Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
DECISIONE IN ASSEMBLEA NAZIONALE… IN 14 POTREBBERO LASCIARE IL PARTITO E FARE UN GRUPPO AUTONOMO
Un ricorso al presidente del Senato Piero Grasso e una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Sono i prossimi passi che i 14 senatori del Pd, autosospesi per la rimozione di Corradino Mineo dalla Prima Commissione di Palazzo Madama, stanno valutando per far valere le loro ragioni.
Il ricorso a Grasso verrebbe preparato sulla falsariga di quello presentato oggi dai Popolari che contestano la rimozione del senatore Mario Mauro dalla Commissione Affari Costituzionali.
La lettera al capo dello Stato servirebbe per segnalare al Quirinale la scelta dei vertici Pd di sostituire Mineo per le sue idee contrarie alla riforma del governo.
La decisione, apprende Huffpost, verrà presa domani all’Ergife: gli autosospesi infatti si ritroveranno all’Hotel di Roma dove si tiene l’assemblea nazionale del Pd con il premier-segretario Matteo Renzi.
Lì si riuniranno e prenderanno una decisione sul caso Mineo.
Dell’idea di scrivere a Grasso e Napolitano, i 14 in realtà hanno già discusso nelle riunioni di questi giorni, dopo l’estromissione del senatore non allineato dalla commissione Affari Costituzionali.
Il dibattito all’interno del gruppo è ancora aperto, ma l’idea di chiedere un intervento del presidente del Senato, in base al regolamento di Palazzo Madama, e del capo dello Stato è ancora in ballo e verrà affrontata domani, quando gli autosospesi si ritroveranno all’assemblea nazionale del Pd.
I più cauti pensano che sarebbe il caso di aspettare la riunione con il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda programmata per lunedì e l’assemblea del gruppo dei senatori martedì.
Ma molti altri invece valutano già negativamente le risposte arrivate dal partito e dunque pensano sia il caso di agire ricorrendo alle più alte cariche dello Stato.
In vista delle riunioni della prossima settimana, le diplomazie Dem sono al lavoro per cercare una soluzione morbida alla vicenda.
Ma molto dipende anche da quello che dirà Renzi domani in assemblea.
Da parte sua, il premier è più che intenzionato a fare un discorso molto franco e netto sulla necessità di sfruttare al massimo l’energia del 40,8 per cento delle europee per fare le riforme: i frenatori se ne facciano una ragione.
“Un discorso alla nazione”, lo definiscono i suoi, della serie: prendere o lasciare, il tempo è adesso, non bisogna sprecare la fiducia degli elettori che si sono espressi alle europee, non bisogna disattendere la loro aspettativa di fatti concreti.
“Il Pd è davanti a un bivio, non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo…”, ha detto ieri il premier. Sarà questo il succo del suo intervento all’Ergife, ma probabilmente Mineo non lo nominerà nemmeno. Il che forse non depone a favore di una tregua interna, a meno di una marcia indietro dei 14 autosospesi.
Al contrario, tutto sembrerebbe pronto per una resa dei conti finale.
In queste ore entrambe le parti in causa – i 14 contro il resto del mondo Pd, renziano e non – pestano nel mortaio delle tensioni interne.
Uno dei 14, Claudio Micheloni, si dice pronto a lasciare il Pd e formare un gruppo autonomo: “Spero sia l’occasione per trovare un’intesa. Altrimenti proporrò agli altri colleghi di lasciare il Pd e formare un nostro gruppo”, dice all’AdnKronos.
E c’è da dire che anche la trattativa sulla scelta del presidente dell’assemblea sarebbe in una fase di stallo.
Il Giovane Turco Matteo Orfini resta candidato, a quanto dicono fonti renziane, ma sul suo nome si sono scatenati veti incrociati all’interno della cosiddetta ‘Area riformista’.
I bersaniani sarebbero contrari e nella stessa area c’è chi non ha messo da parte la candidatura della lettian-bersaniana Paola De Micheli.
L’idea che Renzi possa sparigliare, optando a questo punto per un nome terzo — magari una donna tra le parlamentari più giovani — si fa strada al Nazareno.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
GLI INGREDIENTI DEL SISTEMA DI PROPAGANDA DEL SITO CINQUESTELLE SVELATI DA UN LIBRO DI FEDERICO MELLO
Dalla primavera 2012, anno dell’esplosione con la conquista di Parma, il blog di Grillo e di conseguenza il Movimento 5 Stelle cambiano totalmente natura.
