Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
ELEGGONO UN SINDACO AZZOPPATO, SENZA MAGGIORANZA IN CONSIGLIO… E DOPO AVER ACCUSATO IL MONDO DI “GOVERNARE CON LA SINISTRA”, PUR DI MANTENERE UNA POLTRONA, REALIZZANO LORO L’INCIUCIO
Un miracolo «zoppo» quello compiuto da Dario De Luca, nuovo sindaco del «feudo rosso» di Potenza.
L’impresa del candidato di Fratelli d’Italia, infatti, si scontra con il nodo della governabilità , visto che, stando ai dati del ministero dell’Interno, De Luca dovrà convivere con un Consiglio comunale a forte maggioranza di centrosinistra.
Sentiamo cosa ha dichiarato a “il Tempo” in questa intervista.
Sindaco De Luca, è preoccupato dai numeri del Consiglio?
«Assolutamente no. Io presenterò un progetto basato su onestà , trasparenza, lotta agli sprechi. E lo aprirò ai contributi di chiunque voglia partecipare. Se non otterrò la maggioranza, rimetterò il mandato agli elettori e saranno loro a giudicare di chi è la responsabilità ».
Si aspettava la rimonta sul candidato di centrosinistra? Al primo turno c’erano oltre trenta punti di distacco…
«È stato un miracolo. Ero sicuro di ottenere un buon risultato, ma non pensavo addirittura di vincere».
Come si spiega il «ribaltone»?
«Facendo un’analisi del voto, si può verificare come la mia proposta abbia ottenuto voti sia nel centrodestra che nel centrosinistra. Ha probabilmente contato la stima personale nei miei confronti. La gente è stanca di una politica che non si occupa dei problemi dei cittadini e che pensa solo a gestire il potere in maniera autoreferenziale. Questo risultato ha condannato vent’anni di immobilismo a Potenza».
È stato un voto post idelogico?
«Certo, è così che voglio essere definito, un candidato post ideologico. Alle elezioni comunali categorie come centrodestra e centrosinistra lasciano il tempo che trovano. Bisogna votare i progetti e le persone che si dimostrano capaci di attuarli».
Che lezione può trarre il centrodestra dal suo successo?
«Io credo che in passato la mia coalizione abbia pagato l’aver fatto un’opposizione troppo blanda, ai limiti del servilismo nei confronti della sinistra. Credo che il centrodestra, anche a livello nazionale, possa avere speranza solo se riparte dai valori fondanti dell’onestà e della trasparenza dell’amministrazione».
Esiste una questione morale a destra?
«Tutto il Paese, purtroppo, vive una deriva profonda verso la corruzione. Ne è testimone anche la difficoltà che sta incontrando in Parlamento l’approvazione di una nuova legge in materia. Il centrodestra ha il compito di depurarsi dalle personalità corrotte e tornare a un’ispirazione “montanelliana”, intransigente. Altrimenti resterà a piangere i propri condannati».
Avete capito bene: dato che “siamo in una fase post-ideologica e non identitaria”, che “categorie come destra e sinistra lasciano il tempo che trovano”, che “bisogna votare i progetti e le persone”, l’importante è essere aperti al contributo di tutti (ovvero del Pd) e governare insieme su un programma concordato.
Per carità , può essere la strada giusta per conservare la poltrona di sindaco e non tornare al voto.
Peccato che il partito di De Luca sia lo stesso che ha rotto le palle a mezzo mondo, da Forza Italia al Ncd, per non dimenticare “il traditore” Fini, per aver governato con la sinistra attraverso le larghe intese.
Ora abbiamo capito: quando le fa “sora Giorgia blablabla” vanno bene, quando le fanno gli altri no.
La coerenza al potere.
argomento: Fratelli d'Italia | Commenta »
Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO IL SENATO DUBBI ANCHE A MONTECITORIO: “SU IRPEF STIMATO UN TAGLIO INFERIORE DEL 10%”… COPERTURE NON STRUTTURALI, MA UNA TANTUM
Dopo i tecnici del Senato, anche quelli della Camera evidenziano alcuni rilievi sul decreto Irpef, che in attesa di essere convertito anche alla Camera ha già portato nelle buste paga di quasi 10 milioni di italiani gli ormai famosi 80 euro.
Tante e distinte le osservazioni fatte dal Servizio Studi di Montecitorio.
A partire, come già avevano fatto i colleghi di Palazzo Madama, dalla stima effettuata dal governo sul taglio dell’Irap.
Il 10% secondo Palazzo Chigi, meno secondo i tecnici della Camera.
“La riduzione del gettito in termini di competenza (stimato in 2.059 mln annui) corrisponde ad una quota inferiore al 10% (misura della riduzione introdotta dal dl in esame) del gettito Irap settore privato realizzato nel 2013 (24.813 mln)”, si legge nella relazione. In parole povere sarebbe stato messa in conto una riduzione delle entrate previste minore di quanto comporterebbe un taglio del 10% dell’Irap.
