Dicembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
“NON VOGLIO UN PARTITO DI PLASTICA, DI IMPRESENTABILI IN LISTA E DI COLONNELLI, UN PARTITO DOVE NON SI DISCUTE E DOVE I PARLAMENTARI VENGONO SCELTI DA CINQUE PERSONE IN UNA STANZA”
Duro il commento di Giorgia Meloni sul suo partito: «Bisogna capire dove sta andando e che cosa vuole essere il Pdl. Io ho detto cosa non voglio: non voglio più un partito di plastica, non voglio impresentabili in lista, non voglio un partito che non discute e non condivide decisioni, non voglio un partito di colonnelli, non voglio i parlamentari scelti da cinque persone in una stanza».
«Se il Pdl resterà così -ha aggiunto l’ex ministro nel corso de La Telefonata di Belpietro – io non trovo stimoli per rimanere, la nostra gente merita bel altro»
«Avremo le idee più chiare – afferma Meloni – il prossimo 16 dicembre, giorno nel quale abbiamo organizzato a Roma una manifestazione anche con altri colleghi, come Guido Crosetto. In nessun caso intendo abbandonare il lavoro che abbiamo fatto per far nascere in Italia il Partito Popolare Europeo, per normalizzare il nostro bipolarismo, perciò non si torna indietro a ipotesi di operazioni nostalgia».
Sulle primarie del Pdl, Meloni ribadisce le sue critiche per la scelta di non farle. «Non si può dire – osserva – che il Pdl abbia fatto una grande figura annunciando le primarie, poi annullandole, poi annunciandole ancora, poi approvando un regolamento, facendo raccogliere 200mila firme, dando vita ai comitati e poi annullandole con un paio di telefonate e una comunicazione alla stampa».
«Indipendentemente dalle scelte che si fanno, c’è – sottolinea Meloni – un dato di credibilità che va tenuto in considerazione soprattutto quando si pensa di voler governare una Nazione. Le primarie sarebbero state una boccata d’ossigeno e una grande occasione per mettere a confronto idee, linee politiche, per tornare a parlare di contenuti, per tornare in mezzo alla gente».
(da “La Stampa”)
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Dicembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
BERSANI PREOCCUPATO ALL’IPOTESI DI UNA LISTA MONTI
E se lo facesse davvero? Se sul serio Mario Monti decidesse di battezzare una lista di centro, pur non presentandosi in prima persona?
Al Pd non si parla d’altro.
C’è chi lo fa sperando che questo serva al Partito democratico per avere un viatico internazionale, tramite un’alleanza con i moderati guidati dal premier, e c’è chi invece pensa che il terzo incomodo possa arrecare danno al centrosinistra.
A Largo del Nazareno tutti, o quasi, cercano di cucirsi le bocche, ma le implicazioni della discesa in campo dell’attuale presidente del Consiglio sono tali che tenere le labbra sigillate diventa impresa improba, se non impossibile.
Il primo a parlare, non a favore di telecamere e microfoni, che quelli poco gli interessano, convinto com’è che la comunicazione passi altrove, è Pier Luigi Bersani.
Il segretario del Pd, con l’aria sorniona che lo contraddistingue, e di cui non può fare a meno perchè è un tratto fondamentale del suo carattere, si rivolge ai suoi con queste parole: «Mi sembra più utile al Paese che Monti stia fuori della contesa, dopodichè è ovvio che deciderà lui. Dopodichè io penso che Monti debba restare una carta per tutti, non un’occasione per Montezemolo, Casini e Fini»
E’ ovvio che Monti decida da solo.
Ed è altrettanto ovvio che il leader del Partito democratico prenderà le sue contromisure.
La posta in gioco è alta, anzi altissima: è il governo dell’Italia.
Bersani, nel suo pragmatismo tinto di umiltà , ha chiaro l’obiettivo finale e prepara la controffensiva: «L’iniziativa di Berlusconi rischia di bloccare tutto. La mia agenda non cancella quella di Monti, ma va oltre. Anche perchè io ho sempre detto che se vincessimo sia alla Camera che al Senato, ci allargheremmo comunque ai moderati».
Parla così il segretario del Pd, ma sa bene che c’è chi scommette sulla sconfitta del centrosinistra, che sarebbe agevolata dalla presentazione di una lista che ruberebbe i voti a Berlusconi ma anche al Pd.
