Luglio 14th, 2012 Riccardo Fucile
TRA IL 2000 E IL 2006 LA SICILIA HA RICEVUTO IL QUINTUPLO DEI FONDI ASSEGNATI A TUTTE LE REGIONI DEL NORD MESSE INSIEME
Fanno davvero male, di questi tempi, bastonate come quella che Bruxelles ha appena dato alla Regione Siciliana.
Dove sono stati bloccati 600 milioni di fondi Ue, una boccata di ossigeno, perchè l’Unione non si fida più di come vengono spesi nell’isola i soldi comunitari.
«C’è stata una difficoltà di comprensione…», ha detto un funzionario al Giornale di Sicilia. Testuale.
Purchè non si levino ritornelli contro la «perfida Europa» nella scia di quelli lanciati dal regime mussoliniano contro le sanzioni: «Sanzionami questo / amica rapace…».
Prima che dai vertici europei, l’andazzo era già stato denunciato infatti dalla Corte dei conti.
In una dura relazione di poche settimane fa i magistrati contabili avevano scritto di «eccessiva frammentazione degli interventi programmati» (troppi soldi distribuiti a pioggia anzichè investiti su pochi obiettivi-chiave), di «scarsa affidabilità » dei controlli, di «notevolissima presenza di progetti non conclusi», di «tassi d’errore molto elevati» tra «la spesa irregolare e quella controllata», di «irregolarità sistemiche relative agli appalti».
Una per tutte, quella rilevata nella scandalizzata relazione che accompagna il blocco dei fondi: l’appalto dato a un signore con «procedimenti giudiziari a carico».
Come poteva l’Europa non avere «difficoltà di comprensione»?
Dice Raffaele Lombardo, il quale ieri ha fatto un nuovo assessore alla Cultura destinato a restar lì un battito di ciglia fino alle dimissioni annunciate il 31 luglio, che si tratta solo di questioni «tecniche» di cui chiederà conto «ai dirigenti che se ne sono occupati».
Mah…
Sono anni che la Sicilia, cui la Ue aveva inutilmente già dato un ultimatum a gennaio, è ultima nella classifica di chi riesce a spendere i fondi Ue.
E la disastrosa performance , insieme con quella della Puglia e delle altre tre regioni già «diffidate» (Campania, Calabria e Sardegna) ci ha trascinato al penultimo posto, davanti solo alla Romania, nell’Europa a 27.
I numeri diffusi mesi fa dal ministro Fabrizio Barca sono raggelanti.
Tra il 2000 e il 2006 l’isola ha ricevuto 16,88 miliardi di fondi europei pari a cinque volte quelli assegnati a tutte le regioni del Nord messe insieme.
Eppure su 2.177 progetti finanziati quelli che un anno fa, il 30 giugno 2011, risultavano conclusi erano 186: cioè l’8,6%.
La metà della media delle regioni meridionali.
Uno spreco insensato negli anni discreti, inaccettabile oggi.
Dice il centro studi di Svimez che il Pil pro capite delle regioni del Sud dal 1951 al 2009, anzichè crescere, ha subito rispetto al Nord un netto arretramento. Calando in valuta costante dal 65,3% al 58,8%.
Quanto alle aree povere del cosiddetto «Obiettivo uno», quelle più aiutate da Bruxelles perchè il Pil pro capite non arriva al 75% della media europea, la risacca è stata altrettanto vistosa.
In queste condizioni, buttare via quelle preziose risorse europee che non piovono da una magica nuvoletta ma sono accumulate con i contributi di tutti i cittadini Ue, italiani compresi, grida vendetta.
Buttarle per incapacità politica, per ammiccamenti ai vecchi vizi clientelari, per cedimenti alla criminalità organizzata o per i favori fatti a questa o quella cricca di amici e amici degli amici, è una pugnalata.
Non solo ai siciliani, non solo ai meridionali ma a tutti gli italiani.
Quelli che giorno dopo giorno, Moody’s o non Moody’s, cercano di spiegare all’Europa d’avere imboccato davvero una strada diversa.
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 14th, 2012 Riccardo Fucile
NON BASTERA’ FAR FUORI LA MINETTI DALLA POLITICA PER RIDARE CREDIBILITA’ AI CRITERI DI SELEZIONE DELLE DONNE NELL’UNIVERSO BERLUSCONIANO…UNA STORIA CHE VIENE DA LONTANO E RICCA DI NOMI
Nicole Minetti capro espiatorio del modello Carfagna? Basterà farla fuori dalla politica per ridare verginità ai criteri di selezione delle donne dentro l’universo berlusconiano?
Forza Gnocca ha una storia antica ed è proprio una telefonata tra la Minetti e la sua amica Barbara Faggioli a fissare l’inizio di tutto.
