Giugno 22nd, 2014 Riccardo Fucile
CHITI: “NON CI SPOSTIAMO DI UN MILLIMETRO DALLE NOSTRE POSIZIONI”… ROMANI: “IN AULA PUO’ ACCADERE DI TUTTO”
«Abbiamo iniziato a lavorare bene sulla strada di un accordo che, comunque, è ancora lontano. Ma non è affatto detto che, una volta trovato, la prova del voto in Aula sarà una passeggiata. Anzi…».
Nelle confidenze notturne che Paolo Romani ha fatto ad alcuni colleghi di partito subito dopo l’incontro col ministro Maria Elena Boschi, e siamo a venerdì sera, c’è una storia che va molto al di là dei comunicati congiunti, dell’euforia di Palazzo Chigi, delle fughe in avanti del leghista Roberto Calderoli.
Perchè, a prendere per buono il timore confessato agli amici dal capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama, la strada delle riforme è ancora in salita.
«In commissione, una volta trovato l’accordo sul testo, filerà tutto liscio», è stato l’adagio del presidente dei senatori azzurri. «Ma tutti i “ribelli”, tutti coloro che dentro il centrosinistra e tra di noi vogliono ancora il Senato eletto direttamente dal popolo, tutti questi non sono sconfitti in partenza. In Aula può cambiare tutto…»
La lunghissima partita che comincerà il 3 luglio è tutt’altro che scritta.
E la sorte dell’eterogeneo fronte di chi si oppone alla «madre di tutte le riforme» non è ancora segnata.
Corradino Mineo risponde da una Palermo dove è già estate piena. «Posso dirla con una battutaccia di quelle che mi hanno rovinato la vita?».
La battuta arriva dopo mezzo secondo. «Sicuramente nell’ultima formulazione del testo ci sono dei passi in avanti. Ma il punto centrale della nostra battaglia rimane ancora là . Stiamo passando da un Senato di Razzi (nel senso di Antonio, ndr ) a un Senato di Fiorito (nel senso del Batman del vecchio Consiglio regionale del Lazio, ndr ). Un’Aula non eletta direttamente dal popolo, che comunque conserva dei poteri costituzionali per cui non avrebbe la legittimazione necessaria, produrrà solo danni. Noi non arretriamo di un millimetro».
Nel «noi» citato da Mineo ci sono tantissimi colleghi senatori che ancora si nascondono nell’ombra.
Oltre a chi, dentro i confini del Pd renziano, aveva finito addirittura per autosospendersi, una settimana fa. Come Vannino Chiti. Che infatti dice: «Mi creda, sull’elezione diretta del Senato poi porteremo avanti la nostra battaglia con fermezza e lealtà . Da quella posizione non ci spostiamo di un millimetro».
Tra l’altro, aggiunge l’ex ministro e governatore della Toscana, «sono molto inquieto rispetto a certe frasi che i giornali hanno attribuito a Renzi sulla riforma elettorale. Anche perchè, per quanto mi riguarda, delle due l’una. O torneranno i collegi uninominali oppure che si rimettano le preferenze. Altrimenti, una volta riformato il Senato, non ci sarebbero praticamente più dei parlamentari eletti dal popolo».
Non ci sono solo i niet di un pezzo del Pd.
Anche dentro Forza Italia il tema della ribellione dei senatori agli «ordini di scuderia» del partito comincia a farsi largo nella nebbia.
«Lo dico da adesso, così nessuno potrà far finta che non lo sapeva. Io, se la riforma del Senato rimane questa, non la voto», scandisce Augusto Minzolini. «E come me, immagino, anche tanti altri miei colleghi», aggiunge.
D’altronde, ricorda l’ex direttore del Tg1, «la proposta che ho presentato, e che prevede l’elezione diretta del Senato, era stata firmata da trentasette colleghi di Forza Italia. La maggioranza di noi. E visto che quel testo è in antitesi rispetto a quello che sta confezionando il governo, e soprattutto visto che la gente di solito legge prima quello che firma, tutto questo qualcosa vorrà dire, no?».
In fondo, basterebbe un voto secco. Basterebbe che la maggioranza dei senatori confermasse l’elezione del Senato così com’è per far crollare il castello di carte.
«Non siate così sicuri che il pressing dei capipartito faccia presa su tutta la maggioranza dell’Aula. Altrimenti avrete delle sorprese», è la profezia di Mineo. «Non so quanti parlamentari siano disposti a votare una riforma che trasforma la Camera dei Deputati in un qualcosa di molto simile alla Duma sovietica», sottolinea Minzolini.
Anche Renato Brunetta, che sta alla Camera, sente puzza di bruciato. «Dieci euro di tasca mia sul fatto che questa riforma sarà approvata non me li gioco di certo. Non me li gioco io come credo che non se li giocherebbe nessun altro», sorride il capogruppo forzista a Montecitorio.
