Dicembre 6th, 2012 Riccardo Fucile
RAPPORTO AIOP: TICKET PIU’ ALTI E ATTESE… BEN 12.000 ADDETTI POTREBBERO PERDERE IL POSTO
Rispetto a quattro anni fa è cambiato molto poco. Non si è abbassata la percentuale degli italiani utilizzatori dei servizi sanitari che hanno sperimentato almeno una volta le code per visite o esami: 6 su 10.
Secondo un’indagine della società Ermeneia, sono diminuite le attese tra 30 e 120 giorni, in compenso hanno avuto uno scatto quello che superano i quattro mesi.
Il mancato alleggerimento di questo fenomeno, al quale tanti provvedimenti hanno cercato di mettere fine, sarebbe uno dei sintomi della pressione esercitata sui cittadini, la conseguenza dei tagli alla sanità .
TAGLI
Lo ha denunciato con profonda preoccupazione Gabriele Pelissero, presidente dell’Associazione italiana ospedalità privata nel presentare il decimo rapporto «Ospedali e Salute».
I tagli previsti dagli ultimi interventi economici, a partire dalla manovra di Tremonti nel 2011 fino a spending review e legge di Stabilità , sottrarranno da qui al 2014 circa 14 miliardi.
«Probabilmente secondo i nostri calcoli l’effetto complessivo sarà superiore – insiste Pelissero -. Se confrontiamo l’andamento della spesa con gli altri Paesi occidentali vediamo che l’Italia si colloca di ben 2 punti al di sotto di Francia e Germania. Siamo passati nell’ultimo biennio dal 7,2 al 7,1 del Pil».
In pratica, «se non verrà cambiato qualcosa il sistema non sarà sostenibile. Finora siamo riusciti a fornire un buon servizio pubblico, ma sotto questa soglia non si può scendere. Non potranno essere garantiti i Lea, i livelli essenziali di assistenza».
Cioè quelle prestazioni che tutte le Regioni devono dispensare ai cittadini gratuitamente.
A fine anno è atteso il nuovo elenco aggiornato.
CLINICHE
In particolare, un pericolo si profila dietro l’angolo per gli imprenditori privati. L’eliminazione di cliniche convenzionate con un numero di posti letto inferiore a 80.
Il paletto viene fissato dal documento sugli standard qualitativi all’esame della Conferenza Stato-Regioni.
Tra l’altro, sono tracciati i percorsi di riorganizzazione per passare dagli attuali 4,2 posti letto per mille di abitanti a 3,7.
Un piano che dovrebbe portare (il condizionale è d’obbligo) alla riconversione di reparti e delle strutture meno produttive e dalle performance meno brillanti. Il rapporto Aiop censisce le aziende ospedaliere private che non rispondono agli standard stabiliti dal ministero della Salute.
Sono 250, danno lavoro a 12 mila persone e producono 300 mila ricoveri all’anno a un prezzo più basso rispetto il pubblico perchè soggette a un diverso meccanismo tariffario (che i privati chiedono di equiparare a quello per il pubblico).
TICKET –
L’associazione ha elaborato una dettagliata proposta. L’obiettivo è evitare la chiusura «delle attività sane, che garantiscono un buon servizio».
Dunque non tagli lineari, ma mirati.
Altra criticità sono i ticket: quelli su visite e prestazioni specialistiche sono cresciuti dell’11,3% nel periodo 2009-11, quelli sui farmaci del 13,3%.
Pubblico o privato, la sanità attraversa la fase più difficile da quando nel 1978 è stato creato il Servizio sanitario pubblico, nato come universalistico e oggi diventato un sistema che zoppica per rincorrere questa caratteristica.
«Siamo uno dei sistemi universalistici con la maggiore compartecipazione dei cittadini», fa notare Giovanni Bissoni, presidente di Agenas, l’agenzia per i servizi sanitari.
Ieri Giovanni Monchiero, presidente di Fiaso, l’associazione dei manager delle aziende sanitarie, ha lanciato un allarme che non sorprende.
Molte Asl rischiano di non poter pagare la tredicesima ai dipendenti per problemi di cassa. I lavoratori dell’Idi di Roma sono già senza stipendio.
Margherita De Bac
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 6th, 2012 Riccardo Fucile
IN CERCA DI UN ALTRO CENTRO… ALLARGAMENTO AD ACLI E PEZZI DELLA CISL
Pier Luigi Bersani lo aveva spiegato ai suoi un mesetto fa, giorno più, giorno meno:
«Non inseguiamo più Casini, se vuole, deve essere lui a venire da noi».