Ecco come Nicole parla di Mara: “Facciamo come la Carfagna. Un po’ di gavetta l’ho fatta. Non pensare che Mara ne abbia fatta tanta di più. A lui gli fa comodo mettere me e te in Parlamento, perchè dice me le sono levate dai coglioni, lo Stato le paga lo stipendio”.
Un concetto chiaro.
Davvero finirà il “tempo delle Minetti” come ha detto ieri Daniela Santanchè?
Del resto, la prima sfuriata di Veronica Lario, ancora prima del “ciarpame senza pudore” delle veline alle Europee del 2009 (Barbara Matera, Lara Comi, Licia Ronzulli) e dello sfogo contro il marito “malato e maiale” andato a Casoria per il compleanno di Noemi Letizia, dicevamo la prima sfuriata avvenne per un complimento di B. alla Carfagna: “Se non fossi sposato, la sposerei subito”.
In origine, dunque, la Carfagna.
Ma anche Mariastella Gelmini e Michela Vittoria Brambilla.
Le tre ministre protagoniste dell’estate del 2008, quando comincia a montare l’onda degli scandali a luci rosse dell’allora premier, ossessionato e logorato dalla sua satiriasi.
La parabola di Forza Gnocca ha tante zone d’ombra e riguardano tutte il livello politico del bunga bunga.
Come il mistero delle intercettazioni hard sulle tre ministre citate: una a Milano e cinque a Napoli, mai uscite.
Disse poi un giorno la parlamentare finiana Angela Napoli: “Non escludo che qualche deputata si sia prostituita”.
Le elezioni politiche del 2008 hanno portato a Montecitorio una nutrita pattuglia di Forza Gnocca, tante deputate lambite dal sospetto di piacere molto al Capo: Elvira Savino (un tempo intima e coinquilina di Sabina Began, l’Ape Regina dell’harem di Palazzo Grazioli), Gabriella Giammanco, Annagrazia Calabria, Mariarosaria Rossi, Michaela Biancofiore.
Non mancano, ovviamente, i quadri locali e di partito di Forza Gnocca.
Tra i primi spicca la presenza di Francesca Pascale, consigliere provinciale di Napoli e soprattutto indicata come attuale fidanzata del Cavaliere (anche la Minetti, peraltro, ha ammesso una relazione con l’anziano B.).
Tra i secondi, la bellezza più evidente ha il volto di Graziana Capone, l’Angelina Jolie di Bari balzata nella prima fila delle predilette con l’inchiesta pugliese sulle escort procacciate da Tarantini.
Oggi, la Capone , lavora a stretto contatto con B. a Palazzo Grazioli.
Come in ogni harem che si rispetti la solidarietà femminile non esiste.
Piuttosto, a dominare è l’odio.
Il bersaglio preferito è stata la Carfagna, accusata pubblicamente da Alessandra Mussolini di avere una storia con il finiano Italo Bocchino quando ci fu lo strappo del presidente della Camera.
Di qui il soprannome malevolo di Mara Hari.
Non solo. La Carfagna, la Gelmini, Stefania Prestigiacomo, nonchè Daniela Santanchè (in una fase precedente) trasportano Forza Gnocca nella cordata di Gianni Letta con i loro rapporti con il faccendiere pregiudicato piduista e piquattrista Luigi Bisignani.
Qual è stata la natura vera di questi link?
La Gelmini fu persino scortata da Bisignani a Palazzo Grazioli per essere raccomandata in vista del triumvirato dei quarantenni che avrebbe dovuto reggere il Pdl.
Poi non se ne fece più nulla.
In questa cricca, a finire nel mirino dell’odio è la Brambilla.
Il vecchio faccendiere la chiama per telefono “brutta mignotta”, mentre “Chi” di Alfonso Signorini, fidatissimo pink-magazine di Arcore, regala una chicca clamorosa.
Incrociando la Brambilla a un evento, la Gelmini sibila un feroce: “Cagna”.
Tutta colpa della promozione a ministra della rossa Michela Vittoria, che riuscì a mettere piede nelle riunioni di Palazzo Chigi proprio nei roventi giorni dello scandalo di Noemi Letizia. Ed è per questo che l’intervista della Santanchè ieri su “Repubblica” va decifrata con attenzione.
Riposizionatasi su altri lidi, l’ex sottosegretaria dice chiaramente: “Non sarò io la donna del ticket con Berlusconi ma non devono esserlo nemmeno le altre”.
Questa la frase: “Non deve essere una professionista della politica”.
Ogni riferimento alla Carfagna o alla Gelmini è puramente voluto.
