Dicembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
M5S SCENDE AL 16,3%, IL PDL AL 15,3%, FLESSIONE DELLA LEGA…IL CENTRO NON ESISTE: LISTA MONTEZEMOLO AL 2,1, UDC AI MINIMI STORICI CON IL 3,8%, RISALE FLI AL 2,4%…QUASI SPARISCE L’IDV ALL’1,5%… RENZI IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO PREFERITO
La cosa certa è che il Partito Democratico dopo il “bagno” di partecipazione fa il boom.
Secondo le rilevazioni e le elaborazioni dell’istituto Emg per il Tg La 7 i democratici se si andasse al voto oggi raccoglierebbero il 34,6 per cento dei voti.
Un’esplosione di consenso avvenuta nell’ultima settimana: solo sette giorni prima i sondaggi dello stesso istituto davano al Pd il 4,3 per cento di voti in meno.
A oggi, dunque, se davvero passasse la riforma della legge elettorale con il premio di maggioranza per la coalizione che raggiunge il 40 per cento, Pd insieme a Sinistra Ecologia e Libertà e Partito Socialista potrebbero raggiungere quella che fino a qualche settimana fa sembrava irraggiungibile. Il partito di Nichi Vendola, infatti, raccoglierebbe il 6 per cento dei voti (flessione dello 0,1%), mentre i socialisti di Nencini l’1,3 (variazione in positivo: +1,3%).
Il sondaggio di questa settimana mostra invece in calo tutti gli altri principali partiti.
Il Movimento Cinque Stelle, che resta il secondo partito nella rilevazione per il telegiornale di Enrico Mentana, lascia sul campo l’1 per cento e si assesta al 16,3.
Centrodestra: Pdl con Lega e Destra al 23,5%
Il centrodestra raccoglierebbe in tutto il 23,5%: il Pdl si fermerebbe ancora intorno al 15% (15,2 per l’esattezza), la Lega Nord raccoglie il 6,3% delle preferenze, mentre la Destra di Francesco Storace ha fatto un altro piccolo passo in avanti fino al 2 per cento (+0,1% nell’ultima settimana).
Centro: l’Udc crolla sotto la soglia del 4%
L’area di centro subisce l’effetto dell’ingresso sulla scena politica del Manifesto verso la Terza Repubblica di Luca Cordero di Montezemolo, Raffaele Bonanni e Andrea Riccardi.
A oggi la “lista Montezemolo” otterrebbe il 2,1% (ma in flessione dello 0,7). Crolla, invece, l’Udc che finisce sotto la soglia psicologica del 4%: 3,8% (calo dello 0,2%).
Soglia “psicologica”, ma non troppo, visto che è la quota che permette l’ingresso alla Camera dei deputati.
Futuro e Libertà tiene e, anzi, guadagna qualcosa: 2,4% con un incremento dello 0,4.
Stabile allo 0,6 la lista “Fermare il declino” di Oscar Giannino e Luigi Zingales.
Sinistra: Italia dei Valori all’1,5%
Si fa complicata la corsa verso le elezioni politiche per i partiti a sinistra del Pd che non sono in coalizione.
A partire dall’Italia dei Valori ridotta addirittura all’1,5% (probabilmente un minimo storico, con un calo dello 0,6%).
La Federazione della Sinistra raccoglierebbe invece il 2,5% (+0,1%), i Verdi e altre Reti civiche l’1,3 (-0,1%).
I Radicali resterebbero sotto l’1% (0,8 e diminuzione dello 0,1 in una settimana).
Per il resto ci sarebbero il 10 per cento di indecisi e il 32,8 di astenuti (che dopo tanto tempo non sono più il “primo partito” come successo per mesi). Le schede bianche raccolgono il 3,4 per cento.
Renzi è il presidente del Consiglio preferito
Ma la sorpresa arriva nelle preferenze tra i leader.
Il presidente del Consiglio Mario Monti, innanzitutto, vede calare la sua fiducia: perde un ulteriore 2% in una settimana, attestandosi al 43%. Nonostante la sconfitta nel ballottaggio Matteo Renzi tuttavia resta il preferito come presidente del Consiglio (lo sceglie il 17% degli italiani intervistati) e supera Pier Luigi Bersani (15%) e lo stesso Mario Monti al 14%.
Angelino Alfano, Silvio Berlusconi e Nichi Vendola avrebbero a pari merito il 7% dei consensi ciascuno, seguiti da Beppe Grillo stabile al 6%. Roberto Maroni sarebbe scelto dal 3% e Luca Cordero di Montezemolo dal 2%.
