Luglio 10th, 2012 Riccardo Fucile
DOPO L’INCORONAZIONE DI BOBO A IMPERATORE DELLA PADANIA, MOLTI SEGNALI DI NOVITA’: ALLE CERIMONIE UFFICIALI I BORGOMASTRI NON DOVRANNO PIU’ INDOSSARE ABITI DEL KLU KLUX KLAN… IL CONGRESSO E’ STATO UNA GRANDE FESTA POPOLARE: MOLTO AFFOLLATO IL BARACCONE DOVE BORGHEZIO GIOCAVA A SCACCHI CON UN CINGHIALE, PERDENDO REGOLARMENTE….UMBERTO BOSSI, SCOMPARSO DALLE FOTO UFFICIALI, MINACCIA DI DARSI FUOCO COSPARGENDOSI DI ARANCIATA
La cerimonia è stata sobria e veloce. L’incoronazione di Roberto Maroni, detto Bobo, a imperatore della Lega Nord si è svolta quasi senza incidenti nella cattedrale di Assago, un complesso edilizio in stile SanSiro-babilonese alla porte della città di Milano.
Il momento clou della cerimonia si è avuto quando Bobo Maroni, richiamando le radici democratiche del suo popolo, ha chiesto in dono undici vergini della Val Brembana e si è posto sul capo la corona d’oro gentilmente offerta dall’ex tesoriere Belsito.
Poi, la politica ha preso il sopravvento e sono partiti i seminari di formazione per i militanti. Molto affollato il corso di Photoshop, dove molti fedelissimi leghisti hanno imparato in poche ore a cancellare Umberto Bossi dalle foto ufficiali del passato.
Ora al suo posto sul palco di Pontida figura un elegante bonobo maschio di due metri con la coda dritta.
In altre immagini, invece, al posto del vecchio leader compare un barattolo di marmellata di prugne, oppure un divano offerto da un mobilificio della Brianza.
Pur svolgendosi senza particolari incidenti, la cerimonia dell’incoronazione di Maroni ha avuto qualche momento di intensità non previsto.
E’ accaduto, ad esempio, quando Umberto Bossi si è barricato nei bagni minacciando di far esplodere una caldaia soltanto parlandole.
Il servizio d’ordine ha subito riportato la calma sedando l’ex leader.
Due ore dopo, altro trascurabile incidente: Umberto Bossi ha minacciato di buttarsi dalle tribune e di sfracellarsi nel parcheggio, una minaccia disperata che ha creato un po’ di trambusto, perchè molti delegati al congresso sono corsi a spostare la macchina.
Qualche apprensione anche per la presenza di Borghezio.
L’aitante primate leghista ha prima insultato Balotelli definendolo “padano” e poi ha augurato una veloce e subitanea morte al presidente della Repubblica Napolitano.
Molti applausi dalla platea, soprattutto quando Borghezio è stato abbattuto con un fucile per rinoceronti.
Il regno di Bobo Primo comincia dunque all’insegna del rinnovamento politico e culturale: la lingua ufficiale sarà l’italiano e ai gay sarà permesso telefonarsi di nascosto.
Alessandro Robecchi
(da “Il MisFatto”)
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Luglio 10th, 2012 Riccardo Fucile
DOPO POCHE ORE IL PRIMO CITTADINO COSTRETTO A REVOCARE LE DELEGHE: NON SAPEVA CHE LA LEGGE VIETA I PARENTI IN GIUNTA
Mentre a livello nazionale il Carroccio ha lanciato, con la nomina di Maroni a segretario federale, il nuovo corso “senza familiari al seguito”, il sindaco leghista di Arona, Alberto Gusmeroli, nomina in Giunta il fratello.
Lo annuncia con una nota entusiasta, ma dopo poche ore deve ricredersi: il testo unico degli enti locali vieta i parenti in giunta.
Il pasticcio è successo ieri dopo che l’assessore Agostino Di Natale (del gruppo civico Rinnovamento aronese) ha rassegnato le dimissioni per alcune divergenze con l’amministrazione.
La questione si trascinava da mesi.
