Dicembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE DEFINITO “SPIRITO MALVAGIO” DALLA STAMPA TEDESCA
Allarme in tutta l’Unione europea, Silvio Berlusconi definito dalla Sueddeutsche Zeitung “der boese Geist”, lo spirito malvagio, torna in scena e vuole vincere: che ne sarà dell’eurocrisi, dell’eurozona, dei soldi che i popoli di 17 paesi europei hanno in tasca e in banca?
L’inquietudine si coglie chiaramente. L’Europa trema davanti alla prospettiva d’un ritorno di Berlusconi, titola Spiegel online oggi pomeriggio fotografando la situazione di trauma inatteso.
E Joerg Asmussen, uno dei due membri tedeschi del board della Banca centrale europea, in dichiarazioni rilasciate a Bild ha lanciato un severo monito all’Italia, accompagnato da una lode incondizionata al presidente del Consiglio dimissionario.
“Mario Monti”, ha detto Asmussen, certo parlando non senza l’assenso di Angela Merkel, “in poco tempo ha saputo realizzare moltissimo, con lui l’Italia ha riconquistato la fiducia degli investitori, e il suo governo ha portato avanti il processo di consolidamento del Bilancio”.
Fin qui la lode e l’onore del commiato a Monti, poi ecco il duro e chiarissimo monito del super-eurobanker tedesco: “Chiunque dopo le elezioni governerà l’Italia, un paese fondatore dell’Europa, dovrà proseguire sulla via del corso politico e di risanamento di monti con la sua stessa serietà “.
Qui nella prima potenza europea come nelle altre capitali e regioni che contano nel Vecchio continente.
E le dimissioni di Mario Monti, l’uomo che un po’tutti da Berlino a Francoforte, da Helsinki a Varsavia chiamavano affettuosamente ‘Supermario’, sono un pugno nello stomaco, la perdita d’una certezza o speranza di risanamento. Vediamo le reazioni e l’atmosfera, caso per caso.
GERMANIA
Silenzio ufficiale, ma la preoccupazione è evidente.
Stiamo a vedere adesso quale esito avranno le elezioni, si pensa qui nella capitale federale.
Secondo analisti autorevoli, come gli editorialisti del quotidiano liberal di Monaco, non conta il fatto che il Pdl sia a livello europeo nel Partito popolare europeo, cioè nella stessa famiglia politica della CduCsu di Angela Merkel.
Le incompatibilità tra linea di rigore alla tedesca seguita da Mario Draghi e fino a ieri da Monti, e gli attacchi populisti di Berlusconi ora padrone del Pdl contro i ‘Diktat di Angela’allarmano troppo.
La paura appena confessata sottovoce è che una vittoria di questo centrodestra di nuovo guidato dallo ‘spirito malvagiò peggiori conti pubblici, rating e situazioen italiana in generale.
E allora sarebbero guai letali per l’euro e per tutti.
Anche per la prima potenza europea: l’Italia ancora grande paese industriale tra i primi al mondo e membro eel G8 è troppo grosso per poter essere salvato, se cade.
Anche negli ambienti del BDI, la Confindustria tedesca, alte fonti – quindi non certo voci di sinistra – hanno recentemente espresso in colloqui riservati con Repubblica opinioni di ribbrezzo sul conto del Cavaliere.
FRANCIA.
Povero Franà§ois Hollande, non bastavano crisi interna, calo di popolarità e corsa dei ricchi verso il Belgio per pagare meno tasse.
Il nuovo presidente francese, con l’Italia di Monti, aveva costituito un asse di paesi virtuosi ma decisi a battersi per la crescita, e a negoziare da amici ma se necessario anche con toni duri con il gruppo riforista guidato dalla forte Germania di ‘Angie’.
Adesso Hollande ha perduto l’alleato-chiave che aveva ridato peso alla politica francese in Europa.
Da sola, a fronte di Berlino e degli altri rigoristi, una Quinta repubblica declassata dalle agenzie di rating e in grave crisi economica e sociale non può farcela, teme di dover persino lei aver bisogno in futuro di aiuti dei fondi salvastati.
E non sarà certo un centrodestra italiano in pugno a Berlusconi ad aiutarla.
REGNO UNITO
Fastidio anche negli ambienti politici di Londra. Il premier David Cameron è un conservatore serio, avrà mille difetti ma il suo governo di coalizione con i liberali di Nick Clegg detesta ogni populismo.
Sulla stessa linea sono al New Labour, vicinissimi al Pd italiano.
I media britannici sono sempre stati tra i più attenti e severi a denunciare scandali, fallimenti e arroganza del Cavaliere. La City non chiude mai gli occhi sul pericolo dei suoi populismi e della sua passata fallimentare politica di conti sovrani.
SPAGNA
Paradossamente problemi anche per il premier conservatore iberico Mariano Rajoy: la caduta del risanatore Monti e l’ascesa di promesse populiste gli renderanno ancor più difficile affrontare le contestazioni di piazza e del paese contro le durissime misure annunciate a Madrid.
EUROPA CENTRO-ORIENTALE
La Polonia, cioè il più dinamico paese ex colonia sovietica, e insieme a Svezia e Finlandia una delle economie della Ue che sono più cresciute, non ha nulla da guadagnare dal ritorno di Berlusconi. I
l governo liberal del premier Donald Tusk e del ministro degli Esteri Radoslaw’Radek’Sikorski, che vanta un debito sovrano attorno appena al 50 per cento del pil e aziende e ceto medio in crescita, e intanto affronta finalmente dure riforme (pensioni, sanità ) già teme il rallentamento dell’economia tedesca ed europea.
Un rischio di aggravamento dell’eurocrisi a causa di venti populisti romani appare letale anche per Varsavia ‘tigre della nuova Europa’.
E rafforza l’euroscetticismo cavalcato dall’opposizione nazionalista di Jaroslaw Kaczynski.
In tutto il centro-est solo due leader forti sicuramente gioiscono.
Il presidente russo Vladimir Putin e il premier-autocrate nazionalconservatore e antieuropeista ungherese Viktor Orbà n, amici dichiarati di Berlusconi. Berlusconi da cui Orbà n ha avuto anche consiglieri politici per costruire il suo partito e il suo sistema di potere.
NORDEUROPA.