Alcuni sondaggi indicano intenzioni di voto record per il Movimento e da lì in poi si assiste a una prassi alla quale la stampa da allora in avanti si troverà , suo malgrado, sempre costretta: qualsiasi cosa scritta online da Grillo diventa notizia — e non potrebbe essere altrimenti.
Il web diventa uno straordinario strumento per sparare le proprie bordate senza dover ricevere domande, senza dover rispondere della loro coerenza, della loro fattibilità , delle contraddizioni su questioni fondamentali (come quelle della democrazia interna).
Il blog, inoltre, si evolve e diventa una vera e propria galassia.
All’indirizzo principale, beppegrillo.it, si aggancia una serie di sottodomini e sottositi.
Ci sono le pagine interne del Movimento, quelle dei gruppi parlamentari, La Cosa, una sorta di web-tv con un palinsesto che alterna immagini d’archivio con dirette e contenuti originali e poi, soprattutto, sul blog di Beppe compare la famosa “colonna destra”.
È l’aggregatore di notizie di Casaleggio. Si chiama Tze-Tze e, almeno nelle intenzioni, viene descritto come un portale, «un palinsesto dinamico originato dagli utenti, aggiornato ogni mezz’ora, che seleziona da siti rigorosamente solo online, che non hanno quindi una derivazione cartacea o televisiva, le informazioni in base alla loro popolarità e attualità ».
L’obiettivo? «promuovere l’informazione indipendente in rete svincolandosi dai mainstream media e pubblicare notizie in funzione dell’importanza attribuita loro dagli utenti».
Con l’ottica della rete anni novanta, sembrerebbe un progetto degno di lode: si dà spazio all’informazione in rete diversa da quella dei media mainstream; con gli occhi che vedono l’acqua digitale, invece, queste parole con cui Tze-Tze descrive la propria “mission” sono, di fatto, una confessione.
Pubblicando notizie «in funzione dell’importanza attribuita loro dagli utenti», Tze-Tze e i portali simili della Casaleggio (come lafucina.it, altra testata della galassia, registrata dal figlio di Gianroberto, Davide) producono in realtà contenuti politici e di attualità senza nessun criterio giornalistico.
È una specie di BuzzFeed della politica, nel quale il principio della viralità si impone su tutto il resto.
Non solo: questo arcipelago digitale viene presentato come «informazione indipendente» quando è esattamente il contrario, è propaganda elettorale sfacciatamente schierata con il Movimento 5 Stelle e Beppe Grillo: non si risparmia in alcun modo accuse, insulti, contumelie, che nessuna testata potrebbe pubblicare senza incappare in seri problemi di carattere penale (non a caso nel 2014, per la prima volta, andrà a giudizio per diffamazione un post pubblicato dal blog e che ricostruiva in maniera fantasiosa un’inchiesta giornalistica della trasmissione Piazzapulita).
In rete, inoltre, uno strumento del genere, con l’enorme visibilità assicurata dall’home page di Grillo (Tze-Tze si è guadagnata oltre mezzo milione di fan su Facebook) e con i rimbalzi garantiti dalla potenza di fuoco del comico sui social network, risulta un mezzo formidabile per orientare l’opinione pubblica — almeno quella connessa — e per trasformare bufale e ricostruzioni parziali, in “prove” e argomentazioni per tutti coloro che guardano con simpatia ai 5 Stelle.
Sul web, infatti, le bufale sono virali quanto le breaking news e grazie alla disattenzione generale continuano a girare e a essere condivise anche quando sono state ampiamente smentite.
Lo ha chiarito benissimo una ricerca — Collective Attention in the Age of (Mis)Information — realizzata dalle università di Lucca, Lione e della Northeastern di Boston e riportata in Italia dal bravo blogger Fabio Chiusi su Wired.
La ricerca ha analizzato oltre due milioni di post concentrandosi sui dibattiti Facebook nel periodo a cavallo delle elezioni politiche italiane 2013.
Ebbene, i ricercatori hanno scoperto, non senza qualche sorpresa, che «la maggior parte degli utenti che interagiscono con i contenuti prodotti dai troll è composta principalmente da utenti che interagiscono con le pagine di informazione alternativa».
Insomma, sono paradossalmente gli utenti che si ritengono più informati online a cadere preda con maggior facilità di notizie false. (…)
E c’è anche un’ulteriore contro-indicazione da tenere bene a mente: «I risultati del nostro studio segnalano un pericolo concreto, dato che più il numero di affermazioni prive di fondamento in circolazione è elevato, più utenti saranno tratti in inganno nella selezione dei contenuti».