Forza Gnocca è viva e lotta con Silvio (anche senza la Minetti).
Fabrizio D’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 14th, 2012 Riccardo Fucile
TRA PARLAMENTO E CONSIGLIO E’ RISSA PER L’AUMENTO DELLE SPESE… I RAPPRESENTANTI DEGLI STATI MEMBRI NON VOGLIONO L’AUMENTO
Quando si parla di soldi si litiga sempre.
Pure a Bruxelles, dove le tre principali istituzioni dell’Ue, Commissione, Parlamento e Consiglio, stanno venendo ai ferri corti per la definizione del budget comunitario 2013.
A dire il vero ogni anno si bisticcia su quanto gli Stati membri devono pagare a Bruxelles, ma questa volta, complice la crisi economica e le misure di austerità a cui molti governi sono costretti, i negoziati sono particolarmente caldi.
Si tratta del bilancio 2013, ovvero il capitolo di spese che l’Unione europea nel suo insieme effettuerà l’anno prossimo.
Questi soldi vengono pagati proporzionalmente dai 27 Paesi membri che attraverso l’istituzione che li rappresenta (il Consiglio) negozia con Parlamento e Commissione europea. Il grosso dei soldi che arrivano a Bruxelles ritorna poi negli Stati membri sotto forma di finanziamenti vari, come i fondi di coesione e quelli strutturali.
Ad esempio nel 2012 il bilancio europeo è stato di 147,2 miliardi di euro (141,9 nel 2011), dei quali il 45% destinati a fondi di coesione (promuovere lo sviluppo nelle regioni e nei Paesi più poveri), il 30% a favore degli agricoltori europei, l’11% allo sviluppo rurale, il 6% per progetti extraeuropei e aiuti umanitari e il 5,6% alle spese di amministrazione e personale.
Succede che ogni anno, complice l’inflazione e l’aumento della spesa totale del’Ue, viene accordato un aumento di bilancio.
Ed è proprio qui che quest’anno sono volate le sedie.
La Commissione, di concerto con il Parlamento, aveva proposto lo scorso aprile un aumento del budget del 6,8% per far fronte anche a tutte quelle promesse di pagamento fatte l’anno passato (l’Ue ragiona per cicli di spesa pluriennali, adesso 2007-2013).
Neanche a dirlo, ai rappresentati del Consiglio (quindi degli Stati membri) si sono rizzati i capelli in testa.
Anche agli ex come Valèrie Pècresse, ministro francese al budget fino a due mesi fa nel governo Sarkozy, che ha detto: “E’ impossibile, assolutamente ingiustificabile e inaccettabile che l’Ue chieda ai suoi Stati membri di tagliare il deficit e le spese interne e allo stesso tempo proponga un aumento di quasi il 7% del suo proprio budget”. Impossibile, secondo il Consiglio, andare oltre un aumento tirato del 2,8%.
Furiosa la reazione di Commissione e Parlamento, che fanno notare come tagliare il budget dell’Ue equivale a tagliare i finanziamenti che gli stessi Stati membri riceveranno l’anno prossimo per stimolare crescita e occupazione.
“Questa posizione contraddice quanto deciso dagli stessi capi di Stato e di Governo lo scorso 28-29 giugno a Bruxelles che hanno stanziato 120 miliardi di euro per la crescita europea”, ha fatto notare il Commissario Ue al bilancio Janusz Lewandowski.
In effetti, anche se verrebbe naturale pensare che in tempo di crisi tutti debbano fare sacrifici, viene da se che ridurre l’aumento del budget Ue vuol dire tagliare anche i fondi che ogni anno partono da Bruxelles direzione Roma, Madrid e così via.
Ma questo i ministri nazionali lo sanno bene.
Ecco allora la contro proposta. Con un pizzico di cinismo, Paesi come Polonia, Repubblica ceca, Ungheria, Romania e Spagna hanno difeso a spada tratta i fondi di coesione, dimostrandosi però un pochino meno interessati agli aiuti umanitari internazionali.
Il Consiglio ha proposto infatti di tagliare del 9,75% le spese extraeuropee e di limitare l’aumento delle spese di amministrazione all’1,47% (considerando che l’Ue dovrà preso assumere un bel po’ di croati per accogliere il 28esimo Paese membro).
Nero Alain Lamassoure, popolare francese, a capo della commissione parlamentare per il budget (ce n’è una perfino per il controllo del budget) per quello che reputa “un attacco” dei ministri nazionali “al processo decisionale europeo”.
Ed ecco che torna d’attualità il tormentone di una tassa europea, uno degli obiettivi del Movimento federalista europeo, secondo il quale l’unione monetaria non è sostenibile senza un’unione fiscale e un bilancio dell’Unione dotato di risorse pari ad almeno il 2% del Pil europeo.