Che invece, secondo le stime della Camera che riprendendo quelle già fatte dal Senato, considerato il gettito 2013, dovrebbe essere di 2481 euro annui.
Effetti su Erario da rinvio Tasi
Non solo Irap però. I tecnici sollevano obiezioni anche sul rinvio della Tasi, inserito con un emendamento al decreto in conversione e poi replicato in un altro porvvedimento ad hoc approvato la scorsa settimana.
Lo slittamento potrebbe infatti non essere neutrale per il bilancio dello Stato ma è anzi “suscettibile di recare effetti finanziari”.
I tecnici sottolineano due punti in particolare.
Il primo riguarda gli interessi sulle anticipazioni corrisposte ai Comuni che hanno optato per il rinvio. “In proposito si segnala che, pur considerando che le somme erogate sono recuperate nel corso dell’anno, andrebbero prudenzialmente valutati gli effetti in termini di maggiori spese per interessi a carico del Bilancio dello Stato sulle quote corrisposte a titolo di anticipazione effetti finanziari”.
In secondo luogo “tenuto conto che la normativa vigente prevede un limite massimo di aliquota Imu + Tasi, l’erogazione di una somma anticipata calcolata sulla base dell’aliquota ordinaria Tasi potrebbe risultare eccessiva nei Comuni che, pur non avendo deliberato in materia di Tasi, abbiano applicato elevate aliquote Imu e, conseguentemente, dovranno applicare aliquote Tasi ridotte”.
Verificare le stime su Bankitalia
C’è poi il capitolo Bankitalia. In questo caso i tecnici chiedono chiarimenti sull’importo complessivo, circa 6,9 miliardi di euro, a cui si applica la nuova imposta sostitutiva di rivalutazione (che il governo ha fatto salire dal 12% al 26%).
“Appare opportuno – si legge nel testo – che vengano forniti elementi di maggior dettaglio al fine di verificare la stima effettuata, con particolare riferimento alla definizione dell’importo complessivo, pari a 6,9 miliardi, su cui si applica l’imposta sostitutiva, tenuto conto della significatività del gettito atteso” dalla misura.
Irpef, la platea potrebbe essere cambiata
I tecnici della Camera poi mettono in guardia il governo e chiedono chiarimenti sulla ragione che ha spinto il governo a calcolare l’impatto dei possibili beneficiari del bonus sulla base dei dati 2011, e non di quelli più recenti.
La platea, scrivono,”potrebbe aver subito un cambiamento significativo sia dal punto numerico sia dal punto di vista del reddito”.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: governo | Commenta »
Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
SI TERRA’ A MILANO AL MOTTO “SVEGLIAILCENTRODESTRA”… UN MIGLIAIO LE ADESIONI ALL’APPELLO SUL WEB
La Leopolda del centrodestra si farà , anche se per ovvi motivi non si chiamerà così.
Il nome – provvisorio – è #svegliailcdx (sveglia il centrodestra), come l’hashtag che negli ultimi giorni sta spopolando su Twitter, grazie all’impegno di alcuni giovani che stanno provando a dare la scossa a un mondo, quello dei cosiddetti «moderati italiani», uscito con le ossa rotte dalle elezioni.
Tutto è nato con l’appello del direttore de La Cosa Blu, Lorenzo Castellani, lanciato su formiche.net .
Una «chiamata alle armi» che si è trasformata in un manifesto programmatico, pubblicato sul sito www.contrattoperilcentrodestra.it , che in una decina di giorni ha raccolto un migliaio di firme di sostegno.
Oltre a quelle di militanti e imprenditori, sono arrivate diverse adesioni anche dal mondo della politica.
Ad esempio quelle di Alessandro Colucci (coordinatore regionale lombardo di Ncd), Galeazzo Bignami (consigliere regionale emiliano di Forza Italia), Marco Tizzoni (consigliere regionale lombardo della Lega Nord) e tanti altri.
Una serie di endorsement trasversali che confermano come la manifestazione «non sarà di partito, ma di area», spiega Valerio Lamorte di Assodestra.
«La convention dovrebbe tenersi la prima settimana di ottobre a Milano – spiega ancora Lamorte – perchè è da lì, con la sconfitta della Moratti alle comunali, che è cominciato “ufficialmente” il declino del centrodestra».
Lo schema sarà in tutto e per tutto simile a quello della Leopolda renziana.
I vari «relatori» avranno al massimo cinque minuti a disposizione e a salire sul palco saranno esponenti dell’imprenditoria e dell’economia internazionale.
Adesioni «pesanti» sarebbero già arrivate ma, al momento, gli organizzatori hanno preferito non ufficializzarle.
Giù dal palco, invece, i parlamentari. «Se vorranno – insiste Lamorte – potranno venire ad assistere ai nostri lavori».