Il sindaco, allora, ha scelto di far entrare in giunta il fratello Marco Gusmeroli che a settembre si era dimesso dall’incarico di consigliere comunale per motivi personali. Poi, dopo aver sentito la segretaria comunale, ha dovuto fare dietrofront, non senza dispiacere: «Lei era in ferie e solo al suo rientro ho appreso dell’incompatibilità della nomina. Sono molto dispiaciuto di non potere avere mio fratello Marco in giunta». Con buona pace della famiglia, Marco Gusmeroli – di mestiere medico oculista – dovrà così rinunciare alle deleghe a Tributi, Personale e Servizi informatici e alla nuova competenza creata ad hoc per lui dal fratello: i Rapporti con la Sanità .
La minoranza si era già accorta dell’irregolarità poco dopo la nomina e bolla così l’accaduto: «Un incredibile errore, uno sbaglio del sindaco dettato dall’arroganza».
Erica Asselle
(da “La Stampa”)
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Luglio 10th, 2012 Riccardo Fucile
NEI DUE PARTITI C’E’ CHI ACCUSA: E’ STALLO PERCHE’ I LEADER NON CI HANNO MESSO LA FACCIA
Napolitano, al quale non mancano le informazioni, vede che le trattative sulla legge elettorale non approdano da nessuna parte.
Per cui denuncia lo stallo nella speranza di smuovere le acque. è come se l’uomo del Colle dicesse ai partiti: «Vi siete impantanati, ce ne siamo accorti, inutile che continuiate a fingere di negoziare, almeno abbiate il coraggio di litigare davanti a tutti…».
Le prime reazioni non autorizzano alcun ottimismo.
Tanto il Pd quanto il Pdl si giustificano dando ciascuno la colpa all’altro.
Tra i presidenti di Senato e Camera divampa una polemica sotterranea sulla responsabilità dei ritardi.
Quel che è peggio, nei cassetti della Commissione affari costituzionali giacciono ben 35 proposte, tutte però a titolo individuale.
La colpa, punta l’indice il referendario Parisi, è tutta di «A-B-C» (Alfano, Bersani, Casini) che non hanno fin qui avuto il coraggio di metterci la faccia, affidando la trattativa ai cosiddetti «sherpa».
In verità , qualche mezza intesa era stata raggiunta prima delle scorse Amministrative sulla cosiddetta bozza Violante-Quagliariello, un mix di sistema tedesco e spagnolo, un po’ proporzionale e un po’ maggioritario, che favoriva i grandi partiti senza troppo umiliare i piccoli.
Poi però il fenomeno Grillo ha spiazzato tutti, seminando il panico negli stati maggiori di Pd e Pdl.
Al sistema messo a punto da Violante e Quagliariello è stata rivolta l’accusa di non garantire maggioranza sicure, quando si apriranno le urne nell’aprile 2013. è spuntata così una nuova coppia di negoziatori, Migliavacca e Verdini.
Stessa base di partenza (un sistema di tipo proporzionale) con premio di maggioranza. Quasi due mesi di tira-e-molla sulla misura del premio, su chi ne dovrebbe godere e sul modo di restituire agli elettori la scelta dei propri rappresentanti.
Nessun passo avanti, semmai indietro, perchè ciascuna nuova proposta è stata volta ad avvantaggiare la propria parte politica con motivazioni più o meno nobili.
Il Pd vorrebbe un «premione» alla coalizione vincente perchè con la foto di Vasto, oppure in alleanza con Casini, non ci sarebbe partita.
Preferisce, come ovvia conseguenza, il metodo dei collegi uninominali, dove viene eletto chi arriva primo.
Il Pdl gradirebbe l’esatto rovescio: un premio non grande ma piccino, attribuito non alla coalizione ma al partito vincente; e preferenze anzichè collegi, ma senza chiudere la porta alla seconda ipotesi.
Alfano le tiene vive entrambe, quasi a suggerire uno scambio: noi vi concediamo i collegi abbandonando le preferenze, voi rinunciate al premio di coalizione e inghiottite il premio al partito vincente… Può essere che Bersani ci stia, nel qual caso l’intesa sarebbe fatta.
Conosceremo la risposta entro pochi giorni. In caso il Pd non fosse d’accordo, si comincerebbe a votare sulle varie proposte, in modo palese in Senato e a scrutinio segreto a Montecitorio. Un ruolo decisivo lo avrebbero Casini e Di Pietro.
