Luglio 26th, 2012 Riccardo Fucile
BLOCCO DELLO STABILIMENTO E ARRESTI DOMICILIARI PER OTTO AMMINISTRATORI E DIRIGENTI… I LAVORATORI IMPEDISCONO L’ACCESSO AL CAPOLUOGO IONICO
Il gip Patrizia Todisco ha firmato il provvedimento di sequestro (senza facoltà d’uso) degli impianti dell’Ilva di Taranto e le misure cautelari per alcuni indagati nell’inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici aziendali. Sono otto i provvedimenti di arresti domiciliari.
L’ordinanza è in corso di esecuzione e riguarda dirigenti ed ex dirigenti dell’Ilva.
Cinque di questi erano già inquisiti e avevano nominato propri consulenti nell’ambito dell’incidente probatorio.
Tra le contestazioni dei pm c’è anche disastro ambientale.
La misura del tribunale si basa soprattutto su una perizia secondo la quale le emissioni causano fenomeni che portano a malattie e morte.
Gli arresti
Gli arresti riguardano il patron Emilio Riva, presidente dell’Ilva Spa fino al maggio 2010; il figlio Nicola Riva, che gli è succeduto nella carica e si è dimesso un paio di settimane fa; l’ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso; il dirigente capo dell’area del reparto cokerie, Ivan Di Maggio; il responsabile dell’area agglomerato, Angelo Cavallo.
La misura cautelare, però riguarderebbe anche altri tre dirigenti.
Il sequestro senza facoltà d’uso, invece, riguarda l’intera area a caldo dello stabilimento siderurgico Ilva, ovvero i parchi minerali, le cokerie, l’area agglomerazione, l’area altiforni, le acciaierie e la gestione materiali ferrosi. “La gestione del siderurgico di Taranto è sempre stata caratterizzata da una totale noncuranza dei gravissimi danni che il suo ciclo di lavorazione e produzione provoca all’ambiente e alla salute delle persone” ha scritto il gip nell’ordinanza di sequestro, in cui si legge anche che “ancora oggi” gli impianti dell’Ilva producono “emissioni nocive” che, come hanno consentito di verificare gli accertamenti dell’Arpa, sono “oltre i limiti” e hanno “impatti devastanti” sull’ambiente e sulla popolazione.
Il Gip di Taranto, inoltre, ha spiegato che la situazione dell’Ilva “impone l’immediata adozione, a doverosa tutela di beni di rango costituzionale che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta quali la salute e la vita umana, del sequestro preventivo”.
Non solo.
“L’imponente dispersione di sostanze nocive nell’ambiente urbanizzato e non — ha specificato il gip — ha cagionato e continua a cagionare non solo un grave pericolo per la salute (pubblica)”, ma “addirittura un gravissimo danno per le stesse, danno che si è concretizzato in eventi di malattia e di morte”. Non manca, in ciò che ha scritto il gip, un riferimento alla ‘logica del profitto’: “Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”. Parole che non lasciano spazio ad ulteriori interpretazioni.
Il decreto di sequestro preventivo di sei impianti dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto, firmato dal gip Patrizia Todisco, inoltre, è stato notificato solo nel tardo pomeriggio all’avv. Egidio Albanese, uno dei legali del gruppo Riva.
Le altre notifiche ad 8 indagati, inoltre — alcuni dei quali residenti a Milano — a tarda serata non erano ancor astate consegnate.
Il vertice
La notizia è arrivata a poche ore dall’inizio della riunione al ministero dell’Ambiente, che aveva come scopo proprio il raggiungimento di un’ intesa sulla bonifica dell’area, salvaguardando la produzione industriale dello stabilimento.
All’incontro hanno partecipato il ministro Corrado Clini, il sottosegretario allo Sviluppo Claudio De Vincenti, il governatore della Regione Puglia Nichi Vendola, il presidente della Provincia Gianni Florido e il sindaco di Taranto Ippazio Stefà no; per Palazzo Chigi partecipa Angelo Lalli, per il Pdl Raffaele Fitto e per il Pd Nicola Latorre.
Gli operai in marcia, sciopero a oltranza
Dopo la notizia, che suona come allarmante per il futuro dei lavoratori — come già accaduto ieri in segno di protesta -, oltre 8mila operai hanno lasciato il posto di lavoro e sono usciti all’esterno dello stabilimento Ilva.
Gli operai hanno marciato sulle statali Appia e 106 e hanno raggiunto il centro di Taranto per raggiungere la Prefettura.
Gli operai si sono fermati nella zona del ponte girevole e lo hanno occupato, paralizzando completamente la città .
Allo stesso tempo il corteo — imponente come quello che ieri per alcune ore ha invaso le statali 100 e 106, per Bari e per Reggio Calabria — ha impedito l’accesso a tutti gli ingressi della città e occupato le statali (la statale 106 jonica Taranto-Reggio Calabria, la statale 100 Taranto-Bari e i due ingressi alla città di Taranto: la città vecchia e il ponte Punta Penna), con i lavoratori che hanno manifestato tutta la loro preoccupazione per il sequestro degli impianti e le inevitabili ricadute occupazionali. In prevalenza si tratta di operai del primo e del secondo turno mentre in fabbrica è rimasto un numero di operai superiore a quello previsto dalle comandate.