Infine Antonio Di Pietro, Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, Oscar Giannino ed Emma Marcegaglia avrebbero l’1% dei voti ciascuno.
Il 6% non indica nessuno di questi nomi e l’11% non esprime alcuna preferenza.
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Dicembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
ANCHE IL PARTITO GUIDATO DA BACCINI RICORRE ALLE TRUPPE CAMMELLATE PER RIEMPIRE LA SALA
Domenica 2 dicembre.
La neonata federazione dei Cristiano-Popolari, guidati dall’ex ministro Mario Baccini, si riunisce a Milano per l’assemblea costituente della Lombardia.
Anche se Berlusconi – la cui presenza era annnunciata alla vigilia – non si fa vedere, la sala del palazzo delle Stelline è stracolma e ricca di applausi e bandiere.
Ma da chi è composto il popolo dei Cristiano-Popolari?
Quasi tutti sono arrivati in pullman da Varese e provincia, invitati e ospitati da ‘amici’ che altro non sono se non gli esponenti del partito, con in testa il coordinatore regionale Peppino Falvo. Molti dei presenti non sanno neppure dove si trovano esattamente, quasi nessuno conosce i leader del movimento, molti altri non sanno neppure se i Cristiano-Popolari si collocano nel centrodestra o nel centrosinistra.
“Mio suocero conosce una persona qui – spiega uno dei presenti – gli ha promesso che venivamo in gruppo per lui”.
Il coordinatore nazionale Giuseppe Galati si giustifica: “Siamo una proposta politica nuova, ci siamo rivolti a tanti amici e ognuno ha chiamato altri amici”
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
“LE PRIMARIE DOBBIAMO FARLE ANCHE NOI”… “NEL PDL E’ NECESSARIO UN RICAMBIO GENERAZIONALE E UNA NUOVA FORMULA DI CENTRODESTRA”… “L’ASSE CON LA LEGA NON E’ OBBLIGATORIO”
Un ritorno del Cavaliere? “Non penso che sia riproponibile la candidatura di Berlusconi. Sarebbe un atto irrazionale, tutto il percorso che abbiamo fatto da un anno e mezzo a questa parte indica la necessità di un ricambio generazionale, di una nuova formula per tutto il centrodestra”: ne è convinto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che questa mattina ha parlato a ‘Un caffè con’ su SkyTg24.
Il giorno dopo il ballottaggio alle primarie del centrosinistra che ha incoronato Pier Luigi Bersani, Alemanno sottolinea che per essere competitivi è necessaria una risposta diversa.
E a Berlusconi chiede coerenza. “Non propongo strade antiberlusconiane”, ha detto, ma strade che vadano oltre questa situazione, “che poi sono le stesse che ha indicato lo stesso Berlusconi. Lui ha indicato Alfano alla segreteria del partito, ha dato l’indicazione delle primarie: deve essere coerente con sè stesso. Sono berlusconiano in questa versione” ha chiarito, “quella del superamento di questa fase. Berlusconiano di sei mesi fa”.
Primarie.
Le primarie sono uno strumento eccezionale e una spinta alla partecipazione ed il centrodestra non può farne a meno, insiste il sindaco. “Io sono invidioso di queste primarie, perchè si rivelano uno strumento eccezionale”, anche se a vincere ieri è stata la “vecchia sinistra, quella della foto di Vasto e dell’alleanza con Vendola”.
Grazie alle primarie, sottolinea Alemanno, “Bersani si può presentare come elemento quasi nuovo, nonostante la sua lunghissima storia”.
Per il 16 dicembre – data in cui in teoria si dovrebbe tenere la consultazione del centrodestra – è ormai tardi, ammette.
Meglio rilanciare per gennaio, “sperando che il governo faccia chiarezza per la data delle elezioni perchè ancora oggi navighiamo al buio, e c’è bisogno di chiarezza”.
L’appello che Alemanno lancia ad Alfano e a Berlusconi è di convocare l’ufficio di presidenza e rifissare una data delle primarie, per riprendere un percorso interrotto. “Altrimenti rischia di essere devastante per il nostro schieramento”, avverte.
Elezioni, “troppo aspettare fino ad aprile”.
Quanto al governo Monti, il sindaco di Roma si augura di non dover arrivare a staccare la spina. Il governo, però, deve dare risposte “perchè aspettare fino ad aprile è troppo”.
“Penso – ha detto ancora il sindaco – che tutto il popolo di centrodestra sia stanco di aspettare, i rinvii continui sono difficili da digerire e stanno creando un problema nelle nostre file”.
Asse con Lega? Non obbligatorio.
