Giugno 3rd, 2014 Riccardo Fucile
LE MILLE DICHIARAZIONI CONTRADDITTORIE DALLA TV ALL’EUROPA
Più che uno vale uno, uno vale l’altro.
Pare infatti sia ovvio, nella medesima giornata e alla medesima ora, trascurare la parata del 2 giugno e sostenere che un «Paese senza rispetto dei suoi militari è un Paese senza dignità ».
I militari in questione sono i due marò detenuti in India e senz’altro i parlamentari a cinque stelle non trovano contraddizione fra le cose fatte e le cose dette.
Del resto la campagna elettorale delle Europee è stata condotta sull’accusa di voto di scambio rivolta a Matteo Renzi per gli ottanta euro in busta paga, mentre la promessa di un reddito di cittadinanza «è un’idea seria e concreta», come ha detto Beppe Grillo a Bruno Vespa.
Il quale Vespa era stato premiato, dopo sondaggio online promosso proprio da Grillo, col microfono di legno per il «giornalista più fazioso».
Così l’uomo indisponibile alla corruzione televisiva, alla fine in tv ci è andato, è andato giustamente dal «più fazioso» e alla fine l’ha elogiato: «Vespa è stato corretto».
Non ci si fermerebbe mai.
Una sentenza chiama sempre una controsentenza e poi una sentenza successiva con immediato ribaltamento.
In questi giorni il presidente della commissione di Vigilanza della Rai, il grillino Roberto Fico, esprime perplessità sui 150 milioni di euro chiesti dal governo alla tv pubblica: «Non rappresentano purtroppo una revisione di spesa ma sono la maschera per svendere parte di Raiway, la società che detiene l’infrastruttura pubblica di trasmissione».
Alla presidenza della commissione Fico ci era arrivato perchè, disse Grillo un anno fa, la Rai offre «propaganda gratis a spese di tutti i contribuenti italiani che hanno ripianato la perdita di 200 milioni di euro del 2012».
Renzi taglia? Non è così che si taglia.
Si propone la cancellazione delle province? Non è così che si cancellano le province. Fine del bicameralismo paritario? Non è così che se ne decreta la fine.
A un anno e qualche mese dall’inizio della legislatura, il Movimento non ha trovato un punto di incontro su alcun argomento con alcun partito, a costo di sembrare incoerente e prevenuto.
Del resto Grillo non voleva nemmeno incontrare Renzi nei giorni precedenti alla formazione del governo; interpellò la rete che diede indicazione opposta: vai a sentire che ha da dirti.
Grillo partì da Sanremo, giunse a Roma dopo sei o sette ore di automobile, si presentò da Renzi e gli disse: con te non ci parlo. Fine. Addio.
È stata l’ultima volta che abbiamo visto Grillo in streaming.
Eccolo, streming: uno dei termini fondamentali del vocabolario grillino. Manderemo tutto in streaming. Trasparenza. La casa di vetro.
Già alle prime riunioni dei parlamentari grillini negli hotel romani la diretta streaming funzionava forse che sì forse che no, ma più probabilmente no.
Oggi non interessa più a nessuno: Grillo vola a Londra a incontrare l’ultraconservatore Nigel Farage, e non se ne sa niente, impossibile vedere, vietato ascoltare.
Si installano le basi di un’alleanza imprevedibile («non ci alleiamo con nessuno, la demolizione è cominciata», diceva Grillo un anno fa e lo ha ripetuto per l’anno successivo) e stordente, visto che l’Ukip ha accenti xenofobi e, per stare su questioni più centrali della politica a cinque stelle, sostiene l’energia nucleare.
Il Movimento è per le rinnovabili eppure non trova agganci coi Verdi, e sarebbe questione di normale garbuglio italiano: più complicato orientarsi sulle elevate questioni costituzionali, risolte da Grillo con linguaggio classico e sincero: «La Costituzione non è carta da culo».
Ha stilato un elenco così di stupratori di legge fondamentale, e però dentro il suo gruppo ha reintrodotto il vincolo di mandato – cioè l’obbligo di votare in conformità col partito – previsto solamente nelle costituzioni del Portogallo, dell’India, del Bangladesh e di Panama.
È tutto così rotatorio da essere indiscutibile, si passa dal «siamo andati oltre la sconfitta» del 26 maggio a «la nostra affermazione è stata trasformata in una Caporetto, una Waterloo» di quarantotto ore dopo.
No sconfitta no dimissioni. Anche perchè, dice Grillo, «dimettermi da che? Non ho cariche».
Aveva detto: «Se perdo vado a casa sul serio». È tutto buono. Uno vale l’altro.
E poi, al massimo, Grillo scherzava.
Mattia Feltri
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Giugno 3rd, 2014 Riccardo Fucile
SPOSTAMENTI VERSO FITTO: POLVERINI, CAPEZZONE, RAVETTO… MATTEOLI TENTENNA, GELMINI NON MOLLA… PROVE DI DIALOGO CON ALFANO
Prima i botta e risposta aspri, scambiati in direzione, poi quelli arrivati a mezzo stampa e infine, la divisione delle truppe sul campo.
Dopo giorni di tensione sotterranea, ma mai nascosta, lo scontro tra Raffaele Fitto e Silvio Berlusconi è emerso con prepotenza.
Il terreno di battaglia è quello che da giorni agita Forza Italia, quella proposta di primarie a tutti i livelli sulla quale una parte del partito resta più che scettica, preferendo l’opzione congressuale.
Ma è proprio sulle primarie che Fitto, forte del suo successo elettorale del 25 maggio, intendere insistere, tanto da ribadire la sua tesi in un’intervista al Corriere della Sera. Che al Cavaliere non è piaciuta neanche un po’: “Quello che fa male al nostro movimento — dice Fitto — non è il libero dibattito di idee, ma la piccola dose quotidiana di falsità e veleni che alcuni mettono in circolo da troppo tempo. Chi discute in modo limpido dovrebbe essere una risorsa, e non un problema”.
