Giugno 19th, 2014 Riccardo Fucile
GASPARRI: “SONO MESI CHE LO CHIEDO E NESSUNO MI RISPONDE”…C’E’ QUALCOSA DA NASCONDERE?
Una «task force» per risolvere il nodo del patrimonio immobiliare della Fondazione Alleanza Nazionale.
È la prima iniziativa messa in campo dalla Fondazione stessa per affrontare un problema, quello degli edifici appartenuti al defunto partito di via della Scrofa, che con il passare del tempo si è complicato sempre più e che all’ente nato sulle ceneri di An costa sia in termini di imposizioni fiscali che di svalutazione del valore di mercato.
Meno di un anno fa la Fondazione aveva deciso di emettere un bando per permettere, a titolo oneroso agevolato, l’utilizzo degli immobili «da parte di soggetti di area». Successivamente, però, l’approvazione della riforma sul finanziamento ai partiti aveva consigliato un «congelamento» del bando e la situazione era rimasta invariata.
Al punto che il vicepresidente del Senato e membro del CdA della Fondazione, Maurizio Gasparri, aveva scritto agli altri consiglieri per sollecitare una soluzione che permettesse di mettere a reddito gli immobili: una settantina.
Alla lettera di Gasparri ha risposto due giorni fa il presidente della Fondazione Franco Mugnai. «Non vi è dubbio che la gestione del nostro patrimonio immobiliare sia questione delicata ed urgente» ha ammesso Mugnai.
Comunicando, però, che nel corso dell’ultimo CdA, tenutosi il 12 giugno, è stata creata una «squadra» che avrà il compito di «approfondire, con la massima sollecitudine, le complesse problematiche fiscali, tributarie etc, afferenti l’eventuale scioglimento/assorbimento delle società (immobiliari, ndr) con conferimento sostanziale dei beni alla Fondazione, destinando peraltro uno specifico budget di 50.000,00 a tale operazione».
In pratica, la Fondazione vorrebbe «cancellare» le società che detengono ufficialmente gli edifici: l’Italimmobili Srl e l’Immobiliare Nuova Mancini srl.
Inoltre il «team» – che sarà composto dallo stesso presidente Mugnai, dal segretario generale Antonio Giordano, dai consiglieri Antonino Caruso e Maurizio Leo e dai presidenti delle due società immobiliari – dovrà «elaborare possibili soluzioni inerenti la complessiva gestione del patrimonio da sottoporre al Consiglio»
Un impegno che Gasparri, che ha sollevato la vicenda, sembra apprezzare, ma che non giudica sufficiente.
Lo stesso giorno, infatti, il vicepresidente del Senato ha scritto una nuova lettera ai consiglieri: «Caro Franco, resta il fatto – ha sottolineato – che passano i mesi e non si sa se e da chi vengano utilizzati gli immobili ex An».
«Ho chiesto e chiedo – ha continuato Gasparri – prima ancora di diverse soluzioni organizzative per la gestione del patrimonio, di rendere noti gli eventuali utilizzatori di questi immobili. Sono tutti in abbandono? Sono sedi politiche attive? Utilizzate da chi? A questa semplice domanda si può e si deve rispondere subito e credo che chi presiede le società proprietarie degli immobili debba fornirti, e poi tu a noi, ogni notizia disponibile. Anche, spero di no, di non sapere nulla di quel che accade. Però così non si può andare avanti».
Il caso non finisce qui.
(da “il Tempo”)
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Giugno 19th, 2014 Riccardo Fucile
IL PD HA TAGLIATO DEL 40% LE SPESE PER I FORNITORI MA HA 10 MILIONI DI DEBITI, LA LEGA HA DUE ANNI DI VITA E UN PASSIVO DI 14 MILIONI, FORZA ITALIA HA UN BUCO DI 88 MILIONI
È allarme rosso per la politica in Italia. E i comunisti, per una volta, non c’entrano.
Il rosso, profondissimo, è quello in cui sono precipitati i bilanci dei partiti dopo la sforbiciata al Bancomat del finanziamento pubblico
I numeri parlano da soli: Pd, Forza Italia, Pdl e Lega – il Movimento 5 Stelle, che ha rinunciato ai contributi, non presenta rendiconto economico – hanno chiuso il 2013 in passivo di 55 milioni.
E tutto lascia prevedere che la voragine sia destinata ad allargarsi: i 290 milioni di aiuti di stato incassati nel 2010 sono un ricordo del passato.
Oggi sono scesi a 91 milioni e nel 2017 spariranno del tutto.
La raccolta di fondi privati, destinata a tappare il buco, non ingrana (quella della Lega è scesa addirittura da 6,8 a 3,8 milioni).
E a tradire sono pure i parlamentari: il 30-40% degli onorevoli di Forza Italia – per la rabbia dell’ex-Cav. – si sarebbe “scordato” nel 2013 di versare la quota di finanziamento al movimento.
Risultato: in attesa del decollo del 2 per mille, l’unico modo per tamponare l’emergenza è tagliare i costi
Tutto l’arco costituzionale si è messo così a dieta: il Pd ha ridotto del 40% le spese per le forniture.
Via Bellerio ha abbassato del 66% i costi delle auto di proprietà .
E il Popolo della libertà , destinato a estinzione causa divorzio tra Silvio e Angelino, ha addirittura licenziato a 41 dipendenti.
Ma la medicina, per ora, dà scarsi risultati
IL PD IN SPENDING REVIEW
Il Pd di Renzi ha affidato al tesoriere Francesco Bonifazi, un fedelissimo del premier, il compito di sistemare i conti del partito.