Per il futuro del Pdl, l’asse con la Lega non entusiasma il sindaco di Roma. “Ha fatto scelte negative per l’assetto del Paese, crea un grande problema nel centro-sud: io sinceramente mi auguro che il Pdl trovi una strada che non obblighi a una alleanza con la Lega”, dice.
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
“LE PRIMARIE SONO STATE IL TRIONFO DELL’APPARATO SUL BRAVO RENZI”
«Ecco, la sinistra non cambia mai». Vista da Arcore, la vittoria di Bersani è «il trionfo della burocrazia e dell’apparato del vecchio partito sul bravo Renzi».
È il segnale che Silvio Berlusconi attendeva, dato che «il candidato premier del Pd è in politica da più tempo di me».
Sarebbe il via libera al lancio ufficiale del nuovo partito e della corsa del Cavaliere, se non lo frenassero in queste ore due incognite: le barricate erette contro di lui da Alfano e dirigenti Pdl e la riforma elettorale che in settimana andrà in aula al Senato.
Ma l’ex premier in rampa di lancio si sente comunque.
Tornerà a Roma mercoledì per presentare il libro di Vespa, solo contatti telefonici nella domenica trascorsa in famiglia, per un Berlusconi comunque galvanizzato in serata dal previsto responso delle primarie Pd.
Dopo il faccia a faccia di cinque ore di sabato, le distanze coi dirigenti del partito si sono fatte ancora più marcate.
Il leader ha reagito malissimo alle successive dichiarazioni del segretario e dei vari Cicchitto e Gasparri.
«Si sono messi in testa di buttarmi fuori? Io non mi faccio sfrattare dal partito che ho creato » è lo sfogo nel day after. Non ha alcuna intenzione di convocare l’Ufficio di presidenza preannunciato da Alfano per una decisione finale sulle primarie Pdl.
L’ex premier teme un «25 luglio», che quella riunione si risolva in una «trappola», che venga messo in minoranza.
Con gli ex An in massa e altri dirigenti ormai schierati con “Angelino”.
Tanto più che il segretario, ancora ieri, nel messaggio inviato ai Democratici cristiani torna sul monito: divisi perdiamo. «Molteplici fattori hanno ridotto la nostra forza sull’elettorato, ma la risposta non è quella di dividere ciò che è stato faticosamente unito, condannandoci tutti alla irrilevanza»
Il messaggio per il Cavaliere è chiaro.
Ma di primarie, ancora in teoria convocate, non c’è più traccia.
«Pagheremo caro il non averle fatte» ammonisce il capogruppo Cicchitto. Roba già archiviata per Berlusconi, impegnato ad affondare la riforma elettorale che mercoledì arriverà in aula al Senato.
«Con le preferenze si fanno entrare le procure in campagna elettorale, i costi lievitano e ci sarebbe meno trasparenza» va ripetendo. L’obiettivo, seppure dovesse passare a Palazzo Madama, sarà impallinarla alla Camera.
Laura Ravetto la spara grossa e propone comunque ai suoi dirigenti di «candidare solo chi si impegnerà a devolvere metà dell’indennità ad un fondo per le famiglie».
Di certo, l’ex presidente del Consiglio è determinato a cavalcare la battaglia per l’election day. Premere sull’acceleratore fino a provocare la crisi, se servirà .
Strategia destinata intanto a terremotare tutti i montiani che nel Pdl sostengono Alfano, da Frattini a Lupi.
«La vera notizia uscita dal vertice di Arcore – sottolinea Denis Verdini, dato che il segretario non era stato altrettanto chiaro sabato all’uscita da Villa San Martino – è che sull’election day siamo pronti ad aprire la crisi».
Alla carica per chiedere al governo il voto per regionali e politiche il 10 febbraio e dunque scioglimento delle Camere il 22 dicembre.
«Far svolgere le elezioni in date diverse viola anche una legge del 2011», fa notare il responsabile elettorale Pdl Ignazio Abrignani.
Per il leader leghista Roberto Maroni, l’offensiva berlusconiana apre «nuovi scenari » per un futuro accordo elettorale e lancia una proposta ad Alfano: «Facciano cadere il governo dopo l’approvazione della legge di Stabilità ».
Musica per Berlusconi, intenzionato a candidare Maroni in Lombardia e ad allearsi con la Lega. Casini chiude: «Non sto più dietro alle sue giravolte » del Cavaliere.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE “ESAMINA TUTTE LE IPOTESI”… NON SONO RIUSCITI A FARE UNA LEGGINA PER RISOLVERE LA VICENDA, ORA SCARICANO TUTTO SUL PRESIDENTE DELA REPUBBLICA… ALLA FINE SALLUSTI GODREBBE DI UN TRATTAMENTO DI FAVORE
Il presidente della Repubblica sta seguendo da vicino la vicenda giudiziaria del direttore del il Giornale, Alessandro Sallusti, tanto che anche di domenica al Quirinale si è lavorato per tentare di trovare una soluzione.