Questa possibilità , in effetti, permetterebbe all’Ue di emanciparsi economicamente dai governi nazionali e di rispondere della propria spesa solo ai contribuenti europei.
Ma al momento lo scontro resta tutto a Bruxelles.
A sbrogliare la matassa giocherà un ruolo di primo piano il ministro alle finanze cipriota Vassos Shiarly, che mentre il suo Paese ha chiesto 10 miliardi di aiuto all’Ue per salvare le proprie banche, si permette di litigare con il Commissario Ue al bilancio Lewandowski sul bilancio comunitario.
“Questa Ue costa davvero troppo”, starà pensando.
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Luglio 14th, 2012 Riccardo Fucile
INTESA VICINA TRA PDL, UDC E BERLUSCONIANI DELLA LEGA: PROPORZIONALE CON PREMIO AL 6%
Apparentemente immobili sulle rispettive posizioni, i partiti rimandano a settembre l’ora della verità sulla legge elettorale.
La pretattica, dunque, continuerà per tutto il mese di agosto.
Ma qualcosa di concreto già si muove nelle segrete stanze dei leader se è vero che Pdl, Udc e l’ala berlusconiana della Lega hanno raggiunto un’intesa di massima (proporzionale, con sbarramento al 6%, più piccolo premio di maggioranza al primo partito) con o senza preferenze.
E qualcosa si muove anche a sinistra se è vero che il Pd, nonostante l’irrigidimento ostentato dai suoi dirigenti, lavora (anche con gli emissari inviati da Maroni, che ieri su questi temi ha sentito Silvio Berlusconi) a un modello misto che nulla ha a che fare con la proposta ufficiale del partito: ovvero il doppio turno con i collegi uninominali maggioritari e una quota proporzionale.
E uno che se ne intende, come Marco Pannella, sente puzza di bruciato: «Pier Luigi, no al tradimento del doppio turno alla francese. Spero ti sia chiaro che l’evocazione dei “preferenziali” non è altro che l’ipocrita restaurazione partitocratica delle liste proporzionalistiche».
Premio di maggioranza
Oggi il Porcellum assicura un premio (circa 60 seggi alla Camera, variabile su base regionale al Senato) alla coalizione che ottiene più voti.
Chi vince, in linea di massima, ha il 55% dei deputati.
Al tavolo intorno al quale si è discussa di recente la bozza Violante sottoscritta dai rappresentanti di ABC, il tema è stato affrontato ma non quantificato.
Se comunque lo schema è quello tedesco – 50% collegi uninominali, 50% proporzionale, sbarramento al 5% – e il numero dei deputati della prossima legislatura si assesta a quota 500, si potrebbero prendere in prestito per la Camera i «vecchi» collegi senatoriali del Mattarellum che sono riutilizzabili: erano 232, appunto, mentre i 18 rimanenti per raggiungere quota 250 (cioè la metà uninominale prevista dal sistema tedesco) costituirebbero «il piccolo premio di maggioranza».
Altrimenti, se si mette in discussione questo calcolo aritmetico e se si vuole tenere fuori dal tavolo la riforma costituzionale che porta a 500 il numero dei deputati e a 250 quello dei senatori, il discorso cambia radicalmente.
Anche perchè per disegnare nuovi collegi il governo impiegherebbe almeno tre mesi.
Eppure i nuovi emissari di ABC (Verdini, Migliavacca, Adornato) si mostrano per ora irremovibili sulle rispettive posizioni: il Pdl (con l’Udc) mira a un premio basso (massimo 10%), da assegnare al primo partito, mentre il Pd chiede un premio più alto da attribuire alla coalizione che ottiene più voti: è ovvio che Bersani, in qualche modo favorito dai sondaggi, e «ricco» di potenziali alleati, sostenga il secondo scenario mentre un Pdl per ora in difficoltà , e senza più una Lega fedele al fianco, cerchi di limitare i danni con un «piccolo premio a chi vince».
Preferenze o collegi?
Angelino Alfano insiste: «Io sono molto laico e sereno sulla legge elettorale: non ce n’è una perfetta, ma tra tante imperfezioni con il bisogno di partecipare che c’è nei cittadini noi siamo per le preferenze, per far sì che ciascuno abbia la capacità di misurarsi. Ovviamente, servono candidature di persone oneste».
Anche l’Udc, forte del know how dc, porta alta la bandiera delle preferenze.
Mentre il Pd con la sua proposta di legge ha formalizzato che la scelta migliore è quella del collegio uninominale (magari a doppio turno) in cui si presenta un candidato selezionato dalle primarie (di partito o di coalizione, si vedrà ).