E in vista dell’Ufficio di Presidenza annunciato da Berlusconi per i prossimi giorni, Fitto tesse la tela.
Anche perchè, come sottolineato dal candidato non eletto all’Europarlamento Simone Furlan, Forza Italia oggi “è un esercito che ha perso la bussola”.
Ma è anche- e soprattutto — un esercito diviso ormai, in due grandi aree.
Da un lato i berlusconiani di sempre, i Brunetta, i Romani, le Santanchè, quei big che mai per nulla al mondo lasceranno che il Cavaliere possa vedersi scippare la leadership da “mister preferenze” qualsiasi.
Dall’altro i “fittiani”, personaggi non certo di alto lignaggio arcoriano, ma capaci, comunque, di aggregare intorno a sè anche quella parte di fedelissimi, come la Biancofiore, per dirne una, che sono e resteranno fedeli a Silvio, ma che reputano necessario un sostanziale cambiamento interno, altrimenti il partito è destinato a morire.
Fittiani, si diceva. E sono i Galati e le Polverini, ma anche Rotondi e Capezzone, la Castiello e la Ravetto, quest’ultima impegnata a scrivere il documento proprio sulle primarie.
E’ un mare magnum che comprende anche Carfagna, Saverio Romano e un tentennante Matteoli che, comunque, in ufficio di presidenza si dice pronto a schierarsi con una maggioranza che ancora conta la Gelmini e Verdini, Tajani e Gasparri.
Insomma, i fittiani, al momento, non preoccupano, ma potrebbero far proseliti, con la loro voglia di “trasparenza” e “rinnovamento”, arrivando a costruire, per la prima volta nella storia di Forza Italia, un’area di minoranza che qualcuno ha stimato nell’ordine del 25%.
Un’area che, sostengono gli uomini più vicini a Berlusconi, sta facendo inferocire l’ex Cavaliere.
“Che nessuno si azzardi a pensare — sono state le sue parole di ieri — che io mi faccia mettere i piedi in testa da Fitto”. “Le primarie — sentenziava Gasparri — ora come ora si tradurrebbero solo in un’inutile rissa”.
Par di capire, dunque, che la questione non si risolverà in breve tempo, neppure nel prossimo ufficio di presidenza. Fitto non ha alcuna intenzione di mollare, anche se il Mattinale non degnava di una sola riga d’importanza la questione interna andando, invece, a solleticare gli alfaniani, nel nome dell’unione dei moderati che tanto affascina l’ex delfino del Cavaliere.
E non solo lui: “Il centrodestra, se unito, vince, dal dopoguerra ad oggi — si legge nelle “parole chiave” del Mattinale — la sinistra ha vinto solo quando il centrodestra si è diviso. Berlusconi è stato il grande federatore, sarà il grande federatore”.
“Alfano lancia l’idea di coalizione popolare contro il Partito della Nazione — aggiunge il passaggio più rilevante — interessante. Ma tu allora che ci fai con Lupi e Lorenzin sull’ammiraglia che porta l’Italia al regime? Ti ha dato il permesso Renzi, una semilibertà basta che la sera torni nella galera della sua maggioranza? Che cos’e’? Una pena che devi finire di scontare quella che ti impone le catene d’oro di tre ministeri?”, conclude Il Mattinale.
Parole condivise da molti, in Forza Italia, che mettono in rilievo un punto che si preannuncia dirimente per il futuro “dialogo”: la contraddizione tra la costruzione di un centrodestra unito e l’appartenenza di Ncd al governo di Matteo Renzi. Un’appartenenza che anche Fratelli d’Italia vede come ostacolo insormontabile ad una futura alleanza.
Mentre, all’interno di Fi, è Maurizio Gasparri a farsi portavoce dell’ala più scettica di fronte all’invito dell’ex alleato. “Alfano sogna praterie, ma manca ancora un nuovo ‘Davide’”.
Le fibrillazioni, del resto, non si esauriscono al rapporto tra Fi e Ncd. E’ l’intero centrodestra ad essere in fermento, dentro e fuori i partiti.
Come tra le file di Fratelli d’Italia, con Giorgia Meloni che apre al dialogo con la Lega su alcuni temi chiave come legalità , giustizia e sovranità , e preannuncia un incontro con Salvini.
Tra le altre formazioni moderate tiene invece banco un progetto di unificazione che potrebbe avere i suoi frutti già la prossima settimana, quella dei gruppi parlamentari di Ncd, Udc e Popolari.
Un’unione che renderebbe corposa e certamente più incisiva la ‘gamba’ moderata del governo, con una quarantina di senatori pronti a far sentire la propria voce anche nelle commissioni.
Ma anche su questa prova di alleanza, i nodi da sciogliere non mancano, come quello della scelta degli eventuali nuovi capigruppo, che potrebbe anche toccare a chi, come i Popolari, è rimasto quasi all’asciutto con la formazione del nuovo esecutivo.
Popolari che, sull’ipotesi di unire il centrodestra, sono tuttavia ancora divisi. Comunque, il trionfo del Pd sta cominciando a rimodellare l’intero panorama politico italiano. E il Cavaliere teme che, dentro questa nuova fase, lui possa finire stritolato dai venti di rinnovamento, messo definitivamente ai margini.
E non per colpa di Fitto, sia chiaro. Ma proprio per colpa di Renzi…
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Giugno 3rd, 2014 Riccardo Fucile
“VOLEVAMO DIRE STRANIERO”… LO STESSO ERRORE IN UN TESTO PRECEDENTE FIRMATO UN UN ESPONENTE DEL PD E UNO DELLA LEGA
Quello che si potrebbe definire come il “caso Saracenia” parte da quattordici firme.
Di altrettanti parlamentari del MoVimento Cinque Stelle. Per una proposta di legge che rischia di passare alla storia come un “epic fail” della politica.
Oggetto: la difesa dei prodotti agro-alimentari italiani dalla contraffazione.
Perchè – e questo si legge nel disegno di legge n° 1407 presentato lo scorso luglio alla Camera dei Deputati – “un terzo della pasta venduta in Italia è prodotto con grano saraceno”.