“La decisione di uscire è stata improvvisa — ha detto il segretario provinciale Fim Cisl Cosimo Panarelli — e quindi la produzione non è stata fermata. Tutta la ghisa che è in lavorazione sta seguendo il suo naturale ciclo altrimenti uno stop improvviso avrebbe gravi ripercussioni sugli impianti. Le procedure di sicurezza di sicurezza possono scattare solo dopo che sara’ stata smaltita la ghisa in produzione”.
Una delegazione di sindacalisti e lavoratori, poi, ha incontrato il prefetto di Taranto Claudio Sammartino.
Al termine dell’incontro gli operai hanno bloccato il ponte girevole di Taranto: decisione presa per discutere della situazione dopo il sequestro degli impianti disposto dal gip Patrizia Todisco.
Nel corso della manifestazione si sono verificati momenti di tensione in seguito alla contestazione di un gruppo di manifestanti.
Il prefetto, secondo fonti sindacali, avrebbe cercato di rasserenare gli animi confermando l’impegno del governo per le bonifiche e l’ambientalizzazione del Siderurgico.
L’accordo di programma firmato a Roma, secondo Sammartino, dovrebbe scongiurare lo spettro del licenziamento. I lavoratori hanno deciso comunque di proseguire la protesta: in serata le sigle sindacali confederali hanno proclamato lo sciopero a oltranza, fino a quando la situazione non troverà uno sbocco.
Alta tensione da mesi
La tensione a Taranto è alle stelle da mesi: i lavoratori temono infatti di perdere il posto di lavoro e così da settimane chiedono aiuto.
Hanno risposto tutti al loro appello: politici, amministratori, sindacati, Confidustria, docenti universitari e medici. Tutti hanno lanciato il loro messaggio a difesa degli operai. Tutti, anche il nuovo vescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, hanno accolto positivamente l’intervento del Governo, le nuove disposizioni della Regione e ora confidano nella decisione “responsabile” della magistratura.
Lo stesso ministro Corrado Clini aveva dichiarato che il blocco degli impianti in questa fase sarebbe una contraddizione.
Parole cadute nel vuoto.
Contestato anche il disastro ambientale
Gli otto indagati sono accusati, a vario titolo, di disastro ambientale colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose.
Sono due le ordinanze firmate dal gip di Taranto.
La prima ordinanza, con la quale si dispone il sequestro di sei impianti, è di circa 300 pagine e contiene, tra le motivazioni del provvedimento, anche pezzi dei risultati dell’incidente probatorio conclusosi il 30 marzo scorso dinanzi allo stesso gip e durante il quale sono state discusse due perizie — una chimica e l’altra medico-epidemiologica — disposte dal magistrato su richiesta della Procura.
La seconda ordinanza, anche questa di 300 pagine circa, dispone la custodia cautelare agli arresti domiciliari di otto indagati.
Ai cinque dirigenti o ex dirigenti dell’Ilva di Taranto, si sono aggiunti tre dirigenti del Siderurgico che hanno assunto incarichi in tempi più recenti.
La perizia: emissioni causano fenomeni che portano a malattie e morte”
La perizia medico-epidemiologica, sulla base della quale sono stati disposti il sequestro e gli arresti in via di esecuzione, è stata redatta da Annibale Biggeri, docente ordinario all’Università di Firenze e direttore del centro per lo studio e la prevenzione oncologica; Maria Triassi, direttrice di struttura complessa dell’area funzionale di igiene e sicurezza degli ambienti di lavoro ed epidemiologia applicata dell’azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli; e da Francesco Forastiere, direttore del dipartimento di Epidemiologia della Asl Roma/E.
Secondo i periti, “l’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte”.
Clini: “Non è detto che il danno arrivi dagli impianti attuali”
Nel merito risponde il ministro dell’Ambiente Clini: “La magistratura ha ritenuto che il ciclo produttivo, in particolare quello a caldo, è ancora una sorgente di rischio, ma questo non vuol dire che il danno ambientale degli ultimi 15-20 anni sia riferibile agli impianti attuali”.
Tre ingegneri per spegnimento impianto —
“Non siamo pazzi sconsiderati, cerchiamo di lavorare con la schiena dritta, ragionando”.
Così il procuratore capo del Tribunale di Taranto Franco Sebastio ha motivato la scelta del Gip.
Lo stesso procuratore ha convocato per domani mattina una conferenza stampa a Taranto, “per fare chiarezza su alcuni aspetti e alcune polemiche” di queste ore e dei mesi precedenti. Lo stesso magistrato chiarisce che per il sequestro delle aree occorrerà tempo.
“Non si può concludere in 24 ore”, spiega. Si tratta di procedure molto particolari vista l’imponenza della struttura. Occorrerà fare un progetto di lavoro: a questo fine sono stati nominati tre ingegneri dell’Arpa, l’Agenzia regionale protezione ambientale della Puglia.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 26th, 2012 Riccardo Fucile
LO STABILIMENTO DI TARANTO FU COSTRUITO NEGLI ANNI SESSANTA, RINATO DALLE CENERI DELL’ITALSIDER… IL POLO SIDERURGICO E’ DA DIECI ANNI AL CENTRO DEL DIBATTITO PER IL SUO IMPATTO A TARANTO E A GENOVA
Nata dalle ceneri della dismessa Italsider, dagli anni Novanta il colosso siderurgico Ilva S.p.a. appartiene al Gruppo Riva e si occupa di produzione e trasformazione dell’acciaio.
Il nome trae origine dall’isola del’Elba, da cui veniva estratto il ferro che alimentava i primi altiforni costruiti in Italia a fine Ottocento.
