Dicembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
“GRASSO E’ DIVENTATO PROCURATORE NAZIONALE ANTIMAFIA PERCHE’ SCELTO DA BERLUSCONI”…”POCHI MESI FA VOLEVA CONFERIRE UN PREMIO AL CAVALIERE PER LA LOTTA ALLA MAFIA”
Antonio Ingroia scioglie la riserva e annuncia il suo ingresso in politica con la candidatura a premier della neonata lista “Rivoluzione civile”.
Il simbolo contiene in grande il nome del candidato con sopra la scritta in blu “Rivoluzione civile” e sotto, in rosso, le sagome dei manifestanti del “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo su uno sfondo che vira all’arancione.
La conferenza di Ingroia è un lungo e duro attacco al Pd e al Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso che proprio ieri ha ufficializzato la sua presenza alle prossime elezioni con i democratici.
Grasso, accusa l’ex magistrato palermitano, divenne Procuratore nazionale antimafia “scelto da Berlusconi in virtù di una legge con cui venne escluso Giancarlo Caselli, ‘colpevole’ di aver fatto processi sui rapporti tra mafia e politica”.
Ma contro Grasso, dal punto di vista di Ingroia, pesa anche la grave responsabilità di aver pensato “nel maggio 2012” di consegnare “un premio al governo Berlusconi per essersi distinto nella lotta alla mafia”.
“Da magistrato – dice Ingroia – non avrei mai creduto di dovermi ritrovare qui per continuare la mia battaglia per la giustizia e la legalità in un ruolo diverso”.
“Quando giurai la mia fedeltà alla Costituzione pensavo di doverla servire solo nelle aule di giustizia. Ma non siamo in un paese normale e in una situazione normale – prosegue il magistrato palermitano – Siamo in una emergenza democratica. E allora, come ho detto, io ci sto. E’ venuto il momento della responsabilità politica. Alla società civile e alla buona politica dico ‘grazie’ perche hanno fatto un passo avanti”.
“Questa è la nostra rivoluzione, noi vogliamo la partecipazione dei cittadini. Antonio Ingroia non si propone come salvatore della patria, ma di essere solo un esempio come tanti cittadini che si mettono in gioco, assumendo rischi”, dice ancora.
Nell’autoinvestitura di Ingroia non mancano gli spunti polemici, innanzitutto nei confronti del Pd, colpevole di aver “smarrito la sua coerenza”.
“A Bersani, che ho definito persona seria e credibile – aggiunge l’ex pm di Palermo – dico di uscire dalle contraddizioni in cui la sua linea politica si è impantanata”.
Al segretario del Partito democratico, ricorda Ingroia, “ho fatto un appello” e “lui ha risposto in modo un po’ stravagante, dicendo che non risponde ad appelli pubblici, ma mi auguro che Bersani sappia che l’avevo cercato personalmente, ma non ho ricevuto risposta, me ne farò una ragione. Evidentemente si sente un po’ il padreterno, Falcone e Borsellino quando li cercavo rispondevano subito”.
Poi l’affondo più duro: “Caro Bersani, così non va, chi ha alle spalle storie così importanti dovrebbe ricordarsi il valore della moralità “, dice citando le battaglie di Enrico Berlinguer e Pio La Torre per la moralità .
“Tra Violante e Dell’Utri c’è una convergenza che dovrebbe far riflettere i dirigenti del Pd”, rincara riferendosi ai giudizi sulla candidatura di Piero Grasso nelle liste dei democratici.
Accuse che non impediscono comunque all’ex magistrato di sostenere che comunque la porta per il Pd “rimane aperta”, così come per il movimento di Grillo.
A sostenere la candidatura di Ingroia è un pacchetto di forze politiche che va dall’Italia dei Valori, a Rifondazione comunista, dai Verdi ai Comunisti italiani, passando per il sindaco di Napoli Luigi De Magistris che sta pensando alla presentazione di una sua lista ispirata agli “arancioni” che nella primavera del 2011 hanno portato alla vittoria del centrosinistra nelle elezioni amministrative.
Iniziativa dalla quale prende però le distanze il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Anche “se non esiste un copyright”, è certo che “sono state Milano e la campagna elettorale per il sindaco della mia città il punto di partenza e il centro di quel rinnovamento”, dice il primo cittadino lombardo esprimendo preoccupazione “per i pericoli che vedo concretizzarsi all’orizzonte: vedere il popolo arancione strattonato da tutte le parti, trasformato in un aspirante piccolo partito, strumentalizzato al fine di ottenere qualche deputato, plasmato per infilarlo in una lista, accodato a questo o quel candidato scelto dall’alto”.
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
FA FOTO CON IL CELLULARE, ALLOGGIA IN UNA PENSIONE A TRE STELLE, GIOCA COI NIPOTINI E NON RISPONDE ALLE INGIURIE DEL CAVALIERE
Il presidente del Consiglio Mario Monti è tornato a Venezia per trascorrere gli ultimi giorni del 2012 assieme alla famiglia.
Ha preso alloggio alla pensione Accademia, un albergo a tre stelle vicino alle Gallerie e al ponte dell’Accademia.
Verso le 11.45 è uscito dall’hotel ed è andato in piazza San Marco dove si è fermato davanti al campanile, poi ha raggiunto il vicino museo Correr dove è aperta una mostra sul pittore Francesco Guardi.