E qui se non ci fosse da ridere ci sarebbe da piangere. Perchè – evidentemente – per i 14 deputati grillini il grano in questione è quello prodotto dai saraceni, il popolo nomade fondatore dell’Islam.
Dal Movimento, una rettifica. Trattasi di refuso: “Volevamo dire grano straniero. E abbiamo chiesto più volte di cambiare il testo presentato alla Camera”.
Ma, molto probabilmente, si tratta solo di un copia e incolla finito male.
Perchè non è la prima che la “Saracenia”, viene evocata dalla politica italiana. Il grano saraceno, nella stessa accezione, compare anche nella “Relazione sulla Contraffazione nell’Agroalimentare” presentata il 6 dicembre 2011 dagli onorevoli Giovanni Fava (Lega Nord) e Luca Sani (Partito Democratico) nell’ambito delle attività della Commissione Parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della Contraffazione e della Pirateria in campo commerciale.
A pag. 90, vi si legge: “Metà delle nostre mozzarelle e dei nostri formaggi, non a denominazione di origine, non sono prodotti sul territorio nazionale ed un terzo della nostra pasta, venduta in Italia, è fatta con grano saraceno”. Insomma, una “leggerezza” che si trasmette di legislatura in legislatura, e che arriva quasi a configurare una sorta di sciatteria istituzionale permanente.
E come è facile immaginare, nelle ultime ore, in rete, non si twitta d’altro: l’invasione del grano saraceno.
E il secondo capoverso del disegno di legge del MoVimento – in compagnia del testo della Commissione parlamentare d’inchiesta – finisce sotto accusa.
La difesa della ragione, prima di quella del Made in Italy. Andrea Castelluccia, su Twitter, sintetizza la questione: “Bene, allora mettiamo i dazi contro la Saracenia”. Andrea Pesenti propone di ampliare la strategia grillina per la difesa del Made in Italy: “Ora mi aspetto dal MoVimento una moratoria sui bagni pubblici. Una roba tipo: Basta con le turche!”.
Seguito da Stefano Mucillo: “E perchè non boicottiamo il fico d’India per sostenere i nostri Marò?”.
Hubert Halles è allarmato: “E adesso cosa ne sarà della zuppa inglese? E dell’Insalata catalana?”.
Anna Lanzotti chiede: “Non è che qualcuno di voi si è svegliato con un saraceno nella dispensa?”. E Francesca Carissi affronta il nodo politico della questione: “In questo caso, restituire mezzo stipendio è troppo poco…”.
Tra i primi a rilanciare il fail, il blog “Duro di Sicilia”. Il cui autore commenta: “Maledetti saraceni hanno infestato le coste siciliane con razzie e saccheggi per secoli ed oggi continuano esportando il loro perfido grano”.
Ancora: “E poi, non sta scritto da nessuna parte che la pasta italiana sia fatta da un terzo di grano saraceno…”.
E in rete non manca chi cerca di difendere i parlamentari grillini, dando per buona la loro versione ufficiale. Fino alla comparsa del testo dei deputati Fava e Sani.
Infine, il mea culpa di Filippo Gallinella, uno dei deputati a Cinque Stelle firmatari del disegno di legge. Che su Facebook scrive: “Premesso che nonostante i numerosi passaggi che un testo subisce prima di essere pubblicato, l’errore in premessa è rimasto (saraceno al posto di straniero e perseguitabile al posto di perseguibile) è ovvio che è mia la responsabilità ; ma se l’unico modo per far parlare delle proposte continuerò a commettere errori”.
Si spera di no: logica suggerisce che è meglio considerare le proposte di legge in base al loro contenuto.Sperando che la politica non sia tutto un copia-incolla.
Carmine Saviano
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Giugno 3rd, 2014 Riccardo Fucile
ED ENTRO IL 2017 TUTTO IL FINANZAMENTO PUBBLICO SARA’ AZZERATO
Che tirasse una brutta aria si sapeva da tempo.
Se n’era accorto l’ex tesoriere del Pd Antonio Misiani, che annunciando di aver dovuto stringere la cinghia, un anno fa aveva fatto venire i brividi a qualcuno con una battuta alla Zanzara di Radio24 : «L’ultima cosa che farò è licenziare…».
Già : l’ultima. Soprattutto se n’era accorto, eccome, il tesoriere del Popolo della Libertà (quando quel partito esisteva ancora), Rocco Crimi, che qualche mese prima aveva dovuto spedire una letteraccia agli eletti.
Parlamentari e consiglieri regionali si erano impegnati a versare nelle casse del partito rispettivamente 800 e 500 euro al mese, ma molti di loro facevano il pesce in barile. Risultato, alla fine del 2011 c’erano 4,6 milioni di arretrati.
Forse pensavano che qualcuno prima o poi avrebbe provveduto a tappare il buco.
E chi, se non il capo, colui che i soldi li aveva sempre tirati fuori senza battere ciglio? Una valanga, come risulta dai bilanci di Forza Italia, che negli ultimi cinque anni prima di risorgere aveva accumulato perdite per 149 milioni e debiti per 61.
Il tutto, coperto da una fideiussione personale di 174 milioni.
Di chi? Ma del Cavaliere, ovvio. Le spese correvano senza freni, anche dopo. Tanto che Crimi, di fronte all’eventualità di rinunciare alla seconda tranche di finanziamento prevista per il 2012, per destinarla ai terremotati emiliani, veneti e lombardi, per poco non ebbe un mancamento.
Sfido: molto prima di incassarli, quei soldi li aveva già tutti scontati in un istituto di credito. Addirittura nel 2009.
E adesso, eravamo nel 2013, chi avrebbe tirato fuori i 20 milioni che sarebbero mancati all’appello per renderli alla banca
Il bello è che allora i famigerati rimborsi elettorali che avevano ingozzato i partiti per tanti anni erano stati soltanto dimezzati.