Compulsa i sondaggi, Bersani, e si rende perfettamente conto che i 169 seggi che vengono attribuiti al centrosinistra a Palazzo Madama, possono diventare 155, se si perdono le Regioni-chiave, a cominciare dalla Lombardia.
La maggioranza conta 158 seggi al Senato e non è detto che il centrosinistra vincente li conquisti tutti, anche perchè l’eventuale discesa in campo di Monti potrebbe sparigliare le carte.
Il segretario del Partito democratico ha ben presenti le implicazioni che un eventuale ingresso di Monti in politica comporterebbe.
E fa affidamento sul fatto che, alla fine della festa, al centro non possa «decollare nulla di serio». E perciò rimane attaccato al suo piano originale: «Che il centro prenda il 15 per cento o l’8 non ci cambia molto. Con questa legge elettorale vinciamo alla Camera e dopo ci allarghiamo ai moderati anche se siamo autosufficienti».
Ma è un mantra che convince fino a un certo punto.
Perchè la domanda resta sempre lì sospesa.
E se Monti si candidasse? Berlusconi avrebbe un’autostrada spianata perchè, insieme a Grillo, raccoglierebbe i consensi di chi in questi anni è stato piegato dagli eventi della crisi.
Il Pd, però, non potrebbe fare campagne nè conto Monti nè a suo favore.
Stefano Fassina, responsabile economico del partito, assicura che, discesa in campo o meno del premier, non l’avrebbe fatta lo stesso: «Faremo una campagna contro chi ha determinato le condizioni per cui, unico caso in Europa, abbiamo il pareggio del bilancio nel 2013: è colpa delle misure più dolorose attuate dal governo Monti».
Stefano Ceccanti, uno dei capofila dei filo-montiani del Pd immagina uno scenario diverso: «Monti sarà a capo di una lista di centro alleata del Pd, in questo modo Bersani andrà a Palazzo Chigi e lui al Quirinale».
Ma Paolo Gentiloni che è convinto come Veltroni che il centro che verrà sarà il nuovo antagonista del Pd, declina il problema in modo diverso: «Monti in campo rappresenta certamente una competizione rilevante per noi, ma è anche una chance per costruire una maggioranza politica responsabile ed europeista».
Allo stato maggiore del Pd si prefigura il futuro attraverso i sondaggi che sembrano assai rassicuranti: raccontano che Bersani nel favore degli italiani ha conquistato il 30 per cento, mentre Mario Monti è inchiodato a un 22 che tende a calare.
Chiosa di Matteo Orfini: «Scendendo in campo il premier rende impossibile il Monti bis, dato che a occhio e croce il risultato del centro non sarà straripante».
Già , a Largo del Nazareno ci si rassicura con la coperta di Linus dei sondaggi.
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
LA RISPOSTA DEI MERCATI ALLE DIMISSIONI DI MONTI E ALLA PUGNALATA ANTI-ITALIANA DI BERLUSCONI NON SI E’ FATTA ATTENDERE
Piazza Affari n profondo rosso. Il Ftse Mib cede il 3% dopo l’annuncio delle dimissioni di Mario Monti.e l’annuncio della nuova candidatura di Silvio Berlusconi .
Molto più moderato il calo delle altre piazze europee con Parigi e Francoforte che lasciano sul terreno lo 0,4%.
A Milano il Ftse Mib arriva a cedere il 3,1% a 15.210 punti.
Gira in calo anche Mediaset (-1,17%) e viene sospesa dalle contrattazioni Fiat.
Sprofondano le banche con Unicredit in ribasso del 5,59%, Intesa Sanpaolo del 6,4 per cento: Vengono fermate dalle ontrattazioni Finmeccanica (teorico -1,6%) , Mps (teorico -3,56%), Ubi Banca (-2,47%), Bpm (-2,59%).
Vanno male tutte le principali banc
Come da attese la risposta dei mercati alle dimissioni annunciate dal premier Mario Monti non si è dunque fatta attendere.
Lo spread tra Btp decennali e Bund tedeschi equivalenti balza di a quota 360 punti, sulla scia delle incertezze per il dopo Monti in Italia.
Venerdì scorso aveva chiuso a 323 punti.