Il percorso è però in salita: il 2013 si è chiuso in rosso di 10,4 milioni. Colpa, dicono i consulenti di Dla Piper, del costo eccessivo dei servizi (1,14 milioni di consulenze, 762 mila di manutenzioni), degli affitti d’oro di via Tomacelli e via del Tritone e delle spese-monstre per segreteria (oltre un milione) e per le elezioni politiche (6,9 milioni). Nel 2014 i contributi al Pd scenderanno da 24 a 12 milioni ma l’obiettivo – assicura Bonifazi – è quello di arrivare al pareggio.
Come? Tagliando le forniture del 40% («obiettivo già raggiunto »), riducendo le diarie per le trasferte e spendendo meno per le elezioni.
Le europee di maggio sono costate 3,3 milioni contro i 13,5 pagati nel 2009. I contratti per Tomacelli e Tritone sono già stati disdetti «e si sta trattando per la risoluzione anticipata». Sperando – garantisce il neo-tesoriere – «di non toccare i livelli occupazionali»
LE SPINE DEL CARROCCIO
Altro che «Basta euro». Gli euro, alla Lega, servirebbero eccome.
Il piatto, in via Bellerio, piange: i finanziamenti pubblici nel 2013 sono scesi da 8,8 a 6,5 milioni. Le quote associative sono a – 30%.
Tre milioni se ne sono andati per le cause legali del dopo-Belsito, malgrado siano già stati spesati 881mila euro di perdite per «assegni emessi a favore di persone sconosciute» e 417mila euro «per prelievi non giustificati».
Souvenir dei tempi gloriosi in cui i quattrini del Carroccio finanziavano le lauree del Trota e hit come “ Kooly Noody”, indimenticabile canzone del fidanzato della pasionaria Rosy Mauro.
Oggi queste cose non succedono più e gli organici del partito sono stati ridotti da 80 a 73 dipendenti.
Il 2013 però si è chiuso in rosso per 14,4 milioni e il patrimonio è crollato a 16 milioni.
«Abbiamo due anni di vita» ha vaticinato un po’ funereo Stefano Stefani, segretario amministrativo del movimento. «Chiederemo soldi ai privati», ha aggiunto Matteo Salvini. Il collegio sindacale è meno ottimista: «Per garantire la sostenibilità del movimento – scrive nella sua relazione – serve senza indugio una riorganizzazione per il risanamento dei costi di gestione”.
UNA COOP DI NOME BERLUSCONI
Dalle stelle alle stalle. Per anni Forza Italia ha campato grazie al portafoglio di Silvio Berlusconi che per il partito ha impegnato la bellezza di 102 milioni.
Ora la pacchia è finita: «La nostra unica Coop era Silvio Berlusconi e la sinistra ha fatto una legge per impedirgli di finanziare Fi», recita lo slogan sulla home page del sito.
I risultati si vedono: il 2013 è in rosso di 15 milioni, i debiti sono 88 milioni.
«Siamo con l’acqua alla gola, servono soldi» ha detto l’ex – premier, scottato dai 15 milioni che ha appena speso per saldare i debiti di Forza Italia con il Pdl e dagli 87 milioni di fideiussioni con cui ha garantito la sua esposizione.
E a San Lorenzo in Lucina è scattata la caccia ai Giuda, i parlamentari che non versano la quota associativa al partito.
Nel 2011 questo fuoco amico aveva sottratto 4 milioni alle casse Pdl, l’anno dopo sei e ora le cose andrebbero ancora peggio.
LA BAD COMPANY PDL
Il Popolo della libertà è oggi la “bad company” del centro-destra.
Politicamente è una scatola vuota che però ha perso 14 milioni nel 2013 e vanta 18 milioni di debiti. Dei suoi 113 ex dipendenti, 54 sono stati assorbiti da Forza Italia. Poi si è proceduto a chiudere il sito internet, a rottamare i contratti a tempo determinato, a disdire la sede di via dell’Umiltà .
Le sforbiciate hanno garantito 5,8 milioni di risparmi. Una goccia nell’oceano delle perdite.
E così sono partite le lettere di licenziamento.
Ettore Livini
(da “La Repubblica“)
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Giugno 19th, 2014 Riccardo Fucile
DAI PUCCI DI BARSENTO AI FRESCOBALDI, DAGLI ANTINORI AI FERRAGAMO, PASSANDO PER I MAZZEI: LE STORICHE DINASTIE CON INTERESSI NELLA MODA, NELL’IMMOBILIARE E NEL CREDITO SCHIERATE CON LA NUOVA SINISTRA
Dopo il trasloco di Matteo Renzi a Palazzo Chigi i salotti fiorentini hanno perso il loro centro di gravità permanente.
Orfano del “magnifico messere” che se ne è andato via spegnendo le luci della Leopolda, il rinascimento gigliato è rimasto a corto di primavere.
Ora spera in quelle promesse da Dario Nardella che al primo turno delle ultime amministrative ha preso il posto lasciato libero da Matteo con una valanga di voti. In riva all’Arno lo chiamano “il giovane vecchio” perchè non ha il piglio del coetaneo rottamatore.
Ma i nobili fiorentini adorano fare i balocchi col potere.
E, seppure con scarso entusiasmo, sono subito balzati sul nuovo carro che porta la stessa targa renziana. In realtà i “mecenati da Big Bang” non portano molta benzina al motore economico della città .
La gran parte di queste dinastie campa soprattutto di moda, di vino o di rendite immobiliari.
Ci sono i Pucci di Barsento, con Laudomia figlia dello stilista Emilio ed erede della griffe di cui ancora oggi cura l’immagine ma che nel 2000 è stata ceduta ai francesi di Lvmh.
Sposata con l’amministratore delegato di Sace, Alessandro Castellano, Laudomia si diletta anche di olio e di eventi mondani.
Come quello che sta organizzando per il prossimo Pitti Uomo: per celebrare Firenze durante le sfilate, impacchetterà con i foulard creati dal babbo nientemeno che il Battistero.