Probabile, inoltre, la presenza di alcuni rappresentanti delle organizzazioni giovanili dei repubblicani americani e dei conservatori inglesi, così siamo a posto.
Ma di cosa si parlerà nella Leopolda «azzurra»?
Una traccia la offre il manifesto pubblicato on line. «Il centrodestra – si legge – deve tornare a far ragionare in una logica aperta e unitaria tutti i partiti, i gruppi, le associazioni, i magazine, le persone che si riconoscono nell’area alternativa alla sinistra».
Partendo dalle riforme istituzionali in chiave presidenzialista, dall’impegno per un fisco equo, dalla lotta alla burocrazia e dal rinnovamento della classe dirigente con primarie a tutti i livelli. Leadership compresa.
Un po’ poco forse, ma in fondo basta accontentarsi .
argomento: Forza Italia | Commenta »
Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
LA LISTA DEI 213 CANDIDATI NASCONDE LA SOLITA LOTTIZZAZIONE TRA I PARTITI
La legge parla chiaro. I componenti dell’autorità anticorruzione devono essere scelti «tra esperti di elevata professionalità , anche estranei all’amministrazione, con comprovate competenze in Italia e all’estero, sia nel settore pubblico che in quello privato, di notoria indipendenza e comprovata esperienza in materia di contrasto alla corruzione».
A far riflettere, semmai, è la procedura: i candidati vengono indicati dal governo ma le nomine sono subordinate al «parere favorevole delle commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti».
Il che potrebbe inevitabilmente aprire spazio ad accordi sottobanco fra i partiti. Secondo il ben noto meccanismo: «Due scelti da me, uno da te e uno da lui».
Inutile dire che per la piega che hanno preso le cose, con le inchieste sull’Expo e sul Mose che stanno squarciando il velo su un cancro dalle metastasi diffuse in profondità nel mondo degli affari, della politica e anche dell’alta burocrazia, la faccenda è delicatissima.
Così delicata da richiedere tempi di reazione rapidi. Forse più di quelli a cui stiamo assistendo.
I termini per la presentazione delle candidature da parte degli interessati sono scaduti il 14 aprile, due mesi fa. In un paese nel quale abbiamo subito il proliferare di authority di ogni tipo, questa è quella che ha avuto la vita più travagliata.
E dopo lo spettacolo sconcertante che ci hanno offerto in questi giorni le cronache non è molto difficile capire perchè
L’autorità anticorruzione viene istituita con poche risorse umane e pochissimi soldi sette anni fa, soltanto perchè c’è lo impongono gli accordi internazionali.
A capo ci mettono il prefetto Achille Serra, che l’anno seguente sceglierà di candidarsi alle elezioni con il Partito democratico passando poi all’Udc. È il 2008, Silvio Berlusconi ritorna a palazzo Chigi, e una delle prime iniziative del nuovo governo è quella di sopprimere l’authority, bollata come inutile.
Ma siccome i trattati ne prevedono comunque l’esistenza, le funzioni vengono assegnate alla Civit, meglio nota come autorità anti fannulloni.
Si tratta di un organismo che dovrebbe vigilare sulla trasparenza e l’efficienza della pubblica amministrazione, ma lo stato in cui versa la nostra burocrazia dice tutto sulla sua efficacia.
Lo capisce immediatamente uno dei suoi componenti, Pietro Micheli, che se la dà a gambe appena può.
Nel frattempo l’unica cosa che marcia sono le assunzioni. Si arriva così a oggi.
La Civit diventa Anac, che sta per Autorità nazionale anticorruzione, e alla sua testa viene nominato il magistrato Raffaele Cantone.
A cui viene affidato un compito da far tremare le vene ai polsi, in un clima non proprio confortevole per chi vuole stroncare la corruzione.
E qui torniamo alle decisioni che governo e parlamento sono chiamati a prendere in questi giorni. Scelte cruciali, visti i precedenti.
Le autorità indipendenti, che dovevano rappresentare il baluardo dei cittadini contro i soprusi dei poteri economici e in qualche caso anche del malaffare, hanno in gran parte fallito la propria missione.
Un caso per tutti, quello dell’authority per la vigilanza sugli appalti. Organismi che dovevano essere rigorosamente separati dal politica e dai partiti non sono rimasti estranei alle pratiche della lottizzazione, risultando talvolta un comodo approdo per alti burocrati pubblici a fine carriera, spesso esponenti di quella magistratura amministrativa competente a giudicare sui ricorsi avverso le stesse authority, in un conclamato conflitto d’interessi.
Al governo sono arrivate 213 candidature regolarmente pubblicate sul sito.
Ma senza i curriculum e i riferimenti anagrafici, così da rendere difficilmente identificabili persone dai nomi piuttosto comuni come il candidato Ciro Esposito. Nella lista non mancano tuttavia numerosi esponenti riconoscibili della burocrazia pubblica.