Cuore dell’azienda è lo stabilimento di Taranto — uno dei maggiori complessi industriali del Paese e d’Europa —, ma l’Ilva ha sedi anche a Genova, Novi Ligure (Alessandria), Racconigi (Cuneo), Patrica (Frosinone) e Varzi (Pavia).
Creata originariamente nel 1905 dalla fusione delle attività siderurgiche dei gruppi Elba (che operava a Portoferraio), Terni e della famiglia romana Bondi, come “Quarto Centro Siderurgico”, nell’ambito della strategia di crescita delle Partecipazioni Statali, nel periodo della Prima Guerra Mondiale l’Ilva integrò anche aziende cantieristiche ed aeronautiche. Passata in mano pubblica negli Anni Venti, con la costruzione del nuovo polo siderurgico di Taranto, assunse la denominazione Italsider.
Solo nel 1988, dopo aver ceduto l’acciaieria di Piombino, l’impianto di Cornigliano e chiuso quello di Bagnoli, tornò al nome originale.
Poi nel ’95 il passaggio al gruppo privato Riva.
Nello stabilimento di Cornigliano le cokerie (in cui viene lavorato il minerale per l’ ottenimento del carbon-coke per alimentare l’altoforno e ottenere le colate di ghisa per fare l’acciaio) sono state chiuse già nel 2002 a causa del forte impatto sulla salute delle polveri emesse dall’impianto.
Un problema ambientale che affligge anche Taranto, soprattutto nel quartiere Tamburi, dove gas, vapori e diossina creano coli per la salute dei suoi lavoratori e degli abitanti, secondo quanto spiegato nella maxi-perizia depositata quest’anno presso la Procura della Repubblica.
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Luglio 26th, 2012 Riccardo Fucile
I DATI PRESENTATI IN UN CONVEGNO SCIENTIFICO A OXFORD
«Nelle urine dei tarantini è stata riscontrata la presenza del piombo, sostanza neurotossica e cancerogena».
Lo riferisce in una nota il presidente di Peacelink Taranto, Alessandro Marescotti, citando i dati del biomonitoraggio sui metalli pesanti nell’urina degli abitanti di Taranto presentati a Oxford in un convegno scientifico.
I dati sono frutto di una ricerca condotta da un gruppo di studiosi americani e italiani di cui ha fatto parte – riferisce Marescotti nella nota – anche il dirigente di Arpa Puglia, Giorgio Assennato.
«Sono 141 – spiega Marescotti – i soggetti analizzati (67 uomini e 74 donne). Il valore medio del piombo urinario riscontrato nelle analisi è stato di 10,8 microgrammi/litro, mentre i valori di riferimento sono fissati, per la popolazione non occupazionalmente esposta, in un intervallo che va da ‹0,5 a 3,5 microgrammi per litro (secondo la Società Italiana Valori di Riferimento)». L’indagine ha riscontrato anche per il cromo un valore medio che supera l’intervallo dei valori di riferimento.
«È la prima volta – osserva Marescotti, chiamato a relazionare in qualità di rappresentante del cartello di associazioni ambientaliste Altamarea – che questi dati vengono resi noti in lingua italiana e l’occasione è stata offerta dal Workshop dal convegno «Valutazione economica degli effetti sanitari dell’inquinamento atmosferico», organizzato da Arpa Puglia.
(da “Corriere del Mezzogiorno”)
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Luglio 26th, 2012 Riccardo Fucile
TRE ANNI FA AVEVA ESPUGNATO UNA ROCCAFORTE “ROSSA”, OR RICONSEGNA LA TESSERA DI PARTITO… “NON HO NULLA CONTRO BERLUSCONI MA E’ CIRCONDATO DA UNO STUOLO DI YES MAN PRONTI A DIRE SI’ A QUALUNQUE COSA”
Luca Caselli, sindaco di Sassuolo in provincia di Modena, lascia il suo partito: il Popolo della Libertà .
La decisione è stata annunciata nella maniera che oggi i politici sembrano preferire, su Facebook, attraverso un post di poche righe che ha scatenato, nell’immediato, un centinaio di commenti solidali nei confronti di un amministratore che nella sua città , dagli elettori, è considerato un po’ come un campione antico.
Un eroe che, tre anni fa, ha conquistato una delle fortezze del centrosinistra cambiando il colore del vessillo cittadino da rosso a azzurro. E che oggi vuole essere un “indipendente”.
“Credo che non rinnoverò la tessera del Pdl — scrive su Facebook — e che non farò altre tessere per un po’. Sinceramente mi dispiace, ma dopo aver militato per quasi 25 anni in un partito oggi ho veramente il vomito”.
Le polemiche in seguito al suo annuncio, ovviamente, non si sono fatte attendere ma il primo cittadino di Sassuolo è intervenuto nuovamente per dissipare ogni dubbio. “Sono grato al Pdl per la mia elezione — ha chiarito stamani sul social network — e non intendo prendere altre tessere. Rimango il primo sindaco di Sassuolo di tutti i tempi senza tessera di partito. Non rinnego nulla ma non ho intenzione di avallare scelte politiche che non condivido”.
Una decisione consapevole, già in odore da diverso tempo, dovuta a malumori e amarezze che si sono accumulate nei confronti della gestione nazionale e locale di un partito, quello della libertà , che oggi offre un panorama “desolante” ai suoi elettori. Fatto di scontri intestini e poca chiarezza nelle scelte prese a tutti i livelli. Di “immobilismo” politico, spiega Caselli.
