Dicembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
DETERMINANTI LE SCELTE DI BERLUSCONI E MONTI
Navigano a vista i sondaggisti e i ricercatori di flussi elettorali che, a due mesi dalle elezioni, «danno i numeri» solo con il contagocce.
Nel Mare magnum dell’offerta politica la nebbia è fitta.
Però negli istituti di ricerca alcuni punti fermi iniziano a delinearsi e il più esplicito, nel senso che azzarda più degli altri, è Paolo Natale di Ipsos (l’istituto di Nando Pagnoncelli): si restringe notevolmente l’area del non voto e dell’indecisione che passerebbe dal 40-42% al 30-35%; si consolida l’asse Pd-Sel che viaggia sul 35-40% e oltre ma poi potrebbe non avere la maggioranza al Senato; arranca il Pdl che, pur recuperando, raggiunge quota 16-17%; arretra «con continuità » il Movimento 5 Stelle che, già prima dell’espulsione di Federica Salsi e di Francesco Favia, aveva perso altri 3 punti assestandosi a quota 16-17%
Eppure, in questo quadro mancano ancora due tasselli fondamentali.
Il primo: il professor Mario Monti ci metterà la faccia, o quantomeno consentirà che il suo nome venga stampato sul simbolo di un partito dei moderati che ancora non c’è?
Il secondo: Silvio Berlusconi sarà il candidato premier del Pdl oppure coordinerà le operazioni elettorali (con o senza «spacchettamento» del partito) dalla seconda linea? E ancora: il secondo tassello dipende dal primo?
«In altre parole, è ancora troppo presto per disegnare scenari», si schermisce Alessandra Ghisleri (Euromedia Research), una delle voci fidate ascoltate dal Cavaliere, che sta lavorando su tre flussi elettorali di ritorno verso il Pdl: «Il voto dei moderati, il non voto, e gli elettori di centrodestra consapevolmente indecisi».
E il peso di Berlusconi, quanto vale? «Di sicuro, chi ha fondato Forza Italia e rifondato il Pdl resta un punto di riferimento per gli elettori di centrodestra».
Il brand del Cavaliere è difficilmente separabile dalla sua creatura. Per quanto riguarda l’area dell’ex Msi, da La Russa a Storace, un distacco peserebbe il 6-7%.
Ma l’incognita con la maiuscola è quella rappresentata da Monti che – alla guida di un partito dei moderati condotto sul campo da Casini, Fini e Montezemolo – sarebbe accreditato anche al 15 e il 20 %, nelle previsioni di Renato Mannheimer.
Ma Nicola Piepoli – il «decano dei veggenti politici», secondo la definizione poco amichevole del blog di Beppe Grillo – sottolinea un dato aritmetico incontestabile: «Una eventuale discesa in campo del professor Monti toglierebbe prestigio allo stesso Monti. Chi glielo fa fare, dunque? Il presidente del Consiglio già oggi ha il 51% dei consensi tra gli italiani mentre Bersani e Berlusconi si fermano, ciascuno, al 25%. Perchè, allora dovrebbe, candidarsi per ottenere 50 deputati?».
Il sondaggista Francesco Bocconi osserva infine che «in questo clima umorale i cambiamenti possono essere anche molto rapidi».
Ma poi è Piepoli che si spinge più avanti degli altri: «Il dato è che il centrosinistra ha già vinto anche se ci sono le incognite per il risultato del Senato dove la differenza la faranno la Lombardia, il Veneto, il Lazio e la Sicilia.
Se non vince anche al Senato, Bersani dovrà trattare con il centro per andare a Palazzo Chigi ma i ministri certamente li sceglierà lui».
E poi, conclude Piepoli, «con le sue primarie, il Pd ha generato una mutazione genetica del quadro politico. Riconciliando in parte l’elettorato con i partiti».
Dino Martirano
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
DA FRATTINI A MAURO: IL CAPODELEGAZIONE IN EUROPA CONTA SU 23 EURODEPUTATI SU 25… IN ARRIVO ALEMANNO, SACCONI, FITTO, QUAGLIARELLO E CL AL COMPLETO
Ci siamo, mancano pochi giorni. Il Pdl è sul punto di volare in mille pezzi.