Come il magistrato del Tar Alfredo Allegretta. E il consigliere di Stato Michele Corradino, già capo di gabinetto di Giulio Santagata (governo Prodi), Stefania Prestigiacomo (governo Berlusconi) e Mario Catania (governo Monti).
E Carlo D’Orta, già consigliere dei ministri Maurizio Sacconi, Sabino Cassese, Franco Frattini e Franco Bassanini.
E Manin Carabba, classe 1937, presidente onorario della Corte dei conti, già capo di gabinetto di vari ministri per un decennio consecutivo ai tempi della Prima repubblica. E Caterina Cittadino, capo dipartimento di Palazzo Chigi.
E Stefano Passigli, ex sottosegretario alla presidenza nei governi D’Alema e Amato.
E Livio Zoffoli, ex presidente del Cnipa, già authority per l’informatica pubblica.
E Costanza Pera, direttore generale del ministero delle Infrastrutture.
E Sergio Basile, già capo di gabinetto dell’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno.
E il consigliere della Corte dei conti Ermanno Ranelli.
E Diana Agosti, capo del dipartimento delle politiche europee di palazzo Chigi, consorte dell’ex presidente dell’Antitrust ed ex viceministro Antonio Catricalà .
E Salvatore Sfrecola, magistrato della Corte dei conti che dirige il giornale online www.unsognoitaliano.it sulla cui home page campeggia il motto di Marco Porcio Catone: «I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori».
Nell’elenco dei candidati c’è anche un certo Francesco Merloni. Che sia lo stesso Merloni, 89 anni a settembre, autore da ministro dei Lavori pubblici della famosa legge per stroncare Tangentopoli, subito tradita?
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Costume | Commenta »
Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
A CHIEDERE LA SUA SOSTITUZIONE IN COMMISSIONE E’ STATO CASINI DEFINITO “TORQUEMADA”…ORA RISCHIA ANCHE MINEO
Le riforme sono di là da essere approvate, ma fanno una prima vittima.
E’ il senatore Mario Mauro, rimosso dalla commissione Affari costituzionali che si avvia a discutere il disegno di legge che dovrebbe trasformare il Senato in Camera delle autonomie. Una sostituzione che Mauro ha subito e che porterà al suo posto Lucio Romano, molto più indulgente con il governo Renzi. C’è chi la chiama “epurazione”.
C’è chi dà del “giuda del 21esimo secolo” al presunto tessitore di questa operazione: Pier Ferdinando Casini che del resto di esperienza parlamentare ne ha da vendere, visto che tra Camera e Senato spegne quest’anno 31 candeline.
Mauro reagisce: “Non sono il Dudù di Renzi”, “Casini è il Torquemada“.
Tutto il centrodestra fa l’indignato e esprime solidarietà . Nel frattempo però la parabola di Mauro, che ora si è preso 24 ore di tempo per decidere se uscire dal gruppo parlamentare insieme ad altri colleghi, finisce nel peggiore dei modi.
Sarebbe in teoria il leader dei Popolari per l’Italia, ma l’estromissione di oggi rende chiaro che non lo è più.
Era diventato una figura autorevole dentro il Pdl, del quale ha fatto il capodelegazione fino all’inverno 2013. Alla fine del 2012, lungo la strada verso Scelta Civica, fu tra coloro che — molto prima della condanna definitiva — presero il coraggio a quattro mani e lasciarono Berlusconi.
Il tempo di prendere posto a Palazzo Madama e il gruppo parlamentare montiano si era già scisso: più o meno democristiani da una parte, liberali dall’altra.
I primi erano guidati proprio da Mauro che è comunque rimasto ministro della Difesa per quasi un anno.
E ora si capisce perchè al posto di Mauro nel governo è finito un uomo di Casini (il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti): è evidente che il leader dell’Udc conta molto di più.
“La manina, o la manona — dice Mauro — è molto chiara, ed è l’esito delle elezioni europee, con molti che vogliono asservirsi ai diktat del presidente del Consiglio”.
Secondo Mauro a dimostrare che dietro la decisione della sua sostituzione ci sia il Governo, c’è il fatto che già in mattinata “il sottosegretario Delrio aveva comunicato a un senatore il contenuto e l’esito della riunione di un gruppo, al quale egli non appartiene ma che evidentemente gli appartiene”.
“Qualcuno più realista del Re — ha insistito l’ex ministro della Difesa — si è reso disponibile all’operazione” che poi “è stata condotta da alcuni sprovveduti bravi”.
“Il ruolo di Torquemada — ha poi raccontato — lo ha assunto Casini con un intervento accorato con cui ha chiesto la mia sostituzione”.
“Io non solo sono a favore di riforme in generale — ha poi spiegato — ma voglio questa riforma del Senato e del Titolo V; ma evidentemente se non ci si concepisce come il Dudù di Renzi, difficilmente si parteciperà a questo processo”.