In piazza si muove sempre tenendo la mano al nipotino e scattando foto del campanile, della basilica e delle Procuratie con il cellulare, come un normale turista. «Il 2013? Speriamo che sia stupendo come questa giornata veneziana L’Italia? Credo che migliorerà se tutti lavoriamo». Queste le sole dichiarazioni strappate ai cronisti in pizza San Marco.
Durante la visita alla mostra la signora Elsa ha «fatto la nonna» coi nipotini in piazza San Marco. Poi la famiglia ha pranzato all’Hostaria da Franz, nel sestiere di Castello, vicino all’Arsenale e a cinque minuti da San Marco.
Si tratta di un ristorantino che propone prevalentemente pesce, già frequentato dai grandi attori di Hollywood quando arrivano a Venezia. Vi hanno pranzato Brad Pitt e Angelina Jolie, Zac Efron, Nicholas Cage e, per restare in Italia, Riccardo Scamarcio e Valeria Golino.
Monti dopo pranzo non ha replicato ai nuovi attacchi arrivati dall’ex premier Silvio Berlusconi: «Ho parlato anche troppo» si è limitato a dire.
Il premier, sollecitato dai cronisti, ha anche commentato la sua vacanza nella città lagunare: «una vacanza low cost ma high quality» ha detto. Il senatore in serata parteciperà a una celebrazione eucaristica.
L’albergo dove alloggia il professore non è certo uno tra gli alberghi più lussuosi e conosciuti di Venezia. Si chiama pensione Accademia, è un piccolo albergo di charme ristrutturato recentemente.
Discreto, è molto amato dai turisti inglesi.
Dall’albergo il senatore si è mosso in taxi scortato da 15 agenti di polizia.
Monti era arrivato a Venezia giovedì assieme alla moglie, ai figli e al nipote.
Si era concesso una passeggiata in città prima di lasciare i famigliari e tornare a Roma per l’incontro con le forze politiche stanno appoggiando l’Agenda Monti.
Dopo la conferenza stampa dal Senato, il senatore è rientrato a Venezia, dove dovrebbe rimanere per tre giorni. In mattinata il sindaco Orsoni aveva fatto arrivare alla signora Elsa Antonioli, moglie del premier, un mazzo di fiori.
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Dicembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
VORREBBE ACCORDARSI CON IL PDL PUR DI OTTENERE LA POLTRONA IN LOMBARDIA, MA NON PUO’ CONCEDERE UN’ALLEANZA AL CAVALIERE PERCHE’ I VENETI GLI FAREBBERO LA FESTA…E ALLORA IL PORTAVOCE DELLA VOTINO PERDEREBBE ANCHE LA SEGRETERIA DELLA LEGA
L’alleanza con la Lega “spero si possa fare ma non è obbligatoria, perchè pensiamo di avere la possibilità lo stesso di vincere anche se andassimo separati. Ma ci sono alcuni cose che non mi convincono e che dobbiamo chiarire”.
Berlusconi lascia ancora aperta la partita con il Carroccio, al termine del vertice sulle alleanze fra i due partiti che si è tenuto nella sua casa milanese di via Rovani.
Un summit nel quale si è rischiata la rottura, come minacciato da un tweet non proprio beneagurante del segretario Pdl Angelino Alfano: “Discussione con Lega ancora in corso. Alcune importanti questioni, però, non ci convincono e potrebbero indurci a separare il nostro percorso”.
No a Silvio premier.
La Lega ha chiesto ancora una volta un passo indietro di Berlusconi da candidato premier come condizione irrinunciabile per stringere l’alleanza con il Pdl.
Al Cavaliere, Maroni e i suoi riconoscerebbero il ruolo di capo della coalizione.
Ma l’indicazione per la premiership dovrebbe essere per Angelino Alfano o aperta anche ad altri nomi, eccetto l’ex premier.
Che, dal canto suo, nega problemi sulle candidature: “Non abbiamo parlato di candidati premier – ha detto – non abbiamo posizioni inconciliabili con la Lega, è su altre cose che discutiamo”.
Il nodo delle alleanze.
Altro punto di divergenza fra i due partiti è la richiesta da parte della Lega di un’alleanza in Lombardia prima di discutere di quella (eventuale) sul piano nazionale.
Su questo punto Berlusconi non ha intenzione di cedere e l’ha ribadito anche in mattinata, precisando che “se il Carroccio andrà al voto da solo rischia di diventare un partito piccolo, assolutamente ininfluente” a Roma.
Il Cavaliere è tornato quindi a minacciare il ritiro del Pdl dalle alleanze nelle giunte di Piemonte e Veneto e in un centinaio di amministrazioni comunali, nel caso in cui i leghisti non dessero il via libera all’alleanza a livello nazionale.
La risposta di Zaia.
Chiamato in causa, ancora una volta il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha risposto alle affermazioni dell’ex premier: “Mandarci a casa adesso sarebbe un danno inimmaginabile per cinque milioni di veneti. Se dovesse prendere questa decisione, Berlusconi se ne dovrebbe assumere la responsabilità “.
Quanto alla chiusura dell’accordo nazionale tra Lega e Pdl, Zaia si è limitato ad osservare che “la delega è nelle mani di Maroni, che è doppiamente coinvolto, in quanto anche candidato alla Regione Lombardia”.
Salvini, il Pdl non mantiene gli impegni. All’attacco è andato anche il segretario regionale della Lega, Matteo Salvini che ha precisato: “La candidatura di Maroni ha un fondamento, che il 75% delle tasse pagate dai Lombardi rimanga in Lombardia. Questo è un punto non negoziabile e se il Pdl non è in grado di mantenere questo impegno, è un problema suo”.