A Modena, dove “c’è stato un congresso conflittuale con strascichi anche peggiori. Quando ho annunciato la mia decisione nessuno dall’Emilia Romagna mi ha chiamato per parlarne, ho ricevuto una sola telefonata e proveniva da Roma. Questo perchè, senza un motivo apparente, mi sono ritrovato ad avere più nemici nel mio partito che all’opposizione”.
E a Roma, dove “prima si annunciano le primarie, poi si dice di candidare Berlusconi senza primarie. Non mi sembra un atto di coerenza”.
Lui che per primo aveva puntato il dito contro l’ex premier perchè “il bunga bunga ci ha rovinati” e “ha portato via credibilità al nostro partito” oggi non esita a togliersi un sassolino dalla scarpa, come uomo senza bandiera, indipendente.
“Io non ho nulla contro Berlusconi — spiega — ma se da Arcore fa saltare le primarie, circondato da uno stuolo di Yes man pronti a dire sì a qualunque sua proposta, allora non ci sto più. Non voglio cedere a decisioni del partito che disapprovo”.
Di quello stesso partito che dalle dimissioni del suo leader naviga in acque mosse, “con troppe anime”, secondo Caselli, “senza dialogo e comunicazione”.
Popolato di voci, gli ex An, i super liberal, i berlusconiani, che si fanno la guerra. “E le idee dove stanno? — chiede Caselli — io, che vengo da una delle correnti di An, perchè ce ne sono diverse all’interno del Pdl, cos’ho da condividere con loro? Forse l’anti comunismo, però io non mi schiero con gli ‘anti’ ma solo con i ‘pro”.
Così come da sempre esistono gli indipendenti di sinistra, da oggi in avanti Luca Caselli, 40 anni, avvocato, governerà come un “indipendente di destra”, elevando a suo partito quella città , Sassuolo, per la quale ha sempre voluto lavorare.
“Il Pdl ha smarrito la bussola, ma non lo rinnego, non faccio come Schettino che abbandona la nave, rimango un sindaco in quota Pdl ma rivendico il diritto di non fare la tessera”.
“Sono stanco — spiega — di vertici politici assolutamente fuori dal mondo reale e penso che le persone e le idee vengano prima delle tessere di partito. Per questo, per governare meglio Sassuolo in questi ultimi due anni mi spoglio della mia”.
Dopo di che, alla scadenza del mandato, quando verrà il momento di pensare a una ricandidatura, “allora farò una riflessione. Che sarà politica ma non solo, anche personale. Se ci saranno le condizioni per un secondo mandato ben volentieri — spiega il sindaco — ma dopo aver visto per una vita persone abbarbicate alle loro poltrone, beh, è dignitoso anche tornare a fare l’avvocato”.
Annalisa Dall’Oca
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 26th, 2012 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER PREPARA LA CAMPAGNA ELETTORALE E PENSA AL NOME “GRANDE ITALIA”
Il confronto sulla legge elettorale si è impantanata. In questo modo, rinviando tutto a settembre, Pd e Pdl eviterebbero di andare al voto in autunno in maniera pilotata come sembrano volere Napolitano, Monti e Casini.
Ciò accade proprio nel giorno in cui Alfano in una conferenza stampa esulta per l’approvazione al Senato, in prima lettura, dell’elezione diretta del capo dello Stato.
Difficilmente alla Camera la vecchia maggioranza Pdl-Lega riuscirà a far passare questa riforma costituzionale osteggiata da Pd e Udc.
Berlusconi intanto ha dato forfait all’incontro con i giornalisti per evitare di rispondere a una serie imbarazzanti di domande, per esempio sulla trattativa Stato-mafia e sull’accusa a Dell’Utri che, secondo i magistrati di Palermo, porterebbe in qualche modo a lui.
Ma ha voluto evitare pure di parlare della sua sesta candidatura a premier e delle questioni europee, magari sostenendo che oggi lo spread ha raggiunto gli stessi livelli di quel novembre 2012 in cui dovette dimettersi.
E che, insomma, essere stato sostituito con Monti non ha portato a grandi risultati. Affermazioni che avrebbero provocato ripercussioni sui mercati già abbastanza turbolenti.
Alfano ha spiegato che l’assenza del Cavaliere è stata concordata «per evitare di offrire un pretesto alla sinistra che già aveva cominciato con il rullio di tamburi, dicendo che la nostra proposta sull’elezione diretta del presidente della Repubblica ci serve per appendere qualche manifesto».
Un’altra ipotesi è invece che l’ex premier non intenda sbilanciarsi sulla legge elettorale e che non sia convinto sulle preferenze per le quali tifa invece gran parte del Pdl, gli ex An in particolare.
Preferenze e premio di maggioranza da attribuire al partito che prende più voti, mentre il Pd vuole i collegi per scegliere i parlamentari e il premio di maggioranza alla coalizione che vince.
«La verità – sostiene La Russa – è che il Pd vuole decidere chi deve essere eletto e il miglior sistema è paracadutare i propri uomini nei collegi».
«Mentre noi – ha precisato Alfano – vogliamo far eleggere direttamente dagli italiani sia il presidente del Consiglio sia i parlamentari. Loro voglio decidere nel chiuso di una stanza».
Ecco messa così sono due dita negli occhi a Bersani, che ha risposto irritato definendo la proposta delle preferenze «l’uovo di giornata»: «Ieri sera il messaggio era diverso. Aspetto domani mattina perchè siamo al settimo-ottavo messaggio diverso».