La clessidra scorre inesorabile. I ribelli affilano le lame.
Il timer del 3 luglio è già stato innescato.
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 22nd, 2014 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA ACCONTENTATA… LA SINISTRA DEM NON CI STA… BOSCHI TENTENNA
Il Pd si spacca, Forza Italia esulta. È questo l’effetto dell’immunità per i nuovi senatori rispuntata tra gli emendamenti alla riforma Costituzionale.
Uno dei venti articoli presentati, che porta in calce la firma dei due relatori Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli, reintroduce lo scudo più amato dai parlamentari. Sfumerebbero così le buone intenzioni contenute nel testo originale, quello approvato lo scorso 31 marzo dal Consiglio dei ministri, che prevedeva l’abolizione del privilegio, anche se solo per i membri del nuovo Senato formato da elezione indiretta. Ora che i democratici si sono seduti al tavolo con Forza Italia e Lega, l’immunità è magicamente tornata. Con questi termini si indicano una serie di scudi che riparo dagli atti della magistratura.
Ad esempio non possono essere indagati per atti connessi con la propria attività in aula e, soprattutto, gli inquirenti non possono perquisire, intercettare e arrestare (fino a condanna definitiva) i parlamentari senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza.
Con la differenza che per effetto della riforma godranno dell’immunità anche i membri del nuovo Senato, che contestualmente saranno anche consiglieri regionali e sindaci.
Un vecchio cavallo di battaglia del berlusconismo degli anni ruggenti, che sta creando una rivolta nell’ala sinistra del partito di Renzi.
“Visti gli scandali degli ultimi giorni, mi sembra si stia andando nella direzione opposta rispetto a quello che si aspettano i cittadini”, attacca Vannino Chiti.
“Sono fermamente contrario: presenterò un sub-emendamento per togliere l’immunità anche ai deputati e ne parlerò anche con i fuoriusciti dal M5s e a Sel”, gli fa eco il senatore dem Felice Casson.
Anche Pippo Civati dal suo blog ha criticato la norma, sottolineando che metterebbe sindaci e consiglieri al riparo dalla legge, “non proprio un aiuto ai numerosi episodi di corruzione cui assistiamo (anche) a livello locale”.
Il riferimento più recente è a Venezia: se Orsoni fosse stato membro del Senato che verrà , gli inquirenti non avrebbero potuto intercettarlonell’inchiesta sul Mose.
Mentre la sinistra Pd si schiera compatta contro la possibile, nuova norma, il governo nicchia.
L’unica a parlare è il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, che oltre a rivendicare l’accordo con Silvio Berlusconi (“Forza Italia rappresenta milioni di italiani e siede in Parlamento”), sull’immunità prende tempo: “È una proposta dei relatori. Vedremo che accadrà in seguito”.
Una proposta che però, per ammissione dello stesso Calderoli, il governo ha ricevuto giorni fa e ha avuto tutto il tempo di valutare.
Evidentemente a Palazzo Chigi nessuno ha sentito l’esigenza di estrarre la paletta rossa.
L’impressione generale è che la reintroduzione dell’immunità sia una condizione posta da Forza Italia. Un sospetto che trova conferma nella reazione entusiasta del falco forzista Lucio Malan: “Era un errore grammaticale da matita rossa averla esclusa dal testo precedente. Non è immaginabile che il Senato possa venir dimezzato dagli arresti con un semplice foglietto di un pm”.
Dopo che sono montate le polemiche, Roberto Calderoli, il padre del Porcellum, ha provocato da par suo: “Se non va bene l’immunità per il Senato, togliamola anche alla Camera”.
Suona quasi come una minaccia per far saltare il tavolo.
Chiti, si limita a definire l’emendamento “una brutta sorpresa che davvero non mi aspettavo. Nel Pd abbiamo parlato molte volte dell’argomento e la posizione condivisa è sempre stata di segno opposto: ridurre il perimetro dell’immunità , non allargarlo”.
Uno dei più tenaci oppositori del privilegio è sempre stato, almeno a parole, proprio Matteo Renzi. Quando qualcuno, quasi sempre un forzista, proponeva una rafforzamento dell’immunità , il premier rottamatore alzava le barricate: “Sarebbe un errore clamoroso, non abbiamo bisogno di dare garanzie in più ai parlamentari, ma di farli diventare più normali”, sosteneva nel febbraio del 2013.
Ancora più netta la posizione di due anni prima, durante un’intervista con Lilli Gruber: “Reintrodurre l’immunità ? Mi sembra una barzelletta, sono contrario”.