Vuole dire che sul web, anche se sono state smentite, le bufale non vengono disinnescate: continuano a girare, a essere condivise come verità , anche per lunghi periodi di tempo.
Quando questi meccanismi vengono usati scientemente per i propri scopi commerciali o politici, ci troviamo di fronte a una non-informazione che è il contrario del giornalismo. (…) In questi contenuti prodotti e diffusi a spron battente si trova di tutto. (…)
La parte del leone la fa naturalmente la propaganda politica pro 5 Stelle e contro i suoi avversari. (…) Si trova davvero qualsiasi personaggio o argomento in un frame comune, e i contenuti risultano in fin dei conti tutti uguali.
Il titolo “tipo” di questi status o post comprende espressioni perennemente urlate che nel lancio della “notizia” contengono già la reazione emotiva che quella informazione vuole stimolare: «Vergognoso», «Brutte notizie», «Questa è l’Italia», «Rimarrete scandalizzati», «Non ne possiamo più», «È finita», «Vergogna» in caratteri cubitali.
Non mancano vere e proprie infamie e trollaggi contro i dissidenti, le istituzioni, gli avversari.
Il testo, infine, termina sempre con esortazioni, richieste o domande che stimolano inconsciamente la partecipazione degli utenti: «condividi», «fai girare», «massima diffusione», «diffondi». Tze-Tze, beppegrillo.it, Facebook, Twitter, è tutto così, tutto sullo stesso tono, ogni giorno, ogni momento. (…)
Cito tutti questi attacchi a Renzi perchè è lui l’obiettivo più frequente delle attenzioni della galassia Grillo nel periodo preso in considerazione, come in precedenza erano stati Mario Monti ed Enrico Letta.
«Sputtanato — Uno dei più autorevoli quotidiani del mondo ha appena umiliato Renzi. In Italia non leggerete mai una cosa simile. Guardate cos’hanno scritto. Impressionante: clicca qui» annota Grillo su Facebook.
Vai al link e che dice l’articolo? «L’Economist su Renzi: fa molte promesse, ma non ci sono dettagli».
Ma nella galassia Tze-Tze gli argomenti sono infiniti, tutti quelli che fanno comodo per creare viralità incattivita: «Clamoroso. I lettori di Repubblica danno ragione a Beppe Grillo. Guardate che sta succedendo: clicca qui».
Cosa dice l’articolo citato? Che dopo che la Repubblica ha riportato una polemica dei 5 Stelle contro il quotidiano, alcuni lettori (chissà se spontanei) nei commenti hanno trollato a favore di Grillo. Una non-notizia, che però su Facebook di Grillo conta cinquemila “mi piace”, trecento commenti e trenta condivisioni. (…)
Non tutti i contenuti sono così apertamente diffamatori nei confronti di avversari politici e giornalisti. Altri, sfruttando lo stesso metodo, entrano nel campo della contesa politica legittima senza però farsi mancare pesanti forzature propagandistiche.
Come questo post (soliti cinquemila like e duemila condivisioni): «Il M5S ha appena indetto una conferenza per fare una denuncia gravissima! Seguiteci in diretta ora: clicca qui. Diffondete!» che porta il video di una conferenza stampa dei deputati 5 Stelle sul cosiddetto decreto svuotacarceri; (…)
Un’ultima categoria della mala-informazione di Tze-Tze è quella chiaramente e dichiaratamente sessista.
Niente infatti colpisce di più il “Sistema” maschile di un paio di cosce o di una scollatura. Ecco che anche questi mezzucci sono usati per attirare click e attaccare le avversarie o le giornaliste. Il solito post recita: «Fate i complimenti a questa giornalista. Era in diretta tv su La7 e guardate che ha combinato. Solo in Italia! Che vergogna, clicca qui».
Allegato allo status c’è la parte inferiore di un corpo femminile: si vedono solo le gambe, l’abito rosso e tacchi a spillo. Apri il link e che trovi? Un “articolo” in cui si sottolineano alcuni commenti negativi ricevuti dalla giornalista Myrta Merlino di La7 sulla pagina Facebook della sua trasmissione. (…)
Che rete è quella di cui fa uso beppegrillo.it? Quanto è distante dal luogo di “intelligenza collettiva” che dovrebbe risultare diverso e migliore della democrazia rappresentativa? Beppegrillo.it in realtà si fa forte della retorica dell’“intelligenza collettiva” ma alimenta e orienta piuttosto una “scemenza collettiva” per i suoi scopi e interessi; sul blog qualsiasi senso critico del senso critico, potremmo dire con un paradosso, è bandito: «Non c’è tempo» d’altronde, «siamo in guerra» dice Grillo, con «l’elmetto».