Collegi piccoli
Quelli del Mattarellum erano collegi da 200-250 mila votanti mentre pezzature più piccole, cosiddette alla spagnola, aumenterebbero l’effetto maggioritario con una penalizzazione delle forze minori visto che in Spagna lo sbarramento nominale è del 3% ma quello reale è del 7-8%.
Maroni ha sguinzagliato i suoi emissari che – al di là delle posizioni espresse al Senato dal «berlusconiano» Calderoli – hanno preso contatto con i deputati lombardi del Pd per chiarire un punto: Bersani appoggerebbe una clausola regionale dello sbarramento (un aiutino ai partiti che concentrano i voti in alcune zone del Paese)?
Anche se la Lega, in crisi di identità persino nelle roccaforti, punta sul sistema proporzionale puro gradito a Berlusconi.
Dino Martirano
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 14th, 2012 Riccardo Fucile
GLI ISTITUTI DI CREDITO AVEVANO PROMESSO CIFRE DA STANZIARE PER RIMETTERE IN MOTO L’ECONOMIA…ADESSO SI SONO RIMANGIATI LA PAROLA: NESSUN TIPO DI AGEVOLAZIONE PER I PRESTITI
All’indomani del sisma li promisero quasi tutti le banche, con spot e comunicati stampa: “Per agevolare la ripresa delle attività produttive dei territori colpiti dal terremoto metteremo a disposizione plafond per finanziamenti a condizioni di favore”.
Peccato che, a più di un mese e mezzo dalle scosse, quegli annunci sono rimasti sulla carta, e a oggi le imprese che hanno ottenuto le agevolazioni si possono contare sulle dita di una mano.
Tanto che le associazioni di categorie lanciano l’allarme: “Così si rischia di morire”.
Le cifre le snocciola la Confederazione nazionale della piccola e media impresa di Modena, che ha fatto una ricerca per capire quante tra le aziende messe in ginocchio dal sisma abbiano effettivamente beneficiato di crediti immediati a tasso agevolato, per interventi di prima sistemazione.
Le cosiddette “operazioni ponte”.
Secondo il loro osservatorio, solo una delle banche che ha stanziato il plafond pro ricostruzione ha applicato le condizioni dichiarate, ossia con interessi variabili tra l’1,2% e l’1,5%
Gli altri istituti hanno adottato le stesse prassi pre sisma, ossia applicando interessi del 4% o del 4,5%.
Altre volte le banche hanno deciso discrezionalmente, in base al tipo di società .
Eppure gli accordi con le istituzioni erano diversi.
Il protocollo siglato tra banche, Consorzi fidi e regione Emilia Romagna, raggiunta alcuni giorni fa, prevedeva, infatti, crediti a tassi agevolati a massimo l’1,5 % d’interessi, contro i 4% standard, grazie a un plafond totale di 1,2 miliardi di euro.
A peggiorare la situazione, sono poi i tempi di attesa.
Prima di dare una risposta, infatti, ogni istituto provvede a verificare e ad accertare la presenza dei requisiti minimi per ottenere il finanziamento.
“Alcune banche hanno fatto resistenza — ha dichiarato alla stampa locale il presidente della Confcommercio modendese, Carlo Galassi — e anche a prescindere dal tasso d’interesse, le istruttorie sono lente e non di rado si concludono con il rifiuto del finanziamento, proprio oggi che c’è più necessità ”.
Anche secondo la Confartigianato, finora la maggioranza degli istituti non ha rispettato le promesse fatte e si è dimostrata disponibile solo a parole.
Le associazioni di categoria inoltre si stanno muovendo per chiedere di non tener conto di mancati pagamenti delle rate per le ditte in difficoltà per il terremoto almeno fino all’estate del 2014, e per ottenere un’altra proroga sulla moratoria automatica delle rate dei mutui e dei leasing.
Finora il termine è fissato al 30 settembre, ma le imprese puntano a giugno 2013
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Luglio 14th, 2012 Riccardo Fucile
IL PIANO SCATTERA’ ENTRO OTTOBRE… PESA L’ALTOLA’ ANTITRUST SULLA LINATE FIUMICINO
Nuova cigs in arrivo per Alitalia. Il piano è nel cassetto dell’amministratore delegato Andrea Ragnetti e riguarda almeno 600 dipendenti, dei quali almeno 400-500 con contratto a tempo indeterminato.
Gli altri, sicuramente meno fortunati, oltre che privi di tutele, sono lavoratori stagionali e a tempo determinato ai quali non verrà rinnovato il contratto.