Ma quelli erano anche i tempi in cui coltivava altri progetti di riforma: “Se vogliamo cambiare la Costituzione bisognerebbe avere il coraggio di dire che i parlamentari andrebbero dimezzati e anche la loro indennità ”.
Alessio Schiesari
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Giugno 22nd, 2014 Riccardo Fucile
CON 17 GIUNTE REGIONALI SU 20 SOTTO INCHIESTA, 300 CONSIGLIERI REGIONALI INQUISITI E MOLTI SINDACI INDAGATI, IL SENATO RISCHIA DI TRASFORMARSI IN UN RIFUGIO DI MANIGOLDI
Finalmente se ne sono accorti.
Pidini, forzisti e leghisti, curvi da mesi sul sacro incunabolo della cosiddetta riforma del Senato, si erano dimenticati di dare l’immunità ai nuovi senatori.
Ora hanno provveduto: anche i nuovi inquilini di Palazzo Madama, pur non essendo più eletti, non potranno essere nè arrestati nè perquisiti nè intercettati senza il loro assenso preventivo.
È l’unica novità di rilievo dell’ultimo testo partorito dal trust di cervelli formato Boschi-Romani-Calderoli, oltre alla riduzione dei senatori da 148 a 100 (5 nominati dal Quirinale e 95 dalle Regioni, di cui 74 fra i consiglieri regionali e 21 fra i sindaci).
Restano le assurdità più assurde: saranno abolite le elezioni; i senatori non conteranno nulla nella formazione delle leggi e non voteranno la fiducia al governo (infatti lavoreranno gratis); dovranno dividersi fra le amministrazioni locali e l’impegno romano (un dopolavoro non pagato, ma ben spesato); e dureranno in carica quanto le giunte regionali e comunali di provenienza (dove si vota in ordine sparso, così ogni anno qualche senatore perderà il posto e il Senato diventerà un albergo a ore, con maggioranze e minoranze affidate al caso, anzi al caos).
Finora l’immunità -impunità veniva giustificata in due modi: il Parlamento è lo specchio del Paese che lo esprime, dunque gli italiani, se non vogliono un inquisito a rappresentarli, possono non votare per lui o per il partito che l’ha candidato; il plenum dell’aula non può essere intaccato da un giudice che nessuno ha eletto.
Ora anche il senatore sarà un tizio che nessuno avrà eletto (o meglio, sarà eletto per fare il sindaco o il consigliere regionale, non per fare il senatore).
E il plenum del Senato sarà continuamente intaccato dalla caduta di questa o quella giunta comunale o regionale.
Dunque, in linea di principio, non si vede perchè un sindaco o un consigliere regionale eletto senza alcuna immunità debba riceverla in dono soltanto perchè il suo consiglio regionale l’ha promosso a senatore.
Ma, nel paese dei ladri, si comprano e si vendono anche i princìpi.
Attualmente 17 giunte regionali su 20 sono sotto inchiesta o già sotto processo per le ruberie sui rimborsi pubblici, per un totale di 300 consiglieri inquisiti.
E i sindaci indagati non si contano. Se fosse già in vigore la riforma del Senato, anche se volessero, i consigli regionali non riuscirebbero a nominare 95 consiglieri e sindaci intonsi da accuse penali.
Ma lo capiscono tutti che la prospettiva di agguantare l’immunità sarà talmente allettante da diventare l’unico criterio di selezione per la carica gratuita di senatore: non appena un consigliere regionale o un sindaco avrà la sventura di finire nei guai con la giustizia, i colleghi — che poi sovente sono i suoi complici — lo spediranno in Senato per salvarlo dalla galera, dalle intercettazioni e dalle perquisizioni.
Se no poi magari parla o si fa beccare con il sorcio in bocca. E la cosiddetta Camera Alta del Parlamento diventerà , ancor più di oggi, quel che erano i conventi e le chiese nel Medioevo: un rifugio per manigoldi.
Se Giorgio Orsoni, per dire, non avesse commesso l’imprudenza di confessare, accusare il Pd, patteggiare e farsi scaricare da Renzi, ma avesse continuato a negare tutto in attesa del processo, sarebbe ancora sindaco di Venezia, con ottime speranze di farsi nominare senatore dal nuovo consiglio regionale a maggioranza Pd in cambio del suo silenzio.
Ora però, prima del voto di luglio, alla Grande Riforma mancano alcuni dettagli da concordare con Forza Italia. E B. rischia l’arresto per gli ultimi delirii in tribunale.
Sarebbe davvero seccante se Renzi, per rinnovare il patto del Nazareno, dovesse raggiungerlo nel parlatorio di San Vittore e comunicare con il detenuto costituente al citofono, attraverso il vetro antiproiettile, come Genny e donna Imma con don Pietro Savastano.
Non c’è un minuto da perdere.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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