Contrariato per quello che giudica «un eccesso di tatticismo» da parte del leader dell’Udc, il segretario del Partito democratico ha deciso di invertire la rotta.
E di costruirsi un centro fatto in casa.
Sì, perchè Bersani sa bene di non potersi presentare alle elezioni solo con Sel (i socialisti verranno inglobati nelle liste del Pd).
Perciò da qualche tempo ha maturato il convincimento che occorra tenere nella coalizione una pattuglia di moderati.
Tanto più se resterà il Porcellum, magari con una soglia del 40 per cento per il premio di maggioranza: con questo sistema è meglio avere più liste alla Camera, mentre al Senato si andrà tutti in un unico listone.
E infatti il segretario del Partito democratico tesse la sua tela anche con i sindaci Giuliano Pisapia, Michele Emiliano e Marco Doria: loro dovrebbero organizzare una sorta di raggruppamento civico con dentro i verdi di Angelo Bonelli, altre formazioni tipo Libertà e giustizia, e gli scissionisti del Idv (ieri in un angolo buio della Camera, seduti su un divanetto, Maurizio Migliavacca e Fabio Evangelisti hanno parlato a lungo dell’argomento).
Ma tornando al «centro fai da te» del Pd.
L’obiettivo massimo sarebbe quello di coinvolgere le Acli di Andrea Olivero, il presidente della provincia di Trento Lorenzo Dellai, il ministro Andrea Riccardi, un pezzo della Cisl tramite Raffaele Bonanni, una fetta della Coldiretti, e, potendo, anche qualche esponente di «Italia futura», oltre che Bruno Tabacci e Giacomo Portas, che con la sua lista dei «Moderati per il Piemonte» ha un bel gruzzolo di consensi in quella regione, e che già collabora con il Partito democratico, visto che è deputato indipendente nel gruppo del Pd.
Sono serbatoi di voti che darebbero consistenza ai moderati filo-Pd.
Dopodichè se Casini vuole aggregarsi, ben venga, ma se dice di «no» i Democrat se ne faranno una ragione.
È questo l’obiettivo massimo di Bersani ed è un obiettivo difficile da raggiungere.
Anche perchè, come ha rivelato sul sito «Lettera 43» Ettore Colombo, un giornalista addentro alle segrete cose della Chiesa e del mondo cattolico, gli ambienti che gravitano attorno al presidente della Cei Angelo Bagnasco sono contrari all’ipotesi di un’alleanza elettorale tra una parte del cosiddetto gruppo di Todi e il centrosinistra.
Forse l’operazione sarebbe più agevole se venisse coinvolto Beppe Fioroni, che ha buoni rapporti Oltretevere.
Il responsabile Welfare farebbe una sorta di separazione consensuale con il Pd e lavorerebbe per allargare il perimetro dell’area dei moderati disposti a collaborare con il centrosinistra.
Ma Fioroni al momento è restìo a intraprendere questa strada.
Se l’obiettivo massimo si rivelasse una missione impossibile, allora Bersani, con il pragmatismo che lo contraddistingue, è pronto a ripiegare su un progetto meno ambizioso. Cioè quello di dare vita a una lista centrista alleata del Pd di più modeste proporzioni con Giacomo Portas, Bruno Tabacci e qualche altro esponente dell’Api di Francesco Rutelli.
Tanto il Porcellum prevede che il quorum per una lista collegata si abbassi fino al 2 per cento. Una cifra che può essere agevolmente raggiunta e anche superata da una formazione siffatta.
È chiaro che al termine di questa strada, dopo le elezioni, nascerebbe il soggetto politico unitario che il segretario accarezza nei suoi sogni: «il grande Pd».
Ma c’è un possibile intoppo.
E al Partito democratico stanno valutando con attenzione anche quello con l’occhio rivolto alle mosse dell’imprevedibile Silvio Berlusconi.
Grazie al Porcellum, alleandosi anche con la Lega e «spacchettando» il centrodestra in diverse formazioni, l’ex presidente del Consiglio non punta certo a vincere, perchè sa che non è più il tempo dei successi, ma a mettere in piedi una coalizione che si attesti attorno al 27 per cento.