Il rendimento è al 4,77%.
Lo spread sui Bonos spagnoli avanza da 416 a 436 punti, per un tasso del 5,61%.
L’apertura della Borsa di Milano è prevista in rosso.
Una settimana fa lo spread era sceso sotto la soglia dei 300 punti, toccando i minimi degli ultimi 9 mesi.
Poi la risalita giovedì e venerdì scorso in scia allo strappo del Pdl che ha di fatto staccato in anticipo la spina dell’esecutivo.
I mercati temono che il prossimo Governo non rispetti l’agenda Monti e le sue riforme e, nonostante le elezioni saranno anticipate solo di un mese, a pesare è lo scenario di incertezza politica dell’Italia che si avrà da qui a febbraio.
argomento: Berlusconi, denuncia, economia | Commenta »
Dicembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
LA RISPOSTA DEI MERCATI ALLE DIMISSIONI DI MONTI E ALLA PUGNALATA ANTI-ITALIANA DI BERLUSCONI NON SI E’ FATTA ATTENDERE
Piazza Affari n profondo rosso. Il Ftse Mib cede il 3% dopo l’annuncio delle dimissioni di Mario Monti.e l’annuncio della nuova candidatura di Silvio Berlusconi .
Molto più moderato il calo delle altre piazze europee con Parigi e Francoforte che lasciano sul terreno lo 0,4%.
A Milano il Ftse Mib arriva a cedere il 3,1% a 15.210 punti.
Gira in calo anche Mediaset (-1,17%) e viene sospesa dalle contrattazioni Fiat.
Sprofondano le banche con Unicredit in ribasso del 5,59%, Intesa Sanpaolo del 6,4 per cento: Vengono fermate dalle ontrattazioni Finmeccanica (teorico -1,6%) , Mps (teorico -3,56%), Ubi Banca (-2,47%), Bpm (-2,59%).
Vanno male tutte le principali banc
Come da attese la risposta dei mercati alle dimissioni annunciate dal premier Mario Monti non si è dunque fatta attendere.
Lo spread tra Btp decennali e Bund tedeschi equivalenti balza di a quota 360 punti, sulla scia delle incertezze per il dopo Monti in Italia.
Venerdì scorso aveva chiuso a 323 punti.
Il rendimento è al 4,77%.
Lo spread sui Bonos spagnoli avanza da 416 a 436 punti, per un tasso del 5,61%.
L’apertura della Borsa di Milano è prevista in rosso.
Una settimana fa lo spread era sceso sotto la soglia dei 300 punti, toccando i minimi degli ultimi 9 mesi.
Poi la risalita giovedì e venerdì scorso in scia allo strappo del Pdl che ha di fatto staccato in anticipo la spina dell’esecutivo.
I mercati temono che il prossimo Governo non rispetti l’agenda Monti e le sue riforme e, nonostante le elezioni saranno anticipate solo di un mese, a pesare è lo scenario di incertezza politica dell’Italia che si avrà da qui a febbraio.
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Dicembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
“SONO PREOCCUPATO, MA A QUESTO PUNTO NON POTEVO EVITARLO”… “IL MIO FUTURO? NON LO SO ANCORA”
Per tutta la giornata Monti (e anche Giorgio Napolitano, dal suo appartamento al Quirinale) hanno dovuto prendere atto di questo allarme internazionale, che può innescare una nuova spirale di sfiducia nei confronti dell’Italia, allargandosi dalle cancellerie europee agli Stati Uniti, ai mercati.
«Sì, ho avuto molte telefonate dall’estero», si limita a dire Monti. Telefonate per capire cos’era successo e soprattutto che cosa può succedere adesso, in un Paese che non ha ancora compiuto il suo risanamento, e resta in una situazione complicata e difficile.
Nessuna telefonata, invece, a nessun uomo politico prima di discutere sabato sera con Napolitano al Quirinale la scelta delle dimissioni.
Nemmeno i ministri più importanti erano stati avvertiti.