Ne hanno parlato a lungo ieri pomeriggio Giorgio Napolitano e il ministro della Giustizia, Paola Severino, che hanno affrontato insieme tutti gli aspetti di un caso «particolarmente complesso che richiede la responsabilità di tutti», come lo ha definito poi su twitter il portavoce del Quirinale, Pasquale Cascella.
Il capo dello Stato avrebbe informato il Guardasigilli che non è esclusa la via della grazia per il giornalista condannato a 14 mesi di carcere per diffamazione aggravata. Ora, dopo la storica sentenza della Consulta del 2006 (caso Bompressi), l’iniziativa di avviare l’istruttoria per la concessione della grazia non spetta più necessariamente al ministro (che solo un tempo era di Grazia e giustizia) e per questo da almeno 5 anni è stato potenziato l’ufficio grazie del Quirinale e ridimensionato quello di via Arenula. Un altro problema da affrontare, poi, è quello della grazia concessa motu proprio dal presidente perchè il condannato non la richiede.
E questo è il caso di Sallusti che però sarebbe risolvibile anche se un suo congiunto o il difensore chiedesse la grazia per lui.
Napolitano avrebbe esplorato con il ministro Severino anche un’altra strada: recuperando in Parlamento la norma (appena affossata dal Senato) che prevede l’abolizione del carcere per il reato di diffamazione.
L’ultimo treno che passa alla Camera è la legge Tenaglia sulla tenuità del fatto ma la soluzione legislativa, sarebbe stata la risposta del ministro, appare in salita.
Eppure di tempo ce ne è davvero poco.
In silenzio per 2 giorni, ieri il leader Pdl Silvio Berlusconi ha fatto diffondere una nota sull’«incredibile vicenda Sallusti» che «non fa che riaffermare l’assoluta necessità ed urgenza di una riforma della giustizia. Ora sta al mondo politico trovare al più presto una soluzione adeguata che contemperi l’inalienabile diritto di opinione e di informazione con l’altrettanto inalienabile diritto a non vedere lese la propria privacy e la propria onorabilità ».
Nella sua prima giornata ai domiciliari, intanto, il direttore de il Giornale non è uscito di casa.
Neanche nelle due ore in cui avrebbe potuto, tra le 10 e le 12 del mattino. Gli avvocati gli hanno suggerito calma e prudenza, almeno fino al processo di giovedì.
Condannato in via definitiva a 14 mesi per diffamazione, sabato era stato accompagnato al domicilio per l’esecuzione della pena, ma ne era subito uscito, arrestato in flagrante per evasione, condotto in tribunale per la prima fase della direttissima. «Solo un atto dimostrativo», spiegava in aula.
Il giudice aveva deciso per la misura cautelare. E il direttore era stato quindi riaccompagnato di nuovo a casa.
In attesa della seconda fase della direttissima, giovedì. Le regole di questo secondo arresto, però, sono state date solo a voce, i legali aspettano di leggere oggi il provvedimento.
E così gli hanno «imposto» di star buono.
«Sono il tuo avvocato, adesso fai come ti dico io», gli ha detto amichevolmente Ignazio La Russa.
Sallusti ha potuto, però, scrivere e «restare in contatto con la redazione», aggiunge La Russa.
Oggi ci sarà un suo articolo su il Giornale.
Alessandra Coppola e Dino Martirano
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
UNIRE ANCHE GLI SCONFITTI, RINNOVARE E RISOLVERE IL RISIKO ISTITUZIONALE
Per arrivare a Palazzo Chigi il team di Bersani immagina di unire il partito tenendo conto delle istanze di Renzi rinnovare i gruppi parlamentari, sbrogliare la matassa della successione al Colle
Le Primarie le ha volute a tutti i costi, vincendo le resistenze della sua «Curia», ma ora Pier Luigi Bersani ha cento giorni per acquisire la forza e lo standing per diventare Papa.
Arrivando a Palazzo Chigi dopo una vittoria elettorale, la prima volta per un uomo politico che è stato iscritto al Partito comunista italiano.
Dal podietto messo in piedi a caldo al teatro Capranica, la cravatta rossa slacciata sul colletto, Bersani ha mostrato di aver capito quale sia la sua mission, lanciando subito tre messaggi forti: «Dare al centrosinistra un forte profilo di governo e di cambiamento», «predisporre i percorsi e gli spazi per le nuove generazioni». E soprattutto: «Si deve vincere senza raccontare le favole».