In realtà Maroni è circondato da alleati interni che alzano il prezzo per mettere in difficoltà lui e costringerlo alla sconfitta per poi succedergli in modo indolore.
Se poi Pdl e Lega si presentassero alleati in Regione e Maroni perdesse lo stesso contro Ambrosoli e Albertini anche Bobo sarebbe spazzato via.
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Dicembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
MARONI HA PRESO IN MANO IL PARTITO SOLO DOPO CHE IL CERCHIO MAGICO ERA STATO SPAZZATO VIA DALLA MAGISTRATURA… LA FASE DEL DIALOGO CON CONFINDUSTRIA CHE HA DISORIENTATO LA BASE…E ANCORA SCANDALI IN REGIONE E IL FLIRT CON SILVIO INVISO ALLA BASE
Dalle ramazze al (nuovo) inciucio?
In dodici mesi la Lega Nord è passata da Umberto Bossi a Roberto Maroni, dalla Padania alla macroregione, dalle corna alle cravatte, da “Roma ladrona” a “Prima il nord”.
Ma, tanto ha fatto e tanto ha brigato, che Maroni rischia di tornare da dove era partito.
Il 2012 della Lega è stato tutto un tumulto, un susseguirsi di colpi di scena e dèjà -vu.
Un anno passato tra spaccature interne, inchieste giudiziarie, rottamazione dei vecchi leader e nuove parole d’ordine arrivate a sostituire quelle consumate da un passato senza più credibilità .
Dodici mesi che stanno per culminare con una incredibile giravolta: la candidatura di Roberto Maroni alla presidenza della Regione Lombardia potrebbe infatti riaccendere la vecchia passione e riavvicinare la Lega al Pdl del redivivo Silvio Berlusconi, quell’alleato ingombrante di cui la stessa base del Carroccio non vorrebbe più sentir parlare.
FASE UNO — LE DIVISIONI INTERNE
Tutto è iniziato con l’esplosione dei malumori interni, covati per mesi nel cuore e nella pancia della base militante.
Una base stanca di un partito troppo legato agli scranni capitolini e sempre più distante dalle istanze del territorio. Così sono emerse, in tutta la loro evidenza, le divisioni tra i fedelissimi di Umberto Bossi e i barbari sognanti che spingevano per l’incoronazione di Roberto Maroni.
Le prime avvisaglie sono arrivate a ottobre del 2011, in occasione del congresso provinciale di Varese.
Nella sala dell’Ata Hotel è stata negata ai delegati la possibilità di votare ed è stato imposto un segretario provinciale bossiano: Maurilio Canton. Tanto è bastato per far scoppiare il putiferio.
Durante l’assemblea i militanti hanno dato vita a delle aperte contestazioni, consumate sotto lo sguardo incredulo di Bossi.
Nelle settimane e nei mesi a venire lo scontro è andato acutizzandosi e, senza che Roberto Maroni sia mai dovuto uscire allo scoperto, il movimento dei maroniani ha iniziato la propria rivolta, combattendola sul web e nelle segreterie.
L’apice di questa fase preparatoria è arrivata tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 quando, sull’onda del crescente consenso riscosso da Roberto Maroni dopo la caduta del governo Berlusconi, la segreteria federale ha vietato all’ex ministro dell’Interno di parlare in pubblico.
Una mossa che si è rivelata ben presto una clamorosa autorete da parte dei bossiani.
Nel giro di poche ore, infatti, centinaia di segreterie cittadine sparse in tutto il Nord hanno invitato Roberto Maroni a tenere comizi nelle loro città .
A quel punto a Maroni sarebbe bastato raccogliere i frutti della battaglia combattuta dal “suo” esercito senza generale.
E invece l’ex ministro degli Interni continuava a non esporsi.
FASE DUE — BOSSI GATE
Con i tumulti ancora in corso e un partito barcollante, a spianare la strada a Maroni ci hanno pensato le inchieste giudiziarie.
Mentre tutti aspettavano che Bobo, il barbaro sognante, infliggesse il colpo di grazia al vecchio Capo ormai delegittimato dalla sua stessa base, le procure di Milano, Napoli e Reggio Calabria hanno fatto esplodere lo scandalo sull’utilizzo dei finanziamenti ai partiti.
Tutto è iniziato dall’indagine sull’ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito, ma l’azione delle procure si è presto allargata, travolgendo nomi eccellenti nel panorama leghista.
Il figlio del Senatùr, Renzo Bossi, è stato tra i primi a dover lasciare la comoda poltrona di consigliere regionale. Assieme al “Trota” nel tritacarne è finita anche la pasionaria Rosi Mauro, vicepresidente del Senato e “badante” di Umberto Bossi.
In quelle settimane ogni giorno ha segnato inesorabilmente un passo verso il baratro. Soldi investiti in Tanzania, diamanti acquistati con i fondi di partito, addirittura una laurea in Albania per Renzo e rimborsi elettorali utilizzati per mantenere la famiglia del Capo.
Ai sospetti si aggiungono le intercettazioni, le mezze ammissioni.
La verità è che la Lega in versione primavera 2012 offre uno spettacolo da Prima Repubblica.
Uno spettacolo davanti al quale la storica base leghista, quella che affollava le piazze al minimo cenno del Capo, ha perso ogni speranza.