Peggio che mai per l’immagine dell’Italia, e in più nuove nubi di paura dell’Europa e rischio di rafforzamento dei populisti, dagli Sveriges demokraterna a Stoccolma ai Peerus Suomalaiset (autentici finlandesi) a Helsinki.
Pochi giorni fa, all’inviato di Repubblica a Helsinki, l’uomo-chiave del Grande nord nell’eurozona, cioè il giovane, poliglotta, plurilaureato, efficientissimo e popolare ministro finnico per gli affari europei Alexander Stubb, rigorista ma europeista e ammiratore dell’Italia che produce e dei suoi tentativi di rigore, aveva detto: “E’un bene per l’Europa che esistano i due Supermario, cioè Monti e Draghi, io conosco Monti da lunghi anni e lo stimo profondamente, sta tentando di affrontare con successo la crisi, noi che dopo il ’90 avemmo una crisi con crollo del pil del 20 per cento e crack bancario grave sappiamo quanto sia difficile ma lo ammiriamo”.
Ecco, adesso persino la cara, efficiente Finlandia si sente, dopo Monti, con un amico in meno.
E di Berlusconi a Helsinki ricordano tutti le volgari battute sulle leader politiche finniche, molte e tutte bravissime visto anche che la Finlandia non è certo un paese di veline bensì il primo paese al mondo che nel 1906 dette il diritto di voto alle donne, il paese meno corrotto del mondo e uno dei primi nelle pari opportunità .
Da queste idee di modernità europea, siano esse finniche polacche tedesche o francesi, l’Europa teme ora che l’Italia si allontani.
Andrea Tarquini
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi, Europa | Commenta »
Dicembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
MONTI: IL “NON CI STO” DEL PREMIER
«Non accetto che Berlusconi mi ricatti sulla giustizia, sulla norma che vieta ai condannati di candidarsi. Non mi faccio logorare sottoponendomi al suo populismo. Io non ci sto». Nello Studio alla vetrata del Quirinale va in scena l’ultimo faccia a faccia tra il premier Mario Monti e il presidente Giorgio Napolitano.
È il più drammatico.
Il premier si incontra con il presidente della Repubblica intorno alle sette di sera. Fuori, Roma è avvolta dal gelo.
In auto, percorrendo il breve tratto che separa Palazzo Chigi dal Colle, Monti telefona ai leader dell’ormai strana maggioranza che gli sono rimasti leali.
A Bersani e Casini preannuncia le dimissioni.
Che pochi minuti dopo comunica e spiega a Napolitano con toni pacati ma fermi. Per questo passo Monti ha scelto il sabato sera considerandolo il momento perfetto: una decisione tanto dirompente meglio renderla pubblica a mercati chiusi e con la domenica in mezzo per approntare le contromisure ad una eventuale tempesta del lunedì mattina sui mercati.
«Non sarò ostaggio di un logoramento demagogico — spiega al presidente della Repubblica — voglio rimanere coerente, non asseconderò chi intende fare una politica contro l’euro e contro le tasse per riaffrancarsi sull’onda della demagogia. Io cado perchè lo ha voluto Berlusconi».
Sono attimi di gelo.
L’aplomb del premier — accompagnato dalla portavoce Betty Olivi e dal vicesegretario generale di Palazzo Chigi Federico Toniato — non rende meno drammatico il colloquio con chi dal Colle più alto a Palazzo Chigi lo aveva voluto tredici mesi fa.
L’analisi del premier è spietata.
Le ultime parole di Berlusconi sono l’inevitabile corollario del suo ragionamento. Per l’ex rettore della Bocconi, tutto precipita per colpa sua.
«Il governo — incalza il Professore — è nato dalla convergenza di tre forze politiche e se ne viene a mancare una, non ha più la possibilità di andare avanti».
Napolitano prima è sorpreso. Non si aspettava una svolta di questo tipo.
Alla fine — dopo un lungo colloquio durato circa due ore, annuisce ed esprime la propria «comprensione» per la decisione.
Ne prende atto.
Poi si passa al lato pratico, a come gestire l’uscita di scena del premier, ai prossimi passi.
Calendario alla mano abbozzano il futuro parlamentare e politico del Paese.
Si decide di schiacciare l’acceleratore sulla Legge di Stabilità , ultimo vitale atto per non affondare l’Italia di fronte ai mercati prima dell’addio del premier.
Il testo sarebbe dovuto sbarcare in aula al Senato il 18 dicembre con voto finale il venti. Ora si pensa di anticipare: aula già martedì e voto finale entro pochi giorni.
Qualche modifica il testo potrebbe subirla visto che la crisi aperta da Berlusconi rende necessario infilare alcune norme urgenti che altrimenti cadrebbero nel vuoto.
E l’accelerazione a Palazzo Madama serve proprio a permettere a Montecitorio l’ultima e definitiva lettura entro Natale.
Nelle prossime ore il premier chiamerà i leader dei partiti per concordare il calendario dei lavori parlamentari e per avere garanzie che il Pdl voterà la Finanziaria evitando al Paese il disastro dell’esercizio provvisorio.
Dopo l’ultimo voto parlamentare, a cavallo del Natale se non prima, Napolitano dovrebbe sciogliere le Camere, con il voto per le elezioni che a questo punto dovrebbe cadere il 24 febbraio o al massimo il 3 marzo (meno probabile).
Monti la sua decisione l’ha maturata in solitudine. Pochissimi ministri e collaboratori ne erano informati.
A questi aveva spiegato che l’attacco di Alfano di venerdì — la situazione con Monti è peggiorata — e le sparate di Berlusconi erano una «inaccettabile» sfiducia a tutta la politica del governo.
«È un modo per mettere il Pdl di fronte alle sue responsabilità — ripeteva — di non fargli fare campagna elettorale sulla nostra pelle».
D’altra parte venerdì in un colloquio telefonico era stato anche Pier Luigi Bersani a far capire a Monti a cosa stava andando incontro. «Tieni presente che da oggi il Parlamento sarà un Vietnam, il Pdl ti ha tolto la fiducia e sappi che ogni voto sarà una vera e propria battaglia».
E poi un consiglio: «Valuta se non devi accorciare i tempi».
Ieri, quindi, l’ultima sfida di Berlusconi a rafforzare le convinzioni del premier, con il Pdl che al Senato ha annunciato una pregiudiziale di incostituzionalità sul taglio delle province, segnandone la morte.
È forte di queste convinzioni che Monti si è presentato da Napolitano e ha ascoltato il resoconto sulle consultazioni di venerdì con i partiti.