È in questa gestione del web che emerge la maggiore contraddizione del grillismo. Il web per beppegrillo.it non è una piattaforma orizzontale per discutere e confrontarsi, ma una clava verticale da utilizzare su una massa indistinta per fare pubblicità al suo prodotto.
Per questo è interessante studiare il fenomeno Grillo e M5S dalla sua prospettiva peculiare, quella web: è un modello che mostra cosa si può fare con questa tecnologia, fino a che punto si può spingere l’utilizzo sovietico del web e dei social network, fino a dove, direbbe Morozov, può arrivare «la viralità del male».
Federico Mello
(da “Un altro blog è possibile. Perchè non funziona la democrazia digitale”, 14 euro, 192 pag, Imprimatur)
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
STORICI E POLITOLOGI: “PER LE NUOVE LEVE L’INCOMPETENZA E’ UN VALORE”
Silvio Berlusconi aveva affrontato il problema con la classica schiettezza: «Che votino soltanto i capigruppo». Si sarebbero accelerate le procedure d’aula e «chi non è d’accordo potrà votare contro o astenersi».
Questa complicazione della libertà di mandato (presente in qualsiasi costituzione occidentale, per cui il parlamentare rappresenta la nazione e non il partito, ed è libero di votare come crede) è stata poi risolta da Beppe Grillo, secondo il quale deputati e senatori dovrebbero votare secondo i desideri degli elettori, da verificare di volta in volta con consultazioni on line.
«Fare come dicono duecento persone in rete?», si chiede oggi il costituzionalista Augusto Barbera. Il quale, però, non fa rientrare la vicenda del senatore Corradino Mineo nell’ambito proposto in apertura di articolo: «La libertà di mandato è sacra e inviolabile, ma si esprime in aula. Non nelle commissioni, dove deputati e senatori siedono perchè designati dai gruppi parlamentari».
Tanto è vero, aggiunge Barbera, che l’articolo 31 del regolamento del Senato prevede che «ciascun gruppo può, per un determinato disegno di legge o per una singola seduta, sostituire i propri rappresentanti in una commissione».
Accertata la costituzionalità della manovra d’espulsione di Mineo – ma anche una sua palese muscolarità – rimane l’impressione che le truppe del nuovismo italiano, da qualche tempo a questa parte, abbiano dimenticato e forse cancellato almeno un paio di secoli di cultura politica.
«E non da ieri: direi da un ventennio, da quando sono nati i partiti della cosiddetta Seconda repubblica, che però stentano a prendere forma. Il Pd, per esempio, è un aggregato di tre o quattro partiti diversi», dice lo storico Luciano Canfora.
Che aggiunge: «Ci sono giovanotti fastidiosi, diciamo così, che hanno preso a calpestare le regole perchè fa comodo così».
Il vincolo di mandato è spesso un’ipotesi, si contesta la segretezza del voto in aula, si impedisce con la tagliola (per la prima volta nella storia della Camera) l’ostruzionismo alle opposizioni.
Canfora spiega che «non esiste più una scuola di partito». «E nemmeno un cursus secondo il quale si cominciava dai consigli comunali, per poi lentamente salire, e nel frattempo apprendere i grandi principi della democrazia occidentale», dice Augusto Barbera.
Il politologo Giorgio Galli ci ha appena scritto sopra un libro (Storia d’Italia tra imprevisto e previsioni, edizioni Mimesis) e a noi spiega che «la nuova classe politica sembra trascurare secoli di cultura politica e giuridica. È un processo che è cominciato negli anni Settanta e che sta arrivando a compimento, e coincide con la sostituzione di un’alta borghesia imprenditoriale con un’alta borghesia finanziaria, cioè speculativa e improduttiva. E anche con la nascita di un’alta borghesia burocratica. In poche parole, in Italia si sono imposti nuovi ceti sociali con una loro cultura e una loro morale».
Galli parla del familismo amorale, concetto sociologico anglosassone, per cui si persegue solo il bene del proprio clan e le regole valgono solo all’interno del clan medesimo. Le norme che si credevano sacre e inviolabili non solo non valgono più, ma nessuno le conosce.
«L’incompetenza è diventata un valore, una precondizione», ricorda Canfora pensando soprattutto ai cinque stelle. Essere incompetenti significa non essere inquinati dalla polvere dei secoli. «Oltretutto la poca preparazione suscita arroganza, specialmente se associata all’esercizio di un piccolo potere», aggiunge Canfora.