I sondaggi danno il Carroccio in picchiata, anche i più ostinati difensori di Bossi hanno dovuto arrendersi all’evidenza, accettando il fallimento del sistema. Un fallimento davanti al quale lo stesso Senatùr si è visto costretto a rimette il proprio mandato di segretario nelle mani del partito, aprendo la strada al congresso federale che mancava da dieci anni.
Per Roberto Maroni, in quel momento, è stato facile agitare le ramazze chiamando a raccolta i suoi barbari, in nome di una nuova Lega, più pulita e meritocratica, capace di spazzare via la vecchia classe dirigente con tutti i suoi vizi.
Così, il 10 aprile, alla fiera di Bergamo, dopo che la valanga giudiziaria e il tifone mediatico avevano ormai ridotto in brandelli la Lega, Roberto Maroni è salito sul palco assieme a un Umberto Bossi in lacrime, irriconoscibile, prendendosi la guida di quel che restava del partito.
FASE TRE — MARONI SI TROVA AL COMANDO
La Lega nella fase di transizione dall’era bossiana a quella maroniana è un partito completamente allo sbando.
Alle elezioni amministrative della primavera 2012 ha perso in quasi tutti i comuni interessati dal voto, uno dei peggiori risultati di sempre nella storia del partito.
L’unico successo degno di nota è stato quello di Verona, la città di Flavio Tosi, leghista atipico che piace molto a Maroni, che lo elegge a modello da imitare, per la sua capacità di guardare oltre i confini ristretti del partito e di parlare alla società civile, aggregando forze diverse attorno al progetto amministrativo del Carroccio.
Il primo cittadino scaligero assieme al sindaco di Varese Attilio Fontana e all’eurodeputato Matteo Salvini sono stati tra i principali sponsor dell’atto finale dell’affermazione maroniana che si è compiuta a luglio, in occasione del congresso federale, che non ha tradito le attese incoronando Roberto Maroni come nuovo segretario della Lega Nord.
Nelle settimane precedenti il Veneto e la Lombardia avevano anticipato il risultato, finendo sotto il controllo della nuova guardia leghista (a Tosi il Veneto, a Salvini la Lombardia).
Vestiti i panni del segretario, Maroni ha provato a restituire un’identità al partito, calandosi nel ruolo dell’anima candida, critico con il Governo e con chi lo ha sostenuto, vicino alla gente.
Il lavoro di Maroni è stato tutto volto a costruire una nuova immagine per la nuova Lega, con meno corna e più cravatte.
Così il neo-segretario ha indossato subito il vestito buono e ha iniziato a dialogare con la cosiddetta società civile, convocando grandi assemblee per incontrare di volta in volta gli industriali, le associazioni di categoria e gli amministratori locali.
Di fronte a questo nuovo modo di operare la base storica è rimasta in una certa misura smarrita.
Il nuovo corso del Carroccio, depurato dalle vecchie parole d’ordine (secessione e federalismo), è diventato più difficile da comprendere ed ha perso ampie fette di consenso nei territori di recente conquista (come l’Emilia Romagna), ridimensionando la presenza anche nelle roccaforti storiche.
La Lega 2.0 ha iniziato a parlare di “macroregione del nord”, con l’obiettivo dichiarato di assumere il controllo diretto della Lombardia per fare asse con Veneto, Piemonte e Friuli, anche a scapito della presenza nei palazzi romani.
FASE QUATTRO — CASO LOMBARDIA E RIAVVICINAMENTO AL PDL
Ma è proprio dalla sua ostinata rincorsa alla guida della Lombardia che Maroni rischia di fare un pericoloso salto nel passato.
Quando è arrivato il momento di definire candidature e alleanze in vista delle elezioni del prossimo febbraio (a seguito degli scandali che hanno travolto il Pirellone e il suo presidente Formigoni sostenuto anche dal Carroccio), l’ex ministro dell’Interno non ha esitato a riallacciare i rapporti con un Pdl sempre più a pezzi, spingendosi fino alla tana del diavolo per trattare direttamente con Silvio Berlusconi pur di assicurarsi la guida della Regione a lui più cara.
Un patto di reciproco sostegno che era nell’aria da mesi, da quando cioè Maroni ha iniziato ad ammorbidire le posizioni nei confronti di Angelino Alfano, dichiarando a più riprese che il dialogo con il Pdl sarebbe ripreso se e quando il Pdl avesse staccato la spina al Governo Monti.
Ora il governo Monti non c’è più e il dialogo tra la Lega e il Pdl si è fatto più intenso, tanto che l’idea del vecchio asse Pdl — Lega, ritenuta impossibile solo fino a qualche settimana fa, oggi sembra essere una delle poche alternative al fallimento del centro destra.
Un equilibrismo che molti dei militanti e dei quadri leghisti hanno affermato apertamente di non gradire, preferendo di gran lunga la prospettiva di un’onorevole sconfitta solitaria ad una vittoria da condividere con un alleato ingombrante.
Uno su tutti il segretario Lombardo della Lega, Matteo Salvini, che è più volte intervenuto a gamba tesa sulla possibilità di un accordo con il Pdl.
Maroni doveva sciogliere le riserve in queste ore a Bergamo, di fronte a quel che rimane del pubblico tradizionale del Carroccio.
Ma, ancora una volta, ha preferito rimandare.