Quasi una bestemmia, per i fiorentini, ma un affare per l’Opera del Duomo presieduta da Franco Lucchesi, amico di Marco Carrai. Attorno a Pitti ruotano anche i Della Gherardesca, con Sibilla che si occupa di relazioni e Gaddo che vende pubblicità , e i principi Corsini che affittano l’omonimo palazzo di famiglia per molti eventi della kermesse di moda.
A introdurre in società il giovane Matteo sono stati però i Frescobaldi.
Una delle eredi, Livia, è amica di Carrai e nel 2009 ha affittato a Renzi la mansarda di proprietà del marito marchese Luigi Malenchini.
Poi ci sono gli Antinori, iscritti all’Arte dei Vinattieri dal 1385, che hanno creato di recente un trust familiare per assicurarsi certezza nelle successioni e in cui custodire l’azienda industriale con 1. 700 ettari di vigneti.
Fra i trustees, ovvero le figure esterne a cui viene affidata la gestione del trust, c’è anche Ferruccio Ferragamo. Che proviene da una famiglia di origini campane diventata famosa a Firenze prima con la casa di moda fondata dal nonno Salvatore e poi col business alberghiero.
I Ferragamo (con il fratello di Ferruccio, Leonardo) presiedono anche l’Associazione Partners Palazzo Strozzi, che dal 2006 riunisce un gruppo di aziende private impegnate a sostenere con attività di fund raising la Fondazione Palazzo Strozzi guidata dall’ex banchiere della Bce nonchè renziano della prima ora, il conte Lorenzo Bini Smaghi.
Il quale è anche cugino di Jacopo Mazzei, ex presidente dell’Ente Cr Firenze, consuocero dell’ex numero uno dell’Eni Paolo Scaroni, amico nonchè finanziatore di Renzi ma soprattutto erede di un’altra storica famiglia fiorentina. Il cui dna intreccia vigna e finanza.
Ovvero la produzione vinicola di Fonterutoli e la Cassa di Risparmio di Firenze, che i Mazzei hanno guidato e aiutato a crescere, ma dalla quale hanno pure ricevuto ampi prestiti.
Oggi il gruppo, fondatore ed emblema del Chianti Classico, è in crisi di liquidità .
Le banche creditrici impongono una ristrutturazione del debito di circa 43 milioni (22 con Cr Firenze e 10 con Mps) che ha superato di oltre quattro volte il fatturato delle aziende di famiglia. Mazzei ha presentato un piano di risanamento per convincere gli istituti.
Compresa la Cassa fiorentina finita nel 2007 sotto il controllo di Intesa Sanpaolo, mentre il 10 % è rimasto in mano all’omonima Fondazione (che fra i consiglieri di amministrazione conta anche Carrai e Raffaello Napoleone, imparentato con i Mazzei e ad di Pitti Immagine).
Nelle scorse settimane l’ente ha eletto all’unanimità il nuovo presidente: Umberto Tombari, 48 anni, ordinario di diritto commerciale all’università di Firenze, fondatore dello studio legale dove ha lavorato anche il ministro Maria Elena Boschi ma soprattutto il candidato in quota renziana e assai gradito all’inner circle delle fondazioni.
Con i suoi 20-23 milioni da spandere ogni anno sul territorio, l’ente fiorentino è ancora considerato il forziere della città e controlla anche circa il 4% di Intesa nonchè il 17% dell’aeroporto di Peretola.
Ecco perchè gestirlo, garantisce dei poteri assai ambiti all’ombra del cupolone del Brunelleschi. Poteri ma anche responsabilità . La situazione economica ha messo in ginocchio sia le piccole e medie imprese, sia i big del settore immobiliare e della grande distribuzione.
A questo trend generale si aggiungono gli errori commessi dal circuito delle Coop, spesso frutto di logiche più “politiche” che finanziarie, come la scelta di realizzare ipermercati e centri commerciali low cost quando negli stessi anni nascevano lussuose gallerie nell’hinterland e outlet con griffe scontate in provincia.
I guai peggiori sono arrivati poi dal fronte finanziario. Nei bilanci di alcune di queste grandi cooperative, in primis della Unicoop uscita con le ossa rotte dal capitale del Montepaschi, sono state registrate svalutazioni importanti che hanno portato forti perdite.
Nel frattempo a Firenze si è consumata la battaglia sulla Camera di Commercio (azionista dell’aeroporto e di Firenze Fiera) che ha scelto il nuovo presidente: è Leonardo Bassilichi, attuale vicepresidente della Confindustria locale e proprietario insieme al fratello Marco dell’omonima azienda che opera nel settore della monetica e nei servizi di back office e di cui è azionista — nonchè principale cliente — anche Mps.
Renziani della prima ora, i Bassilichi sono anche soci della Editoriale Fiorentina, che pubblica il dorso di cronaca locale del Corriere della Sera.
Nuove poltrone e nuove porte a cui bussare per le grandi famiglie fiorentine in cerca di nuove primavere.
Camilla Conti
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Giugno 19th, 2014 Riccardo Fucile
OCCORRE RIDURRE IL LIVELLO DI TASSAZIONE E AGIRE SUGLI ONERI ACCESSORI, SUPERANDO LA DIVISIONE TRA TASSAZIONE DELLA PRODUZIONE E QUELLA SUL REDDITO
Non è facile affrontare certi argomenti “stringatamente”: se volessi condensare i pensieri in un concetto di sintesi, magari elaborando un volantino o un manifesto, scriverei, «basta alla politica della sinistra, basta con le “ricette keynesiane”.
Basta con le solite, sterili e mendaci “ridistribuzioni del gettito fiscale” e basta con la “politica dell’emergenza”, quella dei transuenti bonus per le assunzioni.
Il lavoro non si crea coi bonus.