Un appello anti-demagogico che è stato accolto con un applauso tiepido dai suoi fans che erano pronti a spellarsi le mani per qualsiasi battuta avesse detto il vincitore delle Primarie
Certo, per ora si tratta di impegni generici, ma Bersani sa che per conquistare Palazzo Chigi, è atteso da una via crucis scandita in tre stazioni: tenere e non disperdere subito la ritrovata forza elettorale del Pd; rinnovare in profondità gruppi parlamentari e dirigenza del partito; apparecchiare un risiko istituzionale da rompicapo, che prevede per i vincitori delle prossime elezioni politiche le indicazioni per il Quirinale e per le presidenze delle due Camere.
La prima «stazione» della via crucis da superare per arrivare a palazzo Chigi è dentro il suo partito.
Dice Giorgio Tonini, già presidente della Fuci, uno dei pochissimi parlamentari che ha sostenuto Renzi: «Bersani ha avuto un mandato pieno che non lascia dubbi a recriminazioni ed ora si parrà la sua nobilitate: per evitare l’effetto-depressione degli elettori di Renzi, dovrà fidelizzare quell’elettorato, interpretando il segnale forte di rinnovamento emerso dalle Primarie».
Miguel Gotor, un intellettuale che è anche uno dei primi consiglieri di Bersani, all’«Espresso», ha dato un’indicazione molto interessante: «C’è la consapevolezza in Bersani che dopo il governo Monti non si può tornare indietro, al manuale Cencelli tra le correnti per nominare i ministri. Servono autorevolezza e competenza, bisogna alzare il livello».
Una lettura che convince un altro sostenitore di Bersani come Pier Luigi Castagnetti, che però da uomo di partito, già indica le resistenze: «Il segretario del Pd, tornando a Roma dopo una campagna elettorale che ce lo ha proposto più forte e diverso, ora dovrà stare attento ai rischi della sua “Curia”, che è sempre conservatrice.
Papa Giovanni, quando annunciò il Concilio, spiazzò e inquietò la Curia romana.
Per vincere quelle resistenze, il Papa rifece l’annuncio per altre due volte e i suoi successivi discorsi dal balcone erano diretti proprio a vincere le resistenze della Curia».
Un patto Bersani-Renzi?: «Se Bersani cercherà e troverà un’intesa di fondo col sindaco di Firenze, sia pure in ruoli diversi – dice l’ex ministro Paolo Gentiloni – il Pd potrà continuare quella ascesa elettorale, testimoniata dai sondaggi, che può portarlo verso percentuali ancora più alte, vicine al 40%».
Tradotto in soldoni?
Renzi, come ha fatto capire nel suo discorso a caldo, si prepara a fare il capo della opposizione interna, ma la sua «costituzionalizzazione» può passare attraverso una corposa offerta da parte di Bersani?
Sugli oltre trecento parlamentari che il Pd si prepara a portare nel prossimo Parlamento, il segretario quanti ne offrirà al sindaco di Firenze? Ottanta? Cento?
Ma offerte così importanti – ecco il punto – potrebbero mettere Bersani in collisione con la sua «Curia», i gruppi organizzati raccolti attorno a D’Alema, Franceschini, Bindi, Letta e Fioroni, che qualche giorno fa, un po’ scherzando e un po’ no, diceva: «Saremo fatti tutti fuori».
Ma per poter vincere senza sbavature le elezioni, la seconda «stazione» che attende Bersani è la riforma elettorale.
Con una forza attuale del 30-35%, il Pd per conquistare Palazzo Chigi deve mantenere in vita il tanto detestato (a parole) Porcellum.
Bersani non potrà mai dirlo, ma il suo obiettivo è proprio quello e d’altra parte una mano gliel’ha data nientedimeno che Romano Prodi.
Intervenendo a Sky, l’ex presidente del Consiglio ad un certo punto ha indicato la strada a Bersani: «Se il Porcellum resterà , si potrebbero fare primarie per i parlamentari».
Ma se il Porcellum resta, proprio Romano Prodi diventa il candidato dei progressisti per il Quirinale, non solo perchè è il candidato che può mettere d’accordo anche Vendola e Renzi, ma anche perchè l’ex premier ha un identikit che su un punto essenziale si sovrappone a quello di Monti: «Prodi – dice Sandro Gozi, responsabile Pd per le Politiche europee – ha il profilo giusto per fornire le necessarie garanzie a livello internazionale».