Alessandro Madron
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
I NUOVI ITALIANI SONO ORMAI UN ESERCITO DI 5 MILIONI DI ESSERI UMANI, IN AUMENTO A SCUOLA E TRA GLI IMPRENDITORI CHE PRODUCONO RICCHEZZA NEL NOSTRO PAESE: E’ ORA DI RICONOSCERE LORO DIRITTI, NON SOLO DOVERI
Pagano le tasse e sostengono le casse dell’Inps. Cresce il loro numero tra i banchi di scuola e tra gli imprenditori attivi. Oggi costituiscono il 10% della forza lavoro.
Sono i “nuovi italiani”: un esercito di cinque milioni di migranti che vive e lavora nel nostro Paese.
Ebbene? Nelle venticinque pagine dell’Agenda Monti non una riga, nè una parola è dedicata loro.
Riforma della cittadinanza? Diritto di voto? Revisione della Bossi-Fini? Niente di niente.
L’argomento pare non rientrare tra le priorità di governo del Professore.
L’immigrazione in campagna elettorale.
Eppure il tema immigrazione è tornato d’attualità nella campagna elettorale. Il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, lo ha promesso con chiarezza: “La prima norma che il nostro governo farà sarà sulla cittadinanza: chi nasce e cresce qui è italiano”.
Sul fronte opposto ha risposto Silvio Berlusconi, rispolverando i vecchi allarmi cari alla destra: “Non vorremmo assistere, con l’avvento della sinistra al potere, al proliferare di matrimoni gay e all’apertura delle nostre frontiere agli emigranti irregolari, i quali poi otterrebbero il diritto di voto per votare prevalentemente per la sinistra stessa”.
E Monti che dice? Per ora, nulla.
Il “buco” dell’Agenda Monti.
Nelle 25 pagine dell’Agenda Monti non si trova un accenno agli immigrati.
Va detto che nella premessa Mario Monti avverte che non si tratta di “un programma di lavoro dettagliato e non vuole avere carattere esaustivo”.
Eppure, la lacuna ha fatto storcere il naso a molti.
L’associazione interetnica Mondita scrive: “Per Monti e i suoi collaboratori l’Italia del 2013 sembra composta da 60 milioni di persone tutte bianche e di ordinarie origini nazionali, senza alcun problema o caratteristiche di multietnicità . I 5 milioni di cittadini di origine straniera, il quasi milione di giovani, i 700mila studenti figli di immigrati o coppie miste, gli oltre 300mila imprenditori stranieri, i 2 milioni e mezzo di lavoratori stranieri, i 7 miliardi e mezzo di risparmi annuali, i miliardi di Pil prodotti, i miliardi di euro pagati in contributi, tutti questi numeri per Monti & co. non esistono, non valgono nulla, non meritano menzione nè come problemi relativi nè come ricchezza del Paese?”.
L’immigrazione non esiste.
E il portale Stranieriinitalia aggiunge: “In venticinque pagine non trova spazio l’immigrazione. Eccezion fatta per un accenno indiretto all’inizio, quando si dice che “il rifiuto del populismo e dell’intolleranza, il superamento dei pregiudizi nazionalistici, la lotta contro la xenofobia, l’antisemitismo e le discriminazioni sono il denominatore comune delle forze europeiste”.
E in Italia, con gli immigrati, che bisogna fare?
Chissà , forse prima o poi Monti ce lo dirà .
Vladimiro Polchi
(da “la Repubblica”)
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Dicembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
CI MANCAVA LA TRAMA INTERNAZIONALE, A BREVE TIRERA’ IN BALLO LA CIA E IL MOSSAD…FINISCE CHE UNA OLGETTINA LA FARA’ VESTIRE DA MATA HARI E SI SCOPRIRANNO LE CIMICI SOTTO IL LETTONE DI PUTIN
Oggi il Cavaliere viaggia in treno: d’altronde aveva annunciato la sua intenzione di riprendere contatto con le piazze, può ben iniziare anche dai binari della stazione Centrale di Milano.
Anche fuori dalla stazione peraltro è pieno di accattoni con cui scambiare suggerimenti.
Quello che non cambia è il ritornello quotidiano: anche oggi ne ha per tutti, da Monti a Fini a Maroni.
Ecco qualche perla di saggezza quotidiana.
“In quel momento c’è stata una vera e propria congiura e noi, vincendo, instaureremo subito una commissione per esaminare quei fatti”. E’ quanto ha risposto ai giornalisti che alla stazione centrale di Milano gli hanno chiesto se si sia pentito di aver appoggiato il presidente del Consiglio Mario Monti.
L’attacco del Cavaliere nei confronti del capo del governo, fresco di candidatura a capo di una coalizione composta da Udc, Fli, montezemoliani e fuoriusciti di Pd e Pdl, è frontale: “E’ stato creato un grandissimo scandalo. Ho sentito dire da Monti stesso e da altri ministri che eravamo sull’orlo del burrone, della catastrofe. Queste cose qua sono mascalzonate”.
E chi ha obbligato Silvio a dimettersi? Non glielo aveva certo ordinato il medico curante, poteva continuare se il baratro era una mera invenzione…
E la stessa “salita in politica” del Professore “è qualcosa — ha aggiunto — che francamente non mi aspettavo, dopo le reiterate dichiarazioni di Monti fatte anche come promessa al capo dello stato, a me, a tutti gli italiani, che non avrebbe utilizzato l’esposizione mediatica che gli dava l’essere presidente di un governo tecnico, per una sua ulteriore presenza nella politica come, questa volta, parte della politica”.
Berlusconi ha parlato di un “vulnus grave della democrazia”.
Parla lui che della esposizione mediatica e del controllo del 50% delle Tv ha fatto la base della sua affermazione in politica.