Le indiscrezioni che indicavano un corposo pacchetto di cassa integrazione straordinaria in arrivo con l’autunno, sono confermate, anche se sui numeri sta per aprirsi una trattativa serrata per evitare di espellere dal ciclo produttivo fino a mille persone.
Una quota che – se mai raggiunta – potrebbe rappresentare un grosso problema da gestire per i sindacati.
Dietro a questo nuovo scossone per il vettore romano ci sono motivazioni comuni a tutto il settore aereo: la crisi che sta colpendo l’Europa non fa sconti e pure Alitalia-Cai deve sottomettersi alla scure dei tagli di personale.
Dopo Lufthansa e Air France, che hanno annunciato esuberi che complessivamente riguarderanno fino a 10mila addetti, entro ottobre toccherà alla compagnia italiana.
Negli ultimi mesi il gruppo ha registrato un calo delle prenotazioni e anche se a luglio ci sono alcuni timidi segni di ripresa, i conti del 2012 saranno ben peggiori di quelli sul filo del pareggio operativo sfiorato con l’ultimo bilancio.
Ma a peggiorare le cose potrebbero intervenire anche le decisioni dell’Antitrust sulle rotte più gettonate dai passeggeri.
Ovvero la Milano Linate-Fiumicino e i collegamenti tra la Sicilia e i grandi scali italiani che Alitalia erediterà con l’acquisto di Wind Jet, i cui dipendenti rischiano per un terzo il posto (160 su 500).
A fare il resto, soprattutto sulla rotta Roma-Milano, sono le continue erosioni di quota di mercato a favore del treno ad alta velocità .
Le cifre che circolano oggi nei corridoi di Alitalia e che stanno mettendo in ansia una parte del personale, sembrerebbero puntare ad un totale di poco inferiore alle 650 unità .
Secondo fonti vicine al dossier, l’azienda starebbe cercando di spalmare le uscite secondo un criterio di “proporzionalità ”, cioè dagli incarichi più alti a scendere fino agli amministrativi.
La cigs, ovviamente ad esclusione degli incarichi dirigenziali, sarà di quattro anni e potrebbe riguardare anche una piccola quota di assistenti di volo e piloti, oltre al personale amministrativo e di terra.
Per avere un quadro completo della crisi del vettore e un affidabile termometro della solidità dei conti e del futuro della compagnia bisognerà attendere l’appuntamento del 25 luglio con la semestrale che già si annuncia pesante dopo un primo trimestre segnato da perdite vicine al milione e mezzo di euro al giorno.
Lucio Cillis
(da “la Repubblica”)
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Luglio 14th, 2012 Riccardo Fucile
“E’ DI PLASTICA, INGUARDABILE: SE RIVINCE SIAMO DEI DEMENTI”…. PER IL CREATIVO, SILVIO SARA’ COME IL REVERENDO JONES CHE GUIDO’ ALLA MORTE NEL 1978 UN MIGLIAIO DI SEGUACI DELLA SUA CONGREGAZIONE
Oliviero Toscani vede il ritorno di Silvio Berlusconi con un’immagine apocalittica: il primo suicidio di massa in Italia.
È una foto devastante.
Ragazzi, l’Italia è alla prova del nove. Berlusconi vuole immolarsi per il Paese, fare il primo suicidio pubblico di massa.
Di massa?
Tutti quelli che lo voteranno finalmente capiranno che sono morti. Ci sarà un rogo di piazza. Altro che Giordano Bruno.
Un ritorno senza speranze.
Lui è diventato un disastro, sembra di plastica. È inguardabile. Cazzò questa è la bellezza del made in Italy di cui ci vantiamo? Non scherziamo.
Eppure si sta ripulendo. Vuole rinnegare la Minetti, ha chiesto scusa per la mancata rivoluzione liberale, appoggia Monti.
Non funzionerà , gli italiani non sono stupidi. Berlusconi è ormai un caso clinico per gli psichiatri. È tornato per un solo motivo.
Cioè?
Il culto della personalità . Lui è un soviet vivente. L’incarnazione dello stalinismo e voi poveri comunisti di me..a dovreste aiutarlo e comprenderlo. Lui vuole solo amore, affetto, vuole che gli stampiamo un bacino sul parrucchino. Eddai, diamogli un po’ d’affetto, ci sarà da divertirsi. Aiutamolo a tornare sotto tiro.
Una farsa tragica.
Dai che Grillo si divertirà come un matto con lo psiconano.
Magari s’inventerà qualche numero nuovo. La sobrietà , per esempio.
Non ci riuscirà . Io ho sempre detto che Berlusconi assomiglia a Carlo Dapporto. Con la differenza che il primo è un politico, il secondo un comico. Oggi anche il Cavaliere è un comico. Credetemi, ci sarà da ridere.