Ma ben presto sarebbe arrivata la pur discutibile (per certi aspetti) legge che invece li avrebbe azzerati del tutto entro il 2017.
Nonostante questo le macchine dei partiti hanno continuato a bruciare risorse ben più rilevanti delle reali disponibilità .
A sinistra come a destra. L’agenzia Adnkronos ha rivelato che «i debiti ereditati dalla gestione Bersani ammonterebbero a circa 9-10 milioni, a fronte del 7 previsti finora». Giovedì il consiglio federale della Lega Nord, gestione Matteo Salvini, ha preso atto che le casse del partito sono vuote: bei tempi, quando Francesco Belsito investiva i rimborsi elettorali in diamanti, lingotti d’oro e fondi offshore.
Mentre Silvio Berlusconi avrebbe fatto sapere che da vent’anni a questa parte si è svenato fin troppo.
Tommaso Labate ha raccontato su questo giornale che l’avventura politica sarebbe costata al Cavaliere qualcosa come 98 milioni: ben oltre metà della fideiussione da 174 milioni prestata alle banche.
Ma se investire tutti quei soldi poteva forse essere giustificato dal suo punto di vista quando c’era in ballo Palazzo Chigi, ora le cose sono radicalmente cambiate. L’anziano leader, azzoppato dalla condanna per frode fiscale e sotto la spada di Damocle delle altre inchieste giudiziarie, guida ormai il terzo partito italiano, che alle Europee del 25 maggio ha raggranellato appena il 40 per cento dei voti conquistati dal Pdl alle vittoriose elezioni politiche del 2008.
E a lui giocare in difesa non è mai piaciuto tanto.
Aggiungiamo che i conti delle aziende di famiglia non sono più così brillanti come in passato e il quadro è completo. La situazione, insomma, potrebbe essere ancora più difficile di quanto non appaia: circolano persino voci di qualche difficoltà nel pagamento degli affitti per i locali occupati dal partito di Berlusconi a palazzo Grazioli
La verità è che gli allarmi lanciati più volte dai tesorieri in questi ultimi due anni sono caduti quasi sempre nel vuoto.
E quando si è deciso di tagliare, non si è tagliato abbastanza. Pochi mesi fa il Cavaliere ha inaugurato la nuova sede di Forza Italia nella centralissima piazza San Lorenzo in Lucina, a Roma, celebrata dal Giornale di famiglia con un articolo nel quale si descrivevano ambienti sfarzosi, come «quello che è stato rinominato il Salone degli Specchi, 150 metri quadrati di stucchi, lampadari di cristallo, soffitti affrescati o a cassettoni d’epoca…».
Passi che il costo di quei locali prestigiosissimi della «Roma ladrona», per dirla con i più virili esponenti del partito di Roberto Calderoli, che da ministro della Semplificazione li occupava senza un lamento, sia di «appena» un milioncino l’anno, contro i 2,8 milioni della sede precedente in via dell’Umiltà .
La domanda è se quella somma, oggi, è compatibile con la nuova realtà finanziaria. Interrogativo più che legittimo, se per pagare stucchi e lampadari di cristallo Denis Verdini propone una piccola tassa di 50 euro l’anno a carico di ciascun militante.
Ed è una domanda da girare anche al Pd, che paga per la sede di via del Nazareno, subaffittata dalla Margherita ormai defunta dell’ex tesoriere Luigi Lusi, qualcosa come 1,3 milioni l’anno
Il fatto è che il taglio dei finanziamenti pubblici non è stato preceduto, come invece doveva essere in tutti i partiti, da un serio piano di ridimensionamento degli esborsi cresciuti in modo abnorme negli anni della corsa all’oro.
E non parliamo soltanto degli apparati, ma anche delle spese elettorali: che continuano a galoppare.
Da un sistema politico che a distanza di 65 anni non è ancora stato in grado di dare applicazione all’articolo 49 della Costituzione, stabilendo i paletti entro cui i partiti possono e devono muoversi, è difficile però pretendere tanto.
C’è solo da sperare che non finisca tutto in caciara, magari con qualche leggina ad hoc per salvare i bilanci in rosso.
Un film, purtroppo, che abbiamo già visto.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 3rd, 2014 Riccardo Fucile
IL GIUDICE DI CASSAZIONE, PUNTO DI RIFERIMENTO DEI CINQUESTELLE: “FARANGE E’ UNA MEZZA CALZETTA, RAZZISTA E PALADINO DEL LIBERISMO SELVAGGIO”
“Non avevo mai sentito parlare di questo Farage, poi mi sono documentato e mi sono messo le mani nei capelli. E’ un pazzo scatenato, la quintessenza del razzismo e del nazionalismo. Il M5S deve stare lontano da questo signore”. Lo dice Ferdinando Imposimato, giudice emerito della Cassazione e punto di riferimento dei 5 Stelle, a La Zanzara su Radio 24, definendo il leader dell’Ukip una “mezza calzetta”.
“È razzista e liberista, non voglio credere ad alleanza”
“E’ il paladino del liberismo selvaggio – dice Imposimato – e dell’antieuropeismo. Va contro la nostra costituzione e l’articolo 11, ma soprattutto contro il programma del Movimento basato su uguaglianza e solidarietà . Questo qui invece vuole tutto il contrario. Per l’amor di Dio. Condivido quello che ha detto l’onorevole Giulia Sarti, ha fatto un’analisi perfetta”.