Ma non c’è più niente da fare e dopo avere studiato la road map dei prossimi giorni premier e presidente scrivono il comunicato che intorno alle nove di sera annuncia la fine del governo tecnico: «Il presidente del Consiglio ha rilevato che la dichiarazione in Parlamento da Angelino Alfano costituisce, nella sostanza, un giudizio di categorica sfiducia nei confronti del Governo. Non ritiene pertanto possibile l’ulteriore espletamento del suo mandato e ha di conseguenza manifestato il suo intento di rassegnare le dimissioni».
Che saranno «irrevocabili» e arriveranno dopo il voto sulla Legge di Stabilità .
Intanto «accerterà quanto prima se le forze politiche che non intendono assumersi la responsabilità di provocare l’esercizio provvisorio — rendendo ancora più gravi le conseguenze di una crisi di governo, anche a livello europeo — siano pronte a concorrere all’approvazione in tempi brevi» della Finanziaria. Monti ha portato avanti la sua politica fino all’ultimo.
In mattinata si è presentato a Cannes per parlare al World Economic Forum.
Di fronte alla platea internazionale ha rassicurato, ha pronunciato l’ultima difesa dell’Italia ricordando (pur senza preannunciare le dimissioni) che lascerà un Paese in sicurezza, con i conti a posto.
Ma non aveva mancato di piazzare qualche bordata a Berlusconi.
Pur senza citarlo direttamente, aveva insistito sui rischi del populismo anche in Italia, aveva detto basta a facili «scorciatoie» e «promesse illusorie» che fanno leva sugli «sulle visioni viscerali» dei cittadini.
Ora, però, l’epilogo traumatico del governo rimette in discussione tutto. Compreso il ruolo politico di Monti nel 2013.
Il suo eventuale endorsement alle forze politiche che hanno sostenuto lealmente il suo esecutivo fino all’ultimo.
Se non una sua candidatura. Che avrebbe il segno di una “diga” contro il populismo demagogico del centrodestra.
In molti glielo stanno chiedendo in queste ore da dentro e da fuori il governo. In molti glielo chiederanno dall’estero.
Del resto, la decisione di “rompere” con il Cavaliere costituisce una vera e propria mossa politica.
La mossa di chi vuole bloccare la carica disfattista del Pdl targato “Silvio”.
La road map della legislatura cambia, ma a questo punto possono cambiare anche gli assetti delle coalizioni in campo.
Perchè — come spigò solo pochi giorni fa al Quirinale — «la decisione se candidarmi o meno è solo mia».
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica“)
argomento: PdL | Commenta »
Dicembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
SI POTREBBE ANDARE A VOTARE A FINE FEBBRAIO. BERLUSCONI IRRITATO TEME DI NON FARE IN TEMPO A RISOLLEVARE IL PDL
Colto in contropiede nella gelida serata di Arcore.
Il forfait di Monti non era contemplato nella campagna d’inverno appena lanciata da Berlusconi.
La prima reazione, appena appresa la notizia, è stizzita, se quello lanciato da Palazzo Chigi è un guanto di sfida, viene raccolto: «Vuole metterci all’angolo. Bene, il Professore ha rotto gli indugi. Avrà deciso di candidarsi, ci misureremo alle urne. A questo punto lo scontro sarà con lui».
La reazione ufficiale, quella concordata nel giro di pochi minuti al telefono con Angelino Alfano — sorpreso nel frattempo in pieno relax con amici a Montecatini — è inevitabilmente diplomatica.
E conferma la linea della «responsabilità » e della disponibilità a votare la legge di stabilità in tempi rapidi.
Ma nelle telefonate coi suoi più stretti collaboratori Berlusconi mostra di aver compreso tutta la portata politica e i rischi del gesto compiuto dal presidente del Consiglio.
C’è parecchia tensione. «Vogliono far ricadere su di noi la responsabilità della crisi, ci accuseranno di averlo sfiduciato e di aver provocato un nuovo innalzamento dello spread» sostiene il Cavaliere.
Ma più che l’aspetto politico a preoccuparlo è la clessidra che a questo punto scorre più velocemente, più di quanto avesse preventivato.
Nei colloqui privati degli ultimi due giorni, l’ex premier non aveva fatto mistero di non avere alcuna fretta di votare in tempi rapidi.
Di voler organizzare per bene la campagna più delicata della sua carriera politica.
Tanto più dovendo rifondare e rilanciare ex novo il partito, selezionare centinaia di candidature, pianificare una campagna in grande stile.
«Se alla fine il Quirinale decidesse per fine marzo o il 7 aprile non mi dispiacerebbe più di tanto» aveva confessato a uno degli ultimi deputati ricevuti a Palazzo Grazioli prima di tornare a Milano per il week end di festa. Ora tutti i piani saltano.
Nei calcoli fatti in serata tra i dirigenti pidiellini, calendario alla mano, un’approvazione anticipata della legge di stabilità e il conseguente, immediato scioglimento delle Camere determinato dalle dimissioni potrebbe portare al voto il 24 febbraio.
Neanche due mesi di tempi, dal rientro dallo stop natalizio, per scatenare la macchina elettorale della nuova Forza Italia.
Pochissimo, anche per l’artiglieria collaudata del Cavaliere.
Il sospetto che aleggia da ieri sera tra Villa San Martino ad Arcore e il quartier generale del partito a Roma è che l’exploit del Professore nasconda un patto con gli avversari, un accordo magari neanche tanto tacito con Pier Luigi Bersani.
Se non addirittura la decisione del premier di mettersi in gioco sponsorizzando i centristi.
In ogni caso, Berlusconi intende capovolgere a proprio favore la carta messa sul tavolo da gioco dal Monti. «Diremo che ha fatto bene a dimettersi», raccontano sia stato uno dei primi ragionamenti confidati da Berlusconi: «Del resto l’80 per cento dei nostri elettori non ne poteva più di questo governo delle tasse».
Contro l’esecutivo dei tecnici lui stesso stava per imbastire la prima parte della campagna elettorale, quella già partita.
Le dimissioni del premier in parte spiazzano la strategia. Anche se, raccontano i suoi, l’affondo contro «la politica recessiva» del governo dell’ultimo anno resterà uno dei tratti essenziali del programma.