Ma la vera notizia è un’altra: con la benedizione della Cei, che teme un governo Bersani-Vendola, il grande centro cattolico del partito se ne andrà sotto un’altra insegna, quella del Ppe, a fare da terza gamba della coalizione di Monti.
Il centravanti dell’operazione è Mario Mauro, il capogruppo del Pdl al parlamento europeo, quello che, insieme al capogruppo del Ppe Joseph Daul, ha lanciato per primo la sua bordata contro una ricandidatura del Cavaliere.
Domenica scorsa Mauro ne ha parlato con il premier, ricevendone un via libera.
Così si è dato da fare, insieme a Wilfred Martens (presidente) e ad Antonio Lopez-Istùriz (segretario) organizzando la clamorosa apparizione di Monti al summit del Ppe in contrapposizione a Berlusconi.
Ma il disvelamento di ieri davanti alla famiglia dei popolari, con il coro di apprezzamento internazionale da parte di tutti i leader, è stata solo la prima mossa. Altre presto ne seguiranno e la tessitura si è ora spostata in Italia, precisamente a Roma, dove Mauro è immediatamente tornato.
Ieri sera, a cena in una casa privata, il capogruppo Pdl ha infatti incontrato Isabella Bertolini, Giorgio Stracquadanio e gli altri fuoriusciti dal partito.
Trovandoli pronti. Altri arriveranno: lunedì prossimo, a Bruxelles, Mauro potrà così annunciare la fine del gruppo del Pdl al parlamento europeo.
Il nuovo simbolo e il nuovo nome del partito sono già pronti.
Aderiranno ventitre eurodeputati su venticinque e confluiranno lo stesso giorno anche i parlamentari europei del Fli: Moscardini, Salatto e Tatarella.
E tuttavia è domenica che la scissione montiana diventerà valanga.
Al teatro Olimpico di Roma tutte le fondazioni d’area moderata del Pdl si sono infatti date appuntamento per tenere il partito ancorato alla prospettiva del Ppe.
Ci sono molte voci diverse in quel calderone — da Cicchitto che predica ancora unità a un Alfredo Mantovano già proiettato verso Monti — ma sotto traccia sono in molti a prevedere che proprio quella manifestazione sarà il tana libera tutti.
Il titolo scelto, “Italia popolare”, di fatto evoca già il nuovo partito.
La rottura, per coloro che vorranno far parte della coalizione centrista, sarà un passaggio obbligato.
Monti infatti ha confidato di voler tenere le porte aperte a chi ha militato nel Pdl, ma non vuole avere assolutamente più nulla a che fare con Berlusconi.
E anche Alfano, pur stimato nei mesi di governo, è finito da ultimo nella lista nera per lo «strappo» compiuto a Montecitorio nella dichiarazione di voto sulla fiducia.
Non a caso ieri Monti ha citato testualmente proprio le parole del segretario del Pdl per motivare la sua decisione di dimettersi.
Nella lista di chi ha già deciso di far parte della squadra Monti c’è sicuramente Franco Frattini, poi tutti quelli che si sono espressi a favore del governo: da Beppe Pisanu a Gennaro Malgieri, da Mario Valducci a Giuliano Cazzola.
Il fatto è che, spinti anche dall’ostilità manifestata dalla Chiesa nei confronti del Cavaliere, si starebbero muovendo in blocco anche i big. Gianni Alemanno è sul punto di aderire, insieme a una parte consistente di Cl (Mauro è ciellino) compreso Formigoni.
Ma anche Raffaele Fitto — uno dei pochi a non aver aderito al coro dei laudatori il giorno in cui Berlusconi ha annunciato il suo ritorno in pista — sarebbe interessato al progetto.
Così come Gaetano Quagliariello e Maurizio Sacconi, entrambi al centro di una rete di rapporti che parte dal Vaticano.