“Grillo – aggiunge- non si è documentato bene. Farage è una mezza calzetta, mica Churchill. E poi non sopporto l’Inghilterra, vogliono solo sabotare l’Europa. Grillo deve consultare la base, se facciamo un elenco delle cose negative di Farage stiamo qui fino a domani mattina, incredibile”
Se Grillo insiste lei lascia il movimento?: “Grillo si fermerà , il movimento è democratico. Non è così ostinato da scegliere uno che squalificherebbe il Movimento. Farage è pericoloso, uno da tenere lontano. E’ stato pure un sostenitore di Berlusconi, mi pare. Questa alleanza non ci sarà mai, stimo troppo Grillo e i ragazzi del 5 Stelle. Non ci credo, è un’ipotesi che non esiste. Ma se per assurdo dovesse accadere prenderò le mie decisioni”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 3rd, 2014 Riccardo Fucile
A SALVINI E’ BASTATO PRENDERE LA META’ DEI VOTI DI BOSSI PER LANCIARE L’OPA SULLE “SORELLE D’ITALIA” SENZA IDENTITA’… E A PALAZZO GRAZIOLI TIRANO LE FILA DEL MERCATINO DELL’USATO INSICURO
Uno si è salvato il fondoschiena grazie al fatto che gli italiani devono sempre trovare un “nemico principale” cui addossare l’incapacità della propria classe dirigente a governare il Paese senza creare debiti pubblici paurosi.
Non sono la corruzione diffusa, le mafie, l’evasione fiscale a rendere impraticabili i nostri bilanci, non è l’abitudine italica agli sprechi e al menefreghismo, ai privilegi e alla bustarella ad averci messo nei guai nei confronti di nazioni più attente alla legalità e alle regole: no, a noi ci ha fregato l’Euro e la Bce.
L’ex compagno Salvini ha accompagnato la sua felpa in giro per comizi e qualche boccalone lo ha trovato: il necessario per passare dal 4,3% al 6% e assicurarsi altri cinque anni di paga dalla Casta.
Non certo un gran risultato, considerando che la Lega di Bossi viaggiava pochi anni fa intorno al 12%. Poi piovvero i lingotti tanzaniani di Belsito, decine di esponenti sotto processo e in via Bellerio cadde l’oscurità , la stessa che aveva impedito per dieci anni all’ex compagno Salvini di accorgersi delle porcherie che accadevano intorno a lui.
Salvini passò in tempo con Maroni e prese anche lui la scopa per il manico: se non fosse che Tosi è finito bruciato dagli scandali delle tangenti a Verona probabilmente Matteo sarebbe rimasto a ingoiare la colla dei manifesti, ma necessitando di una figura “militante”, Maroni ha dovuto virare su di lui.
“Meno secessione e più poltrone”, inizia il nuovo corso.
Salvini è un buon orecchiante più che un ideologo, quindi si butta su una battaglia di moda, la lotta a indefinite banche e all’Euro.
Spazio coperto a sinistra, ma non a destra: obiettivo superare il 4% delle Europee.
Un’operazione di marketing perfettamente riuscita visto il minimo obiettivo, non certo una gran vittoria.
Ma per certa base leghista, orfana di Bossi e mai troppo innamorata del languido Maroni con annessa cappella votina, un Salvini è sufficiente per votare Carroccio “scurdandoce ‘o passato”.
L’altra non si è salvata: premiata dal photoshop, fregata dal photofinish.
Nonostante i suoi blo-blo-blo su tutte le Tv italiche cui ha avuto improvvisamente e miracolosamente accesso in nome del “cui prodest”, nonostante il disfacimento della doppia tessera de “la Destra” e il veloce accasamento di Storace, nonostante l’aiutino della fondazione An, specializzata nell’affitto annuale di simboli, nonostante la campagna acquisti sul territorio di ex An in disarmo (quelli che avevano ormai buttato la divisa, stile la Grande Guerra), la confraternita si è schiantata in prossimità della pista.
Nella lotta fraticida all’ultimo sputo sull’euro, i fratelli sono rimasti fregati dalla maggiore salivazione di zio Matteo e ora deglutiscono amaro.
Non hanno capito che i valori da rappresentare della destra oggi sono altri: la società si evolve e senza retroterra culturale e capacità di analisi politica di strada se ne fa poca.
Siamo convinti che tra il 40% di non votanti alle Europee vi sia una percentuale di uomini e donne di destra “non rappresentati”, certamente superiori alle percentuali raggiunte da Fratello sola e Sorella luna (e dalla stessa Lega).
Per non parlare di quelli “costretti” a votare per altri partiti (vedi Cinquestelle).
Arriviamo così al dopo-elezioni e al mercato dell’usato insicuro: non contenti del giudizio negativo dell’elettorato di destra (riferiamoci al 15% raggiunto a suo tempo da An?), invece che riflettere su una linea culturalmente inadeguata e a un “messaggio” percepito attuale come la pubblicità della brillantina Linetti, che fanno i Fratelli photoshop?
Vendono quel poco di valori di riferimento, ancorabili a destra, che sono rimasti, almeno nella base militante, come l’unità nazionale e la solidarietà sociale, a chi pone all’art. 1 dello Statuto lo scopo “del conseguimento dell’indipendenza della Padania e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica federale indipendente e sovrana”.
Sentite questa affermazione dell’ideologo Salvini: “Che senso ha parlare di unità nazionale, di Patria e di tricolore in un Paese che ha il 46 per cento di disoccupazione giovanile?”. Lui (che parla di una Padania che non esiste) pone in correlazione il venir meno dell’esigenza di unità nazionale col tasso di disoccupazione. Mah, ci sembra un po’ grossa anche per chi è 12 anni fuori corso.
Gli chiediamo, con la stessa logica: accertato che i massimi vertici della Lega sono stati inquisiti in quanto ladroni per ben oltre il 40%, la Lega avrebbe allora dovuto sciogliersi?
A che titolo lui non si è buttato a mare dichiarandosi profugo da ladrocini?
Se il federalismo gestito da suoi ministri ha aumentato il debito pubblico e si è rivelato una patacca, perchè continuare a sbandierarlo?
Che c’entra tutto questo ciarpame con la tradizione della destra italiana?
Cosa c’entra con le conquiste sociali del primo fascismo l’affogamento dei profughi o la difesa degli evasori fiscali?
Per non parlare di cazzate iperboliche come ripristinare le case chiuse e amenità varie ?
Sicurezza e legalità non vogliono dire clima da caserma, vogliono dire magari non votare contro l’arresto di politici accusati di essere mafiosi, vuol dire non avallare che Ruby fosse la nipote di Mubarak, vuol dire non farsi telecomandare il voto da pregiudicati e condannati.