E Galli conclude: «Nessuna conquista è per sempre. La nostra democrazia, per esempio, è stata un conquista faticosa e sanguinosa. Non voglio dire che Renzi la stia mettendo in pericolo, ma quando sostiene che col suo 41 per cento farà le riforme che riterrà di fare, bè, significa che qualcosa ci sta sfuggendo di mano».
Mattia Feltri
(da “La Stampa“)
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO AVER GIRATO TRE PARTITI (DC , PDL E PD) MARCO ZAMBUTO ERA APPRODATO ALLA CORTE DEL “NUOVO CHE AVANZA”
La città dei templi rimane senza sindaco: Marco Zambuto si è infatti dimesso da primo cittadino di Agrigento.
Appena 24 ore fa l’ormai ex sindaco era stato condannato a due mesi e venti giorni di carcere per abuso d’ufficio: una vicenda nata da un’inserzione pubblicitaria su un giornale locale della Fondazione Pirandello.
“Voglio sia fatta chiarezza, vengo condannato per una pagina di giornale! Tutte le scelte che ho fatto le ho fatte per amore della mia città e rifarei tutto. Sono orgoglioso di quello che abbiamo fatto con la mia squadra, abbiamo salvato una città dal dissesto finanziario. Ho amato e servito Agrigento” ha spiegato l’ex sindaco, che ha governato per 7 anni. Annunciate in pompa magna come “dimissioni date per amore della città ”, in realtà Zambuto ha solo prevenuto una possibile sospensione.
“Se quello che si dice corrisponde a realtà , normativamente c’è l’articolo 11 della legge Severino e dunque dovrebbe scattare la sospensione per il sindaco di Agrigento” ha spiegato Nicola Diomede, prefetto di Agrigento: Zambuto quindi si è dimesso prima di farsi sospendere dalla prefettura.
Giovanissimo consigliere comunale con la Dc, segretario provinciale dell’Udc fino al 2007, Zambuto — che pochi mesi fa divenne famoso per un spot in cui invitava i cinesi a invadere la città – è cresciuto nei ranghi di Totò Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia ora detenuto a Rebibbia.
Ma è stato anche un’anima inquieta, a dir poco. Proprio nel 2007 si candidò a sindaco con il sostegno dei Ds. E vinse al ballottaggio grazie al sostegno di tutto il centrosinistra contro la coalizione berlusconiana.
Poi nel 2008 dice di voler aderire al Pdl. Due anni dopo torna all’Udc candidandosi anche alle Politiche.
Riconfermato sindaco nel 2012 (con il solo sostegno dell’Udc e di una lista civica), nel giugno 2013 Zambuto lascia ancora il partito di Casini per avvicinarsi al Pd del nuovo corso, tanto che nella primavera 2013 è diventato presidente dell’assemblea regionale del partito.
Si è anche candidato alle elezioni europee, arrivando soltanto sesto e mancando la conquista di una seggio a Bruxelles nonostante una serie di spot in cui si rivolgeva ai turisti del nord parlando il loro dialetto.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
TORINO: MAMME E BAMBINI SOTTO SFRATTO DORMONO DAVANTI ALLA PREFETTURA.. A LORO GLI 80 EURO NON SPETTANO, SOLO A CHI VOTA LO SCROCCONE DI PONTASSIEVE
“Siamo soprattutto mamme” dice Sara, una delle manifestanti che da ha dato vita a un presidio sotto la Prefettura di Torino.
“Mio marito ha perso il lavoro e con i 300 euro che guadagno io devo scegliere se pagare l’affitto o dar da mangiare ai miei figli” racconta Elisa, anche lei è sotto sfratto. I manifestanti chiedono un incontro con il prefetto: “ho fatto tutta la trafila — spiega una di loro — anche con l’assistente sociale, ma non serve a nulla. Prefettura e Comune si lavano le mani a vicenda. Vogliamo una soluzione, sennò dovremo occupare gli alloggi vuoti”.
In una cinquantina, anche tanti bambini, hanno passato la notte nelle tende davanti alla prefettura, sperando di essere ricevute stamattina, ma nulla da fare.
La temperatura, superiore ai 35°, e il nuovo diniego da parte delle istituzioni ha fatto desistere i manifestanti e il presidio si è sciolto.
Le mamme tornano a casa, aspetteranno la forza pubblica per lo sgombero delle proprie abitazioni.
In un Paese in cui un sindaco alloggiava gratis in un appartamento centrale dove l’affitto lo pagava un amico in rapporti di affari con il Comune, in un Paese dove si compra il voto elettorale con lo spot degli ottanta euro senza coperture sicure, i “senza tutela” non vengono neanche ricevuti “a palazzo”.