«La mia decisione non ha avuto bisogno di un confronto politico – spiega il Capo del governo –. Non è vero che mi sono consultato con gli onorevoli Bersani e Casini prima di andare al Quirinale. Non ne avevo il tempo, e in qualche modo potrei dire che non ne ho avvertito la necessità . Nel senso che mi era ben chiaro che cosa dovevo fare. Ecco perchè non ne ho parlato nemmeno con esponenti del governo. Ho voluto confrontarmi soltanto con il Capo dello Stato. Poi, a cose fatte, ho chiamato Bersani e Casini. E dopo anche l’onorevole Alfano».
Ma quando è salito al Quirinale, in ritardo sull’appuntamento per colpa dell’aereo che lo riportava in Italia da Cannes, Monti in realtà aveva già preso la sua decisione.
Non un orientamento per le dimissioni, ma la decisione vera e propria di lasciare, in modo irrevocabile, sottoposta soltanto alla verifica istituzionale del Presidente della Repubblica, con il quale l’intesa è stata fortissima in tutti questi mesi, e soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà interna e internazionale.
«Avevo in realtà deciso da pochissime ore – dice il Premier – e più esattamente proprio durante il volo da Cannes a Roma. Ho avuto modo di pensare, inevitabilmente, a cosa aveva rappresentato per l’Italia Cannes lo scorso anno, con quel G8 all’inizio di novembre in cui il nostro governo fu messo alle strette».
Le cronache ricordano l’isolamento di Berlusconi tra i Capi di Stato e di governo degli altri Paesi, la sfiducia palpabile nei confronti dell’Italia, precipitata in coda ai Pigs, dopo la Spagna e appena prima della Grecia, con i dubbi diffusi sulla nostra capacità di sfuggire al rischio default insieme con Atene.
Anche quel ricordo ha consigliato Mario Monti a scegliere la giornata festiva di sabato per la resa dei conti finale: «Ho preferito che la decisione e l’annuncio cadessero in un giorno di mercati chiusi, con ventiquattro o trentasei ore di tempo per riassorbire un eventuale “colpo”, nella speranza naturalmente che il colpo non ci sia.
Spiegando subito, in ogni caso, che le dimissioni diventeranno effettive solo dopo l’approvazione della legge di stabilità , che spero proprio arriverà come previsto».
La dichiarazione di Alfano che annunciava la presa di distanza del Pdl e la fine dell’esperienza del governo Monti è stata la causa definitiva della scelta del Professore perchè meditata e circostanziata, dopo gli attacchi e i preannunci di crisi da parte di Silvio Berlusconi.
«L’ho interpretata veramente come un attestato di sfiducia – dice Monti – anche se non espressa in modo formale. Ma non era necessario, tutto era ormai chiaro».
Chiaro anche il preannuncio di un Vietnam parlamentare, con il Pdl che puntava ad avere le mani libere in una lunga campagna elettorale, boicottando ogni provvedimento del governo (a partire dal taglio delle Province e dall’incandidabilità per i condannati) senza assumersi formalmente la responsabilità di una crisi.
Monti dunque sarebbe stato rosolato a fuoco lento sulla graticola parlamentare.
«È possibile, anzi è probabile – spiega il Professore –, ma non è stato questo l’elemento determinante nella mia decisione. Il fatto importante e per me decisivo è un altro: io non sento più intorno a me una maggioranza che, sia pure con riserve e magari anche a malincuore, sia capace di sostenere con convinzione la linea politica e di programma su cui avevamo concordato».
Questo venire meno agli impegni presi, questo venire meno della responsabilità condivisa da parte della maggioranza anomala che aveva accettato di far fronte al risanamento necessario, dividendosi il costo politico ed elettorale dei sacrifici, ha convinto Monti a prendere l’iniziativa formale della crisi, con un chiarimento definitivo.
«Non potevo fare altrimenti – chiarisce il presidente del Consiglio –. Non sarebbe stato giusto, e nemmeno possibile. E oggi, non ha molta importanza vedere che una parte di quella maggioranza incrinata dica che non ha mai dichiarato la sfiducia in modo formale. Le cose sono chiare».
Che cosa resta? Il bilancio di quest’anno di governo in condizioni drammatiche, e Monti troverà il modo di farlo.
Le telefonate di riconoscimento per l’impegno del Paese in questi mesi, venute dall’estero.
E gli inviti, ripetuti, ad andare avanti, a non interrompere qui questa avventura politica e culturale nel segno dell’Europa.
Molti spingono per una candidatura, per una scelta decisa, per la benedizione a qualche lista, scommettendo che Monti in politica non si fermerà qui.