Certo, chi ha avuto — come i capigruppo e i ministri — degli incarichi di vertice con Berlusconi è ancora prudente, vorrebbe portare tutto il Pdl a sostegno di Monti. Ma su questo pesa il veto del premier nei confronti del Cavaliere.
Il tempo comunque stringe, l’area montiana è in piena effervescenza in attesa dell’annuncio ufficiale della discesa in campo del Professore dopo lo scioglimento delle Camere.
Saputo delle intenzioni di Mario Mauro e in previsione di una valanga di nuovi arrivi, i terzisti ieri hanno iniziato a preoccuparsi.
In una riunione a Roma con il ministro Andrea Riccardi, Luca Cordero di Montezemolo, Pier Ferdinando Casini e il presidente delle Acli, Andrea Olivero, si è pensato anche di erigere qualche barriera, chiedere l’esame del sangue ai nuovi compagni di viaggio.
Come, per esempio, accettare soltanto i pochi (pochissimi) che hanno deciso di votare la fiducia nonostante l’indicazione contraria del Pdl, oppure — come Mauro e gli eurodeputati — hanno provato a sbarrare il passo al ritorno di Berlusconi.
Tra i montiani “doc” c’è anche timore che alcuni nomi — uno su tutti: Roberto Formigoni – possano compromettere l’immagine della coalizione.
Ma ora non è il momento dello screening, lo scontro all’arma bianca avverrà semmai durante la formazione delle liste.
«Io sono il ministro dell’Integrazione — scherza Andrea Riccardi — e le pare che possa mettere dei veti all’ingresso di qualcuno?».
Resta invece ancora aperta la fisionomia della coalizione montiana. C’è chi pensa a quattro liste — Udc, Fli, Terza Repubblica, Italia Popolare — chi a tre.
Ma il sogno del premier sarebbe farne soltanto una con un richiamo esplicito al Ppe. Anche perchè, al Senato, lo sbarramento da superare è all’otto per cento e il listone unico diventa una questione di sopravvivenza.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
FREDDA ACCOGLIENZA PER L’EX PREMIER: NESSUNO DEI LEADER POPOLARI SI AVVICINA PER SALUTARLO… “E’ STATA UNA TRAPPOLA, NON SAPEVO DEL’INVITO A MONTI”
Il gelo scende dal grande lampadario antico che sovrasta il salone quando, poco dopo le 13, si materializza Silvio Berlusconi.
Cenni di saluto a distanza, ma nessuno dei leader del Partito popolare europeo si avvicina per salutare l’ex premier. Per il Cavaliere è il giorno del giudizio. Del processo internazionale. Politico, stavolta, senza nemmeno toghe contro cui scagliarsi. Processato per aver staccato la spina al governo del Professore e soprattutto per inseguire una linea populista e antieuropea.
Nessuno glielo perdona al primo piano dell’Accademie Royale de Belgique. E per affrontare la complessa e delicata partita italiana, il presidente Martens, il capogruppo Daul, il commissario Barroso e la premier Merkel orchestrano in 48 ore la più riuscita delle trappole.
Invitando in gran segreto a quello stesso tavolo colui che considerano il loro nuovo e fidato referente, il presidente del Consiglio “dimissionato” Monti.
Il Professore non si lascia sfuggire l’occasione, «vengo con piacere a spiegare cosa è avvenuto in Italia e perchè è caduto il mio governo» è stata la risposta all’invito del padrone di casa Martens.
È la svolta, un gesto simbolico ma tutto politico, la prima volta del premier italiano al consesso Ppe di Bruxelles, sempre evitato finora («Presiedo un governo tecnico»). Questa volta no. «Io non sono un iscritto al Ppe» ricorda ancora ai suoi interlocutori, ma Monti stavolta sembra voler far una scelta di campo, lasciando soprattutto trapelare una disponibilità di massima ad assumere un ruolo, fosse pure da punto di riferimento dei moderati italiani.