Questa è la filosofia del nuovo corso renziano che taglia welfare vero per fare favori a lobbisti e potentati economici, tristi imitatori della peggiore destra reazionaria.
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
NEL PALAZZO AL CENTRO DI ROMA AFFITTI “SIMBOLICI” DI 500 EURO PER SEI STANZE E TERRAZZA… CI ABITANO TRE RAGAZZE DEL GIRO ROMANO DI SILVIO, IGNAZIO LA RUSSA E LA SUA CONSULENTE SELENE, BRUNO TABACCI, IL FIGLIO DI PISANU, PREFETTI E VIP
Cosa hanno in comune la valletta Rasa Kulyte, Ignazio La Russa, la segretaria di Claudio Scajola Fabiana Santini, il prefetto Achille Serra, l’olgettina Maria Letizia Cioffi, i figli di Beppe Pisanu e dell’onorevole Bruno Tabacci, la modella ucraina Olena Kotsylo?
Sono tutti sullo stesso citofono di un bel palazzo al centro di Roma.
Insieme ad altri vip il gruppetto ha colonizzato in blocco un residence in Via Ciro Menotti, a due passi da Piazza Mazzini, nell’elegante quartiere Prati.
Le coincidenze non finiscono qui: politici, pezzi grossi e “papi girls” hanno tutti firmato, chi prima e chi dopo, un contratto di affitto con Salvatore Ligresti, che con la sua Fondiaria è stato proprietario dell’immobile fino alla fine del 2013.
Lo scorso settembre, dopo i guai giudiziari e i problemi finanziari della holding Premafin, il condominio è finito nel portafoglio immobiliare dell’Unipol-Sai, che ha rilevato la compagnia assicurativa di Don Salvatore.
«Il palazzo del potere», lo chiamano i negozianti della zona, abituati a convivere con scorte, lampeggianti e auto blu con vetri oscurati.
«Qui ci stanno figli e figliastri. Qualcuno paga affitti stracciati, appena 500-600 euro al mese per oltre 120 metri quadri», spiega uno degli inquilini “normali” che alloggia nel caseggiato.
«Altri hanno canoni di mercato, che nel rione si aggirano intorno ai 1800 euro: speriamo che i nuovi padroni azzerino i favoritismi».
Mario Orfeo, direttore del Tg1, per esempio paga 2000 euro al mese.
Unipol assicura che è intenzionata a fare pulizia. «La Fondiaria ha spesso dato appartamenti di pregio a cifre ridicole, diciamo pure a “prezzo politico”», spiegano senza ironie dalla compagnia bolognese.
«A parte la questione etica che non commentiamo, noi non danneggeremo i nostri azionisti. La nostra policy è quella di ricondurre tutto alla normale prassi. I nostri inquilini, vip o non vip che siano, pagheranno tutti il giusto. Non siamo un ente benefico».
Finchè i vecchi contratti non scadranno, però, nessuno potrà aumentarli: per molti amici e amici degli amici la pacchia continuerà ancora per qualche anno.
Non solo per gli inquilini individuati in via Ciro Menotti, ma anche per i mammasantissima che abitano nel mitologico palazzo di Via delle Tre Madonne ai Parioli, (dove i Ligresti, hanno raccontato i giornali, hanno affittato nel corso degli anni a Renato Brunetta, Italo Bocchino, Rocco Buttiglione, Mauro Masi e le figlie di Cesare Geronzi) e nella Torre Velasca di Milano, dove vivono Geronimo La Russa, Bruno Tabacci (che, come Ignazio, è riuscito a trovare un appartamento anche al figlio) e Isabella Votino, portavoce del governatore lombardo Roberto Maroni.
Torniamo a via Menotti, e iniziamo il nostro viaggio nel condominio dei potenti. Partiamo dalla casa (sei stanze in totale) di Letizia Cioffi, che ha affittato dalla Fondiaria nel dicembre 2008.
La giovane, origini brindisine, era tra le papabili per una candidatura alle Europee 2009 nelle file del Pdl; la lettera di Veronica Lario contro le veline nelle liste elettorali («ciarpame senza pudore», tuonò l’ex signora Berlusconi) mandò a monte i piani dell’allora presidente del Consiglio e i sogni politici delle sue amiche.
Berlusconi, però, non ha mai dimenticato la bionda Letizia, e l’ha spesso invitata alle sue cene eleganti. I pm milanesi, dopo aver scoperto che la Cioffi era una delle girls più gettonate nelle serate “by night” di Arcore (sono 112 le telefonate intercettate con Nicole Minetti, l’organizzatrice ufficiale dei festini bunga-bunga) hanno anche avviato indagini patrimoniali per capire chi avesse comprato la sua macchina.