Anche Casini ha dato una rispostaccia al Pdl.
«Lo spread è alle stelle, i Comuni non sanno come pagare i fornitori e noi ci preoccupiamo di cincischiare su cose astratte come il semipresidenzialismo, che non ha alcuna possibilità di essere realizzato in questa legislatura e si rinvia sulla legge elettorale».
Bene, ha replicato Alfano, visto che «Bersani ha la testa dura dovrà spiegare agli italiani che vuole tenersi il Porcellum».
Intanto Berlusconi fa la Sfinge.
Nel suo stesso partito c’è chi, come l’ex ministro Galan e molti ex Fi, definiscono le preferenze «una grande boiata».
Ma il silenzio del Cavaliere è dovuto anche al fatto che in capo ai suoi pensieri non ci sono le riforme.
Sta lavorando alla campagna elettorale, sia che si voti nel 2013 o in autunno (ipotesi che si allontana per la verità ). Sta mettendo a fuoco il “format” della sua ridiscesa in campo per l’ennesima volta.
Non ha voluto parlarne ieri alla conferenza stampa sul presidenzialismo perchè sta studiando l’annuncio ad effetto nei tempi e nelle modalità comunicative più adatte, anche con proposte e idee che possano servire a recuperare la fiducia di chi lo ha già votato tante altre volte.
Un’idea è che il debito pubblico non devono pagarlo gli italiani ma lo Stato vendendo una parte del suo patrimonio.
Anche il nuovo nome da dare al partito ha la sua importanza. Berlusconi comincia ad avere una preferenza rispetto ai tanti nomi che erano circolati: Grande Italia.
Amedeo La Mattina
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Luglio 26th, 2012 Riccardo Fucile
NELL’ERA DELLA SPENDING REVIEW PRESSIONI DI MINISTERI ED ENTI LOCALI…NON BASTA LA TRANSENNA A FERMARLI
La «linea Maginot» venne aggirata dai tedeschi passando da Nord, attraverso la Foresta delle Ardenne.
La transenna anti-lobbisti viene aggirata passando dal retro, grazie al corridoio che fa il giro del pianerottolo e sbuca dritto a «Parigi», cioè davanti alla commissione Bilancio del Senato.
C’è una pausa nei lavori sul decreto legge per la spending review, il primo ad uscire è il presidente Antonio Azzollini, Pdl.
Lunga carriera da avvocato, più di una Finanziaria condotta in porto, una certa esperienza di come va il mondo, insomma.
Eppure. «Basta – sbotta ancora sull’uscio – non ve l’ho detto che dovete restare dietro la transenna? Ci dovete lasciar lavorare, la-vo-ra-re. E decidere in piena libertà ».
Accorrono i commessi mentre loro, i lobbisti, ripiegano in silenzio dietro la linea Maginot, un nastro rosso allungabile tipo quelli del check-in.
Saranno un ventina qui a marcare a uomo i senatori: fascicolo degli emendamenti, evidenziatore e tabletd’ordinanza.
Nulla a che vedere con la folla che si vedeva ai bei tempi del decreto sulle liberalizzazioni, quando vennero addirittura chiusi in una stanza separata e si tornò a parlare di una legge per regolare il loro mestiere.
Ma stavolta c’è una novità . Se prima a fare lobby erano solo i privati, adesso tocca soprattutto al settore pubblico.
È la mutazione genetica del «sottobraccista», chiamato così per quella dote innata di agganciare con savoir fairel’obiettivo.
Sarà che qui si parla di spesa pubblica, sarà che dopo una stagione di tagli la polpa non c’è più e stiamo arrivando all’osso.
E allora le aziende cercano sponde inedite, come dimostra la santa alleanza tra industrie farmaceutiche e sindacati che hanno scritto al premier Mario Monti e al ministro dell’Economia Vittorio Grilli per chiedere uno sconto di pena.
Resta il fatto che davanti a quella porta ci sono gli «ambasciatori» di tanti ministeri: quelli dell’Istruzione vigilano sui tagli alla ricerca, quelli della Farnesina sulle nuove regole per il personale all’estero.
Ma i più attivi sono i funzionari dell’Unione delle Province.
Uno potrebbe accostarli a un vecchio carrozzone borbonico e invece qui, al piano ammezzato di Palazzo Madama, si dimostrano smaliziati brasseurs d’affaires.
Sono stati loro a inventare quella regola del due: salvare almeno due Province in ogni Regione, che potrebbe risparmiare Terni, Isernia e Matera.
L’altro giorno hanno piazzato il loro campo base una porta più in là , nella commissione Giustizia.
E adesso a tenere gli occhi aperti sulla regola del due e su tutti gli altri emendamenti sensibili c’è Claudia Giovannini, elegantissima responsabile per le politiche dello sviluppo. Lobbismo pubblico, lobbismo privato la tecnica è sempre la stessa: «Se insisti solo sulle tue ragioni – spiega uno di loro – hai meno possibilità di portare a casa il risultato. Devi sempre indicare una soluzione che sia vantaggiosa per tutti». Coalizione di interessi: nei corsi di pubbliche relazioni la chiamano così.
Adesso la commissione sta per iniziare di nuovo, i lobbisti tornano dietro la transenna. Alle otto di sera c’è il cambio turno, per molti di loro arriva un collega che seguirà la seduta in notturna.
Scriveva John F. Kennedy, uno che se ne intendeva: «I lobbisti sono quelle persone che per spiegarmi un problema impiegano dieci minuti. Per lo stesso problema i miei collaboratori impiegano tre giorni».