Pure la Lega tornerebbe a dire la sua.
Può essere che, per non correre rischi, i due maggiori partiti alla fine ritornino sui loro passi, e recuperino dal cestino la bozza Violante-Quagliariello.
Napolitano pare volesse capire, nei giorni scorsi, come mai era stata accartocciata così in fretta.
Al momento il governo non intende entrare nella partita, ma col ministro Riccardi si dichiara «interessato».
E in fondo, cosa possono pensare di noi i mercati senza una legge elettorale che garantisca stabilità politica?
Anche questa è materia di spread.
Ugo Magri
(da “La Stampa“)
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Luglio 10th, 2012 Riccardo Fucile
QUASI IL 20% DI PERSONE NON E’ IMPIEGATA, NON CERCA UN’ATTIVITA’, NON STUDIA… LA UE: “CON LA CRISI PERSI 10 ANNI”…L’OCSE: “IL VOSTRO PAESE SOFFRE DI DISOCCUPAZIONE DI LUNGA DURATA”
La crisi morde e crea disoccupazione.
Oltre le stime delle grandi agenzie internazionali e della Ue che stanno rivedendo gli scenari – che pure erano solo cautamente ottimisti – di una ripresa nel medio termine. La disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è già una vera e propria emergenza in Grecia e Spagna.
Ma con fenomeni preoccupanti anche per l’Italia.
Nel nostro Paese è la cosiddetta disoccupazione di “lunga durata” che spiazza gli analisti: oltre il 50% di chi ha perso il lavoro oltre un anno fa non ne ha più trovato un altro nei dodici mesi successivi, quota che sale al 30% se si sposta l’asticella agli ultimi due anni.
È un dato in aumento che ci fa avvicinare pericolosamente alle dinamiche dei Paesi dell’Unione maggiormente colpiti dalla recessione.
E che aggiunge un mattone al muro di pessimismo che ormai ha infiltrato i palazzi del governo dell’Ue.
La Commissione ha già dovuto rinunciare all’obiettivo di un’occupazione al 75% entro il 2020, attualmente infatti la percentuale media nell’Ue è al 68% e anche l’obiettivo – già ridimensionato – del 72% sembra lontano.
Tanto che alla Commissione si parla apertamente di una “lost decade”: cioè dieci anni persi per il mercato del lavoro, a partire dall’inizio della crisi globale nel 2007.
Ci vorranno almeno altri cinque anni per farlo ripartire.
La disoccupazione ha scavato un solco tra ricchi e poveri.
Le statistiche Ue relative al 2011 passano dal 2,5% di senza lavoro del Tirolo al 30,4% dell’Andalucia.
Con dinamiche differenti da Paese a Paese.
Per l’Italia l’Ocse ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita, con la prospettiva di un’economia con il segno meno nel 2012 e nel 2013.
Il rischio di un impatto sul mondo del lavoro resta di conseguenza molto alto.
Ad aprile, secondo i calcoli Ocse, la disoccupazione era all’11,1% nell’Eurozona e al 10,2% in Italia (già oltre il picco 2009/2010).
La disoccupazione giovanile ha toccato in Italia il 36,2%, una quota alta, seppur lontana dal 50% di Spagna e Grecia.
Ma l’Italia registra anche un 19,8% di giovani (tra i 15 e i 24 anni) che non hanno un lavoro, non lo cercano e risultano fuori dal processo formativo. In questo la Spagna sta meglio di noi (18%).
Ma è la disoccupazione di lunga durata il tallone d’Achille italiano: è in aumento, era al 45% nel 2009, già sopra il 50% a fine 2011 (più di Spagna e Portogallo, quasi come la Grecia) e salirà ancora.
Secondo gli ultimi dati Ocse, che saranno presentati oggi a Parigi nel Rapporto sull’occupazione dell’organizzazione, è ben oltre il 51% a un livello lievemente inferiore al 51,9% già stimato dall’Ue.
La situazione porta a «previsioni molto deboli – spiega Stefano Scarpetta, vicedirettore Ocse – in un quadro di pessimismo persistente. La disoccupazione aumenta, non solo per i giovani, e riconvertirsi è sempre più difficile».