Non sappiamo con certezza se la Mini fosse un regalo dell’allora presidente del Consiglio, ma di sicuro per la sua casa la Cioffi spende pochissimo: nel 2009 ha firmato un contratto da 6000 euro l’anno, 500 euro al mese.
Nel contratto con Fondiaria si elencano anche i mobili di lusso e gli elettrodomestici di marca che Don Salvatore mette a disposizione dei suoi inquilini: frigo, forno, lavatrice e lavastoviglie Smeg, cappa a cilindro Elica, salotto completo Novamobili con libreria laccata e porta tv, tavolo “Bolero”, sei sedie di cuoio, due pouf e divano letto “Aladino”.
Le camere da letto vantano invece un «materasso in bultex», oltre a una «zona trucco con sedia e specchio».
Inizialmente la Cioffi viveva con un’altra ragazza, il cui nome finora non era mai apparso nelle cronache: Olena Kotsylo.
La modella ucraina, 32 anni, per una casa a un piano alto di sei stanze con terrazzino paga poco più di 500 euro al mese. Davvero fortunata.
Anche perchè il suo contratto scadrà a fine 2016, e fino ad allora Unipol non potrà rialzarlo.
Anche Olena è entrata nella casa di Ligresti nel dicembre del 2008, pochi giorni prima di partire insieme a una quarantina di ragazze per Villa Certosa: è lei una delle “babbo nataline” che ballavano davanti a Berlusconi durante il veglione di Capodanno del 2009, quello a cui partecipò anche la minorenne Noemi Letizia.
Il servizio fotografico fu pubblicato da “Chi” due anni fa.
Vicina di casa della Kotsylo è Rasa Kulyte, che abita in un appartamento contiguo.
Ex miss Lituania, Rasa (detta Giada) è famosa per aver ottenuto un contratto in Rai come velina del “Lotto alle Otto” con Tiberio Timperi.
Fu l’ex direttore generale Mauro Masi a volerla a tutti i costi nella trasmissione. Una curiosità : come la Kulyte, anche Masi ha firmato un contratto d’affitto con la Fondiaria.
Forse i due si sono conosciuti durante un’assemblea condominiale.
Scendendo due rampe di scale ci si imbatte nell’appartamento del figlio dell’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu. Non sappiamo se il suo secondogenito, Angelo, gode pure lui di un affitto agevolato.
Sappiamo però che la famiglia ha ottimi rapporti con i Ligresti. Beppe è stato spesso visto nel resort di lusso del costruttore siciliano (il Tanka Village di Villasimius), mentre il primogenito Luigi è stato amministratore di alcune società della Fondiaria, tra cui la Immobiliare Lombarda.
Guarda caso, si tratta della controllata che gestiva fino a pochi mesi fa il condominio di via Ciro Menotti in cui abita il più piccolo dei Pisanu.
Altra curiosità : nel giugno 2013 Angelo, mentre lavorava come direttore della fondazione di Gianfranco Fini e del padre (“Agenda”) è stato assunto dal ministro dell’Interno Angelino Alfano come «collaboratore della segreteria del ministro», con stipendio annuo lordo di 41.600 euro.
Anche Alfano, forse, ha incontrato Angelo (che ha chiuso anzitempo la collaborazione) ad una riunione degli inquilini di Ligresti: il leader del Ncd è infatti in affitto nella magione di via delle Tre Madonne.
Sopra l’appartamento di Angelo, vive in sette stanze un altro giovane di buona famiglia, Stefano Tabacci, figlio del deputato del Centro democratico, che spesso ospita anche papà Bruno.
Lo schema dinastico sembra identico a quello della famiglia Pisanu, e ricorda gerarchie medioevali: se i figli più piccoli spuntano tra gli inquilini del pregiudicato Don Salvatore, i più grandi (in questo caso Simone, ex membro del cda della Milano assicurazioni) compaiono come amministratori di qualche società della galassia Ligresti.
Che stavolta fa en plein, avendo trovato per il capostipite Bruno una bella casa nella Torre Velasca a Milano.
Continuiamo la visita guidata. Si vociferava da tempo che nel condominio vivesse Ignazio La Russa, tanto che un uomo molto simile all’ex ministro della Difesa circondato da una nutrita scorta era stato già individuato da un blogger su Google street view proprio in via Ciro Menotti.