«Non lo so – risponde il Professore –, non lo so proprio. Se dovessi candidamente dire il mio sentimento oggi, direi che sono molto preoccupato. E non mi riferisco soltanto a quella parte politica da cui è venuto questo epilogo, con le mie dimissioni. No, la mia preoccupazione è più generale».
C’è come un senso di solitudine, il giorno dopo.
Come concluderà la domenica di crisi il Professore? «Telefonando al Presidente Ciampi, per gli auguri del suo compleanno. Una voce autorevole, e amica».
Ezio Mauro
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
SPUTTANATI NEL MONDO: L’ITALIA RICONQUISTA LE PRIME PAGINE DEI GIORNALI STRANIERI
Riassume tutto una vignetta, nella pagina degli editoriali del Financial Times: da un lato Mario Monti con statistiche e calcolatore in mano, dall’altro Silvio Berlusconi che esce dal Colosseo a pollice verso, insieme a teste di donna e tentacoli di piovra.
La stampa internazionale sembra avere un collettivo senso di deja vu: l’ennesimo ritorno in campo del “magnate” di Mediaset sembra ai commentatori e corrispondenti stranieri una storia di cui si conosce e si è visto già tutto.
Ma la novità è che nel campo ci sono un paio di facce nuove, come il tecnocrate Monti e il riformista moderato Bersani, che già qualcuno (il settimanale Economist) immagina spartirsi Palazzo Chigi e il Quirinale dopo le elezioni.
Sul quotidiano della City, un editoriale di Bill Emmott, ex-direttore dell’Economist (fu lui a fare la famosa copertina su Berlusconi “inadatto a governare l’Italia”), invita gli investitori esteri “a imparare a vivere senza Monti”, ipotizzando che a prenderne il posto sarà il vincitore delle primarie del Pd, Pier Luigi Bersani, una cui “vittoria netta è un requisito necessario per fare le riforme”.
Sempre sul Financial Times, un commento non firmato dal titolo “Lo sgarbato ritorno di Silvio”, espressione della direzione del giornale finanziario, osserva che “se Berlusconi avesse un po’ di pudore, smetterebbe di giocare con il presente del proprio Paese per proteggere il proprio futuro politico, ma sfortunatamente non è tipo da rimorsi”.
Il Guardian ironizza che il Cavaliere, “caduto in disgrazia e con tre controversi mandati alle spalle, sembrava politicamente finito, ma dice di essere tornato per senso di responsabilità verso l’Italia”.
E il conservatore Telegraph parla di un “dramma” di cui il Pdl porta la responsabilità .
Toni analoghi in Germania, dove la Frankfurter Allgemenie titola che “Berlusconi vuole salvare l’Italia dal baratro” ma poi spiega che “le sue parole non sono più credibili per la maggior parte degli italiani”.
Il quotidiano Suddeutsche Zeitung, in un commento intitolato “Lo spirito maligno d’Italia”, definisce la decisione dell’ex-premier di ricandidarsi “totalmente irresponsabile”.
Il giornale finanziario Handelsblatt taglia corto: “Berlusconi e i suoi segano la sedia di Monti”.
Per lo spagnolo El Pais, il leader del Pdl “è disposto a morire uccidendo” e si ricandida perchè si sente “minacciato dalle riforme del governo Monti, che potrebbero lasciarlo alla mercè dei giudici”, alludendo alla riforma della giustizia.
In Francia, Le Figaro scrive che il partito di Berlusconi “minaccia la stabilità italiana”, e Le Point osserva che il Cavaliere, “ieri pestifero”, torna perchè “senza di lui la destra sembra persa”. In America il New York Times predice “di nuovo un futuro turbolento” per il nostro paese, ma il Wall Street Journal, quotidiano finanziario soprannominato la bibbia del capitalismo, stima “difficile che Berlusconi possa vincere questa nuova sfida”.
E allora chi la vincerà ? In un editoriale intitolato “Life after Mario?” (Vita dopo Mario?), l‘Economist elogia il professore bocconiano e si augura che possa ancora estendere la sua influenza sull’Italia: se non da Palazzo Chigi, dal Quirinale dopo Napolitano.