E se ce la farà ? I sondaggi degli amici lo danno persino al 30 per cento.
Impossibile. Non sono pessimista. Persino nel suo partito ci sono persone che non lo vogliono più. Se accade allora andiamo via. Avrà vinto la demenza italica. I cittadini saranno come quei vitelli che cercano il macellaio.
Tutti parlano del suo ritorno, in ogni caso.
Ed è quello che voleva. Manco Gesù Cristo è tornato. Lui sì. Il suo narcisismo, il suo edonismo hanno bisogno di tanti baci forti sul doppiopetto.
Un aquilone come simbolo, ammesso che sia vero.
E che vuol dire? Non vuol dire nulla. Berlusconi non sa dosare il gusto. Mette troppo sale o troppo zucchero. E troppo gusto fa schifo.
Alfano invece è risultato insipido.
Poverino. Un maggiordomo vero.
A sentire lei sarà un ritorno patetico (Toscani è allegro per tutta l’intervista, ndr).
Sarà uno spettacolo fantastico. Ma ci pensate? Un suicidio di massa. Una roba mai vista.
Fabrizio D’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 14th, 2012 Riccardo Fucile
L’EX FEDELISSIMO PASSA AL GRUPPO MISTO DELLA CAMERA: “LA RICANDIDATURA DI BERLUSCONI E’ LA CONFERMA CHE IL PARTITO NON ESISTE”…GALAN PROPONE: “VIA TREMONTI E LA RUSSA”
Silvio Berlusconi torna in campo ma il Pdl perde uno dei suoi volti più noti: Giorgio Stracquadanio, per tanti anni fedele custode dell’ortodossia arcoriana, annuncia che passerà al gruppo misto della Camera.
“Ho perso la mia battaglia, non mi resta che trarne le conseguenze. Lascio il Pdl”, afferma Stacquadanio in un’intervista al Corriere della Sera.
“Berlusconi è al tramonto e la sua ricandidatura è la conferma che il Pdl non esiste”, continua. Il deputato dà sfogo a un malcontento covato per diversi mesi: “Mi sarei aspettato che il Cavaliere usasse la sua forza per dar vita a un progetto liberale, invece tutto resta in continuità con gli errori del passato”.
Per questo, spiega il parlamentare, “ho scritto a Berlusconi e al capogruppo Cicchitto e ho detto loro che me ne vado”.
Il passaggio al gruppo misto è fissato per lunedì: “Mi metto a disposizione di un progetto liberista e libertario, che difenda il blocco sociale rimasto deluso dal Pdl”.
Berlusconi e Tremonti, aggiunge Stracquadanio, “sono entrambi corresponsabili della mancata rivoluzione liberale”, mentre il segretario Alfano “è un bravo ragazzo, ma come avrebbe detto il Berlusconi di un tempo è uno che vive di politica, non per la politica. La sua biografia era il prodromo della sconfitta”.
Berlusconi era atteso ieri a un congresso dei Cristiano-riformisti a Roma, con tanto di gruppi di ignari anziani convogliati in sala, per la sua prima apparizione pubblica dopo l’annuncio del “ritorno in campo”.
Un’intervista al Cavaliere compare però oggi sul Quotidiano nazionale: “Torno in pista per salvare il Pdl”, afferma. “Alle elezioni politiche del 2008 abbiamo preso il 38%. Se alle prossime dovessimo scendere per assurdo all’8%, che senso avrebbero avuto 18 anni di impegno politico?”.
Un sondaggio Ipr marketing reso noto ieri, però, indicava che l’”effetto Berlusconi” sulle sorti elettorali di un’ipotetica coalizione di centrodestra sarebbe pari a zero.
Berlusconi spiega che avrebbe voluto dare l’annuncio della propria candidatura “più in là , magari all’inizio dell’autunno. Ma qui non si riesce a tenere niente di riservato”.
All’intervista, realizzata per il nuovo libro di Bruno Vespa, era presente anche Angelino Alfano, che in merito alla ridiscesa in campo del Cavaliere ha ribadito: “Il candidato è lui. Io resto solo il segretario del partito”.
Sul nuovo corso del Pdl il dibattito è aperto: “Berlusconi ha fatto bene a chiedere le dimissioni a Nicole Minetti, ma dovrebbe chiederle a molte più persone”, afferma su Libero l’ex ministro ed ex governatore del Veneto Giancarlo Galan.
“Anzi, non dovrebbe chiederle, dovrebbe dimetterle direttamente”.