E ora il mirino si sposta su Corradino Mineo.
Nei giorni scorsi, si era profilata un’analoga ipotesi di sostituzione e lui ribadisce che non ha alcuna intenzione di dimettersi e che un’operazione del genere sarebbe un “errore politico” del capo del governo.
A commentare è Vannino Chiti, ex ministro delle Riforme che aveva presentato un ddl alternativo a quello del governo poi trasformati in emendamenti. parla anche del collega Pd Mineo: “La rimozione del senatore Mauro dalla commissione Affari Costituzionali lascia sconcertati — afferma — Sono messe in discussione autonomia e responsabilità del ruolo dei parlamentari sancite dalla Costituzione. Ci si sta mettendo su una brutta strada: non è quella da seguire per fare una buona riforma costituzionale”.
“Il problema — aggiunge — non sono Mauro, Mineo o i cosiddetti ‘aghi della bilancia’: se il Pd vuole per la riforma della Costituzione un asse esclusivo con Forza Italia e Forza Italia vota, i numeri in Parlamento ci sono. Se Forza Italia non ci sta o saggiamente tutti ritengono che sulla Costituzione e la legge elettorale sia da ricercare un consenso più ampio, quello che serve è un confronto e un dialogo reali, non ricercare scorciatoie di tipo autoritario, che non portano a niente”.
Sulla sostituzione di Mineo il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi dice che “valuteranno il gruppo e il capogruppo, ma c’è un tema fondamentale, quello della compattezza del gruppo. E’ ovvio che ci sia un confronto, che è stato ampio” ma l’importante è che ci sia “una compattezza plastica del gruppo al momento dell’approvazione”.
La traduzione pare chiara. Tanto più che a rendere più chiaro la strada è il sottosegretario alle Riforme, Ivan Scalfarotto: “Gli italiani hanno approvato l’approccio riformatore del governo. È come se avessero detto all’esecutivo: ok, procedi. Nel Pd lo hanno capito quasi tutti. Tranne alcune persone, e penso a Corradino Mineo, a Walter Tocci, a Vannino Chiti. A quale elettorato si rivolgono, mi chiedo. Il nostro elettorato ci ha chiesto di andare avanti senza ulteriori indugi”.
E alla fine Scalfarotto avverte: “Chi fa saltare le riforme si assume la responsabilità di non far fare a Renzi quello che gli italiani gli hanno chiesto. E dovrebbero renderne conto”.
Forza Italia vede riavvicinarsi il figliol prodigo ex “traditore”: “Esprimo solidarietà al senatore Mario Mauro per aver subito quella che, secondo le modalità dichiarate dall’ex ministro, si può definire un’epurazione, tipica di una gestione troppo autoritaria di un gruppo parlamentare in una repubblica parlamentare matura come dovrebbe essere la nostra” dichiara Paolo Romani, presidente del gruppo Forza Italia”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: governo | Commenta »
Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
RENATO NATALE E’ STATO RIELETTO A DISTANZA DI VENT’ANNI DAL SUO PRIMO MANDATO
Ha vinto ancora lui, contro Gomorra. Ma ci sono voluti venti anni e tre scioglimenti antimafia.
Renato Natale, 64 anni, medico, esponente di Libera, è di nuovo sindaco a Casal di Principe, 20mila abitanti, epicentro dell’impero del clan dei casalesi.
«La mia parola d’ordine? Lo Stato. Che sanziona, ma che sa anche stare al fianco dei cittadini migliori».
È la nemesi del potere criminale, quattro lustri dopo la breve primavera di Casale.
Eletto al ballottaggio con il 68,3 e due liste civiche (contro le quattro liste e il 31,7 del rivale omonimo, Enricomaria) il primo cittadino aveva già governato per dieci mesi, dal ’93 al ’94, poi costretto a dimettersi per il voto contrario della sua maggioranza, dopo l’esecuzione mafiosa del parroco Peppino Diana.
Un risultato che provoca entusiasmo: dalla Bindi, a Saviano (che twitta: «Casal di Principe è in una nuova era») a Nichi Vendola (che parla di «riscatto e futuro migliore» e lancia l’hashtag #tuttanatastoria).
Allora, dottor Natale, da dove ricomincia?
«Qualcosa avevamo avviato. E mi piace pensare, come diceva Troisi, che posso ricominciare da tre: la speranza che avevamo sollevato, l’impegno che oggi muove molti cittadini e il sangue di un martire come don Diana. Io l’ho visto morto don Peppe, e oggi è risorto insieme a noi, insieme al popolo di Casale».
Oltre alla piaga criminale, il paese sconta ritardi, abusi, inquinamento ambientale. Eppure ha il record di aziende edilizie. Quale sarà la prima, simbolica azione?