“E se un governo Bersani fosse sospinto verso le riforme dal Quirinale, il mondo non dovrebbe preoccuparsi troppo” per l’Italia, conclude il settimanale.
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Dicembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
I SOLITI DELIRI: “IL NOSTRO GOVERNO MEGLIO DI QUELLO DEI TECNICI”… LA MELONI PRENDE LE DISTANZE: “IL PASSAGGIO DI CONSEGNE ERA VOLUTO DAGLI ITALIANI”
Critiche ai tecnici, braccia aperte al Carroccio: è la campagna elettorale che inizia, davanti a un capannello di giornalisti, con Berlusconi che parla fuori da una pizzeria di Milano e detta la linea del centrodestra.
Primo punto: il capitolo alleanze, fondamentale in Lombardia come a Roma. “Mai venuta meno l’alleanza con la Lega – dice l’ex premier – ora faremo un accordo formale e solenne per governare che risolverà il problema dell’alleanza in Lombardia”.
Soluzione che potrebbe prendere la forma di “un ticket Gelmini-Maroni”, dice ancora Berlusconi.
Annuncio questo che arriva alla fine di una giornata in cui sembrava ci fosse stata una fumata nera sul rapporto con il Carroccio, argomento al centro di un vertice di 4 ore in via Rovani.
Certo c’è sempre l’incognita Gabriele Albertini che, sostenuto dal governatore Roberto Formigoni, si dice pronto ad andare avanti anche da solo, se il Pdl sosterrà Maroni. Ma le parole del Cavaliere sembrano chiare.
E mentre prende forma l’alleanza con la Lega, a 24 ore dall’annuncio delle dimissioni di Mario Monti, l’ex premier attacca il presidente del consiglio e la sua compagine governativa: “Sorpreso? No, pensavamo che fosse doveroso un comportamento siffatto”.
E ancora: “Il tempo dei tecnici è finito, noi durante il nostro governo siamo stati migliori di questo”. “Noi abbiamo tenuto fede agli impegni. Cambia poco perchè abbiamo l’anticipo di un voto di un mese, un mese e mezzo”.
E lancia il 24 febbraio come data per il voto.
Alla domanda se è “sufficiente un mese per battere Bersani?” Berlusconi risponde sicuro: “Penso di sì, sono più giovane politicamente di Bersani, Casini” e di altri politici del centrosinistra “e sono assistito dal migliore giovane che c’è in campo, Angelino Alfano”.
Poi un’apertura che sa tanto di provocazione: “Se Renzi volesse venire con noi, sappia che ai liberali tengo sempre la porta aperta”
Berlusconi conferma anche la linea euro-critica su cui si attesterà il Pdl in vista del voto: “Non si può continuare con queste politiche germano-centriche in ossequio all’Europa”.
Poi risponde duramente al presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, che ha detto che “Berlusconi è una minaccia per l’Ue”:
“È assurdo e inaccettabile che possa esprimere giudizi così sulla politica italiana. È anche male informato, perchè se in Italia c’è una persona più europeista di Silvio Berlusconi me la facciano trovare”.
“Confido nel buon senso degli italiani – conclude – cui cercherò di spiegare andando nel prossimo mese in tv che il voto frammentato rende il Paese ingovernabile”.
Pdl sempre più diviso.
Proseguono, intanto, all’interno del Pdl le polemiche tra i fedelissimi dell’ex premier, che rilanciano la parola d’ordine del ritorno di Berlusconi come scelta di responsabilità nei confronti del Paese, e i dissidenti che definiscono la nuova discesa in campo un grave errore.
“Credo che Berlusconi sia stato davvero molto lungimirante quando decise di passare il testimone ad Alfano, quindi di fatto ad una nuova generazione e quando fissò la data delle elezioni primarie”, ha detto Giorgia Meloni, ex ministro della Gioventù nell’ultimo Governo Berlusconi.
“Erano – spiega – decisioni in sintonia con la richiesta degli italiani di rinnovare la classe politica di questo Paese. Per tutto questo, l’aver cancellato improvvisamente tale percorso rischia di essere una mossa assolutamente incomprensibile dal punto di vista politico”.