Francesco Mimmo
(da “la Repubblica“)
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Luglio 10th, 2012 Riccardo Fucile
NEL 1996, A 20 ANNI DALLA RIFORMA PSICHIATRICA, C’ERANO ANCORA 63 STRUTURE APERTE E 17.000 INTERNATI… VERIFICATE OGGI 82 STRUTTURE, SI SCOPRE CHE MOLTE SONO INUTILIZZATE O CHE I RICAVI DI QUELLE VENDUTE HANNO PRESO ALTRE STRADE
Che fine hanno fatto i soldi dopo la vendita o l’affitto dell’immenso patrimonio edilizio costituito dagli ex ospedali psichiatrici?
La Commissione d’inchiesta del Senato sulla sanità pubblica, presieduta da Ignazio Marino, ha sguinzagliato i Nas in giro per la penisola.
I carabinieri hanno visitato 82 strutture.
Ecco il risultato.
Primo dato, i vecchi manicomi non esistono più.
A distanza di 34 anni dall’approvazione della legge Basaglia è già qualcosa.
Ma ci sono molte situazioni poco chiare.
Si legge dalla relazione dei Nas: “Gli ambienti sono stati per lo più ristrutturati e riutilizzati dalle Asl anche per l’assistenza e cura dei malati psichiatrici. Dati in comodato d’uso gratuito. Dismessi e non utilizzati. Venduti o locati in tutto o in parte a Comuni, Università o privati e i relativi ricavi utilizzati anche per la creazione di strutture destinate ai malati psichiatrici”.
Ma i soldi?
“Le somme derivate dalle vendite o locazioni, a volte, sono state versate direttamente nelle casse regionali, rendendo difficile una ricostruzione dettagliata del loro successivo utilizzo”.
Secondo gli ultimi dati a disposizione del ministero della Salute che si riferiscono al 2009 il sistema di assistenza è diviso in due settori.
L’attività residenziale, vale a dire comunità terapeutiche e case famiglia, dove i ricoverati vengono seguiti da uno staff di psichiatri e di personale infermieristico. Il ricovero in comunità terapeutica non può superare i 2 anni ed il numero massimo degli assistiti è di 20 persone.
Alcuni numeri: 1.679 strutture, 19.299 posti, 30.375 utenti. L’attività semiresidenziale è gestita dai centri diurni dove il paziente va la mattina e la sera torna a casa. I numeri: 763 strutture, 12.835 posti, 32.030 assistiti.
L’assistenza residenziale, quella dove il malato vive, nasconde spesso nelle strutture private convenzionate una riproduzione del vecchio manicomio.
Non sempre le Asl sono in grado di effettuare controlli continui e stringenti. In molte strutture private convenzionate, guarda il Don Uva di Bisceglie, il manicomio è chiuso ma la comunità di recupero usa gli stessi metodi del passato.
La relazione dei Nas descrive una situazione che appare piuttosto lontana dai dettami della più recente normativa.
Perchè il decreto firmato nel 1996 dall’allora ministro della Sanità Rosy Bindi parla chiaro: “I beni mobili e immobili degli ospedali psichiatrici dismessi sono destinati alla produzione di reddito, attraverso la vendita o l’affitto, e i soldi destinati all’attuazione del progetto obiettivo Tutela della salute mentale”.
Ma non basta. “Le Regioni hanno due anni di tempo per chiudere i manicomi e realizzare centri diurni e case alloggio. Per quelle che non rispetteranno la legge sono previste le sanzioni: una riduzione dello 0.50 per cento del fondo sanitario regionale. A partire dal 1998 il taglio salirà al 2 per cento”.
Perchè l’ultimatum. Perchè, con loro grande sorpresa, gli ispettori del ministero, nel ’96, avevano scoperto che gli “internati” erano ancora 17.068: 11.882 rinchiusi in 63 ospedali psichiatrici pubblici e 5.186 in 13 strutture private.
Niente a che vedere con i 102.300 ricoverati nel 1956 ed i 78.538 “matti da slegare” nel 1978, anno in cui venne approvata la legge Basaglia.