Funziona sempre, anche se loro non ne possono più di sentirla.
Stanno pensando a tutt’altro mentre la porta della commissione si chiude di nuovo: «Se arriva pure il decreto d’agosto – dice uno di loro, ragazzo sveglio, settore comunicazioni – giuro che cambio lavoro. Non ce la faccio più a tirare tutte le notti fino alle due».
Lorenzo Salvia
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 26th, 2012 Riccardo Fucile
INCONTRI, DIBATTITI, FESTE: DAL PD AL PDL… I RAGAZZI SI INCONTRANO PER PORTARE AL CENTRO DELLA DISCUSSIONE I PROBLEMI DI UNA GENERAZIONE, QUELLI SCOMPARSI DALLE AGENDE DEI PARTITI
L’Europa politica che non c’è ancora. Il lavoro che manca, schiacciato tra precarietà endemica e disoccupazione alle stelle.
La crisi che colpisce, senza tregua, oscurando il futuro, sospendendolo in continuo punto interrogativo. E molto, troppo, ricade su di loro, le giovani generazioni.
Che non si arrendono, cercando risposte nella politica.
Nonostante la sfiducia nei partiti e nelle istituzioni.
Nonostante l’Italia sembri sempre di meno un “paese per giovani”.
Loro sono Giovani Democratici, Tilt, la Giovane Italia. Ma anche i giovani di Libera, l’associazione di Don Ciotti.
Da sinistra a destra, organizzazioni che cercano di disegnare in proprio la rotta per il futuro. Ne parleranno in tutto il Paese, per tutta l’estate. Nelle loro feste, per inserire nel dibattito pubblico questioni e priorità che li riguardano.
Giovani Democratici.
Il viaggio è iniziato il 25 luglio – con la Festa nazionale dei Giovani del Partito Democratico. Il luogo scelto è il comune di Pollica, Salerno.
Una scelta “non casuale” dice il segretario nazionale dei Gd, Fausto Raciti. “Vogliamo rendere omaggio ad Angelo Vassallo, il sindaco della città ucciso due anni fa, ed evidenziare come una città del Mezzogiorno, tema rimosso dalle agende politiche degli ultimi anni, possa essere esempio di buona amministrazione”.
Lo slogan della manifestazione è “L’Europa che vorrei”. Tanti dibattiti e numerosi ospiti, da D’Alema a Vendola, dalla Camusso a Enrico Letta e Matteo Orfini.
E durante la manifestazione sarà presentato un manifesto realizzato con tutte le altre forze progressiste europee contro le politiche di austerità e il fiscal compact.
Per Michele Grimaldi, coordinatore segreteria nazionale Gd, questa festa è anche “un grande segnale per la Campania, un simbolo del ricambio generazionale che vogliamo mettere in campo”.
Libera.
Sempre il 25 luglio ha preso il via il terzo raduno dei ragazzi Libera, l’associazione di Don Luigi Ciotti.
Partiranno da tutto il Paese per raggiungere Borgo Sabotino, bene confiscato in Provincia di Latina, oggetto, negli ultimi anni, di atti vandalici e intimidatori. L’incontro sarà dedicato ai vent’anni dalle stragi del 1992.
Per mettere in rete “un’energia esplosiva”, quella di centinaia di ragazzi che ogni giorno danno il loro contributo alla lotta contro tutte le mafie.
Trecento giovani che dialogheranno con Don Luigi Ciotti, Gian Carlo Caselli, Antonio Ingroia, Alfonso Sabella, con i giornalisti Attilio Bolzoni e Nando Dalla Chiesa.
Tanti i temi: le stragi del 92-93, tangentopoli e mani pulite, il crollo del muro di Berlino. Tre eventi che in modo diverso hanno influenzato la loro vita.
Giovani Comunisti.
Incontri con Ingroia, Diliberto, Luca Telese. Poi proiezioni di film e documentari.
E’ il Red Village dei giovani di Rifondazione Comunista e dei Comunisti italiani 3. Una settimana, a Frassinito, nel cuore del Salento. Si chiude il 29 luglio. Tante le parole d’ordine per altrettanti dibattiti.
Da Genova 2001 alle politiche su reddito e lavoro, dalla repressione alla necessità di un nuovo pensiero forte.
Poi l’Europa, le trasformazioni della democrazia e la questione giovanile.
Tilt!
Lo slogan parla da solo: “Siete pronti all’invasione dei desideri?”. Il 29 agosto parte il Tilt Camp 4, campeggio del gruppo che raccoglie numerose associazioni dei giovani di sinistra.
Il luogo scelto è Marina di Grosseto. Sono alla loro seconda edizione e l’ambizione è alta: “lanciare la sfida finale alla politica, a chi la conduce nelle istituzioni ma anche a noi, alle nostre pratiche quotidiane e al rischio che corriamo ogni giorno: quello di arrivare alla radice nell’analisi dei problemi ma non nelle pratiche”.
Per Mapi Pizzolante, portavoce di Tilt, “vogliamo dire della nostra idea di alternativa e di come nasca dalla partecipazione alla costruzione da parte di quei soggetti normalmente esclusi: pensiamo alle donne, a un’idea stessa di politica come servizio per gli altri e le altre, ai loro (e nostri) desideri”.
I ragazzi dell’Udc.
All’inizio di settembre è la volta dei giovani Udc e del loro movimento studentesco, “StudiCentro”.