«Non lo escludo» avrebbe glissato poi a margine di un vertice contrassegnato dalle richieste pressocchè unanimi di proseguire il cammino avviato a Palazzo Chigi. Esplicito fin quasi a metterlo in imbarazzo il presidente Ppe Martens nelle sue conclusioni, quando tirando le somme di tutti gli interventi ha sentenziato: «We want Monti to remanin as prime minister», vorremmo che restasse premier, con un auspicio che sa di investitura.
Anche Berlusconi non fa che prendere atto nei suoi due interventi dicendosi pronti al passo indietro.
Ma alla fine il Professore comunque non scioglierà le proprie riserve. Lascia tutte le carte coperte e di conseguenza tutte le porte aperte.
Monti ragiona e prende tempo, ancora.
Ragiona ma amaramente, a fine giornata, anche il Silvio Berlusconi che rientra a Roma in serata.
«Se avessi saputo cosa mi attendeva, se avessi saputo che avevano invitato anche lui, non sarei venuto» è stato lo sfogo postumo.
Una “trappola” di cui ha saputo solo quando non poteva più dare forfait.
Ha lasciato l’Accademie quando fuori era già buio e le luminarie di Bruxelles erano accese, 65 minuti dopo Monti e gli altri big, chiuso in una sala a pianificare con Bonaiuti e lo staff la difesa da offrire alle telecamere.
Sfiduciato? Macchè, «coccolato».
Tre ore prima, la Merkel appena entrata non lo ha nemmeno salutato, raccontano, troppe rasoiate a distanza tra Roma e Berlino degli ultimi giorni.
Altra scena quando entra Mario Monti e tutti vanno a omaggiarlo, lui che si limita a un cortese gesto di saluto col Cavaliere.
È il Professore del resto l’invitato d’onore. E al posto d’onore siede, al fianco dei premier di peso, Merkel, Rajoy, il presidente dell’Eurogruppo Junker, il finlandese Katainen e il greco Samaras.
Berlusconi resta isolato anche fisicamente, attorno a quell’enorme tavolo quadrato vuoto al centro. Si ritrova al lato opposto, tra Francois Cupè, successore di Sarkozy alla guida dell’Ump francese, e lo slovacco Jan Figel.
Perchè il cerimoniale puà³ essere impietoso quando gli equilibri mutano e i poteri tramontano.
Costretto per due ore sulla difensiva, il leader Pdl, ruolo che detesta. «Adesso basta fare campagna elettorale contro la Germania» è stato l’affondo più pesante di Angela Merkel, che ha preferito dilungarsi piuttosto in apprezzamenti su Monti e il suo lavoro.
E Berlusconi a rintuzzare: «Ma io non ce l’ho con la Germania, sono un europeista convinto, sostengo solo che la Bce deve contare di più».
Anche Monti, quando Berlusconi racconta la sua versione della crisi, prende la parola per ricordargli davanti a tutti di aver ricevuto «una radicale e sostanziale sfiducia da Alfano e dal vostro partito».
È il giorno della Waterloo del Cavaliere. Costretto a battere in ritirata.
Ma per nulla rassegnato all’esilio politico.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
DAI RISTORANTI ALLE SIGARETTE, NEL MIRINO LE SPESE DELLA MAGGIORANZA… GIUSTIFICATO COME “IMPEGNO ISTITUZIONALE” PURE L’ACQUISTO DI CIOCCOLATINI…L’IPOTESI DI REATO E’ PECULATO, USCITE PER MILIONI DI EURO
Qualcuno si è fatto rimborsare perfino le sigarette. Altri i cioccolatini che comprava in tabaccheria.
C’è perfino un consigliere regionale del Pdl che sotto la voce delle «spese istituzionali» metteva i pranzi che consumava in un ristorante alla moda a pochi passi dalla sede del Pirellone, durante le pause delle sedute.
Quando il 10 ottobre scorso il procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo ha spedito la Finanza in Regione ad acquisire i rendiconti 2008-2010 relativi ai rimborsi garantiti ai gruppi consiliari del Pdl e della Lega, probabilmente non pensava di scoprire così tante anomalie.
Nel mirino sono finiti quasi tutti i consiglieri della maggioranza della giunta uscente guidata dal governatore Roberto Formigoni.