L’allontanamento dovrebbe riguardare, specifica Galan, “quelli che in questi anni non hanno mai pronunciato la parola ‘liberale’ e sono i colpevoli della non-attuazione di molti punti del nostro programma di governo”, come “Ignazio La Russa e Giulio Tremonti”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 14th, 2012 Riccardo Fucile
IL PREMIER RISCUOTE CONSENSI A SUN VALLEY: “CI PUNISCONO ANCHE PER IL DISTURBO CREATO DA PAESI TERZI”
Passa in maniche di camicia Howard Stringer, presidente del consiglio dei direttori della Sony, azienda della quale milioni di persone nel mondo hanno in casa radio e televisioni o le hanno avute.
Come ha trovato Mario Monti nelle sue spiegazioni su come sono messe l’Europa e l’Italia? Stringer: «Riflessivo e diretto».
Lei si sente ottimista sull’euro? Stringer: «Sarei più felice se Monti restasse primo ministro anche oltre il 2013. Qui ha conquistato i cuori e le menti. Ha detto che l’Italia viene sottovalutata, e nel modo di parlare è stato anche divertente».
Passa in camicia blu marinara Tim Cook, amministratore delegato della Apple, società che produce buona parte dei cellulari e dei computer che gli abitanti della Terra hanno tra le mani. Monti? Cook: «Eccellente».
Passa con una blusa simile a una tuta attillata da ciclista Alex Carp, capello corto sulle tempie e ricci in alto, co-fondatore della Palantir, impresa di software di Palo Alto, California: «Monti? Grande. È un tipo gagliardo».
Sembrava un coretto, ieri, quello dei manager e dei miliardari che uscivano da una prima colazione-dibattito durante una conferenza organizzata dalla banca d’affari Allen & Company a Sun Valley, Idaho.
Tra un tè e un caffè, gli invitati avevano ascoltato in un albergo Mario Monti intervistato dal giornalista statunitense Charlie Rose.
Il coretto era talmente omogeneo che a rileggere gli appunti con le frasi annotate, senza rimettere a fuoco facce e atmosfera, sarebbe legittimo sospettare un’ondata di piaggeria. Giudizi così unanimi su un presidente del Consiglio, a Montecitorio, non si ascoltano quasi mai.
Vista dal vivo, invece, la sequenza confermava un fenomeno dettato da motivi pratici: agli americani che temono un crollo dell’euro, perchè arresterebbe la ripresa nel proprio Paese, Monti piace.
E sperano che resti a lungo a Palazzo Chigi.
C’è anche il direttore della Cia David Petraeus alla conferenza di Sun Valley.
Interverrà oggi. Ma ieri mattina l’attenzione si è concentrata sul presidente del Consiglio italiano.
Il primo a rivolgergli una domanda dalla platea riunita a porte chiuse è stato Bill Gates, fondatore di Microsoft. Monti, che la sera precedente era scuro in viso dopo il declassamento del nostro Paese da parte dell’agenzia di analisi finanziaria Moody’s, aveva appena sostenuto che noi italiani adesso siamo «virtuosi», facciamo quanto dobbiamo fare per rimettere a posto i conti dello Stato, ma per un motivo o per l’altro, legato a turbolenze estere, le agenzie di rating ci colpiscono lo stesso.
A riprova, il Professore aveva citato l’esito positivo nella vendita dei titoli di Stato di ieri.
«È una disgrazia, però il mercato ci ha premiato», ha commentato Monti sullo schiaffo di Moody’s secondo quanto ha riferito ai giornalisti Gianfranco Zoppas, industriale, uno dei connazionali invitati alla conferenza e seduto in un tavolo per il quale il presidente della Fiat John Elkann giovedì aveva cercato bandierine tricolori.
A Monti, Gates ha domandato quale garanzia esiste che gli italiani «virtuosi» continuino a esserlo, che il risanamento avviato dal governo in carica prosegua.
È un dubbio che, chiedendo di non nominarli, confidano numerosi dei proprietari di imperi e dei manager riuniti a Sun Valley.
Il presidente del Consiglio ha confermato che l’orizzonte del suo mandato arriva al voto del 2013. Per evitare contraccolpi in Italia, risulta che a Gates si sia limitato per lo più a rispondere con un ragionamento su quanto l’Ue necessiti di un’unione politica, non soltanto economica. Rassicurare gli investitori sì, in sostanza, tuttavia meglio non strafare sul 2013, esponendosi a Roma ad effetti collaterali.
Stando ancora a Zoppas, Monti ha sostenuto ieri che il popolo italiano ha bisogno di essere governato e in passato non è stato fortunato nell’incontrare il governo giusto, in grado di portarlo fuori dalla crisi.
Ai giornalisti il Professore non lo ha detto.
Nel Sun Valley Resort ci sono vasi di mammole.
A Montecitorio, no.
Maurizio Caprara
(da “il Corriere della Sera”)
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