Le iniziative si svolgeranno durante la festa del partito di Casini, dal 7 al 9 settembre a Chianciano Terme.
I temi in agenda sono tanti: lavoro, l’università e la ricerca, l’Europa e lo sport. E i lavori saranno diretti dal coordinatore nazionale dei giovani dell’Unione di Centro, Gianpiero Zinzi.
Giovane Italia.
Poi Atreju, la festa nazionale della Giovane Italia 6, associazione legata al Pdl.
Si svolgerà a Roma nel parco del Celio, dal 12 al 16 settembre.
“La delicata situazione che abbiamo vissuto in questo anno e le prossime elezioni, riportano Atreju al centro della scena politica”, dice Marco Perissa, il presidente dell’associazione.
Nelle intenzioni, “sarà un’edizione importante e decisiva, perchè oggi più che mai vogliamo gridare che non ci stiamo, che non saremo noi a uccidere i nostri sogni e non saremo noi a lasciare il futuro nella mani di chi ha abusato del passato compromettendo il presente”.
E l’obiettivo è risvegliare un sano protagonismo generazionale,
La speranza è che “possa essere uno stimolo ed un esempio per la politica, che deve rimettere al centro il cittadino e restituire al popolo la sua sovranità ”.
L’Italia dei Valori.
Infine i giovani dell’Idv, che apriranno la festa nazionale nazionale del partito di Di Pietro.
L’appuntamento è a Vasto dal 21 al 23 settembre. E presenteranno le “esperienze raccolte sul territorio e le storie di chi sta già lavorando per cambiare il panorama politico italiano”.
Per farsi portatori “di quella fase di rinnovamento di cui ha bisogno l’intera politica nazionale”.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 26th, 2012 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELL’ANCI: “UNA SETTIMANA PER CORREGGERE GLI ERRORI, I SOLDI NON CI SONO PIU'”
Per il combinato disposto degli incassi minori dell’Imu rispetto a quelli previsti dal ministero del Tesoro e dei tagli agli enti locali con la spending review, molte città e numerosi capoluoghi si troveranno in difficoltà , ad agosto, nel pagare gli stipendi ai dipendenti.
Uno di questi comuni è Lecce, che ha ricevuto un terzo dell’Imu prevista.
L’allarme è arrivato da Alessandro Cattaneo, sindaco di Pavia e vicepresidente dell’Anci. «Confidiamo che la prossima settimana, in Conferenza Stato-Città , si correggano le distorsioni. Ormai non si può più parlare di generiche preoccupazioni dei comuni, siamo alla resa dei conti», ha affermato Cattaneo.
«In alcuni comuni – ha aggiunto – non ci sono più soldi in cassa. Nella Conferenza Stato-città della prossima settimana è necessario che il governo dia ufficialmente seguito all’impegno di colmare i minori introiti Imu, anche perchè quelle città che hanno incassato di meno rispetto alle previsioni del governo si sono già viste tagliare i trasferimenti in misura corrispondente alle errate previsioni sugli introiti».
Per Cattaneo «questo è l’esempio lampante di come i nostri allarmi fossero fondati. Il vero punto critico – aggiunge – si raggiungerà a fine anno, con le seconde rate Imu e la chiusura dei saldi obiettivo del Patto di stabilità . Moltissimi Comuni rischiano di non rispettare il Patto, un’eventualità che danneggerebbe fortemente i conti dello Stato». «Io piuttosto – ha concluso – preferisco non rispettare il Patto di stabilità che alzare l’Imu».
In allarme anche il sindaco di Vicenza, Achille Variati. «Piuttosto che alzare le tasse ai cittadini di Vicenza – ha affermato – presento in rosso al prefetto i libri contabili del Comune. Se il decreto legge sulla spending review passa in Parlamento così com’è, Vicenza si troverà in una situazione drammatica, perchè elaborare le contromisure in corso d’anno sarà un lavoro di revisione arduo, oltre che non previsto».
Nella seduta di giunta di questa mattina gli assessori hanno iniziato a verificare le conseguenze del taglio lineare di 1,25 milioni di euro nei trasferimenti 2012 dello Stato al Comune per effetto della spending review.
«Così è impossibile continuare a fare gli amministratori comunali e anche trovare candidati alle prossime elezioni. I Comuni sono costretti a chiudere», gli ha fatto eco il sindaco di Rocca Santo Stefano, piccolo comune in provincia di Roma, Sandro Runieri (Udc).
«Se i rappresentanti del governo avessero solo per un giorno indossato la fascia tricolore di sindaco – ha aggiunto Runieri – oggi forse non avrebbero preso i provvedimenti che stanno mettendo in forte difficoltà soprattutto i piccoli Comuni, già in affanno per le limitate risorse in bilancio. È quindi necessario valutare bene tutti i conseguenti effetti che i tagli andranno a causare alle attività delle amministrazioni comunali».
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Luglio 26th, 2012 Riccardo Fucile
LE INCREDIBILI STORIE ITALIANE: ELVIO CARIGNO E’ IN CARCERE PROPRIO PERCHE’ ACCUSATO DI AVER SOTTRATTO FONDI REGIONALI
«Bravo», gli ha detto la Regione Molise. E gli ha dato un bonus di 13.099 euro in aggiunta allo stipendio.
Peccato che Elvio Carugno sia in galera.
Carugno è accusato di avere rubato soldi regionali. Il che conferma come la distribuzione dei «premi» messi a bilancio sotto la voce «merito» avvenga con criteri a pioggia che col merito non hanno niente da spartire.