«Per esempio, costituirci sempre parte civile nei processi per inquinamento e per i delitti che gravano sull’attesa di riscatto dei nostri giovani. Ma il primo gesto “rivoluzionario” è l’organizzazione. Organizzare la macchina comunale che non funziona, organizzare le risorse, il tempo, le energie positive. Siamo in un dissesto finanziario e soprattutto burocratico. Poi, con tutti i consiglieri comunali, sottoscriveremo la Carta di Pisa: codice di trasparenza e onestà per gli amministratori».
A Casale, tra l’altro, quasi nessuno aveva un contatore e pagava la bolletta dell’acqua, fino all’arrivo del commissario prefettizio Silvana Riccio.
«Ripartiremo anche da lì, ma facendo dei distinguo. Qualcuno non allacciava i contatori, e lo Stato non può recuperare in un attimo decenni di abbandono».
In aula di giustizia, di recente, il pentito De Simone ha detto che i clan e i loro amici politici la detestavano perchè lei «parlava con Violante e lo Stato mandava più controlli ». Come sono stati questi venti anni?
«Normali. Senza mai rinunciare alle battaglie. Intanto arrivavano le stangate giudiziarie. Tantissimi capi sono al regime duro di 41 bis, tanti ergastoli sono stati inflitti. Ma il problema ovviamente è culturale, e di sviluppo. E sbrigare questi nodi è il mestiere della politica e dell’amministrazione che si assume le proprie responsabilità , e i propri guai».
Conchita Sannino
(da “La Repubblica”)
argomento: mafia | Commenta »
Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
AVVOCATO TRENTACINQUENNE, UN PASSATO DA SCOUT E LA DICHIARATA FEDE CATTOLICA
Avvocato, trentacinquenne, appena eletto sindaco in una roccaforte del centrosinistra, un passato da scout e la dichiarata fede cattolica.
Ci sarebbero tutti gli ingredienti per definire Andrea Romizi – neosindaco forzista di Perugia, strappata al centrosinistra dopo 70 anni – la nuova promessa del centrodestra in chiave anti renziana.
Ma è lo stesso primo cittadino a frenare: «Adesso sono concentrato esclusivamente su Perugia, in questa fase non sono ammesse distrazioni di alcun tipo».
Nessuna ambizione di scalare il partito, quindi, magari anche perchè l’ultima promessa di Forza Italia arrivata dagli enti locali, l’ex sindaco di Pavia Cattaneo, è stata appena bocciata dalle urne: «Sono amico di Alessandro – spiega Romizi – e quello che voglio dirgli è che, nonostante tutto, resterà un punto di riferimento».
Sindaco Romizi, è l’unico «superstite» di Forza Italia…
«In effetti mi sento come il sopravvissuto a una bufera. Mi aspettavo di ottenere un buon risultato, ma francamente non in queste proporzioni».
Come ha fatto a «salvarsi»?
«Di fondo credo che ci sia stato un forte malcontento nei confronti della precedente amministrazione di centrosinistra. Lo dimostra anche l’alta percentuale degli astenuti, gente che magari non avrebbe mai votato a destra ma che non ha voluto rinnovare la fiducia a chi governava da anni la città . Di contro, ho provato a dare buoni motivi agli elettori per sostenermi con una campagna elettorale basata principalmente sulle proposte e non sulle critiche. Il risultato è che a votarmi sono state anche tante persone dell’altra sponda. Io, da parte mia, ho cercato di parlare a tutti».
Che lezione deve trarre Forza Italia dal suo successo?
«Bisogna ripartire dalle cose semplici, ricollegarci al territorio. In second’ordine, puntare forte sulla meritocrazia e valorizzare quegli amministratori locali che sul campo hanno dimostrato di lavorare al meglio. Negli ultimi tempi c’è stato un forte scollamento tra i vertici del partito e le realtà locali, ora bisogna lavorare per ricostruire una comunità , umana prima che politica».
Come amministrerà la «rossa» Perugia?
«Al di là dei singoli interventi, credo che complessivamente va restituita dignità politica a questa città . Parlerò con le realtà locali per capire dove vuole andare Perugia nei prossimi vent’anni, per evitare che si proceda in maniera approssimativa come ha fatto la sinistra. E, ovviamente, punteremo forte su due versanti: lotta al degrado e sicurezza».
(da “il Tempo”)
argomento: elezioni | Commenta »
Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
REATI, DROGA, CRISI ECONOMICA E UN SISTEMA POLITICO MORIBONDO
Le mura di Perugia sono crollate.
Per la prima volta nella storia della Repubblica la città non sarà amministrata dalla sinistra, nemmeno nella forma edulcorata del Pd.
Nella notte di domenica, infatti, è accaduto l’imponderabile: Andrea Romizi – giovane avvocato, due mandati da consigliere comunale per Forza Italia, candidato sindaco dall’intero centrodestra perugino per la sola ragione che erano convinti di non avere speranze di vittoria – ha stracciato al ballottaggio il sindaco uscente, Wladimiro Boccali, tesserato Pd ma dotato di coalizone che andava da Rifondazione e Sel ai “moderati”.