Per loro, il sospetto dell’accusa è quello di aver ottenuto rimborsi per spese in realtà dubbie. Si parla di soldi pubblici che arrivano a un computo globale di milioni di euro ogni anno per tutti i gruppi consiliari e che si aggiungono ai già tanti benefit ottenuti dai politici.
A dare il via al nuovo scandalo sono state le verifiche partite, quasi per caso, sul leghista Davide Boni (ex presidente del Consiglio regionale, travolto da un’indagine per corruzione) e sull’ex assessore del Pdl, Franco Nicoli Cristiani, arrestato un anno fa con in casa una mazzetta da 100 mila euro.
Nelle inchieste che li hanno coinvolti, decifrando alcune intercettazioni ambientali, Robledo e i suoi sostituti Paolo Filippini e Antonio D’Alessio hanno trovato tracce di cene che sarebbero state giustificate dagli assessori come impegni istituzionali, ma che di politico avrebbero avuto molto poco.
Da questi sospetti è partito il mandato assegnato al Nucleo regionale di polizia tributaria di verificare il libro mastro delle spese e il tipo di giustificazioni presentate poi realmente.
All’ufficio di presidenza regionale sono state fotocopiate tutte le uscite e i relativi scontrini che Pdl e Lega hanno presentato con allegata l’autocertificazione in un biennio.
Le irregolarità , in molti casi, sarebbero lampanti, smaccate.
Apparentemente tutte dovrebbero passare il severo vaglio della Corte dei Conti, ma questa operazione trasparenza sarebbe solo di facciata.
Alla giustizia contabile, infatti, non è consentito controllare nel dettaglio le spese, ma solo il saldo finale. E così, a fianco dello stipendio mensile da 9 mila euro spettante a ogni consigliere – questo il solco su cui si sta muovendo l’accusa -, ci sarebbero sostanziosi extra che coprono le più disparate spese personali.
Due mesi fa è scattata la prima acquisizione: un atto puramente esplorativo.
Poi, in questi sessanta giorni sono state passate al setaccio le migliaia di ricevute alla base dei rimborsi effettivamente erogati.
Il risultato? Desolante.
L’ipotesi avanzata dalla procura è quella di peculato che potrebbe presto essere contestata agli indagati e che, sempre ipoteticamente, potrebbe avere ben pochi margini di giustificazioni.
Difficile pensare, per esempio, che un consigliere spieghi il rimborso di confezioni di cioccolatini dal nome francese come spese di rappresentanza regionale.
Il meccanismo scoperto, nei fatti, appare più semplice di quel che può sembrare. Gli inquirenti si sono convinti come sotto la voce «spese dei consiglieri per l’espletamento del mandato», e «spese di comunicazione», ogni anno ballino milioni di euro anche in Lombardia e operazioni truffaldine.
Dai primi rilievi effettuati dalle Fiamme gialle, le irregolarità sarebbero palesi, tanto che gran parte dei 40 consiglieri della maggioranza del Pdl e della Lega potrebbero essere raggiunti presto da un avviso di garanzia con l’ipotesi di peculato.
Un filone, quello dei rimborsi, avviato dopo l’arresto per gli stessi fatti nel Lazio del consigliere del Pdl «Batman» Fiorito, e allargati a macchia d’olio in molte altre regioni.
Anche se al momento le opposizioni lombarde non sono ancora finite sotto la lente della procura di Milano, è tutt’altro che escluso che molto presto gli inquirenti spediscano i finanzieri anche ad acquisire la «lista della spesa» rimborsata a Pd, Sel e Udc con i soldi pubblici.
Emilio Randacio
(da “la Repubblica“)
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Dicembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
IL MAGISTRATO CHIEDE LA CANCELLAZIONE DELLE LEGGI AD PERSONAM: INSORGE IL PDL
Una lettera aperta a Pier Luigi Bersani pubblicata sul sito di Micromega, dove — da quando è in Guatemala — ha un blog.
Delle richieste precise, fatte a nome dei «partigiani della Costituzione che resistono in ogni angolo di questo Paese».