Il deputato Giuliano Cazzola, che venerdì in contrasto con la linea del suo partito, ha votato la fiducia, ha dichiarato ancora una volta che il suo è stato un gesto politico: “Il mio voto favorevole alla fiducia è stato dettato soltanto dall’esigenza di ribadire l’appoggio al governo Monti nel momento in cui il mio partito glielo negava. È stato un voto squisitamente politico”, ha detto.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
IN AGENDA UNA SERATA IN TV PER ATTACCARE MONTI APPENA DOPO IL PAGAMENTO DELL’IMU
Che dite, Silvio Berlusconi, fa le primarie? Troppo democratiche.
Il televoto? Troppo moderno.
Il provino? Troppo rischioso.
Oh, meglio tornare ai piatti classici, ai metodi antichi e rodati, molto rodati: la televisione.
Non la televisione di proprietà , Mediaset, che risponde con istinto pavloviano: il Cavaliere si candida, la scuderia si scalda.
E così B. ordina la festa nazional popolare su Rai1 entro fine dicembre, in anticipo su pandori e regali, ma già con l’odiosa Imu pagata e indigeribile.
Per riprendere la corsa a palazzo Chigi ha scelto il canale perfetto, generalista e trasversale (con più anziani che giovani, però).
Vuole le condizioni più efficaci: la prima serata, le finte domande.
Sì, un confronto stile Pier Luigi Bersani — Matteo Renzi, ma con il Cavaliere contro tre o quattro giornalisti: un paio di ore in diretta per le giustificazioni e le rivendicazioni di nove anni di governo — il sito esordiente non condensa abbastanza — e poi la nuova sfida con la solita faccia, le nuove promesse con il solito sorriso.
Berlusconi ricomincia da viale Mazzini: l’evento in “trasferta”.
Quei 120 minuti di faccia a faccia tra Bersani e Renzi hanno stuzzicato la fantasia mediatica, ancora di più perchè l’ingombro primarie è stato risolto con un plebiscito: per Silvio Berlusconi ha vinto Silvio Berlusconi.
Viale Mazzini aveva preparato gli un trattamento identico al centrosinistra e, in attesa di richieste ufficiali, in forma ufficiosa fanno sapere che l’eventuale offerta di B. sarà valutata e tradotta in palinsesto.
“Come rifiutare?”, dicono gli alchimisti che riescono a miscelare centro e sinistra e oscillano verso destra.
L’ex primo ministro prepara la propaganda con la migliore intuizione di questi anni che s’illumina in televisione: la replica.
Non più l’invenzione, ma la reinvenzione: il modello Matteo Renzi per seminare il territorio; il modello Beppe Grillo per la rete; il modello Berlusconi per la vecchia, cara tv.
Prima di mostrare il corpo di Arcore, che manca al teleschermo, il Cavaliere vuole bonificare la squadra dei tele-missionari.
Il cinguettio di Flavio Briatore — che bocciava Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto, che ormai si confondono con l’arredamento degli studi — espone il pensiero del padrone: vorrebbe una donna-testimone, l’Alessandra Moretti di destra (portavoce del comitato di Bersani, ndr), preparata, convincente, giovane e di bell’aspetto.
Qualcuno indicava Michela Vittoria Brambilla, ma sarebbe un già visto non proprio magnetico per i telespettatori.
Come se fosse a un allenamento di Milanello, il Capo vuole rifare le convocazione per avviare l’assalto mediatico: stavolta, però, vuole spendersi per non spegnersi.
Nel senso che i suoi ex elettori hanno bisogno di una prova evidente: esisto, eccomi.
E non soltanto nel salottino biancastro di Bruno Vespa, che ancora insiste per la presentazione del libro (mercoledì, a Roma).
I consiglieri riaprono l’agenda sotterrata in fretta e contano le interviste, le richieste incassate e quelle da incassare: Porta a Porta, certo, e poi Ballarò, i telegiornali , i pomeridiani.
Sussurri da Arcore: “Potrebbe persino andare da Michele Santoro!”. Un mese di indigestione televisiva e poi s’inforcano le bici verso i circoli, le piazze, i teatri.
Al grido: “Posso vincere solo con me stesso”. E il servizio pubblico Rai, potrebbe aggiungere, può dare un grosso contributo.
A Mediaset s’avverte il richiamo che spinge in trincea, tant’è che il comitato di redazione del Tg5 ha convocato un’assemblea per martedì appiccicandosi un titolo evocativo: “La tempesta perfetta”.