I due s’erano presentati al secondo turno staccati di venti punti: il 25 maggio Romizi aveva preso 23.375 voti (26,3%), Boccali 39.582 (46,55%).
Due settimane è la situazione, letteralmente, si rovescia: il giovane candidato del centrodestra mette assieme 35.469 consensi, l’oramai ex sindaco 25.666 (58,02 contro 41,98%).
Tredicimila voti che passano da una parte all’altra in neanche 15 giorni: persi con l’astensionismo da un lato, guadagnati nell’elettorato grillino (16mila voti al primo turno) e delle liste civiche (altri 8mila).
Per l’antica e bellissima cittadina da cui Aldo Capitini fece partire nel 1961 la marcia per la pace verso Assisi è uno choc: un repentino, quanto inaspettato, cambio di regime. Romizi, infatti, non solo è di centrodestra, ma è un estraneo per il suo stesso partito, che in questi anni s’è accodato al pervasivo sistema di potere messo in piedi dal partito (coi suoi vari nomi), ritagliandosi spazi di dignitosa sopravvivenza, per così dire, quanto più sprofondava nell’irrilevanza politica.
Romizi è l’uomo nuovo anche rispetto ai suoi, persino antropologicamente lontano com’è dallo stereotipo tanto del candidato “Mediaset” che del notabile conservatore medio-italico: in questo senso è davvero, come dicono i fans, il Matteo Renzi di Perugia.
Questo sconvolgimento, per quanto inaspettato, non è però senza padri.
Il modello Perugia è moribondo da tempo e su più fronti.
Uno, forse il più rilevante per chi ci abita, è quello della sicurezza. Qualche mese fa un reportage di Panorama a firma Riccardo Parisi l’ha ribattezzata “Gotham City”, l’oscura città di Batman: “Perugia è una città violenta, una delle più pericolose d’Italia secondo i dati del ministero degli Interni: criminalità , droga e degrado le hanno strappato la serenità di cui aveva goduto fino a una quindicina d’anni fa”.
La descrizione prosegue col centro storico desertificato (i perugini che ci abitano sono passati in trent’anni da 30mila a seimila) e in mano a bande di spacciatori nordafricani o sudamericani, cui si somma il relativo “record nazionale di morti per droga: 36 ogni anno” col più alto indice morti per overdose/popolazione.
Al di là delle legittime paure dei perugini, esagerate che siano o meno, non è di sole ossessioni securitarie che si nutre questo sacrificio rituale del centrosinistra a Perugia. Conta altrettanto anche l’implosione dell’intero modello di sviluppo della città che trascina con sè quello di potere: l’alleanza tra partitone, costruttori (Coop in testa), industria e università non basta più.
Le grandi imprese, tipo Perugina e Ellesse, che tra gli anni Settanta e Ottanta garantirono sviluppo alla città grazie anche all’indotto del commercio, sono passate in mani straniere perdendo i centri direzionali e impoverendo l’area.
Il mercato immobiliare langue, laddove non tracolla, e mette in crisi uno dei tradizionali poteri della città .
Anche le università non risultano più attrattive: gli studenti erano circa 36mila nel 2004, dieci anni dopo ce ne sono all’ingrosso diecimila in meno.
Pure il settore pubblico – e non è solo un problema di Perugia – non è più in grado di garantire alla politica un controllo accettabile del territorio.
L’intero sistema socio-politico è insomma in discussione e l’elezione di Andrea Romizi, più che la cura, ne è il sintomo più fragoroso dopo l’arresto della ex governatrice Maria Rita Lorenzetti, zarina dalemiana in regione, nel settembre scorso spedita ai domiciliari nell’ambito di un’inchiesta sul passante Tav di Firenze (in quel momento Lorenzetti era presidente Italferr, una società di Ferrovie).
I fatti si riferiscono ad un periodo successivo alla presidenza dell’Umbria di Lorenzetti, ma portano in chiaro quel sistema di rapporti tra politica, imprenditoria e burocratja centrale e regionale che, reati o no, i cittadini di Perugia (e di Spoleto, e di Livorno, eccetera) hanno messo domenica nel mirino.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: elezioni | Commenta »
Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
“NON HA VINTO GRILLO, NON HA PERSO RENZI, E’ STATA LA RIBELLIONE DELLA TRIBU’ CONTRO I LORO REFERENTI INCAPACI”…”IL NUOVO SINDACO HA PROBLEMI CON L’ITALIANO E HA AVUTO POCO STILE DOPO LA VITTORIA”
A un figlio di Livorno cresciuto nella brusca culla di Ovosodo: “Vivevo in un mondo che non ammetteva sfumature. Un congiuntivo in più, un dubbio esistenziale di troppo ed eri bollato per sempre come finocchio” le urla fanno sempre un relativo effetto.