Oggi, in base ai dati di cui sopra, i manicomi non esistono più e i circa 60 mila pazienti psichiatrici sono gestiti, appunto, attraverso le strutture residenziali e semiresidenziali pubbliche e private.
Ma torniamo all’indagine dei Nas e proviamo a vedere se e in che misura la normativa è stata rispettata: se, cioè, le strutture chiuse sono utilizzate per “produrre reddito” a favore del “Progetto obiettivo Tutela della salute mentale”.
Partiamo da Reggio Calabria.
La Provincia ha ceduto a titolo gratuito ai Carabinieri l’ospedale psichiatrico del Rione Modena. L’Arma ha ringraziato per il regalo e ha trasformato la struttura nella Scuola Allievi.
A Napoli l’ex ospedale psichiatrico di via Liveri è chiuso e inutilizzato, stessa sorte per quello il “Leonardo Bianchi” di Capodichino.
Passiamo in Toscana. A Pistoia l’ospedale psichiatrico “Ville Sbertoli” ha chiuso i battenti nel 1996 e non li ha più riaperti. Stessa fine per l’ex convento dei domenicani di Colorno, in quel di Parma.
In Liguria, si sa, stanno più attenti ai soldi e la Regione ha venduto l’ex di Cogoleto alla Fintecna Immobiliare e alla Valcomp per 13 milioni e 648 mila euro.
Sono serviti per la salute mentale? Neanche per idea. Sono serviti per il ripiano del disavanzo sanitario regionale.
Stessa fine dovrebbe fare lo storico “presidio sanitario per la tutela della salute mentale” di Quarto Genova. Ma c’è un intoppo.
Nella struttura vivono ancora 80 “cronici”, la Regione ha già cartolarizzato l’immobile, valore 16 milioni e 206 mila euro, acquirenti le stesse società di Cogoleto. E con i malati dentro nessuno si sogna di sborsare i soldi.
E allora la Regione ha pensato bene di lanciare un’asta pubblica: quattro residenze sanitarie assistenziali con un’offerta al massimo ribasso. Vale a dire, chiunque siate offrite due soldi e portateveli via.
La mossa della Regione ha mobilitato familiari e personale del “Quarto” e per il momento è tutto fermo. Ovviamente, se la situazione si dovesse sbloccare i soldi andrebbero a coprire il buco del disavanzo sanitario.
E per chiudere in bellezza andiamo in Puglia, a Bisceglie. Lì campeggia l’ex ospedale psichiatrico “Don Uva”, gestito dalle Ancelle della Divina Provvidenza.
Un mostro fronte mare che negli anni ’90 accoglieva più di 2 mila ospiti. Nel ’98 si erano ridotti a poco più di mille ma l’atmosfera non era proprio salubre: malati che si genuflettevano al passaggio del direttore, mentre i più audaci gli baciavano la mano: personale scarso, terapie immaginarie, molti decessi sospetti.
Oggi la struttura si è rinnovata ma il tempo delle “vacche grasse” è finito, così le Ancelle hanno deciso di chiedere la cassa integrazione a zero ore per i dipendenti.
Mario Reggio
(da “La Repubblica”)
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Luglio 10th, 2012 Riccardo Fucile
A RISCHIO L’ASSISTENZA DOMICILIARE DI ASL, OSPEDALI E GUARDIE MEDICHE
La spending review minaccia di lasciare a terra medici di guardia, addetti all’assistenza domiciliare di anziani e disabili, veterinari e psichiatri pronti a correre quando c’è un’emergenza. La trappola che taglia il 50% delle spese anche per le auto «grigie» di Asl e ospedali è contenuta nell’articolo 5, comma 2 del decreto pubblicato in Gazzetta.
Li si specifica che «a decorrere dall’anno 2013, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istat…non possono effettuare spese di ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nel 2011 per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture».
E in quell’elenco figurano anche Asl e Ospedali, con le loro 2.073 auto «blu», riservate a manager e dirigenti ma, soprattutto, con il parco di 16.505 vetture «grigie» adibite a servizi essenziali per gli assistiti.
E niente scappatoie con i buoni taxi perchè il taglio vale anche per quelli.