Il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia occupa sempre di più la scena politica.
Mercoledì interveniva alla kermesse degli arancioni garantendo: «Sarò al vostro fianco», senza dire in che forma.
Ieri, al segretario pd, ha invece esposto un lungo elenco di cose da fare, partendo da un auspicio: «Leggo della sua probabile vittoria come premier candidato dal centrosinistra alle prossime elezioni, e non posso sinceramente che augurarglielo e che augurarmelo», specie davanti al ritorno «di una vecchia e nefasta conoscenza degli italiani, Silvio Berlusconi, artefice del disastro economico-finanziario, politico-istituzionale e etico-morale in cui è precipitato il Paese».
E però, il giudice ricorda subito come tante volte il centrosinistra abbia suscitato speranze poi spente per l’incapacità di essere «forza di cambiamento».
E chiede, perchè non sia ancora così, che Bersani si impegni ad abrogare tutte le leggi ad personam.
Che introduca il reato anglosassone di «ostruzione della giustizia». Che faccia sì che si puniscano il voto di scambio e l’autoriciclaggio. Insomma, che si impegni sul fronte della lotta all’illegalità proprio per contrastare la crisi economica: «Il sistema Italia è strangolato da mafia e corruzione, la vera palla al piede, la zavorra che impedisce alla nostra economia di crescere».
«C’è molto da fare e si può fare. Si può cambiare l’Italia», conclude, citando, certo non a caso, il motto degli arancioni che lo vorrebbero come candidato premier.
Anche lì, le incertezze permangono, Di Pietro lancia un appello a De Magistris, il regista dell’operazione, e a tutti gli altri (i professori di Alba, la sinistra radicale di Ferrero e Diliberto): «Convinciamo Bersani a cambiare rotta, corriamo in coalizione col Pd».
Ma il sindaco di Napoli è convinto che il segretario democratico non si allontanerà abbastanza dall’agenda Monti perchè questa diventi un’ipotesi fattibile, e avverte Di Pietro: «Ben vengano personalità e battaglie, ma nel nostro movimento non entreranno simboli. Neanche quello dell’Idv».
Che nel frattempo, domani, riunisce la sua assemblea nazionale per «rilanciare l’azione politica».
I sondaggi sono a picco, gli arancioni potrebbero essere un’ancora di salvezza. Oppure, semplicemente, la fine di una storia.
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
LA POSSIBILITA’ CHE PREVALGA IL VETO NEI CONFRONTI DI FINI E’ PIU’ CHE REALE, MA MANCA UNA CONTROMOSSA DA PARTE DELLA CLASSE DIRIGENTE DI FUTURO E LIBERTA’… ECCO LE ALTERNATIVE
Che negli ambienti di Futuro e Libertà sia prevalso una eccessiva mentalità leaderista è un dato di fatto: anche quando il leader non ha dato eccessivi segnali di vita, trincerandosi dietro un ruolo istituzionale e non sviluppando i punti qualificanti del programma futurista di Bastia Umbra.
Molti hanno invocato la sua discesa in campo, ritenendo che sarebbe stata la mossa taumaturgica: non l’ha fatto e siamo tra coloro che ritengono che non sarebbe stata in ogni caso sufficiente.
Fini ha preferito seguire Casini nel dichiararsi “più realista del re” appiattendosi sul “montismo”, senza se e senza ma.
Una strada che non ha portato consensi: nessuno può negare che la somma dei voti Udc+Fli che un anno fa era quotata intorno al 13-15% oggi sia praticamente dimezzata.
Dovrebbe far riflettere che anche il possibile apporto di Italia Futura (data intorno al 3%) farebbe arrivare questa coalizione al 10%, meno di quanto Udc-Fli rappresentavano da sole un anno fa.
E se anche Monti desse il nome alla lista e portasse una componente del Pdl in disfacimento sarebbe un valore aggiunto (con tutte le problematiche del caso) estraneo a Fli e con un obiettivo minimale: attestarsi tra il 15% e il 20% per risultare determinanti in caso di vittoria mutilata di Bersani.