Secondo l’ex premier “c’è stata una manovra finanziaria, politica”.
“Fini — ha aggiunto — per quali motivi ha lasciato un partito di cui era cofondatore, numero due, mio successore per dare vita a un piccolo gruppo parlamentare” che ora “raccoglie l’1%?”.
Perchè si era rotto le palle del dittatore dellea Repubblica delle banane, se pur tardivamente?
No, non è ammissibile per il Cavaliere, ci deve essere stata una congiura.
“Si deve scavare — ha spiegato Berlusconi — per sapere quali sono state le motivazioni. E la stessa cosa vale per quello che è successo nei giornali, sulla stampa; il governo tecnico che era già pronto”.
La conclusione è che “c’è stato veramente un vulnus grave della democrazia”
Ma Monti quanti voti prenderà ? “Pochi, secondo i sondaggi”.
E allora di che ti preoccupi, direbbe un osservatore neutrale.
Berlusconi dice di vedere intorno a sè “un consenso forte” e di non essere preoccupato dalla costituzione del nuovo centro.
“Il contatto con la gente è qualcosa che mi fa tornare indietro a quel momento magico del 2009 quando ebbi a raggiungere il 75% di consenso” ( ma non aveva raggiunto il 101%?)
Berlusconi, tuttavia, ha ancora il problema di un accordo con gli unici che potrebbero fare da alleati, cioè la Lega Nord, malpresi come lui.
E’ arrivato poco fa nella sua residenza milanese in via Rovani, in compagnia della sua fidanzata, vera o taroccata che sia, Francesca Pascale.
A Milano si trovano già anche il segretario del Pdl Angelino Alfano, il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni e il coordinatore del Pdl Denis Verdini.
In Via Rovani si terrà un vertice del Pdl a cui dovrebbe partecipare anche il segretario del Carroccio Roberto Maroni.
Il presidente del Pdl confida di potere trovare un accordo con la Lega Nord che altrimenti resterebbe “un partito piccolo” (come se già non lo fosse…)
“Se diventassimo in competizione — ha aggiunto — cadrebbero in un tempo, e in un tempo non lungo, sia Piemonte che Veneto e quasi circa cento amministrazioni comunali. Quindi la Lega si troverebbe fuori da tutti i giochi, diventerebbe un partito ininfluente. Non credo che arriveremo a questo”.
Tipico avvertimento…
Infine l’ultima stoccata a Gabriele Albertini, europarlamentare del Pdl che ha confermato che si candiderà alla presidenza della Regione Lombardia, ma che sarà appoggiato dall’area dei “montiani”: “Gabriele Albertini si è buttato in questa avventura, ma andrà incontro a una sconfitta sonora: avrà pochissimi voti e saranno voti ininfluenti”.
Se invece sarà l’alleanza Pdl-Lega a perdere, Maroni la scopa potrà usarla giusto per fare le pulizie a casa Votino e a Silvio ridurranno i permessi di uscita.
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Dicembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
BOCCHINO: “IO HO DIRITTO PIU’ DI TUTTI”…A RISCHIO TASSONE (UDC) E FLAVIA PERINA (FLI), SI RIPARLA DI SOFIA VENTURA E ALESSANDRO CAMPI IN QUOTA FINI (MA NON ERANO ANDATI A VOTARE PER RENZI ALLE PRIMARIE DEL CENTROSINISTRA?)
La “tosatura” dei candidati sarà consistente. Monti non vuole assalti alla diligenza. Neppure ritrovarsi con una lista civica, quella di Montezemolo e Riccardi, dove ci siano candidati con qualche conflitto d’interesse.
Ancora meno, avere in lizza tutti i vecchi arnesi di Udc e Fli.
Il Professore vuole il ricambio.
A Enrico Bondi ha affidato il compito di vagliare, valutare, sconsigliare.
Montezemolo ad esempio, ha già detto che non si candida.
Se mai ci avesse pensato, sarebbe toccato a Bondi fargli comprendere che qualche conflitto di interesse in piedi ce l’ha, in quanto presidente della Ferrari, vice presidente di Unicredit e, benchè non ne sia più presidente, come fondatore di Ntv. Non avrebbe insomma superato l’esame-Bondi.
Nel gruppo “Verso la Terza Repubblica”, attenzione quindi a non mettere in campo imprenditori che abbiano interessi dalla Sanità alle telecomunicazioni.
Molti nomi si fanno e si disfano in queste ore.
A sorpresa, i ministri Andrea Riccardi e Corrado Passera non si candidano, mentre viene data per certa la candidatura di Anna Maria Cancellieri, l’ex prefetto che Monti ha voluto come ministro dell’Interno.
Tra i centristi di Casini si accettano scommesse.
Vengono dati per candidati sicuri Roberto Rao, Giampiero D’Alia, Gian Luca Galletti e Antonio De Poli.
Però un ricambio anche l’Udc dovrà metterlo in campo. Casini lo sa.
Ha portato a casa una lista autonoma alla Camera (il listone sarà solo al Senato), ma deve pensare a una qualche forma di rinnovamento.
Non può rimettere in lista i “dinosauri”, chi ha cioè carriere politiche trentennali, come Mario Tassone che in Parlamento ci sta da 34 anni e che a chi gli chiede se intenda ancora candidarsi risponde: «Dipende dal partito».
In piena fibrillazione è Fli, il partito di Fini.
Nei giorni scorsi si parlava di una lista unica Udc-Fli: Casini in quel caso si sarebbe detto disponibile a caricarsi non più di quattro-cinque persone, incluso Fini.