L’unica deroga è concessa “per i contratti pluriennali già in essere”. Ma scaduti quelli si taglia.
«Speriamo si tratti di una svista da correggere subito in fase di conversione del decreto. Non credo che il legislatore pretenda che gli infermieri vadano a fare assistenza a domicilio con il bus, che nella mia zona caratterizzata da piccolissimi comuni non abbiamo nemmeno», commenta il Presidente delle Federazione di Asl e Ospedali (Fiaso), Giovanni Monchiero.
«E’ una cosa senza logica, che bloccherebbe in tutta Italia servizi essenziali alla persona perchè quelle auto servono per fare assistenza, non per portare a spasso i dipendenti delle Asl», dichiara allarmato.
«In sostanza si mettono a rischio le attività del territorio che andrebbero invece potenziate, visto che sono l’unica alternativa possibile al taglio dei posti letto e dei ricoveri», puntualizza il Segretario nazionale della Cgil medici, Massimo Cozza. Che parla di «ennesimo colpo, nascosto, alla sanità pubblica».
Ma a chiarire meglio l’impatto di un taglio del genere è chi lavora «sul campo».
«Come medici di guardia garantiamo l’assistenza a domicilio quando lo studio del medico di famiglia è chiuso» spiega Gennaro Chiurco della Asl di Cosenza.
«Per contratto dovremmo usare l’auto aziendale, in realtà mettiamo a disposizione la nostra per un litro di benzina verde ogni ora di servizio. Se ci levano anche quello per duemila euro al mese restiamo a casa».
Una svista o no lo si vedrà in fase di conversione in legge del decreto, che potrebbe subire più di una modifica se entro la fine del mese Balduzzi riuscirà a trovare un accordo con le Regioni a saldi invariati.
Il taglio alle auto di Asl e ospedali non sembra però casuale, visto che dalla sforbiciata vengono esentate forze dell’ordine, vigili del fuoco, e, in extremis, gli uomini con le stellette.
Il sospetto è che si sia lasciata andare la mano di fronte alla sperpero di alcune asl per le auto «blu».
Ci sono aziende abruzzesi dove si viaggia in Audi, mentre nella indebitata Campania vanno per la maggiore le Mercedes.
E poi ci sono 85 auto con autista stipendiato Asl mentre altrove si risparmia con i taxi.
Una mappa degli sprechi a macchia di leopardo che non spiega però il taglio alle auto grigie «amiche» dell’assistito.
Paolo Russo
(da “la Stampa“)
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Luglio 10th, 2012 Riccardo Fucile
STUDIO DELLA CGIA DI MESTRE: I DATI SUI LAVORATORI ATIPICI CONFERMANO UN’ALTA CONCENTRAZIONE NEL PUBBLICO IMPIEGO E AL SUD E CANCELLANO UN LUOGO COMUNE: SOLO IL 15% SONO LAUREATI… IL RECORD IN CALABRIA E SARDEGNA
Sono oltre tre milioni e campano con poco più di 800 euro al mese.
E’ l’esercito dei lavoratori precari d’Italia secondo un’analisi fatta dal centro studi della Cgia di Mestre.
La ricerca smentisce anche un luogo comune molto diffuso sul precariato e che “identifica il precario in un giovane con un elevato livello di studio”.
A impressionare, però, sono ancora una volta i numeri: i lavoratori con contratti a termine sono 3.315.580, guadagnano 836 euro netti al mese, che è la media tra i 927 euro dei maschi e i 759 euro per le donne.
Laureati e non.
Per quanto riguarda il titolo di studio, solo il 15% è laureato, quasi uno su due (per l’esattezza il 46% del totale) ha un diploma di scuola media superiore, mentre il restante 39% circa ha concluso il percorso scolastico con il conseguimento della licenza media.
Dove lavorano.
La più alta concentrazione di lavoratori precari italiani è nel pubblico impiego. Infatti, nella scuola e nella sanità ne troviamo 514.814, nei servizi pubblici e in quelli sociali 477.299.
Se si contano anche i 119mila circa che sono occupati direttamente nella pubblica amministrazione (stato, regioni, enti locali, etc.), il 34% del totale dei precari italiani è alle dipendenze del pubblico (praticamente uno su tre).