In questo modo Berlusconi ritiene che, grazie all’apporto fondamentale della Lega in Lombardia e Veneto, il centrosinistra non riuscirà a ottenere la maggioranza al Senato.
E a quel punto si riaprirebbero tutti i giochi: il Cavaliere, a sorpresa, potrebbe spianare la strada al Monti bis, giocando un ruolo da protagonista per la costituzione di questo esecutivo.
È un sospetto che non circola solo nel Partito democratico…
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 6th, 2012 Riccardo Fucile
SOLO IL 49% DI CHI SCELTO ALLE PRIMARIE IL SINDACO DI FIRENZE VOTERA’ SICURAMENTE PER IL CENTROSINISTRA ALLE POLITICHE
È la domanda delle domande. Che faranno gli elettori di Renzi?
Il sindaco di Firenze ha allargato il campo del centrosinistra, portando al voto per le primarie del centrosinistra migliaia di persone che in precedenza mai avevano votato il Pd o i partiti alleati.
In una competizione particolare come le elezioni primarie, ha inoltre agganciato elettori normalmente più tiepidi.
Si calcola che il 42% di chi ha scelto al primo turno Renzi, abbia votato per la prima volta a un’iniziativa di partito come quella delle primarie.
Ma ora che Renzi ha perso, quanti di questi elettori renziani continueranno a votare il centrosinistra? Meno di uno su due.
Secondo i dati del gruppo di ricerca sulle primarie guidato dai professori Luciano Fasano e Fulvio Venturino per conto della Sisp, Società Italiana di Scienza Politica infatti, solo il 49% di chi ha scelto Renzi al ballottaggio (circa mezzo milione di votanti) sceglierà sicuramente il centrosinistra alle politiche di primavera.
Il 51% invece resta sospeso.
Più di uno su tre (il 35%) deciderà solo al momento del voto, pronta a farsi convincere da Bersani ma attenta a quel che accade dall’altra parte. Il 12% voterà per un’altra coalizione, il 4% non andrà a votare.
«In generale, i sostenitori di Renzi mostrano scarsa fedeltà alla coalizione di centrosinistra – spiega il professor Fasano -. Un dato che fa il paio con quanto rilevato già in occasione delle primarie comunali di Firenze nel 2009, alle quali Renzi era in lizza come candidato alla carica di sindaco».
In caso di esito opposto, cioè di una vittoria di Renzi, due bersaniani su tre erano comunque disposti a votare per un centrosinistra con il rottamatore candidato premier. Una cifra sensibilmente più alta.
Ed è interessante notare la differenza tra coloro che già oggi annunciano di non votare per il centrosinistra in caso di vittoria dell’avversario interno.
Il 16% dei renziani, contro il 7% dei bersaniani.
Meno della metà .
«L’elettorato di Renzi spiega Fasano -, rappresenta senza dubbio un elettorato più volatile, la cui mobilitazione a favore del centrosinistra in occasione delle prossime elezioni politiche non può darsi a priori per scontata».
Secondo Fasano e Venturino, «come sottolineato da Elisabetta Gualmini nel suo editoriale su “La Stampa” di lunedì, a questo punto spetta a Bersani non restringere i confini del centrosinistra dentro un perimetro troppo stretto».
Per il resto è interessante notare che gli elettorati di Bersani e Renzi si assomigliano per genere, titolo di studio e classe di età .
Chi ha votato Vendola al primo turno ha scelto massicciamente, come previsto, Bersani. C’è infine una minima percentuale (circa il 2%) – spiega Venturino – «una piccolissima quota di selettori, pari al 2 per cento, che ha votato per uno dei due candidati al primo turno e per il suo competitore al ballottaggio».
Marco Castelnuovo
(da “La Stampa”)
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Dicembre 6th, 2012 Riccardo Fucile
SINO ALLA FINE DELLE CONSULTAZIONI NESSUNO DEI 1400 CANDIDATI SA QUANTI VOTI HA PRESO
Tante candidature e una sola certezza: il casaleggium, il sistema elettorale on line
pianificato negli uffici della Casaleggio associati per decidere chi si candiderà al Parlamento sotto il simbolo del Movimento 5 stelle, era e resta un grande mistero. Non ci sono proiezioni, i candidati stessi non sanno, tantomeno possono sapere, il numero degli iscritti.
Nodi che probabilmente verranno sciolti nei prossimi giorni, anche se per ora nè Grillo nè Casaleggio si sono esposti.