In effetti il lavoro, tra le tante soluzioni possibili, si crea rimettendo in moto l’economia e facendo ripartire le imprese, ponendo fine a quella “sistemica” e sistematica asfissia rappresentata dalla perdurante tassazione otre ogni limite di decenza e dagli oneri “accessori”, oggettivamente eccessivi, soprattutto a fronte di un sistema pensionistico sempre più in sofferenza e che, grazie al sistematico innalzamento dell’età pensionabile, rischia seriamente di non essere fruito dagli aventi diritto all’atto del raggiungimento dell’età pensionabile.
E per ridurre le tasse, tra le tante cose da fare, bisognerà agire soprattutto “sull’interregno degli intoccabili” eliminando gli “sprechi di Stato” (dagli assurdi, abnormi stipendi dei politici e dirigenti pubblici ai vari “premi” per le caste e le variegate lobby e clientele di potere e di “sistema”) – e superando, elidendola, anche quell’assurda suddivisione tra tassazione sulla produzione e tassazione sul reddito che, non solo mortifica e vanifica le intelligenze, ma stritola e distrugge le imprese, soprattutto quelle più piccole: perchè quello che crea precarietà non sono le possibili forme “leggere” del contratto di lavoro ma gli assurdi e sproporzionati gravami di gestione non “compensabili”, in prospettiva, con bonus di breve durata e che rappresentano solo dei meri palliativi al problema.
Altrimenti detto, la tassazione sulla produzione va abolita e quella sul reddito, sia per le imprese che per i lavoratori, adeguatamente ridotta.
Anzi, simpaticamente variando sul tema — quasi a “mò” di ardente provocazione – questo sì che sarebbe proprio un bel “bonus” per il mercato ed un bel calcio di “rigore”, proprio “all’ultimo minuto”, contro ogni sorta di precarietà .
Salvatore Castello
www.rightblu.it
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Giugno 19th, 2014 Riccardo Fucile
UNA STORIA ESEMPLARE DI LAVORO E RISCATTO
Chi è nato in terra di pastorizia lo sa: lo yogurt fatto alla maniera antica racchiude in sè un mondo.
E’ il mistero antichissimo della fermentazione, sono le piccole ma fondamentali vite dei batteri che trasformano il latte, è la magia di ciò che rinasce ogni giorno.
Lo sanno anche Suleman, Aboubakar, Sidiki, Cheikh, Modibo e Youssouf, africani di Mali, Senegal e Guinea: ex braccianti agricoli sfruttati, reduci dalle rivolte di Rosarno del 2010, grazie allo yogurt hanno avviato un progetto a micro reddito, un’associazione di promozione sociale e una cooperativa sociale.
E la loro nuova attività di casari è diventata occasione di riscatto, autogestione e inserimento.
Da Rosarno a Roma, 150 litri di latte a settimana
Dal 2011 infatti i sei ragazzi producono e vendono lo yogurt Barikamà , “biologico e buonissimo” e rispettoso di uomo e ambiente.
In lingua bambarà , barikamà significa “latte forte”, e non è un caso.
Inizia tutto dopo Rosarno: “eravamo arrivati a Roma, senza lavoro, senza casa, senza niente. Abbiamo conosciuto una volontaria che faceva lo yogurt per sè. Ci ha insegnato a farlo e ci ha dato l’idea di venderlo. Noi abbiamo detto: va bene, vogliamo lavorare, vediamo cosa riusciamo a fare”.
Hanno iniziato in piccolo, negli spazi del centro sociale ex Snia, con 10-15 litri per volta.
“Lo portavamo ai mercatini per farlo assaggiare. All’inizio la gente era perplessa: ragazzi africani che fanno lo yogurt , sembrava strano — racconta Youssouf. — Poi qualche cliente ci ha dato fiducia” e i sei di Barikamà si sono organizzati per fare di più e meglio: “Oggi produciamo al caseificio del Casale di Martignano, vicino Roma. Abbiamo migliorato la tecnica e trasformiamo 150 litri di latte a settimana”.
Lo yogurt più sostenibile che c’è
Latte biologico dell’azienda Casale Nibbi di Amatrice, no addensanti, no dolcificanti, no coloranti, no conservanti.
Barattoli in vetro vuoto a rendere e trasporto in bicicletta per le strade della capitale. Così da questo progetto a microreddito nasce lo yogurt più sostenibile che c’è.
“Chi lo assaggia ci fa tanti complimenti ed è una bella soddisfazione — sorride Youssouf. — Dal progetto ricaviamo un sostegno economico e alcuni di noi hanno trovato lavoro, ma siamo contenti anche per tanti altri motivi: grazie a questa attività abbiamo stretto amicizie, migliorato il nostro italiano, conosciuto la cultura italiana e fatto conoscere la nostra”.
Nuovi progetti, “Vorremmo aiutare altri ragazzi come noi”
Il desiderio è quello di “essere di aiuto alle persone che come noi hanno vissuto e vivono lo sfruttamento lavorativo” e rappresentare “un esempio positivo”.
Da quest’estate con un passo in più: un piccolo orto biologico, sempre a Martignano. A Roma lo yogurt Barikamà arriva a domicilio e in vari mercati e gruppi di acquisto solidale.
Al progetto si può contribuire donando frigoriferi, barattoli di vetro, biciclette. Oppure segnalando bandi a cui i ragazzi di Barikamà possano concorrere.
Ilaria Romano
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 19th, 2014 Riccardo Fucile
VENDOLA NON RIESCE A RICUCIRE: “PER ME ERA COME UN FIGLIO”… MIGLIORE: “ROTTO IL RAPPORTO DI FIDUCIA”
Manca solo l’ufficialità , ma la scissione di Sel, dopo le aspre polemiche di ieri, sembra ormai inevitabile.