Le dimissioni di Monti, dunque, andranno sbandierate come un mezzo successo. Anzi — come già sostiene Daniela Santanchè e come da oggi sosterranno tutti i falchi — «un risultato del Cavaliere».
È la linea della controffensiva già partita.
La verità è che l’affondo di Palazzo Chigi è andato a segno e ha sortito i suoi effetti.
Non è un caso se, nonostante la tarda serata di un sabato festivo, una parte del Pdl ha dato subito voce alla profonda irritazione generata nel partito dalla mossa a sorpresa di Mario Monti, accusato perfino di «scorrettezza» e quasi di ingratitudine dai senatori berlusconiani Viceconte e Gentile.
Il refrain ufficiale delle prossime ore sarà all’insegna del self control, della disponibilità a votare subito la legge di stabilità per andare alle urne, anche presto, anche a febbraio.
«Non intendiamo certo sfiduciare il governo — spiega a caldo Mariastella Gelmini — Voteremo la legge fondamentale per i conti dello Stato. Non vogliamo gettare il paese nel caos, siamo e restiamo responsabili».
Come dire, se di pistola puntata si tratta, allora la pistola è «scarica».
Il Pdl dovrà dimostrare di non aver paura del voto ancor più imminente. Ma tutto a questo punto si complica nella trincea di un Berlusconi tornato con l’elmetto.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
argomento: Berlusconi, PdL | Commenta »
Dicembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
COSA SI ASPETTANO DAL NOSTRO PAESE GLI OSSERVATORI INTERNAZIONALI
Come vedranno fuori d’Italia, nel mondo delle cancellerie, dei mercati e degli «influencer» – i leader dell’opinione sul web -, la fine del governo Monti e le nostre prossime elezioni?
A prima vista non ci sarà grande differenza con il 2008.
Allora l’ex premier Berlusconi rappresentava il centrodestra alleato alla Lega Nord di Bossi, contro Veltroni, leader del Partito democratico, il centrista Casini e la sinistra di Bertinotti a chiudere il quadro.
Dopo un lustro di rivolgimenti, la fine del terzo governo Pdl-Lega, la stagione dei tecnici di Monti, le primarie Pd, sarà l’attuale segretario del Pd, Bersani, a candidarsi per il centrosinistra, la destra, per la sesta volta in 18 anni, verrà rappresentata da Berlusconi, Casini prova a rimotivare il centro, mentre la sinistra radicale cerca di rientrare in Parlamento con Vendola.
Nella realtà la fine brusca di Monti, invano esorcizzata dal presidente Napolitano, muta il quadro a fondo.
E chi l’ha favorita, rischia di passare da apprendista stregone.
Ora si rischia infatti che unico elemento di novità appaia il Movimento 5 Stelle. Beppe Grillo, che dopo il successo alle regionali in Sicilia è accreditato, nei sondaggi, di un pacchetto tra 100 e 120 deputati, tutti fedelissimi dell’ex showman.
Le reazioni internazionali alle notizie di ieri sera mostravano già , pure a Borse chiuse, qualche nervosismo.
The Atlantic, la rivista americana, legge nella parabola di Monti e nel mancato rinnovamento del centrodestra la stanchezza italiana, che rischia di far perder interlocutori a Casa Bianca e Unione Europea, nella difficile crisi economica e del debito europeo.
Il giudizio personale su Bersani non è ostile, «un pragmatico» scrive il Financial Times, le perplessità riguardano l’ala sinistra di partito, sindacato e coalizione: riuscirà il segretario, se eletto, a continuare le riforme o i radicali lo trascineranno nelle sabbie mobili come fecero con Prodi nel 1998 e nel 2008?
In Italia, e sarà così anche nella fase conclusiva del governo Monti, il giudizio del mondo suscita due diverse, ed ugualmente errate, reazioni.
Gli «Esterofili» trasformano ogni paragrafo del primo corrispondente di passaggio a Roma in Tavole del Giudizio di condanna apocalittica del nostro Paese, ignorandone successi, cultura, economia, manifattura e ricchezza.
Gli «Esterofobi» dimenticano che il mondo conta, lo spread conta molto, le agenzie di rating saranno pure antipatiche come professoresse arcigne, ma come loro bocciano, e il giudizio dei leader alleati infine regala, o nega, opportunità .
Se l’Italia è giudicata bene nel mondo arrivano fondi ed investimenti, altrimenti no, e non si perde un titolo simpatico sull’Economist, si perde lavoro per gli italiani.
Oltre il provincialismo comune a Esterofili ed Esterofobi, è bene quindi che il «caso Italia 2013», non più garantito dalla credibilità super partes di Mario Monti, sia percepito all’estero con precisione, nella sua forza e nei suoi limiti, con i 1900 miliardi di euro di debito e i 9000 di ricchezza privata, con il 35% dei ragazzi senza lavoro e la seconda manifattura d’Europa, sesta del mondo. Perchè, al di là di quel che appare, il voto 2013 è radicalmente diverso dal 2008, un copione teatrale inedito, malgrado i troppi attori veterani.
Berlusconi 2008 raccolse la vittoria dopo il suicidio degli avversari.
Berlusconi 2013 è reduce dal suicidio del suo governo, e si arrocca con la Lega di Maroni, contando su un 20% dei voti, che — come indicano gli studi elettorali del professor D’Alimonte – può innescare un’impasse al Senato, grazie a Lombardia, Veneto, Piemonte e Sicilia. Sa di non poter vincere, vuol pareggiare e poi trattare.
Anche Bersani conduce una partita diversa da Veltroni cinque anni or sono. Allora il segretario Pd, conscio di non poter prevalere, ottenne un lusinghiero risultato e propose al centrodestra il «dialogo» che i falchi Pdl rifiutarono, pentendosene nei giorni dell’avvento di Monti.
Ora il segretario del Pd è accreditato da sondaggi che gli schiudono chance di vittoria, dopo la brillante campagna di primarie con Matteo Renzi. Il suo problema — davanti al mondo – è provare che, dopo vent’anni di travagli, la sinistra italiana è finalmente capace di vincere e governare per una legislatura senza psicodrammi, completando le riforme.
Non si chiede a Bersani di guidare un Monti bis mascherato, ma di restare il liberalizzatore del 2006.
Anche Casini ha una parte diversa da recitare.