Pianeta precarietà .
Gli altri settori che registrano una forte presenza di questi lavoratori atipici sono il commercio (436.842), i servizi alle imprese (414.672) e gli alberghi e i ristoranti (337.379).
Se si guarda alla distribuzione geografica, infine, è il sud l’area dove il ricorso al lavoratore precario è maggiore.
Oltre 1.108.000 lavorano nel Mezzogiorno (pari al 35,18% del totale), dove le realtà più coinvolte, prendendo come riferimento l’incidenza percentuale sul totale degli occupati a livello regionale, sono la Calabria (21,2%), la Sardegna (20,4%), la Sicilia (19,9%) e la Puglia (19,8%).
Sono questi i problemi reali su cui la politica oggi dovrebbe interrogarsi, altro che riforme costituzionali.
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Luglio 10th, 2012 Riccardo Fucile
UNA INDAGINE DEMOSKOPEA SUI LETTORI DEL BLOG DEL FONDATORE DEL M5S ANALIZZA IL PROFILO DEGLI UTENTI DI BEPPEGRILLO.IT
I visitatori di Beppegrillo.it? Sono prevalentemente maschi, adulti e residenti al nord.
A dirlo è un’indagine di Demoskopea e comScore che hanno analizzato il profilo socio demografico e alcuni atteggiamenti su internet dei visitatori del blog del leader del Movimento Cinque Stelle a maggio 2012 attraverso la piattaforma MyMetrix di comScore.
LA CRESCITA DEI CLICK
I visitatori di beppegrillo.it – oltre a registrare una significativa crescita negli ultimi mesi – si caratterizzano per essere prevalentemente maschi (67% di uomini contro una media nazionale della popolazione on-line del 53%) e “maturi” (la fascia d’età superiore ai 45 anni incide per il 44% contro il 33% della media nazionale della popolazione on line).
Interessante è la crescita del segmento maschile over 55, triplicato negli ultimi 12 mesi e che incide sul totale dei visitatori per il 13,5% (dato molto più alto di quello della media nazionale della popolazione on line attestato al 7,7%).
In termini di distribuzione geografica la maggiore presenza si ha nelle regioni del Nord con il 54,7% (contro il 49,1% della media nazionale della popolazione on-line) a discapito di una minore concentrazione nelle regioni meridionali 21,8% (contro il 26,6% della media nazionale della popolazione on line).
WEB E POLITICA
Ad essere analizzato è anche l’indice di affinità con il lettori dei principali siti italiani.
In testa, tra i lettori di beppegrillo.it è ilfattoquotidiano.it (930) seguito da ilgiornale.it (672), Repubblica.it (314) e del Corriere.it (288).
La ricerca è interessante in quanto i risultati potrebbero essere indicativi anche del profilo degli elettori del Movimento Cinque Stelle.
Ma non solo, come documentato da un’inchiesta del Corriere della Sera basata su una ricerca della società di analisi Between, la diffusione di Internet e dei social network è uno dei motori che spingono la macchina di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle.
Fra la penetrazione del digitale e la crescita del nuovo partito (o antipartito) la corrispondenza appare stretta.
Come dire, insomma, che web e politica vanno ormai davvero a braccetto.
Marta Serafini
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 10th, 2012 Riccardo Fucile
LE PRESSIONI DEL TESORIERE PER FAR OTTENERE UN POSTO DA DIRIGENTE ALL’UOMO DEL SENATUR…L’ASSUNZIONE CONCORDATA MENTRE SI PARLAVA DI CIG
«Sbattiamocene i coglioni e pensiamo a noi». Questo frammento di una conversazione telefonica fra l’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito e l’ex capo della sicurezza di Umberto Bossi, Maurizio Barcella, dice tutto a proposito della considerazione che certa politica ha delle aziende di Stato.
Perchè questo colloquio imbarazzante nella forma e nei contenuti, che potrete ascoltare stasera alle 21.30 durante la prima puntata de Il Lecito , programma di inchieste del giornalista del Sole 24 Ore Claudio Gatti trasmesso da La7 , riguarda proprio una impresa di Stato: la Fincantieri, leader mondiale delle navi da crociera controllata dal Tesoro italiano.