Ci sono regole che devono essere rispettate, c’è un numero di candidati (1400) e le indicazioni su come e quando votare. Niente altro.
Fino a oggi la questione si è risolta all’interno di quel contenitore che va sotto il nome di beppegrillo.it . E nel gruppo c’è chi è pronto a impugnare eventuali errori tecnici, proprio perchè convinto di potersi candidare, ma che si è trovato nella lista degli esclusi. Senza trovare motivo.
Come Alessandro Cuppone, candidato sulla carta che non ha invece trovato posto in lista. Ha scoperto di essere fuori solo qualche giorno prima.
“Sono stato contattato da Beppe Grillo, ma non ha saputo darmi delle spiegazioni precise sulla motivazione della mia esclusione. Mi ha detto che ci saremmo risentiti. Io ho segnalato allo staff, ma a oggi non ho ancora avuto una risposta. Bisogna capire se sono stato messo fuori secondo criteri soggettivi o oggettivi. Ne va della validità di queste elezioni”.
C’è chi ha saputo all’ultimo minuto di non poter aspirare a una vita romana.
Come Lorenzo Andraghetti, bolognese, tagliato fuori dalla lista dei candidati alla vigilia dell’apertura delle votazioni.
Secondo lo staff, la sua esclusione ha un motivo ed è dovuta al fatto che, dopo essere stato eletto in quartiere nel 2011, ha rinunciato all’incarico per completare gli studi in Brasile.
“Casaleggio sostiene di aver specificato questa regola in un documento fatto sottoscrivere da tutti candidati al momento dell’adesione”, spiega Andraghetti. “Ma io non l’ho mai firmato. Il problema è che Casaleggio ha inviato, immagino involontariamente, versioni diverse a una parte dei candidati. E se la responsabilità non è mia, non ha senso che io venga penalizzato per errori altrui”.
Andraghetti parla e sa che se decide di fare politica può rivolgersi altrove.
Se non altro perchè il capo, Beppe Grillo, ha avvertito tutti: “Ci possono essere errori, imprecisioni e imprevisti, ma siamo di fronte a un esperimento che viene introdotto per la prima volta nel mondo”.
Davide Bono, delegato di lista in Piemonte, vicinissimo a Casaleggio, spiega: “Abbiamo avuto un po’ di problemi con i profili dei candidati. Alcuni, ad esempio, non hanno caricato il video o il curriculum in tempo. Ma per ora non c’è stata alcune segnalazione da parte di persone escluse senza ragione. In genere, un motivo riconducibile al regolamento c’è”.
Chi se la ride a distanza è Valentino Tavolazzi, l’espulso dal Movimento: “Il Casaleggium – ha stabilito chi sia candidabile, senza alcun confronto preventivo, e ha tradito quanto promesso da Grillo in tutte le piazze: chiunque si può candidare, se incensurato, non iscritto a partiti e se non ha svolto due mandati. Le scarse informazioni disponibili e le modalità di voto hanno impedito una partecipazione più larga e consapevole”.
Altro che milioni al voto, “le Parlamentarie stanno assumendo una dimensione parrocchiale” e usano un “metodo inqualificabile in base ai valori fondanti per il Movimento, quali trasparenza e partecipazione”.
Emiliano Liuzzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 6th, 2012 Riccardo Fucile
GIORGIO GORI: “RENZI NON FARA’ IL TICKET…. IL CAMPER E’ SOLO PARCHEGGIATO”
La sconfitta alle primarie non è la fine ma semplicemente “una nuova partenza”.
Il camper di Matteo Renzi “è solo parcheggiato” e il silenzio di questi giorni va letto “come umano riposo”.
Che la rottamazione sia soltanto un discorso sospeso si comprende ascoltando Giorgio Gori che ieri ha concluso la giornata incontrando in Regione Lombardia il consigliere del Pd, Alessandro Alfieri, riferimento renziano nel cuore della Padania e altri coordinatori dei comitati lombardi. Due ore filate a parlare di partito (Gori è iscritto al Pd di Bergamo), primarie perse e sfide da giocare e, magari, vincere. “Come ha detto Matteo era giusto provarci, è stato solo il primo game del primo set”.
E adesso è tornato a fare il sindaco?