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
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Dicembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
PER RENZI “E’ STATO BELLO PROVARCI”, MA SE NE SONO ACCORTI: IL MESTO RITORNO AD ARCORE
Pier Luigi Bersani vince le primarie del centrosinistra e sarà il candidato premier alle prossime elezioni politiche.
Con oltre i due terzi dei seggi scrutinati, il segretario del Partito democratico ottiene al ballottaggio oltre il 60 per cento dei voti mentre il sindaco di Firenze Matteo Renzi si ferma di poco sotto il 40 per cento.
«È un risultato inaspettato nelle proporzioni» commenta in serata Bersani, parlando al teatro Capranica di Roma.
Il segretario riconosce a Renzi il contributo «fresco» dato alle primarie.
Poi indica i primi obiettivi: «Dare un profilo di governo e di cambiamento al centrosinistra e predisporre gli spazi per dare voce alla nuova generazione».
Il sindaco di Firenze riconosce la sconfitta su Twitter appena un quarto d’ora dopo l’uscita dei primi dati: «Era giusto provarci, è stato bello farlo insieme. Grazie di cuore a tutti».
Più tardi, parlando alla Fortezza da Basso, nel capoluogo toscano, il sindaco rivolge i complimenti a Bersani.
E sottolinea: «La sua è una vittoria netta, che nessun discorso sulle regole può compromettere».
«È stata una partita bellissima, ma qui finisce – aggiunge -. Torno a fare quello che ho sempre fatto, il militante del Pd e il sindaco di Firenze, con il sorriso sulle labbra».
Nichi Vendola, leader di Sinistra Ecologia Libertà , candidato alle primarie e terzo al primo turno, è tra i primi a commentare i risultati: «Il segno prevalente del voto del nostro popolo è un’uscita a sinistra» dice in onda su a La7.
«Sono rilassato, ora posso lavorare tranquillamente senza dare battaglia», reagisce Massimo D’Alema.
E riconosce a Renzi di essere «una risorsa».
«Non so quanta parte del suo consenso venga dal Partito democratico – precisa – ma è importante che adesso il sindaco lo mobiliti in vista delle elezioni».
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Dicembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
I DATI REGIONE PER REGIONE…CONSENSI BULGARI PER BERSANI IN CALABRIA, SARDEGNA E PUGLIA
Ecco la fotografia di come è andata regione per regione:
– PIEMONTE
BERSANI 58,0
RENZI 41,9
– VALLE D’AOSTA
BERSANI 53,6
RENZI 46,3
– LOMBARDIA
BERSANI 60,5
RENZI 39,4
– TRENTINO ALTO ADIGE
BERSANI 60,4
RENZI 39,5
– VENETO
BERSANI 59,6
RENZI 40,3
– FRIULI VG
BERSANI 60,6
RENZI 39,3 21,3
– LIGURIA
BERSANI 65,8
RENZI 34,1
– EMILIA ROMAGNA
BERSANI 61,1
RENZI 38,8
– TOSCANA
BERSANI 45,1
RENZI 54,8
– UMBRIA
BERSANI 52,3
RENZI 47,6
– MARCHE
BERSANI 54,6
RENZI 45,3
– LAZIO 67,4
BERSANI 32,5
RENZI 34,9
– ABRUZZO
BERSANI 62,3
RENZI 37,6
– MOLISE
BERSANI 63,3
RENZI 36,6
– CAMPANIA
BERSANI 68,7
RENZI 31,2
– PUGLIA
BERSANI 71,0
RENZI 28,9
– BASILICATA
BERSANI 71,9
RENZI 28,0
– CALABRIA
BERSANI 75,7
RENZI 24,2
– SICILIA
BERSANI 66,3
RENZI 33,6
– SARDEGNA
BERSANI 73,4
RENZI 26,5
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Dicembre 3rd, 2012 Riccardo Fucile
LA TRAVERSATA NEL DESERTO FINISCE NEL MIRAGGIO DELLA LISTA PER L’ITALIA PER ASSICURARE LA RIELEZIONE A QUALCHE BOCCHINIANO E A QUALCHE (DELLA) VEDOVA ALLEGRA… FINI DETTA UNA LINEA: ACCODARSI A CASINI E MONTEZEMOLO, PORTARE IN PROCESSIONE LA STATUA DELLA MADONNA DI MONTI E SPERARE IN DIO
Ogni volta che partecipo ad un evento FLI trovo sempre meno amici ed è quello che mi spinge ad andare agli eventi di Roma, scambiare qualche opinione con chi hai condiviso un’esperienza
Appuntamento al teatro Capranica, ti aspetti un minimo di assembramento all’ingresso e invece nulla.
