLO RIFORMATORE… NUOVA SVOLTA SUGLI OMOSESSUALI: VANNO TUTELATE LE UNIONI TRA PERSONE
«Un nuovo polo europeo, patriottico e riformatore». Gianfranco Fini sceglie il centro congressi di Eataly, neotempio dei gourmet romani (tra loro c’è anche Italo Bocchino), per lanciare ufficialmente la campagna elettorale.
All’ultimo piano del mega centro, dopo aver superato fritti e mozzarelle di bufala, culatelli di Zibello e piadine, ecco l’assemblea nazionale di un partito che, come molti altri, deve ancora decidere la sua direzione di marcia.
Niente «proposte choc», nonostante gli annunci della vigilia.
Ma il leader di Fli prova a mettere qualche punto fermo nella complicata strategia delle alleanze.
Barra dritta al centro, con due veti.
Uno a destra e uno a sinistra: no a un Pdl che rimanga agganciato alla Lega e resti antimontiano; no a un Pd che si allei con Vendola.
Fini comincia con una spietata autocritica: «Alle Amministrative abbiamo dimostrato la nostra marginalità e in certi casi ininfluenza».
Archiviato anche il Terzo polo, inteso come alleanza tra partiti (Fli, Udc e Api): «È stato percepito come una somma di entità , uno stare insieme per disperazione. Oggi non esiste più il Terzo polo per come è stato concepito, ma le potenzialità di quella operazione sono ancora più valide di prima».
E allora ecco la nuova rotta, che incrocia da vicino quella di Monti: «Il giudizio verso il governo sarà la cartina di tornasole per le future alleanze. Non staremo mai con chi ha contestato l’esecutivo Monti».
Di più, Fini non esclude affatto che del suo progetto entrino a far parte anche esponenti del governo («Non il presidente del Consiglio», precisa).
Già , ma qual è il progetto?
Troppe le variabili per dirlo subito.
Si guarda naturalmente al centro e magari anche a Luca Cordero di Montezemolo (a pochi metri da qui partono i suoi treni Italo).
Il partito più vicino è naturalmente l’Udc, ma non mancano le differenze di vedute.
Casini ha aperto a un patto tra moderati e progressisti.
Ma Fini cita il leader di Sel: «La foto di Vasto è salda. E ha ragione Vendola quando dice che non si può staccare Di Pietro dalla foto. Bersani è simpatico e bravo ma qui non si tratta di smacchiare i giaguari».
E dunque via a un nuovo attivismo per «dimostrare che non siamo un partito in liquidazione», in vista dell’assemblea dei 1.000 di settembre, «quando speriamo siano maturi i tempi del confronto con altri».
Intanto Fini ripete alcuni punti fermi: legge elettorale uninominale con maggioritario secco (plauso di Marco Pannella); semipresidenzialismo (plauso di Ignazio La Russa); ius soli e cittadinanza per «la generazione Balotelli»; detrazione dell’Imu dalla dichiarazione dei redditi; «un quadro giuridico per regolare le unioni tra persone», vedi alla voce «coppie di fatto», «senza mettere in discussione la famiglia».
Questa è la linea dentro Fli, dice Fini: «O si è d’accordo o se ne prende atto».
Alessandro Trocino
(da “Il Corriere della Sera”)
argomento: Fini, Futuro e Libertà | Commenta »