Che destra è mai quella che fa propri i temi di anti europei dopo aver gridato nelle piazze per anni “Europa nazione”?
Dopo essere scesi in piazza contro gli imperialismi, ora dobbiamo marciare con Putin?
Dopo aver denunciato l’asse finanziario che condiziona il mondo dobbiamo abbattere l’euro per poi farci governare dalle banche americane e dai fondi anonimi?
Ma che libri hanno mai letto costoro?
Altro che alleanze improbabili, una nuova destra dovrebbe avere il coraggio di “camminare” da sola per almeno 5 anni. Per ribadire la propria identità , con l’ambizione non di fare da ruota di scorta in caso di necessità , ma di voler guidare l’auto del futuro.
E per iniziare occorre rottamare venti anni di servilismo, di compromessi, di poltronisti che hanno perso contatto con la realtà del Paese.
Altro che “Salvini si può”, siamo al “si salvi chi può”.
E non parliamo di salvare poltrone, ma di coscienze, di cervelli, di dignità .
Per chi ancora ne ha.
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Giugno 3rd, 2014 Riccardo Fucile
ETIHAD PER INVESTIRE PRETENDE 2500/3000 TAGLI AL PERSONALE NELL’EX COMPAGNIA DI BANDIERA… GLI AMMORTIZZATORI SONO FINANZIATI, OLTRECHà‰ CON I SOLDI STATALI, ANCHE CON UNA TASSA SUI BIGLIETTI AEREI
Chi pagherà per le migliaia di dipendenti Alitalia che gli arabi di Etihad non vogliono?
Con molta probabilità i contribuenti italiani che, dopo essersi sobbarcati un fardello tra i 3 e i 4 miliardi di euro per mettere una toppa sulla vecchia compagnia di bandiera statale, saranno di nuovo costretti a portare il loro obolo all’azienda dei capitani coraggiosi, i famosi “patrioti” mandati allo sbaraglio da Silvio Berlusconi e ora costretti ad alzare bandiera bianca.
James Hogan, il capo della compagnia di Abu Dhabi che sta per impossessarsi della società italiana, su questo punto è stato irremovibile: 13 mila e passa lavoratori in un’azienda come quella di Fiumicino che fattura poco più di 2 miliardi e mezzo di euro l’anno sono troppi.
Etihad, è vero, di dipendenti ne ha anche di più, 17 mila, e ad una valutazione sommaria sembrerebbe un’azienda più modesta rispetto ad Alitalia, con una trentina di aerei in meno (89 contro 120) e una vita breve alle spalle.
Ma a differenza di Alitalia che boccheggia, Etihad ha il vento in poppa e fattura quasi il doppio, 4 miliardi e 600 milioni di euro.
Qualche mesa fa, poi, ha sbalordito il mondo aeronautico con un ordine monster alla Boeing per decine di aerei e un valore di 200 miliardi di dollari.
Da mesi, inoltre, gli arabi perseguono una martellante campagna di conquista annettendo una compagnia dopo l’altra: Air Berlin, Air Lingus, Darwin Airline, Air Serbia in Europa. Virgin Australia e Air Seychelles nel resto del mondo.
Alitalia, al contrario, riuscirà a sopravvivere solo grazie ad Etihad che dovrebbe portare in dote 560 milioni di euro, stando almeno alle dichiarazioni del ministro italiano dei Trasporti, il ciellino Maurizio Lupi.
Con questa cifra gli arabi metteranno le mani sul 49 per cento del capitale, non una virgola in più per non correre il rischio di far apparire la nuova Alitalia una compagnia extra Ue a tutti gli effetti, con testa e portafoglio ad Abu Dhabi.
Con tutte le conseguenze negative che ciò comporterebbe, a cominciare dalla rinuncia a parte dei diritti di volo dell’azienda italiana.
Di recente l’Enac (l’ente dell’aviazione civile) ha dovuto fermare una delle collegate Alitalia, Cai Second, perchè risultava che la manutenzione fosse insufficiente.
Poi si è scoperto che i lavoratori di quel ramo d’azienda sono ormai così pochi che non fanno in tempo a trascrivere sui registri gli interventi di riparazione effettuati per cui la manutenzione, anche se prestata, risulta dagli atti incompleta.
Per effetto della cassa integrazione e dei contratti di solidarietà ci sono dipendenti di Fiumicino che lavorano appena 7/8 giorni al mese e ci sono 280 piloti in solidarietà e 28 in cassa integrazione.
Nonostante la forza lavoro Alitalia sia stata di fatto ridotta per effetto degli accordi tra i sindacati e la compagnia sottoscritti appena tre mesi e mezzo fa, gli arabi non vogliono sentir ragioni.
Quanti dipendenti saranno espulsi? Finchè non saranno resi noti i termini della famosa lettera con le condizioni precise dei capi di Etihad, bisogna accontentarsi delle indiscrezioni: si parla di 2.600/3.000 lavoratori.
Ai capi di Etihad il sistema usato per buttar fuori tutta questa gente interessa relativamente poco, dal loro punto di vista conta il risultato.
Escluso che possano essere licenziati di brutto per non creare drammi sociali, sarà soprattutto il governo a dover prendere in mano la patata bollente finanziando qualche forma di assistenza.
In occasione della prima crisi Alitalia del 2008 è stato istituito un Fondo volo alimentato in parte dalle compagnie italiane (dipendenti e datori di lavoro), dallo Stato attraverso la fiscalità generale e dai viaggiatori quando acquistano i biglietti.
Qualsiasi passeggero in partenza da un aeroporto italiano senza saperlo paga il biglietto 2 euro in più proprio per sostenere questo Fondo.
Fondo che serve oltre che per Alitalia, anche per pagare i 1.350 esuberi di Meridiana fino a giungo 2015.
Il tutto a spese di chi viaggia.
È già previsto che dal 2016 il contributo salga a 3 euro. Ma vista la piega presa dalla vicenda Alitalia-Etihad non è affatto escluso che l’aumento scatti subito.