Ora Fli si allarga.
Italo Bocchino ha convocato ieri una riunione del partito per cominciare a raccogliere le firme. A metà pomeriggio – quando ancora il vertice con Monti è in corso e per Fli siede al tavolo Benedetto Della Vedova – racconta di essere sommerso dalla modulistica per le sottoscrizioni.
Sostiene, Bocchino, di essere abbastanza sicuro della propria candidatura.
Nel passato c’è stata qualche ombra, la storia con l’ape regina di Berlusconi, Sabina Began, condita di sms e pettegolezzi?
Bocchino replica: «Non c’è ragione perchè non ci sia una mia candidatura. Dopo Fini, sono quello che ci ha messo più passione e impegno nel sostenere il Professore e che ci ha rimesso di più. Sono in attesa di remunerazione da Monti».
In bilico Flavia Perina, ex direttore del Secolo d’Italia, finiana della prima ora.
Al contrario, Giulia Bongiorno, la presidente della commissione Giustizia, è data per certa.
Potrebbero essere candidati anche Sofia Ventura e Alessandro Campi, in quota Fini o forse in lista civica.
E poi ci sono i transfughi dal berlusconismo.
Soprattutto, il gruppo dei dieci, capitanati dall’eurodeputato Mario Mauro: Isabella Bertolini, Gaetano Pecorella, Alfredo Mantovano, Giorgio Stracquadanio, Fabio Gava, Giustina Destro, Roberto Antonione.
Hanno lasciato il Pdl da quel dì.
Stamani si riuniscono per decidere il da farsi.
Hanno scritto una lettera aperta nella quale sostengono che aprire al popolo del centrodestra fa la differenza.
«Se si vuole creare un polo dei moderati, crediamo di potere essere utili», commenta Bertolini.
Tra loro, c’è l’ex ministro Franco Frattini. Monti lo stima, ma i finiani non hanno dimenticato quando l’allora responsabile della Farnesina in Parlamento dedicò una informativa alla vicenda della “casa di Montecarlo” e al caso Santa Lucia.
Fini se l’è legata al dito.
Nel listone al Senato, il presidente della Camera non gradirebbe certo Frattini.
Quasi certa la candidatura di Alfredo Mantovano, ex sottosegretario alla Giustizia e anche quella di Beppe Pisanu, presidente della Commissione Antimafia.
Porte chiuse per quanti invece – da Sacconi a Roccella – abbiano sperato nella federazione montiana come approdo.
Avance ai montiani da Alessandro Cattaneo, il “formattatore” del Pdl, sindaco di Pavia.
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
BOCCIATA LA LISTA UNICA ALLA CAMERA… IL MINISTRO: PRONTO A FARE UN PASSO INDIETRO… RICCARDI APPOGGIA L’UDC. PER VINCERE CI VOGLIONO PIU’ LISTE IN CAMPO
«Signori siamo partiti: andiamo a conquistare quel 40 per cento di italiani che non vanno più a votare».
La voce di Mario Monti rimbomba sotto le volte del refettorio del convento delle suore di Sion, una location appartata nel cuore del Gianicolo, messa a disposizione grazie ai buoni uffici del fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e ministro, Andrea Riccardi.
Un posto perfetto per sfuggire alla caccia serrata dei giornalisti, per tenere a battesimo il nuovo centro e siglare quello che uno dei protagonisti definisce scherzando il «Patto dei sionisti».
Un passo avanti definitivo di Monti, che ha annunciato persino di concedere il suo nome come capo della coalizione.
Una decisione che al Quirinale, al momento, non trova commenti ufficiali, nonostante siano note le riserve del capo dello Stato rispetto a un impegno in prima linea del premier in campagna elettorale.
Dal Colle trapela una linea di assoluta neutralità . Verso Monti non ci sono «nè viatici, nè veti».
Ma la prima riunione «operativa » del nuovo soggetto politico è anche l’occasione per il primo scontro al vertice.
E sarà ricordata per quella che potrebbe esserne la prima vittima: Corrado Passera, a un passo dal ritirarsi dalla corsa.
Dopo una prolusione di Monti, il vertice si apre infatti dando la parola ai due “campioni” delle opposte visioni sul tavolo: dare vita a una lista unica anche alla Camera – come vorrebbe appunto Passera, ma anche Nicola Rossi, Benedetto Della Vedova, Pietro Ichino – , oppure procedere separati, come chiedono sia l’Udc che i montezemoliani?
Passera espone il suo punto di vista, vuole la lista unica.
Ha persino portato dei bozzetti per il simbolo che mostra e poi ripone subito in una cartellina. «Dobbiamo noi per primi dare prova che vogliamo lasciare le vecchie case d’appartenenza – spiega il ministro dello Sviluppo – e costruire una cosa nuova. Dar vita a una lista Monti sarebbe un segno di determinazione e coerenza ».
Casini non è d’accordo: «I voti che possiamo prendere separatamente non si sommano ». Su questo i rappresentanti di Italia Futura, Andrea Romano e Carlo Calenda, la pensano allo stesso modo.
Con questo ragionamento: «Chi vuole votare una lista civica come la nostra non accetta che ci siano dentro anche politici di professione».
Vengono elencate questioni pratiche – come la par condicio che garantisce più presenze in tv a chi si presenta con più formazioni – o la difficoltà – è ancora Casini a parlare – di «procedere a un rinnovamento delle candidature imposto dall’esterno ». Il leader dell’Udc punta i piedi: «Se c’è qualcuno che ha dato una mano a questo governo, fin dal primo giorno, siamo noi. Non possiamo essere penalizzati per questo».