Dice Belsito a Barcella: «Mauri, ho parlato adesso con Scarrone… Lui mi ha detto guarda, mi ha dato un consiglio: è meglio che venite giù all’una perchè poi loro devono pubblicizzare la cassa integrazione, non possono far passare il contratto da dirigente che devono fare casino con il governo. Quindi sbattiamocene i coglioni e pensiamo a noi».
«Scarrone» è Sandro Scarrone, capo del personale della Fincantieri il quale, secondo la ricostruzione di Gatti, ha in evidenza sul tavolo una pratica fortemente caldeggiata dall’ex tesoriere leghista.
Ovvero, l’assunzione come dirigente della grande industria navale del fido Barcella, che Bossi ha portato a Roma come suo capo di gabinetto al ministero delle Riforme, nonostante un curriculum non proprio ortodosso per quel ruolo.
Una pratica talmente importante da essere chiusa, a quanto lascia intendere quello scambio verbale, proprio mentre ci si sta apprestando ad annunciare la cassa integrazione.
Che cosa c’entra Belsito in tutto questo?
Il tesoriere del Carroccio è consigliere di amministrazione della Fincantieri, in quota Lega. Lo è stato una prima volta nel 2003.
Ma ora è tornato con una prospettiva folgorante: quella di essere nominato vicepresidente. E ancora non sa che alla morte di Maurizio Balocchi, che lo ha preceduto nell’incarico di partito, ne erediterà anche la poltrona governativa: sottosegretario alla Semplificazione.
Caso unico, nella storia repubblicana, di un membro del governo che è anche contemporaneamente amministratore di un’azienda pubblica. Lo è per sette mesi, prima di dimettersi nel luglio 2011.
Poi perderà anche la poltrona da sottosegretario con la caduta del governo Berlusconi, e in seguito allo scandalo della gestione dei rimborsi elettorali della Lega verrà espulso dal partito insieme a Rosi Mauro.
Ma torniamo indietro di un paio d’anni. Belsito sponsorizza quindi Barcella, all’epoca capo di gabinetto di Bossi, per un posto da dirigente della Fincantieri.
E la cosa, conclude Gatti, va in porto.
Lo proverebbe un altro breve colloquio telefonico che Il Lecito manderà in onda. Parlando con Belsito, l’amministratore delegato della Fincantieri Giuseppe Bono gli preannuncia una telefonata proprio a Rosi Mauro, capo del sindacato padano, vicepresidente del Senato e allora potentissima esponente del cerchio magico bossiano, per informare anche lei «che ho fatto la lettera di assunzione per Barcella e per quell’altro… come si chiama?», «Dalmir Ovieni», lo aiuta Belsito.
Ovieni Dalmirino, come ha raccontato sul Corriere Luigi Ferrarella, è stato fondatore della società consortile «Il Quartiere» promossa dal sindacato padano e presieduta da Rosi Mauro, nonchè consigliere di una società di costruzioni di cui la stessa vicepresidente del Senato nel 1994 era amministratrice.
Dimostrazione ulteriore che curriculum e competenze, in questa operazione, non sembrano affatto prioritari.
Belsito ne parla al telefono addirittura con la moglie di Bossi Manuela Marrone, riferendole il commento di Scarrone: «…Il direttore mi ha detto: Franci, già che siamo in confidenza, guarda che noi a un diplomato di scuola professionale non l’abbiamo mai fatto firmare un contratto del genere. È la prima volta nella storia della Fincantieri…».
L’ex insegnante Manuela Bossi inorridisce: «Scuola professionale? Non ha neanche un diploma? Francesco…».
E Belsito: «No. Questo qui cosa ha mai fatto nella vita? Tutto gli hanno messo per iscritto. Tutto! Persino la casa! Non è mai uscito un contratto così da quell’azienda, mai!».
Interpellata in merito, la Fincantieri ha risposto che nè il nome di Barcella nè tantomeno quello di Ovieni, hanno mai avuto un riscontro negli organici aziendali. Meglio così. Dunque era soltanto una sceneggiata? Chissà .
Ma quelle innocenti telefonate confermano pur sempre che la politica e le imprese pubbliche sono ancora la stessa cosa.
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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