Daniele Martini
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 3rd, 2014 Riccardo Fucile
LA COMMISSIONE UE NON VUOLE ROVINARE LA FESTA A RENZI
Matteo Renzi è l’unico leader europeo al potere che ha guadagnato consensi e ha arginato l’onda degli euroscettici, meglio non disturbarlo e lasciarlo lavorare.
È questo il messaggio politico che arriva dalle raccomandazioni che la Commissione ha presentato ieri per l’Italia e per gli altri 27 Paesi.
“Commissione Ue apprezza riforme italiane. Debito alto, lo sapevamo: acceleriamo riforme e privatizzazioni per ridurlo in modo sostenibile”, sintetizza su Twitter il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
Nella finanza pubblica i numeri perdono la fredda oggettività che hanno nella matematica e diventano flessibili, interpretabili, a seconda delle esigenze della politica.
E in questo caso a Bruxelles hanno deciso che a Renzi non bisogna creare troppi problemi. Anche perchè lui ha già fatto capire di considerare trascurabili le imposizioni di questa Commissione che è in scadenza e ha pochi mesi di vita.
Il commissario agli Affari economici Olli Rehn, tornato in carica dopo la campagna elettorale e in attesa di comunicare se lascerà in anticipo per accettare un seggio all’Europarlamento con i liberali, sembra feroce come sempre: “Rimandare i risultati dell’obiettivo di medio termine non mette l’Italia in una buona posizione per il rispetto delle regole che ha sottoscritto e votato, mettendole anche nella Costituzione, quindi deve fare l’aggiustamento richiesto anche per tutelare l’onore del Paese”.
E nel documento si parla di “sforzi aggiuntivi” necessari per il 2014.
Ma al ministero del Tesoro la linea è chiara: loro chiedono di ridurre il debito, il governo non lo farà perchè è convinto che le riforme faranno salire il Pil abbastanza da rendere questa piccola dose ulteriore di austerità non necessaria.
Traduzione in numeri: le nuove regole europee (Six Pack e Fiscal compact) prevedono un miglioramento annuale del saldo di bilancio strutturale dello 0,5 per cento del Pil fino al pareggio strutturale che Renzi ha deciso di spostare dal 2015 al 2016.
Inoltre serve una riduzione del debito con interventi strutturali (cioè duraturi, non una tantum).
Secondo i calcoli della Commissione, l’Italia dovrebbe fare un aggiustamento strutturale dello 0,7 per cento del Pil, il governo Renzi è così convinto che le sue riforme spingeranno il Pil e quindi ridurranno il rapporto tra debito e ricchezza prodotta che è disposto a fare un aggiustamento solo dello 0,1.
Da novembre scorso, quando c’era ancora Enrico Letta, la Commissione chiede senza successo che l’Italia preveda misure per altri 0,6 punti di Pil, circa 9 miliardi.
Nessuno la ascolta, ma anche i tecnici della Commissione sanno essere garbati.
“Vogliamo applicare le regole in modo intelligente e ragionevole. Non chiediamo quindi nessuna manovra aggiuntiva immediata, ma solo di rafforzare le misure di bilancio per il 2014 e di attuarle rigorosamente; chiediamo anche di essere disposti a prendere nuove misure se necessario quest’anno e soprattutto per l’anno prossimo”, è il ragionamento nella direzione Economia e finanza che risponde a Olli Rehn. Tradotto dal bruxellese: non sarà la Commissione ad azzoppare Renzi.
Il premier, forte del suo 40,8 per cento di voti alle elezioni europee, è libero di governare.
Ma in autunno si faranno i conti e si scoprirà chi è il vincitore tra l’ottimismo della volontà renziana e il pessimismo della ragione europea.
E allora l’esecutivo dovrà essere pronto a “sforzi aggiuntivi” sul 2014 e a maggior ragione sul 2015.
Le promesse economiche che Renzi deve mantenere sono tante e difficili: la Commissione definisce “ambizioso” il programma di privatizzazioni da 10,5 miliardi da incassare entro dicembre.
Poi c’è la revisione della spesa secondo le indicazioni del commissario Carlo Cottarelli, mai entrato davvero in sintonia con il premier, la legge delega sul fisco che dovrebbe rivedere tutte le agevolazioni, la riforma del catasto per rendere più sensate le imposte sulla casa, la riforma delle regole del mercato del lavoro che per ora è affidata soltanto a una legge delega dalle prospettive come minimo un po’ incerte, e anche una revisione delle procedure di spesa dei fondi pubblici europei che l’Italia fatica a impiegare (Renzi l’ha invocata in campagna elettorale senza dare dettagli), la lotta alla corruzione, che a Bruxelles piacerebbe integrata da una riforma della prescrizione.
In pratica la Commissione ha preso il Piano nazionale di riforme che Renzi e Padoan hanno mandato a Bruxelles qualche settimana fa e l’ha trasformato nelle raccomandazioni: fate quello che avete promesso, se ne siete capaci.
Il contesto attorno all’Italia è diverso da quello degli anni bui dell’austerità .
Sei Paesi sono usciti dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo, il tasso di disoccupazione in Europa sta scendendo un poco (sarà il 10,4 per cento nel 2015), gli Stati sotto il giogo della Troika stanno facendo le riforme desiderate dai teorici del rigore.
Renzi si trova al posto giusto e al momento giusto per ottenere un credito che ai suoi predecessori non sarebbe stato concesso.
Stefano Feltri
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Giugno 3rd, 2014 Riccardo Fucile
RESA DEI CONTI IL PROSSIMO 10 GIUGNO NELL’UFFICIO DI PRESIDENZA DI FORZA ITALIA: BERLUSCONI NON MOLLERà€
A Maglie, che è anche il paese di Aldo Moro, alle Europee Forza Italia ha avuto una percentuale renziana, quasi a toccare il 40 per cento.
Ha raccolto, per la precisione, il 37,91 per cento che equivale a 2.745 voti.