Dopo la scommessa di autonomia dal Pdl, deve mettere insieme tecnocrati e politici, in grado di dare al Pd un interlocutore serio al centro. Non è poco. Non si tratta, se davvero Monti uscirà di scena, di insistere con slogan del Monti bis, si tratta di imporre al Paese la filosofia riformista che, nei giorni migliori, ha animato il governo Monti.
Nessuno, nei centri di studio e potere che contano, dal Council on Foreign Relations al Carnegie Endowment, dalla Casa Biancaall’Eliseo e Downing Street, chiede a Bersani e al Pd — in caso di vittoria – di adottare gli editoriali del Wall Street Journal come linea, nè di indossare gli abiti di Monti.
Si chiede di non ricadere nell’instabilità e restare partner credibili per Obama e Hollande, sulla linea della crescita a bilanciare i conservatori della cancelliera Merkel.
Questo ruolo prezioso il professor Monti ha saputo svolgere, e questo ruolo i suoi eredi riformisti devono continuare a interpretare.
Che l’Italia debba tornare a svilupparsi, che una generazione non debba schiattare di austerità , è chiaro agli alleati: senza però follie fiscali e innovando il Paese.
Quando Bersani ha detto, nel faccia a faccia con Renzi, di non volere raccontare favole e che governare è anche «sorprendere», è sembrato davvero un «pragmatico».
Per vincere le «primarie mondo» deve vaccinare con questa virtù partito e coalizione.
Il centrodestra deve meditare sul suo isolamento: nè i rigoristi alla Merkel, nè i keynesiani alla Hollande-Obama contano sul Pdl come alleato.
La diplomazia muta al mutar del vento, ma per ora il vento va così e non basterà un discorso per riaverlo nelle vele, come quando George W. Bush invitava Berlusconi a parlare al Congresso Usa, raro privilegio per leader amici.
Anche Beppe Grillo ha la sua partita internazionale e, finora, l’ha giocata abilmente.
Il suo consigliere Gianroberto Casaleggio ha incontrato Michael Slaby, Capo dell’innovazione e dei Big Data alla Casa Bianca, durante la sua missione ufficiale in Italia.
Non un endorsement, ma almeno una cortesia per un movimento screziato di antiamericanismo, per esempio sull’Iran. I media internazionali, web o classici, adorano già Grillo, a partire dal primo, raggiante, ritratto del New Yorker.
Piace il 5 Stelle nemico della corruzione, se ne leggono con distratta disinvoltura i programmi, il risultato è bonaria simpatia.
L’Italia ha bisogno del mondo, alleati e investimenti.
Ma il mondo ha bisogno dell’Italia, partner di stabilità nella faticosa uscita dalla crisi finanziaria 2008.
Per questo la nostra scelta 2013 sarà seguita con attenzione in tante capitali, per questo dovremo farla con saggezza, lungimiranza e raziocinio.
Ci sarà tempo per un giudizio storico preciso su Monti e i suoi tecnici. Avrebbero certo potuto essere più calorosi nei giorni delle emergenze del terremoto in Emilia e del naufragio della Concordia.
Avrebbero a volte dovuto spiegare le riforme e le tasse con meno algoritmi e sussiego, con più visione e compassione.
Ma se possiamo guardare alla primavera con preoccupazione e non angoscia si deve alla saggezza di Napolitano e all’aplomb di Monti e dei suoi.
Nessuno può dimenticarlo se non vogliamo che il mondo veda nel 2013 italiano un grottesco festival di demagogia.
Gianni Riotta
(da “La Stampa”)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
OGGI VERTICE AD ARCORE PER PREPARARE LA CAMPAGNA ELETTORALE… SE MONTI SI PRESENTA MOLTI NEL PDL LO SEGUIREBBERO
Non succede, ma se succede… È praticamente appeso a quattro parole il destino degli scontenti del Pdl.
Che sono tanti, che mugugnano, che si vedono in cene più o meno riservate. Ma che, allo stato, hanno davanti poche strade.
Forse nessuna, se andrà come Berlusconi ripete ai fedelissimi in queste ore: «Sarà un referendum tra me e Bersani, per gli altri non c’è più alcuno spazio, non esistono ».
Ma se dovesse succedere che Monti, contro le previsioni, scendesse in campo, allora «tutto si rimescolerebbe, tutto tornerebbe in discussione » dicono filomontiani come alemanniani, cattolici ortodossi, forzisti delusi e ciellini più o meno duri.
Se invece il premier non dovesse compiere quel passo che a oggi ammettono «sembra molto difficile», tanto più con «i tempi del voto che ora, con la sua decisione, diventano stretti» allora le vie di fuga da un Pdl dominato dal Berlusconi di ritorno sarebbero davvero poche.
Ora è attesa. E incertezza totale.
Perchè la decisione di Monti spiazza.
Parla Angelino Alfano, senza scoprirsi: «Siamo prontissimi a votare il disegno di legge di stabilità , stringendo i tempi. Anche qui sta la nostra responsabilità , esattamente come avevamo preannunciato al presidente della Repubblica e formalmente affermato in Parlamento. Noi ci siamo. Bersani, in questo momento così delicato, sospenda i toni da campagna elettorale».
Bobo Maroni gli fa i complimenti: «Monti si dimette, evviva!! Bravo Alfano vai avanti così, fino in fondo!».
La Santanchè rivendica: «È un nostro risultato».
Ma l’area del disagio resiste, mentre i rischi per la riapertura delle borse ci sono e Berlusconi lo sa perfettamente. Ed è frastagliata e ampia.
Al di là di chi si vede al ristorante (sia Lupi sia Fitto smentiscono di essere stati, giovedì scorso, a cena con uomini di Alemanno, con Sacconi, con Formigoni perchè si trovavano, al contrario, al desco con il fedelissimo di Berlusconi Denis Verdini), l’area cattolica che fa capo a Cl, quella che si riunisce attorno al sindaco di Roma, lo stesso Fitto che è stato uno degli uomini più vicini e importanti per Alfano, non esultano certo per il ritorno in campo di Berlusconi.
Le motivazioni sono diverse: Alemanno – che ormai rappresenta una delle tre anime degli ex An in competizione con quella di La Russa e Gasparri da una parte e della Meloni dall’altra–è alle prese con la difficilissima corsa per la riconferma al Campidoglio.