La festa dei sostenitori di Filippo Nogarin, però, non gli è piaciuta: “Invece di essere contenti per l’elezione del sindaco del M5S si son prodotti nell’insulto e nello spintone. C’era anche uno striscione sgrammaticato. ‘Cambia la musica e cambiano i sonatori’. Senza u. Il degrado di Livorno è visibile e il declino è anche lessicale. Una decadenza del garbo e della compostezza intellettuale che nello sventolio del becerume trasforma il Vernacoliere in letteratura aulica”.
Virzì, sembra il copione di un film. Dopo 70 anni di incontrastato dominio del Pci e dei suoi eredi, Livorno cambia strada.
Non posso che rallegrarmi. Non credevo che la città mi avrebbe dato uno spunto simile per ritornare a Livorno e dire tutto il male possibile dei livornesi. Comunque me lo aspettavo. Quel che è accaduto era ineluttabile.
Perchè?
Il sindaco uscente, Cosimi, con somma ineleganza ha attribuito il tracollo del partito alla campagna elettorale , ma per 5 anni aveva governato con pigrizia e arroganza in una costante guerra fratricida con l’apparato locale del Pd.
Il candidato del Pd, Ruggeri, si è preso le proprie responsabilità .
L’ha fatto con grande dignità , ma non ne aveva. È un capro espiatorio. Aveva proposto una squadra forte e credibile con un assessore, Simone Lenzi, che avrebbe rappresentato per la città una straordinaria possibilità di ripensarsi- in una generale disperazione in prevalenza affrescata da disoccupati, pensionati e cassintegrati- anche in termini culturali. Le fabbriche hanno chiuso, prospettive non esistono, ma i livornesi che hanno le loro enormi colpe, si sentono ancora i più ganzi di tutti. Quando sento parlare di turismo da implementare o di accoglienza da riservare al visitatore mi vien da ridere. I livornesi sono i primi nemici del turismo e non amano che qualcuno si sdrai sul loro scoglio. Livorno è un posto strano. Una riserva indiana. Un microcosmo che si illude di bastare a se stesso. E lo dico con il cuore ferito, guardando da lontano una città che per me un tempo significava qualcosa e che adesso osservo imbarbarita. Qui comunque non ha vinto Grillo nè perso Renzi. Leggere la realtà con gli occhi della politica nazionale non aiuta. Chi lo fa non ha capito niente.
Allora, guerre fratricide a parte, cosa è successo a Livorno?
È come quando il marito per indispettire la moglie se lo taglia. Abbiamo assistito a un autodafè, non c’è stata una sfida destra-sinistra, ma una ribellione della tribù contro i propri referenti politici che hanno dormito gestendo la cosa pubblica con protervia. E Livorno, storicamente impermeabile ai trend nazionali degli ultimi anni, è rimasta impermeabile anche di fronte al grande cambiamento in corso nel Pd.
Così ha vinto Nogarin.
Ruggeri gli ha fatto i complimenti e dall’altra parte, non ha risposto con lo stesso stile. La solita canizza scomposta. In diretta su Sky, a qualche civile domanda, ha replicato urlando al complotto della stampa con claudicanti slogan che mi spingono a consigliargli un primo urgente impegno.
Quale Virzì?
Ha seri problemi con l’italiano. Il combattimento corpo a corpo con la lingua d’origine mi ha stretto il cuore. I cronisti chiedevano cose semplici. Lui si è innervosito reagendo come l’ultimo dei troll del blog di Grillo. Ora sarebbe bello se qualcuno spiegasse a Nogarin che è il Sindaco di tutta la città e siede sulla stessa poltrona che fu di Furio Diaz e Nicola Badaloni. Mi dicono che questo ingegnere di Castiglioncello con il braccialetto al polso sia una brava persona. Lo spero perchè ad ora, un programma di governo non mi pare esista. Ha vinto con il qualunquismo, urlando “tutti a casa”, profittando di una situazione di sconfinata sofferenza della città che con il tempo è mutata in insofferenza. Comunque non lasciamoci così. Voglio provare a essere ottimista.
Ci provi.
Mi auguro che Nogarin abbia cura di un luogo a cui voglio bene, che impari a fare il Sindaco e che non si faccia dettare la linea dal Blog di Beppe. Imparare l’arte della politica – ascoltare, dialogare e mettere d’accordo pezzi di società diversa, in quel Movimento, di solito trascina a un solo finale.
Ultima scena.
Entrare in collisione con Grillo e con le dinamiche semplicistiche, demagogiche e relazionali del Grande Fratello. Vista l’alba, dubito che Nogarin governi per 5 anni. Ma spero di essere smentito. La responsabilità è grande, l’onere notevole.
Malcom Pagani
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: elezioni | Commenta »