Di queste schede, la bellezza di 2.343 sono uscite dalle urne con scritto su il nome di Raffaele Fitto, la nuova bestia nera di Berlusconi dopo la tragica stagione dello scissionista Angelino Alfano.
La famiglia di Fitto è di Maglie e ha un dna indelebilmente democristiano. E se “Angelino” è l’ex delfino di B., sicuramente “Raffaele” è l’ex “protesi”.
Silvio Berlusconi dixit nel 2001: “Fitto è bravo, intelligente e concreto. È una mia protesi”. Quasi un profezia multitasking. Le protesi, in Puglia, rimandano non solo a Fitto ma pure a Tarantini, alle tangenti sanitarie, alle escort.
Il nuovo “Alfano” e la rivalità con Toti e Dudù
Le ambizioni di Fitto, ingigantite e rafforzate dal voto europeo (284.547 preferenze personali, Fi al 22,21 per cento nel sud e al 23,52 in Puglia), risalgono all’autunno scorso, quando Alfano andò via e nacque il Nuovo Centrodestra.
A capo della corrente dei lealisti fedeli a B., ossia dei falchi dal volto meno impresentabile, l’ex governatore pugliese era convinto di papparsi Forza Italia e di fare il primus inter pares nella rinascita azzurra voluta da Silvio.
Invece spuntò Giovanni Toti, a dicembre, e da allora i lealisti hanno cambiato i connotati. Opposizione al cerchio magico dell’ex Cavaliere e resa dei conti con Toti alle Europee. Le urne hanno dato ragione a Fitto e così è arrivata la richiesta di fare le primarie per le cariche di partito.Ma Berlusconi non vuole saperne.
Forza Italia è l’ultimo scudo rimastogli, da incandidabile decaduto, senza seggio.
Il documento di Verdini su congressi e partito
Sia B. sabato scorso, sia Toti ieri sul Corsera hanno sconfessato Fitto sulle primarie. Ma lui non molla. Il nuovo duello, faccia a faccia, sarà nell’ufficio di presidenza forzista convocato dopo i ballottaggi.
Denis Verdini, che negli ultimi giorni si è riallineato al cerchio magico allontanandosi da Fitto, presenterà d’intesa con Berlusconi un documento che prevede una stagione congressuale di Fi per le cariche interne e le primarie di coalizione per la scelta dei candidati nei prossimi turni elettorali.
Per il momento Fitto fa dire ai suoi che sarà “muro contro muro”.
E che in caso di sconfitta “non andremo via come Alfano”. Nel gioco dei veleni e dei retroscena, il sospetto è che la banda dei quattro di Palazzo Grazioli (Pascale e Rossi, Toti e il barboncino Dudù) faccia di tutto per costringere Fitto e i fittiani al passo d’addio.
Mara Carfagna, schierata con l’uomo di Maglie, lo ha denunciato pubblicamente: “Chi è vicino a B. ci calunnia a insaputa dello stesso Berlusconi”.
Dato per scontato che “Raffaele” finirà in minoranza, la vera partita è questa: avrà i nervi per resistere alla guerra senza quartiere del cerchio magico?
I fittiani di Roma e quelli della Puglia
Da capo dei lealisti, ai tempi di un’altra feroce guerra, quella alle colombe di Alfano, Fitto vantava su una corposa pattuglia che non voleva confondersi con il plurinquisito Verdini e la Pitonessa Santanchè.
Cioè: Gelmini, Nitto Palma, Bondi, Polverini, Bergamini, la già citata Carfagna, Prestigiacomo, Bernini. Oggi i suoi scudieri sono diminuiti.
Gli rimangono Carfagna e Polverini, con l’aggiunta del superfluo Capezzone, del siciliano Romano e del calabrese Galati.
Ma la vera forza di Fitto è il controllo del territorio. Il suo talento politico è tipicamente democristiano, a fronte della mancanza di carisma da comizio: gestione del potere, organizzazione e fedeltà degli eletti che rispondono a lui, capacità tattica di manovrare .
Una sorta di partito personale che ha attraversato, nell’ordine: Dc, Cdu, Pdl, Forza Italia.
In questo senso può contare sul corregionale Francesco Paolo Sisto, deputato esperto di riforme e leggi ad personam, e soprattutto su una decina di senatori pronti a scatenare l’inferno a suo segnale.
L’inferno non accadrà fino in fondo ma è pur sempre una concreta minaccia sospesa sulla testa dell’ex Cavaliere.
L’ultima umiliazione: ”Raffaele vai a Strasburgo”
A 44 anni Fitto è già un vecchio della politica. Il papà Salvatore, don Totò, che era presidente della Regione Puglia, morì in un incidente stradale nel 1988, e lui ne prese subito il posto.
Una successione forzata e dinastica in stile dc, con voti che si travasano di padre in figlio. Fitto vanta anche un discreto curriculum di guai giudiziari, in cui spicca una condanna per corruzione in primo grado.
A onor del vero, la sua opa su Forza Italia è più in chiave anti-Toti che antiberlusconiana. Ma Berlusconi ha già mostrato il pollice verso. Nel prossimo ufficio di presidenza non si accontenterà di batterlo.
Vorrà anche umiliarlo: “Caro Raffaele, quando ho detto di sì alla tua candidatura in Europa tu mi hai promesso che farai il parlamentare a Strasburgo, lasciando il seggio di deputato a Roma. Ti chiedo di mantenere la parola data”.
La leggenda nera del giovane vecchio
Attorno alla parabola di Fitto, fanno notare attenti forzisti, c’è una leggenda nera, di morte.
La sua carriera cominciò il giorno dei funerali del papà quando prese la parola, unico tra i figli, e ne tracciò un ritratto con voce ferma.
Un altro lutto decisivo per il suo destino fu quello di Pinuccio Tatarella da Cerignola, l’inventore di An. Tatarella morì nel ’99 e i maligni raccontano che da allora Fitto ebbe spianata la strada in Puglia.
Capito Berlusconi?
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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