All’interno, galleria quasi piena ma non abbastanza gremita da potermi permettere di entrare e salutare qualche amico nelle prime file.
Cerco un posto appartato per ascoltare con attenzione tutti gli interventi e scopro di avere a disposizione un’intera platea al piano superiore insieme a qualche giornalista anch’egli fornito di penna e block notes proprio come me.
Attendo con curiosità il susseguirsi di interventi, da quello che si era letto su Facebook doveva essere l’occasione per militanti e dirigenti di parlare francamente con il Presidente Fini, sfogarsi non solo sulla rete, ma direttamente.
Iniziano gli interventi, quattro minuti a testa, Roberto Menia uno degli organizzatori fa gli onori di casa e anticipa quello che sarà il tema ricorrente, la lista per l’Italia.
A seguire Fabio Granata che enuncia nel suo intervento ciò che secondo la sua opinione va portato nella lista per l’Italia:
Diritti e cittadinanza; rispetto dell’ambiente; valorizzazione delle politiche culturali; contrasto alla corruzione, alle mafie, all’evasione fiscale.
Subito dopo Basilio Milatos, sottolinea l’importanza del coraggio e dei valori. Un richiamo alla titubanza e la confusione dimostrata in tutte le elezioni amministrative affrontate e il malessere generale della base.
Essendo responsabile di un circolo FLI di Palermo, credo abbia voluto togliersi un sassolino dalle scarpe, in riferimento alle recenti amministrative siciliane.
Inoltre a proposito del malessere della base reclama posizioni politiche centrali e non centriste, favorevole ad una lista per l’Italia ma da riempire di contenuti.
Ultimo appunto le presunte o vere aperture al PDL che fanno perdere voti e credibilità .
Dopo Basilio Milatos tocca al coordinatore provinciale di Reggio Calabria Romeo, nessun accenno alla diaspora calabrese di Angela Napoli e i circoli che la sostenevano.
Romeo reclama una maggiore presenza sul territorio di Fini e dice che FLI non ha raccolto quello che avrebbe dovuto raccogliere in termini di consensi.
A seguire Benedetto Della Vedova affascinato da una nuova scommessa, un soggetto unitario credibile, riformatore “montiano”.
Poi è la volta di Artizzu, incentra il suo intervento su identità e motivazione, descrivendo la lista per l’Italia come una realtà politica e auspicando un Monti bis.
Balzi si dimostra favorevole alla lista per l’Italia e non sa e sembra poco interessargli se esisterà ancora FLI.
Interviene a seguire Italo Bocchino, dicendo che la lista per l’Italia è dettata dall’attualità politica, esorta a lasciar da parte i sentimenti e ragionare in maniera razionale considerando che ci sono appuntamenti elettorali imminenti, in riferimento alle elezioni regionali, per lanciare una sorta di campagna elettorale permanente che porti dalle amministrative alle politiche. E continua dicendo che con la lista per l’Italia non c’è bisogno di turarsi il naso.
È il turno di Umberto Croppi che dice che le continue attese hanno portato ad una paralisi, riconosce in Renzi un elemento di novità ed esorta i presenti a lavorare sulla scia di Monti.
Interviene Penna che pensa a quello che poteva essere e non è stato, ci sono degli spazi che bisogna riempire e non bisogna delegare all’agenda Monti.
Alcune pagine dell’agenda Monti vanno strappate, tipo la disattenzione mostrata nei confronti dei malati di SLA. E reclama una maggior attenzione con impegni maggiori per i rischi idrogeologici.
Franco Fabrizio convinto che nella lista per l’Italia si possano rappresentare le fasce deboli ripartendo dalle famiglie.
Interviene Consolo dicendo che con il nuovo schieramento finisce la traversata nel deserto.
Generazione Futuro di Roma è contro la rassegnazione per una cultura dell’onestà ed è prioritario capire cosa serve all’Italia di domani anzichè pensare a cosa volesse essere FLI.
Inoltre fa richiami al sacrificio e alla prospettiva ed ad un vanto sulla vera responsabilità . Secondo i giovani romani la sanità dovrà essere pubblica.
Filippo Rossi ribadisce la sua convinzione contro gli apparati.
Potito Salatto immagina un’Italia diversa per un’altra Europa. Esorta ad inserire quelle sensibilità per le fasce deboli che mancano ai tecnici. Auspica un’organizzazione orizzontale e non verticale tra partiti ed associazioni.
Claudio Barbaro sottolinea un vizio arcaico di comunicazione da parte della politica.
Anna Mancuso reclama attenzioni su sociale e sanità .
Unico apertamente contro la lista per l’Italia è Nicola Franzoni e non mancano critiche al governo Monti e allo stesso Presidente Fini.