E comincia il fuggi-fuggi.
L’ex capogruppo alla Camera, Gennaro Migliore, e Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia, hanno comunicato oggi pomeriggio al presidente del partito, Nichi Vendola, le proprie irrevocabili dimissioni dal partito.
Migliore si dice su posizioni oramai “incompatibili con l’appartenenza” a Sel.
La lettera di Migliore.
“Si è interrotto”, scrive Migliore, “il reciproco rapporto di fiducia che è seguito alla discussione nel gruppo parlamentare sul decreto Irpef e al successivo voto parlamentare. Ieri però è stata messa in discussione, di fatto, non l’espressione di un punto di vista diverso, ma la deontologia di una posizione in seno a una comunità politica: sono stato accusato di “sequestro della linea” politica del partito, appunto. Di essere un sabotatore. Per me si è rotto ieri un vincolo di fiducia”.
Le motivazioni di Fava.
“Una scelta dolorosa e insieme inderogabile”, scrive invece Fava, “Inderogabile per la distanza che ormai separa Sel dal suo progetto originario. La scelta congressuale e le decisioni di questi mesi ci hanno portati ad abbandonare il terreno della nostra sfida politica naturale che era quello del socialismo europeo. Abbiamo preferito una collocazione in Europa e una pratica politica in Italia di forte arroccamento identitario”.
Gli altri in fuga.
Ma non è finita qui. Perchè sarebbero una decina i parlamentari — tra i quali Ileana Piazzoni, Nazareno Pilozzi, Guido Quaranta, Alessandro Zan e Fabio Lavagno — che dovrebbero seguire Migliore e probabilmente la deputata Titti De Salvo.
Ancora da stabilire il loro approdo immediato. Potrebbe esserci un primo passaggio al gruppo misto, per poi avviare un percorso unitario verso il Pd.
L’appello di Vendola.
“C’è il pericolo che qualche esponente vada via, non che il partito si spacchi. Le scissioni parlamentari sono altra cosa e spero che Gennaro Migliore torni sui propri passi perchè gli voglio bene e l’ho considerato come un figlio”.
Lo aveva detto il presidente Sel, Nichi Vendola, prima dell’annuncio di Fava, arrivando nella sede del partito per partecipare alla segreteria che oggi valuterà il da farsi dopo le dimissioni del capogruppo alla Camera Migliore
Storia di una spaccatura.
Questo pomeriggio, infatti, va in scena l’ennesima resa dei conti interna a Sel, dopo la recente diaspora di parlamentari verso il Pd, l’assemblea di sabato scorso e le fibrillanti riunioni del gruppo di Montecitorio, che hanno determinato una spaccatura tra le due anime del partito, il voto favorevole al decreto Irpef, e le dimissioni del presidente dei deputati, Gennaro Migliore.
La segreteria del partito, dunque, dovrà anche bilanciare i rapporti di forza interni, tra quanti caldeggiano una collaborazione attiva col Pd di Renzi e quanti invece chiedono di restare chiaramente all’opposizione di questo governo.
Il nodo dl Irpef.
“E’ in corso una discussione che riguarda una parte dei parlamentari e non il corpo diffuso di Sinistra Ecologia e Libertà “, aveva detto Vendola prima della segreteria in maniera piuttosto ottimistica. “Credo che abbiamo avuto un chiarimento che possa mettere sul giusto sentiero il nostro partito. Era del tutto legittimo votare sì” al decreto Irpef, “partendo dal fatto che quello che non si può fare è trasformare questo passaggio in un pretesto per entrare nella compagine di governo. Distruggere Sel – ha rilevato ancora – sarebbe uno spreco, perchè è una comunità esempio di buon governo”
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Giugno 19th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER DEPONE COME TESTIMONE NEL PROCESSO A LAVITOLA PER TENTATA ESTORSIONE A IMPREGILO
Non l’hanno fermato la condanna nè i vincoli del giudice di sorveglianza e men che meno la sua veste di testimone.
Silvio Berlusconi si è rivolto al collegio giudicante del processo a Valter Lavitola (una
presunta estorsione a Impregilo) prima chiedendo il motivo delle domande poste dai magistrati e poi, stizzito, tirando fuori uno dei suoi cavalli di battaglia: “La magistratura è incontrollata, incontrollabile, irresponsabile e ha l’immunità piena”.
Il processo è quello per tentata estorsione all’ex direttore dell’Avanti Valter Lavitola al presidente di Impregilo Massimo Ponzellini in relazione ad alcuni appalti a Panama.
I legali dell’ex Cavaliere avevano chiesto, tra l’altro, che potesse rispondere come “testimone assistito” o “imputato di processo connesso”, veste “speciale” che gli avrebbe permesso di non rispondere alle domande. Una richiesta che però i giudici hanno respinto dopo un’ora di camera di consiglio.
È durato un’ora e mezza l’interrogatorio di Berlusconi che in particolare ha ricostruito i momenti del viaggio a Panama, ultima tappa di un viaggio in America che lo vide partecipare nel 2010, in qualità di presidente del Consiglio, al G8 in Canada e poi a una cerimonia in Brasile.
In prima battuta è stata ascoltata in aula la telefonata del 2 agosto 2011 tra lo stesso Berlusconi e l’ex amministratore di Impregilo Ponzellini (a quell’epoca anche guida della Banca popolare di Milano). Una conversazione di cui Berlusconi si dice “orgoglioso”.
Il battibecco con il giudice
Ma durante la deposizione, dopo una serie di domande, Berlusconi si è rivolto al giudice dicendo: “Non capisco la necessità di chiedermi queste cose”, frase alla quale il giudice ha ribattuto: “Non c’è necessità che lei lo capisca”.