Hanno diffuso un comunicato per dire che non accettano lezioni dai colleghi: non possono rompere prima di conoscere la strategia di questa sesta campagna elettorale.
E confidano: “Sappiamo che la nostra credibilità non viene nemmeno presa in considerazione. Discutiamo tra di noi per capire quello che ci attende e senza rinunciare a un bene essenziale: la dignità . Questo non farà piacere al nostro Clemente J. Mimun. Pazienza”.
La legione dei direttori — composta da quotidiani, settimanali e telegiornali — è in stretto contatto con la base militare di Arcore, punto di incontro e scontro per le offensive mediatiche.
Il debutto designato e desiderato è su Rai1.
Tema, la memoria: dimenticare il passato a Palazzo Chigi, ricordare le angherie di Mario Monti.
Il luogo è suggestivo, pieno di atmosfere e momenti memorabili: il tavolo di ciliegio, il contratto con gli italiani, la mano che odorava di santità , il corteggiamento a Valentina Vezzali e gli insulti a Rosy Bindi.
Quella è casa sua.
Proprio sua.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 10th, 2012 Riccardo Fucile
POLEMICHE RIGUARDO ALLE VOTAZIONI PER SCEGLIERE I CANDIDATI AL PARLAMENTO
Le ‘Parlamentarie’ di Grillo sono state un successo o un flop?
Non si placano sul blog di Beppe Grillo le polemiche sulle votazioni per le liste dei candidati a 5 Stelle per il Parlamento italiano.
“I voti disponibili erano circa 95mila per 1.400 candidati presenti in tutte le circoscrizioni elettorali incluse quelle estere”, spiegava ieri il leader del Movimento con un post pubblicato sul suo blog a un paio di ore dalle chiusura dei ‘gazebo virtuali’ (qui tutti i risultati con i candidati vincitori per ogni circoscrizione).
Un intervento in cui l’ex comico celebrava i risultati raggiunti, sottolineando come con le parlamentarie, che hanno visto “una netta affermazione delle donne (su 31 capilista 17 sono donne, il 55%)”, i 5 stelle abbiano messo a segno un bel primato: “E’ il primo movimento o partito politico nel mondo a eleggere i suoi rappresentanti in Parlamento attraverso Internet, questo mentre in Italia non esiste neppure il voto di preferenza”.
Ma Grillo sembra non convincere i suoi, stando almeno ai post polemici, numerosissimi, che seguono il suo intervento e continuano ad essere postati sul blog.
C’è chi, senza giri di parole, manda Grillo letteralmente a quel paese, “perchè dopo aver rimandato due volte il mio documento, da marzo, ho infine scoperto di non essere certificato nè un ca..o — lamenta Dario — Sarebbe questa la democrazia virtuale?
Un accrocco traballante che non vale un qualsiasi forum internet da dilettanti?
Imparate a usare il computer prima di fare tutti ‘sti proclami”.
Qualcuno fa di conto e avanza dubbi. “95000/1400= 67,9 preferenze medie. Ogni iscritto, 3 voti: 95.000/3= 31.667 votanti. 31.667/1400 = 22,7 iscritti per candidato.
Partecipazione dal basso? Più che altro, piccoli club privati e casta estremamente chiusa”, osserva una voce polemica. “95mila persone — aggiunge un altro — è la popolazione del mio quartiere”.
E mentre Grillo decanta le lodi delle parlamentarie, in molti riconoscono il flop.
“Ragazzi, che brutta figura — sottolinea un utente — 95mila voti a tre preferenze per votante significa solo 32mila persone che hanno votato, e il bello è che c’erano 1400 candidati. Vuol dire che ogni candidato è riuscito a farsi votare solo da una trentina di persone, praticamente dagli amici del bar sotto casa, o poco più! Ehm…”.
Non mancano poi i consueti dubbi sulla macchina organizzativa del Movimento.
A Grillo che aveva vantato il costo zero dell’operazione ‘parlamentaria’, qualcuno chiede: “Costo zero? Chi ha pagato sito, server e gli informatici per fermare i cattivi hacker?
La Casaleggio? E 95 mila voti cosa legittimano? E come sono stati raccolti? Chi ha votato e come? Chi ha controllato e come?”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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