Dopo una campagna elettorale a ritmi pazzeschi per tre mesi ha comprensibilmente bisogno di rifiatare, pensare con tranquillità . Il capitale raccolto non si dissolve all’istante e la palla ora è nel campo di Bersani, ha vinto con merito le primarie e deve decidere come valorizzare il contributo di innovazione rappresentato da Matteo, come renderlo visibile agli elettori. Ha detto chiaramente che vuole rinnovare. Vediamo.
Rosy Bindi e Massimo D’Alema sono stati i primi a festeggiare la vittoria di Pier Luigi Bersani.
Sì, ho visto. E ho pensato ‘rieccoli’. Ma il consenso che Bersani ha oggi è molto ampio e se vuole ha la forza di cambiare. Se lo farà capiremo che il messaggio è passato. Basta guardare i sondaggi.
Il Pd ha guadagnato dieci punti
Molto è merito di Matteo. Ritengo Bersani una persona intelligente, non penso che tornerà indietro presentando vecchi nomi, sarebbe un autogol.
Sembra ormai certo che rimarrà il Porcellum.
Un motivo in più per fare le primarie per scegliere i candidati, questo è l’unico modo per dare la parola agli elettori.
Ma nel Porcellum non ci sono collegi, non c’è rapporto fra candidati e territorio. Come si organizzano le primarie?
Se si vogliono fare si disegnano i collegi, non è impossibile nè complicato. Serve la volontà .
Voi presenterete dei candidati immagino, avete già pensato a qualcuno?
Certo, ci sono un sacco di persone valide ma sinceramente ancora non è stato argomento di confronto, ci sarà tempo per ragionarci. Vorremo delle primarie aperte.
Dove avete sbagliato?
Noi abbiamo fatto un errore: non abbiamo enfatizzato abbastanza la data del primo turno, il 25 novembre. Non abbiamo spiegato che chi voleva sostenere Matteo doveva farlo subito, ma onestamente non ci aspettavamo che poi sarebbe stato complicato votare al secondo turno. Hanno cambiato le regole il 26 rendendole invalicabili. Ma se fossero state primarie aperte avremo raggiunto i 500mila elettori, come è venuto con Hollande in Francia.
Il partito ha aiutato il suo segretario in pratica.
Il 98% dell’apparato era con Bersani. Si è visto al Sud, in aree poco inclini al voto d’opinione.
Se Bersani chiamasse Renzi in un futuro governo?
Non credo alla possibilità del ticket, nessun ticket. Matteo è trasparente, quello che dice fa. Ha detto che non si farà coinvolgere, che non vuole alcun premio di consolazione e questo farà .
Lo ha suggerito lei? Sa che si è detto spesso che lei ne è il burattinaio, che lo teleguida.
Si è detto spesso ma è evidentemente una stupidaggine. Matteo non è pilotabile da nessuno, si confronta ma decide da solo e questa è una sua caratteristica, una sua virtù.
C’è stato un periodo in cui vi siete allontanati poco prima delle primarie. Questo è corretto?
No, anche questo è stato scritto e anche questo non è vero. Non abbiamo mai smesso di lavorare insieme, a volte abbiamo osservato con distacco e approcci diversi alcune trovate. Tutto qui.
Alcune trovate? Come la cena milanese con Andrea Serra? Non era d’accordo?
Non c’era ragione di non confrontarsi con la comunità finanziaria, anzi, ma sicuramente quella serata è stata strumentalizzata e, come ha detto Matteo, col senno di poi, avremmo forse dovuto evitare di porgere il fianco a facili speculazioni. Ma non l’ho mai ritenuta un errore.
Vi state organizzando anche per le regionali?
Si, io sono molto motivato a dare una mano a Umberto Ambrosoli dopo le primarie. Nella sua candidatura si riconoscono molti dei volontari che hanno lavorato con noi.
Ormai parla da politico consumato. Ci manca un attacco al Movimento 5 Stelle…
Io ho la convinzione che il consenso che si è raccolto attorno a Grillo sia proporzionale alla difficoltà dei partiti a promuovere innovazione: nei contenuti, nei volti e nello stesso stile della politica. Con una politica meno sorda Grillo non avrebbe mai avuto questi numeri.
I renziani sono un po’ i grillini del Pd…
Dipende dalla capacità dei partiti di rinnovarsi. Vediamo se e come saranno capaci di rendersi presentabili agli elettori.
La vittoria di Bersani ha spinto Silvio Berlusconi a valutare di ricandidarsi..