L’ex premier, evidentemente piccato dalla risposta, ha quindi detto al microfono: “La magistratura è incontrollata, incontrollabile e ha immunità piena”. Pronta la risposta ancora del giudice: “Ed è tutelata da un codice penale“.
“Sono rispettoso delle istituzioni — ha detto Berlusconi — posso solo aggiungere…”. Qui Ceppaluni lo ha interrotto: “Lei e un teste e risponde solo alle domande“.
Al termine del lungo interrogatorio, Berlusconi alzandosi ha poi consegnato alla giudice Ceppaluni un foglio con la formula di giuramento dei testimoni, accompagnando il gesto dicendo: “Affinchè il decoro della giustizia italiana sia tutelato”.
La telefonata di Berlusconi a Ponzellini: “Ne sono orgoglioso”
Nella telefonata del 2011 l’allora presidente del Consiglio informava Ponzellini che, se non fosse stato costruito un ospedale a Panama, il presidente del Paese centro americano avrebbe rilasciato una dichiarazione negativa sul gruppo industriale italiano che ne avrebbe provocato il tracollo in Borsa.
Rispondendo a una domanda del pm Vincenzo Piscitelli, Berlusconi ha affermato di essere stato contattato da Panama da Lavitola, che si diceva preoccupato per la mancata costruzione dell’ospedale promesso al governo di Panama.
Il giornalista, ha detto Berlusconi, gli aveva chiesto di riferire ai vertici di Impregilo che, se l’impegno non fosse stato mantenuto, il governo panamense avrebbe revocato alle imprese italiane l’appalto per il raddoppio della costruzione del canale.
Da qui “l’orgoglio” di Berlusconi di aver fatto quella telefonata a Ponzellini. E’ esattamente il centro dell’inchiesta perchè per gli inquirenti il leader di Forza Italia ha fatto da “inconsapevole vettore” del tentativo di estorsione.
“Lavitola era un facilitatore di rapporti tra imprese e Panama”
Secondo la ricostruzione di Berlusconi “Lavitola era un facilitatore di rapporti tra le imprese italiane e Panama”. Anzi, era “un ottimo giornalista e un protagonista della politica”, amico di altri esponenti della sua area politica.
Berlusconi ha anche detto di avere notato che Lavitola aveva rapporti di amicizia con politici dell’America Latina, in particolare l’ex presidente brasiliano Lula, seduto accanto al quale lo vide una volta a una cena ufficiale.
E infatti, è ancora il racconto di Berlusconi, fu lo stesso Lavitola a presentare il presidente di Panama Ricardo Martinelli a Berlusconi.
Non si trattava di una visita ufficiale, ha detto Berlusconi: “Martinelli era venuto per cercare casa in Lucchesia. Mi aveva manifestato l’intenzione di tornare in Italia, magari anche per avviare un’attività imprenditoriale impegnata nella grande distribuzione”.
Valter Lavitola era “un frequentatore di Stati americani per ragioni di lavoro” e non ha “mai avuto incarichi dal governo che siano di mia conoscenza” ha aggiunto l’ex capo del governo.
“Ricordo che stava all’estero per molto tempo — ha aggiunto Berlusconi — ricordo che c’era da prendere una decisione sulla campagna elettorale, lo cercammo per notizie su un possibile candidato, ma ci dissero che era in America”.
Alla domanda del pm su come, secondo Berlusconi, fosse possibile che un imprenditore avesse tali rapporti con presidenti e capi di Governo di Paesi americani, Berlusconi ha risposto: “Prima in bagno ho fatto amicizia con un carabiniere, e se verrà a Roma lo accoglierò. Le amicizie nascono in tutti i modi”.
Tra i testimoni del processo anche Frattini
Nel corso del dibattimento in corso da mesi dei rapporti tra Berlusconi e Lavitola hanno parlato infatti sia l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini (“Valter Lavitola era conosciuto come una persona che aveva dimestichezza di rapporti con il presidente del Consiglio Berlusconi e con il presidente di Panama”), il quale aveva tra l’altro anche accennato all’impegno assunto da Berlusconi per far costruire l’ospedale nel corso di una sua visita nel Paese centroamericano, sia l’ex direttore commerciale di Finmeccanica Paolo Pozzessere, secondo cui a segnalare Lavitola come mediatore d’affari in Sud America all’allora ad della holding Pierfrancesco Guarguaglinifu proprio Berlusconi, all’epoca presidente del Consiglio.
E Berlusconi smentisce anche Frattini: “Ha detto che ho raccomandato Lavitola a lui perchè potesse essere incaricato di un’attivita in Kazakhstan? Non ricordo ma mi pare strano che potessi raccomandarlo a Frattini, che era suo antico amico, da molto più tempo di me”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 19th, 2014 Riccardo Fucile
UN TESTIMONE RIVELA: “IL TRAFFICO DI DROGA DA PANAMA MASCHERATO IN SPEDIZIONI ITTICHE”
I sacchetti di polvere bianca tra i filetti di pesce si vedono bene, anche se gli scatti sono stati fatti in fretta, facendo attenzione che nessuno potesse accorgersene e prima che il carico da Panama facesse rotta verso gli Stati Uniti. Risalgono al 2012.
Chi ci ha fornito le foto dice di rischiare la vita e convincerlo non è stato facile.
I carichi sono tutti così, 170 chili a settimana, ma la rotta principale è la Calabria.
«È un traffico di cocaina enorme e le persone coinvolte sono italiani potentissimi, vicini alle istituzioni panamensi e brasiliane e stando a quello che leggo sulle indagini dei vostri magistrati sono molto legati anche a politici e lobbisti italiani».
Misura le parole la persona che abbiamo intervistato.
Vive e lavora a Panama e dice di aver lavorato per anni negli ambienti del settore ittico entrando in contatto direttamente con tutti i protagonisti di questa storia.