Cl affronta il malumore del mondo cattolico che da tempo ha mostrato a dir poco freddezza verso Berlusconi. E così per un Mario Mauro che rappresenta (con molto vigore) la posizione di disagio del Ppe, c’è un Formigoni pure critico, mentre Maurizio Lupi, pur perplesso, nel Pdl continua a operare e due giorni fa era a pranzo con Berlusconi e Alfano per evitare che si strappi la tela: «Cl? In ogni caso non ci divideremo» assicura.
Fitto a sua volta ha mostrato con il silenzio la delusione per l’abbandono del cammino intrapreso con Alfano per portarlo alla premiership dando il via a quella svolta generazionale e politica sulla quale aveva puntato.
Ma, nonostante i rapporti di stima con Monti, reciproci, allo stato non è intenzionato a fare strappi nè colpi di testa.
Insomma, anche se si susseguono date, ultimatum e penultimatum – gli ex An, da Meloni a La Russa, annunciano mobilitazioni per il 16 dicembre per andare verso «un nuovo centrodestra» – nessuno sembra pronto a muoversi verso altri lidi.
E questo per due motivi.
Il primo è che Berlusconi – pur ripetendo a chiunque che «servono facce nuove, serve un ricambio di chi va in tv, non si possono vedere ancora le facce di Cicchitto, Gasparri, La Russa » – non vuole perdere nemmeno un pezzo del suo partito.
Domani arriveranno sulla sua scrivania i sondaggi della Ghisleri per un primo responso sul suo ritorno in campo, e anche se la vera campagna elettorale non è ancora iniziata, qualcuno pensa che l’ex premier tirerà le somme a gennaio, quando conta di aver risollevato il partito almeno al 20%.
In caso contrario, si ipotizza che possa perfino tornare sui suoi passi.
Scenari improbabili, certo.
Mentre è viva l’ipotesi che Monti scenda direttamente in campo.
In questo caso, dicono tutti i malpancisti del Pdl, le cose cambierebbero davvero. Perchè una eventuale Lista Monti attirerebbe più di un big deluso, sicuramente l’area ultra cattolica in subbuglio.
E qualcuno, a quel punto, arriva a prevedere perfino una riaggregazione totale del centrodestra, magari col passo indietro del Cavaliere anche se ad oggi i rapporti tra Monti e Berlusconi paiono tesissimi.
Ma per ora Berlusconi pensa a tutt’altro, concentrato solo sulla sua campagna: «Possiamo e dobbiamo vincere» carica i suoi, pronto già dalla prossima settimana a «invadere » le tivù, a mettere in moto la macchina organizzativa che si servirà anche di Internet e social network per rilanciare le parole d’ordine antimontiane che, ne è convinto, sono quelle di maggior presa sugli elettori: «Non ha mai avuto un gradimento così basso…».
E insieme, l’ex premier pensa alle alleanze.
Oggi ad Arcore si terrà una riunione con lo stato maggiore del partito lombardo con Alfano per cercare di definire gli accordi per la candidatura nella Regione.
Ed è anche su questa intesa, sul possibile ritiro di Albertini e la convergenza su Maroni, che si gioca l’unità o meno del Pdl.
Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera“)
argomento: PdL | Commenta »
Dicembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
ATTACCHI A MONTI E ALL’EUROPA, RECUPERO DELL’ELETTORATO CENTRISTA, ALLEANZA CON LA LEGA NELLE REGIONI DEL NORD: TUTTO PER VINCERE IN ALMENO TRE REGIONI E SALVARE LA PELLE
Il Cavaliere è tornato ad essere l’uomo nero della democrazia italiana. E i sondaggi sono lì a dimostrarlo.
Il 73% degli elettori del centrodestra, secondo l’Swg, vorrebbe averlo fuori dai piedi.
Così come il mondo intero, partendo dall’Europa e dalla signora Merkel, pronti a mettere in campo la vecchia teoria del biasimo che esplose nel vertice di Cannes del 2011 e a cui seguirono tattiche di isolamento dell’Italia e di irrisione del governo.
Con lo spread che non conosceva sosta nella corsa verso l’alto.
Ma lui non se ne cura.
Da Berlusconi, dopo la “pausa” Monti, lo stesso “mondo intero” dei mercati e della politica, si sarebbe atteso che istruisse una successione ordinata e credibile della classe dirigente del suo partito, favorendo la legittimazione della nuova nomenclatura — anche per rinnovare il consenso — e contribuendo anche alla riscrittura della legge elettorale che portasse oltre Monti, ma in una logica costruttiva. Niente.
Il Cavaliere tutto questo non lo sa fare.
Volendo, potrebbe anche, ma non è nella sua logica, nel suo pensiero, nel suo agire.
Per lui esiste solo una strategia di guerra. E anche adesso la sta costruendo a tavolino. Con un obiettivo preciso.
Conquistare una fetta di scranni al Senato che lo rendano ancora indispensabile per formare una nuova maggioranza.
Insomma, non vuole che si possa fare senza di lui nel nuovo governo e il perchè è facilmente intuibile.
Ma come raggiungere un obiettivo che sembra oggi, almeno sulla carta, quasi impossibile visti i sondaggi?
L’hanno chiamato “il gioco delle soglie”, ma è tutto fuorchè un gioco. S
i tratta di quel complicato meccanismo che consente ad un partito, attraverso l’attuale legge elettorale (il Porcellum) di vincere in alcune regioni “chiave” diventando, in questo modo, dirimente nella formazione della maggioranza a Palazzo Madama.
E’ un “gioco” che il Cavaliere ha studiato a fondo nelle ultime settimane, in mano i sondaggi freschi di Alessandra Ghisleri.
L’attenzione è puntata sul peso reale dei centristi di Casini nelle urne, con o senza Montezemolo.
Statistiche tutt’altro che lusinghiere per il leader dell’Udc, che avrebbero convinto Berlusconi della bontà della sua nuova presenza in campo.
L’obiettivo, si diceva, è mirato: diventare fondamentale al Senato per la formazione della maggioranza.
Un potere enorme nella prossima legislatura. Che il politologo Roberto D’Alimonte disegna come possibile. “Berlusconi sa che la partita della Camera è persa — spiega — perchè lì per vincere occorre arrivare a “quota 35”, ovvero avere almeno il 35% dei voti che oggi avrebbero in tasca solo il Pd e Sel insieme.
Al Senato, però, non c’è un unico premio nazionale, ma 17 premi regionali. Se Pd e Sel li vincono tutti la maggioranza assoluta è garantita”.