Tra opposte visioni il confronto si fa serrato.
Le suorine che, discretamente, passano nel convento sentono alzare la voce. Anche Andrea Riccardi è del parere che in fondo andare con una formazione a più liste sia la cosa più ragionevole. «C’è una pluralità di mondi che guardano a Monti con interesse – osserva il ministro dell’Integrazione – e quindi anche le liste dovrebbero riflettere questi criteri: coralità , apertura e pluralità ».
Passera è isolato e Monti alla fine accetta la linea maggioritaria.
Oltretutto presto potrebbero arrivare altre adesioni al progetto.
Ci sono gli ex Pdl che oggi si vedranno per provare a dar vita a una loro “lista per Monti”.
Ci sono le associazioni cattoliche finora rimaste alla finestra – dal Movimento cristiano lavoratori di Carlo Costalli a Rinnovamento dello Spirito e poi i focolarini, Retinopera, Scienza e Vita – che si riuniranno per decidere il 10 gennaio.
Una lista civica di cattolici doc non è esclusa.
Il ministro dello Sviluppo prende atto di aver perso la battaglia: «Io resto a disposizione di Monti ma ho sempre lavorato a una lista unica. Se si prende un’altra strada io faccio coerentemente un passo indietro».
A questo punto Passera potrebbe anche non candidarsi, a meno che il premier non lo ripeschi.
Non saranno invece in lista Montezemolo e Riccardi, ma questo si sapeva da qualche giorno.
Presa la decisione più importante, quella di procedere con più formazioni – per ora tre: Udc, Fli, Lista civica – nella lunga riunione si passa a parlare d’altro.
Della campagna elettorale, per esempio. Monti non farà comizi come un politico tradizionale, d’accordo.
Ma se ci sarà un confronto tv all’americana, con Berlusconi, Bersani e Grillo, anche il premier non si sottrarrà .
Si decide poi di dar vita a una cabina di regia, ci sarà un «codice etico» per le candidature, a Montecitorio si farà comunque un gruppo parlamentare unico.
E il censore Enrico Bondi vaglierà non soltanto le fedine penali ma anche i conflitti di interesse e le situazioni patrimoniali.
Ci si dà quindi un nuovo appuntamento per oggi, con la stessa formazione, anche se Monti non sarà della partita (si è preso due giorni di riposo a Venezia con la moglie). Della questione politica di fondo – quale rapporto con il Pd, probabile vincitore – tutti assicurano che non si sia parlato.
Ma la convinzione di Monti è che il dopo elezioni debba passare per un accordo di governo con Bersani.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 29th, 2012 Riccardo Fucile
“LIGURIA FUTURISTA” AVANZA QUATTRO PROPOSTE A FINI PER RAGGIUNGERE IL QUORUM IN LIGURIA
Liguria Futurista, a nome delle decine di dirigenti e militanti che si sono allontanati nell’ultimo anno, delusi dalla gestione nazionale e locale di Futuro e Libertà , e alla luce della indicazione di una lista Fli all’interno della coalizione montiana, prendono atto dell’invito rivolto loro di “collaborare” al buon esito della campagna elettorale.
Trattandosi della stessa sopravvivenza del partito, visto che dovrà raggiungere il 2% di consensi in Regione Liguria, Liguria Futurista avanza concrete proposte per poter raggiungere tale obiettivo:
1) Commissariamento immediato del partito a livello regionale, affinchè si ponga in essere una campagna elettorale movimentista, improntata sui contenuti di Bastia Umbra e non sulla esclusiva ricerca di visibilità di quelli stessi dirigenti che hanno affossato il partito, mossi solo dalla ricerca perenne di cariche e poltrone.
2) Il capolista deve essere espressione della Regione, non paracadutato dall’alto.
Non condividiamo l’ipotesi concreta di un Fini “capolista ovunque” e in subordine pensiamo che, al limite, sia più trainante e funzionale all’esito elettorale ligure la candidatura di Giulia Bongiorno, per l’apertura di credito di cui gode sia nell’elettorato femminile che sui media.
3) Tutti i vecchi notabili diano una mano dall’esterno, ma non siano candidati, abbiano l’intelligenza e il pudore di fare un passo indietro.
L’elettorato deve ricevere un segnale forte di rinnovamento e Fli deve far parlare di sè come il partito dei giovani: proponiamo come capolista una donna sotto i 30 anni, poi tutti giovani da 20 a 30 anni, espressione delle varie province.
Una soluzione perfettamente fattibile, trattandosi di soggetti che hanno aderito a Fli fin dalla nascita e per profonda convinzione programmatica, in pieno disinteresse.
4) Ribadire il concetto di unità nazionale, di impegno sociale e di solidarietà verso chi sta pagando di più le conseguenze della crisi economica: Fli deve essere il partito attento al sociale, al volontariato e alla tutela dei diritti dei lavoratori e delle donne nella coalizione montiana, solo così puo ritagliarsi uno spazio e distinguersi dagli altri.
A differenza di chi in queste ore cerca accrediti nelle segrete tremebonde stanze, Liguria Futurista avanza a Fini questa proposta alla luce del sole.
Perchè in politica si può vincere o perdere, ma la differenza la fa la dignità , la coerenza e il saperne comunque uscire a testa alta.
Liguria Futurista
Ufficio di Presidenza
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