Incisivo l’intervento di Giulia Bongiorno che rimprovera dirigenti e militanti di invocare solo Fini.
Attacca il PDL dicendo che con quel partito la svolta sulla giustizia non ci sarebbe e non ci sarà mai stata. Critiche al DDL anticorruzione, privato da un ripristino del reato sul falso in bilancio.
E’ la volta di Fini che esordisce dicendo che non è tempo di rimpianti ed autocelebrazioni.
Enuncia le ragioni dell’impegno politico: credere in ciò che si fa; non pensare a strutturare FLI per avere uno o due punti in più per fare l’ago della bilancia; pensare più in alto.-
Illustra il progetto, un’idea dell’Italia partendo dalle esigenze della società . Esorta ad individuare dei punti qualificanti da sottoporre per un’ampia condivisione per una lista per l’Italia.
Accelerare il processo di Stati Uniti d’Europa anche cedendo quote di sovranità .
Secondo Fini la politica ha perso appeal perchè o guarda indietro o guarda al presente senza prospettive future.
Portare dentro il dibattito politico qualche scommessa, nessun bisogno di politiche moderate e rifiuto delle etichette (destra, sinistra, centro).
Per Fini la gente vuole sapere se attraverso il voto si possano cambiare le cose e la lista per l’Italia ha un significato solo come grande progetto (considerazione indirizzata a Casini e Montezemolo).
Doveva essere un confronto duro e franco tra militanti, con qualche mal di pancia, così non è stato tranne qualche eccezione, il via libera alla lista per l’Italia c’è stato, certo non davanti ad un’assemblea congressuale, non con una votazione finale, ma i presenti e gli intervenuti nei loro interventi hanno dato carta bianca al Presidente.
Non c’è stata alcuna critica nei confronti della dirigenza.
In questo modo, come da troppo tempo accade in politica si chiude una pagina, si conclude, come detto da Consolo, una traversata nel deserto e ne inizia probabilmente un’altra, con altri compagni di viaggio con una destinazione diversa, non più per essere come il PDL doveva essere e non è stato (Mirabello 2010), non più per costruire un centrodestra alternativo (Rho 2011) ma per raggiungere una meta che porterà il “montismo” (termine utilizzato da Benedetto Della Vedova) a sostituire il berlusconismo, numeri permettendo.
Un rassemblement di centro, perchè per quanto si voglia sfuggire alle etichette, sono le caratteristiche e i numeri politici degli schieramenti che determinano l’etichetta, non è importante ciò che ognuno vuole essere e vuole fare, sono i compagni di viaggio, soprattutto se hanno un peso specifico maggiore che determinano la rotta di uno schieramento politico, sognare si può, ma poi bisogna fare i conti con la realtà .
Inseguire i tecnici/professori/ragionieri che come detto da Potito Salatto hanno poca sensibilità al mantenimento di uno stato sociale che non lascia indietro nessuno e ne hanno di più verso i conti nudi e crudi, ti allontana inevitabilmente da quelle fasce deboli che hanno sempre pagato il conto delle politiche fallimentari.
Quindi un rassemblement di centro che dovrebbe prevedere quel che resta di FLI, l’UDC salvo defezioni, Italia Futura di Montezemolo, tre soggetti a sostegno di Monti che al momento non ha dato segni di volersi candidare.
Un rassemblement che non può far altro che presentarsi alle elezioni, al momento senza un programma unitario e senza un candidato premier, sperando nell’ingovernabilità per incoronare nuovamente Monti come salvatore della patria.
Può bastare come progetto?
Dipende, a qualcuno basterà perchè ci crede, a qualcuno basterà perchè si è nuovamente legato mani, piedi e cucito la bocca, a qualcuno basterà perchè è riuscito a riposizionarsi, a qualcuno basterà perchè non vede alternativa, a molti non basterà e i numeri stanno lì a dimostrarlo.
Il PDL è stato indebolito, il suo 40% è diventato il 15%, ma il 25% che si è disperso non si sa dove sia e probabilmente sabato scorso si doveva parlare più di questo anzichè complimentarsi in un intervento su due con il PD, che ha la capacità di scontrarsi al proprio interno con le primarie e rimanere il partito di maggioranza relativa, facendo capire chiaramente a Monti che un governo tecnico deve rappresentare una parentesi in democrazia.
Era stata creata un’occasione, alcuni hanno saputo raccoglierne i frutti, altri sono rimasti impigliati nella tela del tecnicismo e dell’immobilismo.
Stefano Rossi
argomento: Futuro e Libertà | Commenta »