Già , ma se Piemonte, Lombardia, Veneto e Sicilia finissero in mano al Cavaliere?
“Se Berlusconi riuscirà a vincere in due o tre di queste regioni — dice D’Alimonte — l’esito potrebbe essere quello del 2006 e non quello del 2008. Nel 2006 Prodi ottenne una maggioranza di un seggio al Senato.
Nel 2008 Berlusconi pescò il biglietto vincente della lotteria grazie a un notevole vantaggio di voti sulla coalizione di Veltroni”.
Insomma, la strategia tiene.
E il calo dei centristi aiuta.
I sondaggi testimoniano una forte flessione della galassia centrista filomontiana (di lì la voglia del Cavaliere di giocare la campagna elettorale in chiave anti governativa); la stanchezza generale per le politiche rigoriste si sarebbe riverberata sui partiti che hanno sempre sostenuto il professore. Secondo i sondaggisti berlusconiani, si starebbe quindi per aprire al centrodestra una prateria da cavalcare a spada tratta all’insegna della resurrezione del riformismo liberale delle origini, una battaglia al rigorismo recessivo di Monti e alla minaccia della sinistra che vuole la patrimoniale. “Non capite che stanno per implodere?” avrebbe tuonato Berlusconi con i suoi, a cui avrebbe mostrato le carte, spiegando come al momento si stia aprendo uno spazio politico inaspettato fino a qualche giorno fa, che potrebbe riportare il Pdl — o quello che diventerà — a rappresentare l’unica alternativa disponibile tanto al centrosinistra, quanto al centro.
“Il Monti bis non ha sfondato e questi continuano a restare legati alle politiche dell’Europa, non capiscono che la gente è stanca dei sacrifici fatti in nome della responsabilità — ecco sempre il ragionamento del Cav — presto si renderanno conto di non sostenere più nessuno, perchè Monti si sfilerà per andare al Quirinale e sarà troppo tardi per trovare un accordo vantaggioso col Pd”.
Un programma che — ne è convinto lo stato maggiore del partito — potrebbe portare la futura Casa delle libertà a percentuali oggi assolutamente insperate: il 26 e il 30% dei consensi.
Questa la quota fissata per la riuscita dell’operazione.
Possibile? Per Nicola Piepoli, una campagna fatta su queste basi ci sta tutta. Anche perchè, per il Pdl, è estremamente pagante.
Sondaggi dell’ultim’ora del suo istituto danno il Pd al 34%, il Pdl a pari merito con l’M5S al 16% (il che, ovviamente, presuppone una potente risalita nelle prossime settimane,se la strategia dovesse funzionare) ma soprattutto l’Udc all’8% in discesa.
Più severo l’Swg, che dà il Pd al 30% e il Pdl al minimo storico del 13,8% con il 73% dell’elettorato che — come si diceva all’inizio — non vorrebbe il ritorno del Cavaliere in campo, dato che non sembra affatto spaventare il diretto interessato.
Ma oramai lui guarda al Senato come sua vera terra di conquista.
Per contare — a questo punto — sempre di più.
E, soprattutto, più di Monti. Che non gode più della fiducia entusiastica degli italiani. Il suo gradimento risulta in calo di 3 punti in una sola settimana, toccando il minimo storico del 33% da quando è in carica.
Tutta musica per le orecchie del Cavaliere.
Adesso, dunque, si tratta di verniciare di fresco il Pdl, senza decretarne la fine. In questa veste, anche i vecchi big potrebbero restare a bordo, compresi gli ex An, quelli che ovviamente vorranno.
Una tregua con la nomenclatura è necessaria e tutti sono utili per il progetto di rilancio del centrodestra e la conquista del voto centrista.
E se non dovesse funzionare?
L’ago della bilancia, allora, lo farà qualcun altro, Grillo per esempio.
Ma a palazzo Grazioli questo non lo vogliono sentire neppure per scherzo.
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Berlusconi | Commenta »
Dicembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
“ADESSO POTRO’ DIRE QUELLO CHE PENSO”… L’INTENZIONE DI NON FARSI LOGORARE IN PARLAMENTO: LA POSSIBILITA’ DI UNA LISTA CON IL SUO NOME DIVENTA CONCRETA
E ora Mario Monti ha le mani libere.
Libere per ‘dire agli italiani’, come lui stesso avrebbe riferito alle persone più vicine, come la pensa veramente.
E anche mani libere per avviare finalmente una lista.
Per andare dove? Di nuovo a Palazzo Chigi? Forse.
Ma forse e anche meglio al Quirinale, riferimento e garanzia di un governo con Pier Luigi Bersani presidente del Consiglio e una buona fetta degli scranni parlamentari di maggioranza occupati da quel centro — Casini, Fini e Montezemolo in testa — che attorno alla figura dell’ex rettore della Bocconi da tempo sperano di accodarsi.
Fantapolitica? Di certo, le parole di Montezemolo trapelate oggi — “senza Monti più difficile fare una lista” — possono anche essere lette al contrario: ora che Monti non è più legato a un esecutivo tecnico si può ragionare di una sua discesa in campo.
E il plauso di Bersani alla “dignità ” del presidente del Consiglio non è necessariamente in contrasto con una coalizione di centro-sinistra segnata a fondo dall’europeismo del professore.
Senza contare che il successo del Pd, dato per certo sulla carta, altrettanto certo non è nei numeri, soprattutto quelli del Senato, soprattutto ora che le speranze di votare con qualcosa di diverso dal Porcellum sono definitivamente tramontate e i democratici potrebbero svegliarsi dopo il voto con la maggioranza relativa dei voti nel Paese ma senza le poltrone sufficienti a governare da soli o in tandem con la sola Sel.
Altrettanto certo, per ora Monti ha deciso di non galleggiare.
Fonti ministeriali riferiscono che il premier avrebbe spiegato al Capo dello Stato le sue intenzioni di procedere alle dimissioni per l’atteggiamento assunto dal Pdl.
Non ci sto, questo il ragionamento del premier, a farmi impallinare da un partito che ha votato i provvedimenti per un anno e all’improvviso prende una posizione opposta ai suoi comportamenti.
E ancora: non ci sto a considerare che quanto successo non comporti delle conseguenze, la decisione del Pdl lede la mia persona e il mio governo.