Se avesse avuto a cuore il destino del centrodestra avrebbe dovuto favorire una successione molto prima, viceversa tende a ostacolare il passaggio a una nuova leadership. Se si ricandida magari raccoglie un pugno di voti in più, ma fa il danno del centrodestra. Manca totalmente la dialettica.
Non ci sono rottamatori in camper. A proposito: che fine ha fatto quello di Renzi?
Non è in garage e non ci andrà , abbiamo ancora molti chilometri da fare.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 6th, 2012 Riccardo Fucile
AD ANTONIO ROMANO, SINDACO DI BRUSCIANO, DOPO LA PENA DI 4 ANNI PER TENTATA CONCUSSIONE ORA LA PROCURA CHIEDE 2 ANNI PER ABUSO D’UFFICIO, MA LUI NON SI MUOVE
Non lascia, ma raddoppia. 
Già condannato per tentata concussione resta al suo posto e ora rischia una nuova condanna per abuso d’ufficio.
Il record è di Angelo Antonio Romano, sindaco di Brusciano, comune in provincia di Napoli, detto core ‘e mamma.
La tentata concussione viene commessa tra fine 2003 e marzo 2004.
Tutto inizia con un incontro nel quale, secondo i giudici di primo grado, Romano, allora già sindaco, chiese all’imprenditore Angelo Perrotta soldi “prospettando la mancata approvazione della pratica edilizia”.
La tangente richiesta era pari a 500mila euro poi rivista a 300mila euro, formalizzata nei successivi incontri tra l’imprenditore e l’allora componente di maggioranza del consiglio comunale Salvatore Papaccio, condannato a tre anni, con l’applicazione dell’indulto, e oggi è ancora consigliere.
L’imprenditore si rifiutò di pagare denunciando tutto ai carabinieri.
Il primo cittadino è stato condannato a 4 anni per tentata concussione, tre anni condonati grazie all’indulto e all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni.
La condanna del tribunale di Nola è arrivata nel marzo 2011. Il partito, l’Udc, ha sospeso Romano solo nel luglio scorso.
Romano, che ha presentato appello contro la sentenza di primo grado dichiarandosi innocente, è ancora primo cittadino di Brusciano, uscito vincitore dalle comunali del 2008.
Non è l’unico incarico che ricopre, però.
Nel novembre 2011 è entrato anche nel consiglio provinciale di Napoli dopo le dimissioni di un collega, nel gruppo del partito di Pierferdinando Casini del quale fa ancora parte.
Due incarichi, due processi. Infatti, in questi giorni il pubblico ministero Giuseppe Visone della Procura di Nola, ha chiesto la condanna del sindaco a 26 mesi per abuso d’ufficio.
A Romano questa volta viene contestata la nomina nello suo staff di un cugino di un consigliere di maggioranza.
Decisione presa contro il regolamento comunale che vieta espressamente fino al quarto grado di parentela con gli amministratori. Il sindaco ha ribadito la trasparenza dell’operato e precisato che lo staff non è più operativo.
A dicembre arriverà la decisione del giudice, anche in questo caso è stata chiesta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.
Per il sindaco sarebbe il record: due incarichi e due condanne, ma nessun provvedimento sospensivo è stato ancora adottato dalla prefettura.
Brusciano è terra di cemento e crimine organizzato.
Pochi giorni fa i carabinieri hanno trovato un ordigno, poi disinnescato, davanti all’abitazione dell’architetto comunale.
Nel 2006 il comune è stato anche sciolto per condizionamento malavitoso, ma il Consiglio di Stato, nel 2007, ha ribaltato la decisione del ministero dell’Interno e riabilitato la giunta. Il sindaco era sempre lui, Romano.
“Al sindaco — scrivono i giudici amministrativi, che valutano anche vecchie frequentazioni — è poi addebitata la sottoposizione ad un procedimento per associazione a delinquere di stampo mafioso, ma risulta che il relativo procedimento è stato archiviato nel 1993, con la formula ‘per non aver commesso il fatto’”.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto inadeguati gli elementi insieme al difetto istruttorio e la contraddittorietà delle motivazioni che avevano portato all’azzeramento.
Le gioie per l’annullamento dello scioglimento sono lontane.
Romano, oggi, fa i conti con una condanna, in primo grado, per tentata concussione e il rischio di una nuova condanna per abuso d’ufficio.
Nonostante tutto, resta al suo posto: un messaggio chiaro al territorio e agli imprenditori onesti.
Nello Trocchia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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