Il tema è una ferita che sanguina da tempo. Basti ricordare la denuncia che fece qualche anno fa, alla vigilia dell’ultimo governo Berlusconi, l’allora ministro per la Funzione pubblica, Luigi Nicolais.
Il quale ammise che «il tentativo di misurare l’efficienza di chi dirige gli uffici pubblici», avviato dal governo D’Alema nel lontano 1999 con la legge 286 che prevedeva una ricompensa aggiuntiva per i dirigenti sulla base del raggiungimento o meno degli obiettivi fissati, non aveva dato «i risultati sperati».
Un eufemismo.
La prova era nei numeri: su 3.769 altissimi funzionari addetti alla macchina statale, quelli premiati col massimo bonus possibile erano 3.769.
Come se fossero tutti purosangue. Tutti bravissimi, puntualissimi, rigorosissimi. Senza un solo somaro, un ronzino, un brocco che meritasse un minimo di castigo… Come se tutti gli obiettivi prefissi fossero stati raggiunti.
Mai più, giurarono allora i responsabili della cosa pubblica. Mai più.
Fatto sta che, anche al di là dell’impegno personale di questo o quel ministro (ricordate la battaglia scatenata su questi temi dal contestatissimo Renato Brunetta?), ciò che è accaduto in questi giorni in Molise dimostra quanta strada ci sia ancora da fare.
Dice tutto la lettera protocollata il 6 luglio scorso e firmata dalla Direzione generale della Regione Molise e inviata al Servizio di gestione risorse umane.
Oggetto: «Erogazione indennità di risultato dirigenza anno 2011».
Messaggio: «In riferimento all’erogazione di cui all’oggetto, si partecipa che, avendo acquisito per le vie brevi le dovute informazioni da parte del nucleo di valutazione in merito ai termini di conclusione dei procedimenti di valutazione dei direttori di area e di servizio, rilevato che a tutt’oggi i medesimi procedimenti non sono ancora conclusi, si rimette alle opportune valutazioni della signoria vostra la plausibilità di procedere all’anticipazione dell’erogazione dell’indennità di risultato… ».
Totale dell’importo dei premi, in questi tempi di crisi, di assunzioni bloccate, di appelli quotidiani al pubblico impiego: 805.046 euro e 57 centesimi.
Da dividere, come anticipazione del 60% degli incentivi per i risultati raggiunti nell’anno passato, tra 68 dirigenti. Per capirci: tutti quelli della Regione.
Come se anche in questo caso, nella scia dello scandalo denunciato da Luigi Nicolais, non ci fosse nessuno ma proprio nessuno da lasciare a secco.
Si dirà : sono integrazioni in qualche modo dovute. Ma è vero solo in parte.
La Regione, accusano le opposizioni, poteva fissare un minimo molto basso e un massimo molto alto, scelta evitata stabilendo bonus che vanno in genere da 11 a 13 mila euro.
Poteva dare degli obiettivi precisi e non così generici (tipo «organizzazione degli uffici») da lasciare spazio a ogni interpretazione.
Di più: il nucleo di valutazione, composto da tre persone, è dominato da due membri di squisita nomina partitica: il sindaco di Santa Maria del Molise e il vicesindaco di Petacciato.
Tutti e due appartenenti al Pdl del governatore Michele Iorio.
La decisione di spendere così quegli 805 mila euro ha mandato su tutte le furie il capogruppo in consiglio regionale del Molise dell’Italia dei valori, Cosmo Tedeschi: «In un periodo difficile come quello che stiamo attraversando questa somma poteva, anzi doveva essere spesa per interventi più urgenti e, soprattutto, utili alla comunità ». Lo sconcerto, tuttavia, non riguarda solo i dipietristi e la sinistra.
Tra i dirigenti, infatti, vengono premiati anche i dirigenti della Sanità che, come spiegano i dati di pochi giorni fa, è tra le più sgangherate e indebitate, sul pro capite, della Penisola. Un dato per tutti: 2.939 euro di spesa per abitante, inferiore solo a quelle della Basilicata e del Lazio.
Di più: riferisce un’agenzia Agi di qualche settimana fa che «il Molise ha anche il primato per spesa pubblica primaria delle Pubbliche Amministrazioni, che Bankitalia ha rilevato in 4.100 pro capite nel triennio 2008-2010 contro i 3.300 euro della media nazionale».
Ma non basta.
Tra i dirigenti benedetti dalle gratifiche, con 11.718 euro di bonus supplementare (ripetiamo: è solo il 60%, poi deve arrivare il resto) c’è anche chi come Antonio Guerrizio è stato messo sotto inchiesta per una brutta storia di soldi spariti dalle casse, già parzialmente restituiti.
E soprattutto Elvio Carugno, in galera da mesi con le accuse di peculato aggravato e continuato. Pochi giorni fa l’ennesima richiesta di andare almeno agli arresti domiciliari gli è stata respinta: secondo i giudici potrebbe scappare, magari in Venezuela dove sarebbe finito in parte, probabilmente a una donna più o meno misteriosa, il milione di euro circa, stando alle indagini, scomparso dalle pubbliche casse.
Domanda: l’arresto è del 4 aprile, come mai tre mesi non sono bastati alla Direzione generale per depennare l’attuale carcerato dalla lista dei dirigenti meritevoli della massima gratifica?
Non sarà il caso di rivederle tutte, queste regole?
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera“)
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