Il presidente, spiega chi ha potuto parlargli, “ha ritenuto che il discorso di Alfano – oggi il primo a garantire sulla responsabilità del suo partito – alla Camera rappresentasse un netto cambio di posizione rispetto alla linea sin qui tenuta dal Pdl”.
In particolare Monti non ha gradito per nulla la parte sui danni che, a detta del segretario, le misure del governo hanno avuto sull’economia: “Il premier non poteva accettare che si dicesse che il debito è salito, così come la disoccupazione, le tasse, l’inflazione; accusando il governo di aver fatto nel contempo diminuire la crescita e i consumi”, spiega.
Per Monti si è trattato di un “atto di sfiducia” vero e proprio sull’agenda portata avanti dall’esecutivo.
Per tale ragione, riferisce la stessa fonte, il capo del governo ha ritenuto doveroso fare un “atto politico forte e di discontinuità ” che sancisse come la posizione “attuale” del Pdl, che è ‘in contrasto con quanto finora sostenuto” fosse incompatibile con la prosecuzione di un leale rapporto di fiducia.
Quanto a una lista che si fregi del suo nome, “su questo ancora nessuna decisione è stata presa”, dicono fonti vicine al governo, facendo capire, tuttavia, che una riflessione è in corso.
Nessuno al momento si sbottona e c’è da credere che Monti continuerà a non prendere in considerazione la cosa finchè occupera gli uffici di Palazzo Chigi. Ma l’ipotesi di un ingresso in politica non viene esclusa.
Anzi, il premier starebbe tuttora riflettendo sulla possibilità di promuovere in prima persona una lista elettorale.
“Una riflessione — si dice — non è ancora terminata”.
Anche ieri ci sarebbero stati contatti tra alcuni ministri, in primis Passera, Ornaghi e Riccardi, e quell’ala del Pdl che vorrebbe sostenere l’attuale presidente del Consiglio anche dopo la legislatura.
Un’area che per il momento comprende Cl, gli alemanniani e altri ‘big’ del partito e che potrebbe ingrandirsi qualora il premier decidesse di scendere in campo.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Monti | Commenta »
Dicembre 9th, 2012 Riccardo Fucile
I DATI CHE NESSUNO DICE EVIDENZIANO L’AUMENTO DELLA FORBICE NEI CONFRONTI DEGLI ALTRI PAESI EUROPEI
In questi giorni ho visto i telegiornali Mediaset scatenati.
Scatenati nel raccontare che “quando c’era Lui” tutto andava meglio.
Tra poco il Tg5 comincerà a dire che “pure i treni arrivavano puntuali”, il Tg4 sosterrà che la “disoccupazione non c’era e che tutti lavoravano” e Studio Aperto arriverà a ripeterci che “sono state fatte tante bonifiche opere pubbliche”.
Naturalmente il lui non è Benito Mussolini ma Silvio Berlusconi.
Tutto si fa per preparare il terreno per il ritorno in campo del Cavaliere.
Ieri ho visto abbondare in tv servizi, soprattutto sui canali Mediaset, che raccontavano della ricerca Censis secondo cui gli italiani stanno spendendo meno, si limitano a comprare il necessario e che si stanno vendendo i gioielli di famiglia per far fronte all’emergenza.
Vedendoli mi son chiesto quanto costano simili ricerche perchè se chiedessero a me, che non son nessuno, sarei in grado di dire le stesse cose.
E sarebbe in grado pure Mauro, un distinto signore con quale prendo il caffè la mattina in un bar alla periferia di Roma.
E potrebbe affermarlo anche Paola, una spazzina dell’Ama con cui scambio qualche battuta la mattina prima di andare a lavorare.
Parliamo di cose serie.
Davvero stavamo meglio con Berlusconi?
E che bilancio possiamo trarre dell’epoca in cui ha governato incontrastato. Nel decennio 2001-2011 il Cavaliere ha governato otto anni, ad eccezione della parentesi di centrosinistra 2006-2008.
Ho letto di recente uno studio della The European House-Ambrosetti che ha rielaborato dati Oecd giusto il mese scorso.
Cosa viene fuori? Vien fuori che in Italia il Cagr, ovvero il tasso medio annuo composto di crescita, la produttività del lavoro in Italia è stata pari a zero. Ze-ro.
Nello stesso periodo il Cagr-Pil (a prezzi costanti) è cresciuto dello 0,2%.
Ciò significa che il cumulato incrementi annuali di Pil (espressi in miliardi di euro a prezzi costanti), sempre nel decennio berlusconiano è stato del 66,9. In parole povere: siamo rimasti fermi, non abbiamo fatto nulla, ci siamo goduti la vita producendo poco.
Gli altri? Che hanno fatto gli altri?
Francia. Il Cagr produttività del lavoro ha toccato quota 1,1% (noi zero) e il Cagr Pil lo stesso dato, 1,1% (noi 0,2%) Il risultato porta a un cumulati incrementi annuali di Pil a quota 232,9 miliardi di dollari (noi quasi 67)
Germania.
Come la Francia Cagr produttività a 1,1 e Cagr Pil a 1,1. Il cumulato è arrivato insomma a 337,2 miliardi: cinque volte più di noi.
Regno Unito.
Ha letteralmente volato rispetto agli altri Paesi europei del G8. Il Cagr produttività del lavoro a 1,5% e il Cagr Pil a quota 1,6%, il risultato finale è nei 343,2 miliardi di dollari di cumulato.
Media. Il dato medio tra i dati di Francia-Germania-Regno unito parla chiaro visto che il dato relativo alla produttività è a quota 1,2 e quello sul Pil a 1,3.
Ecco, il decennio di governo di Berlusconi è stato caratterizzato dal fancazzismo, dal Billionaire, dal cazzeggio, dalle battutine, dai soldi facili e senza lavorare, senza fare nulla, godendosi la vita.
Gli altri no.
Si sono rimboccati le maniche e hanno sgobbato, lavorato, prodotto.
Se l’avessimo fatto anche noi, oggi saremmo ricchi. Il Pil con quella produttività (sempre dati European House-Ambrosetti) sarebbe volato nel decennio a l’1,2% e valore in miliardi di euro sarebbe stato di 274 miliardi.
Questi sono i dati. Di cui non si parla mai.
E invece dovremmo farci tutto un esame di coscienza collettivo e dirci che cosa abbiamo fatto, che cosa non abbiamo fatto e le immense occasioni che abbiamo perso.
(da “il Portaborse”)
argomento: Berlusconi | Commenta »