Il ruolo di Lavitola
Racconta tutto mostrando un carteggio di email tra un potente imprenditore italiano e Valter Lavitola, faccendiere imputato nel processo sulla presunta compravendita di senatori e implicato in varie altre indagini tra cui una già a dibattimento su una presunta estorsione ai danni della società Impregilo proprio per un business in corso a Panama oltre che per un giro di corruzione riguardante la costruzione di carceri nel paese sudamericano
Entrambe queste due ultime vicende coinvolgono anche l’ex presidente panamense Ricardo Martinelli.
Inchieste partite quasi tutte dalla procura di Napoli per iniziativa dei pm Henry J. Woodcock e Vincenzo Piscitelli (attualmente procuratore aggiunto) che hanno coordinato indagini del nucleo della guardia di finanza di Napoli guidato dal comandante Nicola Altiero.
Quella che si vede nelle foto è polvere bianca nascosta in carichi di pesce.
Non sappiamo se sia cocaina. Le nostre fonti dicono di si e ci dicono che è solo uno dei carichi mensili passati per Panama.
Ipotesi, per ora solo ipotesi, su cui le varie autorità giudiziarie italiane e internazionali potranno indagare.
La Procura di Reggio Calabria, coordinata dal magistrato capace di fare piazza pulita dei casalesi, Federico Cafiero de Raho, ha negli ultimi due anni sequestrato oltre due tonnellate di droga proveniente dal Sud America di cui ben 600 chili solo nel porto di Gioia Tauro.
Dalle immagini si vedono le scatole con il nome della ditta esportatrice che da una visura camerale risulta di proprietà di un imprenditore italiano che vive da molti anni a Panama.
Le e mail che mostriamo sono proprio inviate da questo imprenditore a Lavitola e a un altro imprenditore collegato a Lavitola anche lui indagato in un’inchiesta un’ipotesi di corruzione internazionale per presunte tangenti a politici panamensi per la realizzazione di carceri e l’acquisizione di appalti.
Abbiamo deciso di oscurare nomi e ditte perchè lasceremo eventualmente agli inquirenti il compito di capire se quelle persone e le loro aziende siano effettivamente coinvolte nella vicenda descritta dalle nostre fonti.
Noi, nel lavorare a questa inchiesta, ci siamo procurati una serie di documenti che, seppur pixellati, mostriamo come il dovere di cronaca ci impone di fare trattandosi di una vicenda di interesse pubblico che mette insieme personaggi del mondo dell’economia, della politica e della criminalità organizzata.
Le mail «prova»
Nelle email tutte risalenti al periodo aprile/maggio 2011 si leggono frasi come «Va tutto dentro i pesci. Carico consegnato in Perù e poi consegnato a Gioia Tauro. Perdita, nessuna responsabilità all’arrivo» e ancora «(…) I trasporti li facciamo dentro i pesci grossi Tonno, pescecani (…)», «L’importante è che la merce arrivi a Gioia. I capi ci aspettano».
Secondo le nostre fonti il traffico, cominciato nel 2009/2010 è stato intenso fino al 2012 con circa un carico alla settimana di 170 chili di cocaina per un totale di 680 chili al mese e un guadagno di un milione e 300 mila euro.
Quando la droga era diretta negli Stati Uniti partiva dalla Colombia, veniva impacchettata a Panama e con piccole e veloci imbarcazioni il carico arrivava sulle coste Usa.
Quando invece il carico era diretto a Gioia Tauro la droga veniva inserita in Perù: il pesce veniva spedito da Panama, arrivava in Perù dove in parte veniva venduto ai supermercati e in parte impacchettato di nuovo insieme alla cocaina e spedito verso il porto di Gioia Tauro.
In Calabria i clan della ‘ndrangheta (una delle fonti indica la famiglia dei Pesce) provvedevano a ritirare la merce.
«La droga veniva messa in buste resistenti e sistemate insieme al pesce pulito sotto le scatole – racconta il nostro testimone – In genere si trattava di filetti di squalo o di tonno o di altri pesci di grandi dimensioni. Anche Lavitola ha una ditta ittica in Brasile e il suo amico (il proprietario della ditta indicata nelle foto ndr) commercia pinne di squalo verso l’oriente anche se questo tipo di attività è vietata. Come si legge in una delle e mail, questo commercio frutta bene, fino a 500 dollari per pinna. In Oriente è un piatto prelibato. Loro lo pescano nell’isola di Malpelo. Si erano assicurati importanti accordi commerciali e il governo Panamense aveva concesso alla sua società (come si può vedere in uno dei documenti che mostriamo nella videoinchiesta ndr.), una grossa area per la loro attività ittica».
L’intrecci
Possibile che questi personaggi si parlassero via e mail così liberamente?
«Non temevano nulla. Sono potenti, amici di chi conta e Panama è un posto che se paghi bene puoi fare qualsiasi cosa. Loro poi si sentivano invincibili: il fratello dell’imprenditore ha una ditta che si occupa di sicurezza a cui sono stati assegnati importanti appalti pubblici ma soprattutto sua moglie è una donna potentissima ed è stata assistente di un ex Ministro. La signora di fatto svolgeva le funzioni del ministro e aveva il passaporto diplomatico quindi entrava e usciva dal paese senza subire controlli. Così portavano in giro valigette piene di soldi. Inoltre tutti loro frequentavano personaggi importanti».
Spiega, mostrandomi una foto dell’imprenditore con alcuni personaggi politici di rilievo internazionale.
Questa donna, che il testimone nell’intervista indica come una persona influente capace di trattare affari milionari, spunta anche negli atti di indagine relativi alle tangenti per l’affare della costruzione delle carceri a Panama e alcuni personaggi nominati nelle varie email che ci sono state fornite, risultano indagati nell’ambito di questa inchiesta.