Ma quanti sarebbero i rappresentanti di Fli eletti in questa coalizione? Ben pochi, una piccola pattuglia, irrilevante ai fini del condizionamento della stessa.
Ma a questo scenario si è aggiunta un’aggravante: Montezemolo non gradisce la presenza di Fini in questo progetto.
Nulla di personale, solo una valutazione concreta, probabilmente suffragata da risultanze di sondaggi commissionati ad hoc: Fini, per la sua uscita dal Pdl, è inviso a molti elettori di quel partito e di fatto l’apporto che darebbe Fli è inferiore ai consensi che farebbe perdere alla coalizione.
E’ questa la considerazione di Montezemolo che si può condividere o meno, ma tale rimane.
Quello che lascia perplessi è l’immobilismo dei vertici di Fli di fronte alla prospettiva di trovarsi entro pochi giorni tagliati fuori dai giochi.
Certo, esistono trattative “a tutto campo”, ma manca il partito inteso come radicamento territoriale.
Se si fosse perseguita quella strada oggi si avrebbe una base di consensi maggiore e una struttura da utilizzare che non c’è.
“Un partito nuovo, non un nuovo partito” (vi ricorda qualcosa?…) avrebbe dovuto creare una nuova classe dirigente locale, non riciclare notabili, avrebbe dovuto premiare il merito e la competenza, non la “fedeltà ” a qualche capobastone.
Oggi Fli sarebbe davvero “un partito nuovo” capace di atti coraggiosi: rinunciare al finanziamento pubblico, mettere capolista donne e ragazzi sotto i 30 anni, fare una politica movimentista e impegnata nel sociale.
“Bucare il video” spiazzando e cercando voti a 360 gradi, non sempre con il timore di “urtare qualche suscettibilità perbenista”.
Ora le vie d’uscita sono limitate.
Se alla fine Fini verrà accettato nella coalizione, Fli conterà poco e nulla, gli concederanno le briciole.
Se resterà fuori, non avendo fatto nulla per “distinguersi” in questi mesi, potrà solo presentarsi da sola con una corsa ad handicap segnata.
Persa per persa, sarebbe il caso che si decidesse di morire almeno “futuristi”, visto che non si è riusciti a vivere come tali.
Come?
Passo indietro immediato di Fini, candidata premier Giulia Bongiorno, metà capoliste donne, un quarto rappresentanti del volontariato, un quarto a giovani sotto i 30 anni,
E nel programma la rinuncia al finanziamento pubblico, il carcere per gli evasori fiscali, la cittadinanza ai bimbi nati in Italia, una patrimoniale secca e la riduzione progressiva della tassazione con i proventi del recupero dell’evasione.
Magari si rischierebbe di entrare in Parlamento non dalla porta di servizio.
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Dicembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
“NON DIA RETTA A QUEI PERSONAGGI MINORI CHE VOGLIONO SOLO FARSI PUBBLICITA'”
Onorevole Mussolini, Silvio Berlusconi ha annunciato che non candiderà Dell’Utri.
«Io penso che se Berlusconi, insieme con Dell’Utri, ha deciso che la candidatura debba saltare, così sia. Ma lo invito a rifletterci sopra ancora un po’ perchè Dell’Utri ha dato molto e ancora molto può dare al partito. Intanto è un fondatore di Forza Italia, e poi è uno di quelli che più ha contribuito ai successi del centrodestra in Italia, con i suoi Circoli tanto per cominciare».
Però Dell’Utri è plurindagato, e ha anche qualche condanna.
«Non abbiamo mai piegato le nostre decisioni ai voleri della magistratura. Mi auguro che ci sia un ripensamento e credo che sia già in corso».
Però nel partito molti sono contrari.
«Ecco, questo è il punto. Se c’è qualche personaggio minore nel partito che pensa di farsi pubblicità sulla pelle di Dell’Utri, io non ci sto».
Sta dicendo che Alfano e La Russa sono personaggi minori?
«Vogliono farsi pubblicità ».
Cioè, intende che puntano al partito degli onesti, a rifarsi una verginità , esibendo la testa di Dell’Utri?
«Dico che se uno vuole andare sui giornali, ci deve andare per le idee e per le proposte, non per alimentare il desiderio di ghigliottina».
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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Dicembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
IL CARICO FISCALE SUL LAVORO ALLONTANA GLI INVESTITORI DAL NOSTRO PAESE
Fare impresa in Italita?
Per nulla facile, anche per via del carico fiscale sul lavoro.
L’ultima analisi di PriceWaterhouseCoopers evidenzia ancora una volta i limiti nazionali nell’incentivare l’attivita’ imprenditoriale e attrarre capitali esteri, a causa di una tassazione dei profitti d’impresa tra le più elevate a livello mondiale.
Le imprese impiegano 267 ore all’anno per gli adempimenti fiscali .
Price Waterhouse Coopers ha studiato i dati relativi il carico fiscale complessivo cui devono sottostare le imprese di 185 diversi Paesi.
I numeri raccolti dall’indagine attestano come il Fisco italiano sia particolarmente severo: con precisione, il carico fiscale che grava sui profitti d’impresa delle aziende italiane, prendendo in considerazione le imposte sugli utili, arriva al 68,3%; il dato più alto d’Europa, dove la media si attesta al 42,6%, mentre nel mondo e’ pari al 44,7%.
Mettendo a confronto i dati del Belpaese con quelli europei, si percepisce come il divario tra il nostro e gli altri Paesi a livello fiscale venga determinato soprattuto dalle imposte sul lavoro: in Germania, per esempio, l’imposizione fiscale sul lavoro e’ pari al 21,9%, mentre in Italia e’ più del doppio.
Tempo perso in tasse
Tra il curioso e lo scoraggiante e’ il dato che riguarda il tempo speso dalle aziende italiane per adempiere agli oneri fiscali. In Italia, le imprese impiegano infatti 269 ore l’anno per sbrigare i propri obblighi con il Fisco, un dato che vale la centosedicesima posizione nella speciale classifica.
Uno sguardo al mondo
I primi posti della classifica sono appannaggio quasi esclusivo dei Paesi del Medio Oriente, con il livello medio di tassazione sui profitti d’impresa più basso al mondo: al primo posto gli Emirati Arabi Uniti, poi il Qatar e l’Arabia Saudita.
Unico paese europeo nella top ten e’ l’Irlanda, classificata al sesto posto.
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Dicembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
PRIMA UNA MIRIADE DI EMENDAMENTI, POI LA CRISI DI GOVERNO…IL MINISTRO PATRONI GRIFFI: “IL GOVERNO HA FATTO QUELLO CHE POTEVA”
Il decreto che riorganizzava le province italiane non sarà convertito in legge.
È quanto è emerso dalla seduta della commissione Affari costituzionali, preceduta da una riunione ristretta dal presidente di commissione Carlo Vizzini, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda, il ministro della Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi e il sottosegretario Antonio Maraschini.
TROPPI EMENDAMENTI
La commissione e governo hanno preso atto della quantità di emendamenti e subemendamenti presentati al provvedimento e hanno ritenuto che non fosse possibile approdare in aula martedì pomeriggio come stabilito dal calendario del Senato.
«Il destino di questi mesi è di perdere occasioni importanti – ha commentato Vizzini – è stato fatto uno sforzo per trovare le condizioni complessive per approvare questo provvedimento atteso ma non è andato a buon fine».
PATRONI GRIFFI: «IL GOVERNO HA FATTO QUEL CHE POTEVA»
«Il governo – ha commentato Patroni Griffi – ha fatto quello che poteva. Oggi ha preso atto della situazione».
A questo punto sarà necessario probabilmente escogitare una norma che coordini le disposizioni sulle province previste dal decreto salva Italia e dalla spending review. Ma sulla possibilità che questa norma sia inserita nella legge di stabilità Patroni Griffi non risponde: «Probabilmente ci sarà qualche intervento del governo ma ora non so rispondere».
(da “il Corriere della Sera“)
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