Anzi nelle email si fa esplicito riferimento a queste vicende
L’intreccio che emerge dalle email, le foto, i presunti rapporti di questi uomini d’affari con organizzazioni del narcotraffico e con la ‘ndrangheta sono da dimostrare ma non è la prima volta che viene accostato il nome di Lavitola a quello di clan malavitosi: sua sorella Maria, l’anno scorso, in una intervista diceva di aver saputo che suo fratello aveva avuto rapporti con esponenti della ‘ndrangheta e la banda della Magliana.
Amalia De Simone
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 19th, 2014 Riccardo Fucile
DECISIVI DUE NAZIONALISTI SVEDESI, UNA TRANSFUGA DEL FRONT DI MARINE LE PEN E DUE ULTRA’ LITUANI
Ce l’hanno fatta, dribblando il purgatorio dei non iscritti. E Grillo celebra: “Ha vinto la democrazia diretta”.
Ma partiranno con un gruppo fragile, euroscettico, con il baricentro nettamente spostato a destra. Dove hanno imbarcato una transfuga dal Front National della Le Pen. Ma soprattutto i nazionalisti lituani e i democratici svedesi, uniti dall’ostilità verso l’Unione europea e l’immigrazione. Partiti di estrema destra.
È il prezzo pagato dai Cinque Stelle all’alleanza con l’Ukip di Nigel Farage, che ieri ha annunciato la nascita del gruppo dell’Efd nel Parlamento europeo.
In tutto 48 eurodeputati, di 7 Paesi diversi, requisito minimo per una formazione autonoma.
Metà degli eletti, 24, arrivano dall’Ukip. Poi ci sono i 17 deputati del M5S.
A completare il gruppo, una pletora di deputati sciolti e un paio di rappresentanze a due.
Basterebbe che un singolo alleato mollasse per far crollare tutto. “Ma stiamo lavorando per attirare altre formazioni, il gruppo si allargherà ”, assicura Ignazio Corrao, capogruppo dei 5Stelle a Bruxelles.
Convinto che “un gruppo formato sarà sicuramente appetibile”. Una verità , stando ai parametri da calciomercato che regolano la formazione dei gruppi in Europa (c’è tempo fino al 24 giugno).
Grillo è già contento: “Per la prima volta in Europa i cittadini hanno scelto i loro rappresentanti e detto loro dove sedere in Parlamento”.
Mentre Farage, il grande tessitore dell’operazione, assicura: “Metteremo in allerta la gente a casa spiegando quanti danni fanno le regole Ue alle nostre vite”.
Per lui, che ha subìto la dura concorrenza dell’Ecr di David Cameron e della Le Pen, va già bene così. Martedì prossimo, la prima riunione dell’Efd
Eletta per la Le Pen
Se l’Efd ha visto la luce, lo si deve soprattutto alla francese Joelle Bergeron. Eletta in Europa con il Front National, in cui militava dal 1972, poche settimane fa ha rotto con Marine Le Pen.
Sarebbe stata la stessa Le Pen a spingerla alle dimissioni, dopo che aveva dichiarato di essere “favorevole” al diritto di voto per gli stranieri. Aggiungendo di “fregarsene” della linea opposta del partito.
Dopo la rottura, la Bergeron si è sfogata: “Ho il ruolo di un kleenex usato, mi avevano candidato solo perchè serviva una donna”. Farage è riuscita a convicerla. Vittoria doppia, vista la sua guerra con la Le Pen.
I lituani di Ordine e giustizia
Formazione lituana, nata dalle ceneri del Partito liberal democratico. Euroscettica, è una forza di estrema destra, anti-immigrazione. Nel suo manifesto Anders Breivik, il terrorista norvegese che uccise 77 persone nel 2011, citò Ordine e Giustizia come “un modello di partito nazionalista”.
In Europa ha eletto l’ex ministro Valentinas Mazuronis e Rolandas Paksas, il leader del partito. Già primo ministro, nel 2002 Paksas venne eletto presidente. L’anno dopo però venne messo in stato d’accusa per aver concesso la cittadinanza lituana a un finanziatore della sua campagna, e fu costretto lasciare la carica
Neri scandinavi
Il boccone più difficile da digerire per i 5Stelle sono i due democratici svedesi, Kristina Winberg e Peter Lundgren. I rappresentanti di una formazione fondata nel 1988 per ostacolare l’immigrazione, in particolare quella dai paesi islamici.
Ferventi nazionalisti, nei loro inizi avevano chiare simpatie naziste.
Nella passata legislatura, i Democratici erano nel gruppo della Le Pen. Farage è riuscito a spostarli. Pesa anche la voglia di maggiore presentabilità del leader degli scandinavi, Jimmie Akesson, definito dalla stampa inglese come esponente “dell’estrema destra 2.0”.
Gradevole a vedersi, sempre su posizioni “nere” nella sostanze. Uno dei due neo-eletti, la Winberg (infermiera professionista) ha avuto problemi sui media svedesi nei giorni scorsi. La stampa ha dimostrato che aveva mentito sulla sua esperienza in un’organizzazione di volontariato: mai avvenuta.
L’altra lituana
Rappresentante dell’Unione dei Verdi e dei Contadini lituani, Iveta Grigule ha 49 anni. Corrao e David Borrelli l’avevano incontrata due giorni fa, con tanto di foto su Twitter a raccontare l’incontro. Rappresenta una formazione nazionalista, che diffida di Bruxelles e delle sue norme.
Il liberale ceco
Petr Mach, 39 anni, economista, è il fondatore del Partito dei liberi cittadini della Repubblica Ceca. Ex consigliere economico dell’allora presidente Klaus, ha lasciato il Centro Democratico per portare avanti le sue idee contro il Trattato di Lisbona.
Luca De Carolis
(da “il Fatto Quotidiano”)
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