Ora sappiamo con certezza che il leader di Fratelli d’Italia (i cui figli Geronimo e Vincenzo, immancabilmente, hanno lavorato con Ligresti) abita qui, in una casa di sette stanze più terrazzo.
«Pare che paghi un’inezia», dice l’inquilino “normale”. Unipol si trincera dietro un no comment. «Non parliamo dei nostri locatari», spiegano.
Da Bologna, però, non potranno smentire che tre piani sopra la casa in via Menotti di La Russa abiti anche una cara amica di Ignazio, Anna Selene Della Notte.
Una ragazza barese che nel 2009 fu assunta (contrattino da 16 mila euro) al ministero della Difesa come «addetta alla segreteria del ministro».
L’ex ministro, forse, aveva bisogno della consulenza di Della Notte anche quando tornava a casa.
Anna Selene sembra comunque grata all’amico: spulciando alcuni resoconti parlamentari, si scopre che a marzo 2013 la ragazza leccese ha fatto ricorso contro la proclamazione a senatore di un esponente del Pdl, «affinchè sia proclamato il candidato numero 1 della lista “Fratelli d’Italia”».
Cioè Guido Crosetto, leader del partito insieme a Ignazio e Giorgia Meloni. Il ricorso della «signora Della Notte», per la cronaca, è stato respinto.
Se qualche vip che paga un affitto a prezzi di mercato esiste di sicuro (l’ex sottosegretario Simonetta Giordani precisa che il suo canone arriva oggi a 1700 euro «per poco più di 100 metri quadri: il contratto d’affitto l’ho stipulato nel 1998 quando la casa era di proprietà delle assicurazioni Generali»), scorrendo i nomi di un’assemblea di condominio del 2011 si nota che tra La Russa e Anna Selene ha trovato un appartamento (sette stanze più terrazzo) anche Fabiana Santini, ex segretaria di Claudio Scajola diventata nel 2010 assessore regionale alla Cultura nella giunta di Renata Polverini.
Leggendo un rapporto dei carabinieri del Ros che hanno indagato sulla casa di Scajola con vista Colosseo (quella comprata a sua insaputa), si scopre pure che la casa della Santini era nella lista dell’imprenditore Diego Anemone, a cui fu sequestrato un file con 400 nomi di potenti e relativi indirizzi di abitazioni da ristrutturare.
La Santini, infine, divide il pianerottolo con la figlia di un altro ex onorevole, il prefetto Achille Serra, che ha militato prima in Forza Italia, poi nel Pd e infine nell’Udc.
Per i prefetti Don Salvatore sembra abbia una vera passione: grande amico dell’ex Guardasigilli Anna Maria Cancellieri – indagata per alcune telefonate con Antonino Ligresti in merito agli arresti della nipote Giulia – ha ospitato al “Tanka Village” anche il prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi, mentre il suo predecessore, Bruno Ferrante, per anni ha vissuto in una casa della Fondiaria nella Torre Velasca.
«La saga del palazzo meriterebbe di essere raccontata in un libro, questo condominio è lo specchio dell’Italia di oggi», sbraita un inquilino “normale”.
«Sa chi lo scriverebbe benissimo? Uno dei pochi che a via Ciro Menotti è proprietario del suo appartamento, il professore Giovanni Sabbatucci, un grande storico del fascismo e del potere».
Emiliano Fittipaldi
(da “L’Espresso”)
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
SULLA STAMPA INGLESE DOCUMENTATE ACCUSE ALL’AMICHETTO DI GRILLO… E NEL M5S GLI EUROPARLAMENTARI ELETTI POTRANNO TENERSI L’INTERA INDENNITA’
L’asse è nato ieri, nonostante le tante polemiche e dopo una votazione online per alcuni discutibile o giudicata “troppo frettolosa”.
Ma per il Movimento 5 Stelle già nascono i primi imbarazzi dell’alleanza con l’Ukip, il partito britannico nazionalista e di estrema destra di Nigel Farage.
Proprio Farage, infatti, oggi occupa le prime pagine dei giornali britannici, su carta e online.
Motivo: avrebbe barato su oltre 200mila sterline di rimborsi da europarlamentare.
Già , i rimborsi, argomento cui i pentastellati sono ultrasensibili.
E ora Farage rischia fino a un anno di carcere, secondo il Times di Londra, quotidiano conservatore.
La vicenda.
Secondo l’accusa riportata dalla stampa britannica, Farage avrebbe usufruito di oltre 200mila sterline di donazioni giunte da John Longhurst, un fervido sostenitore del suo partito Ukip.
Farage, però, non aveva dichiarato queste sovvenzioni private alla commissione elettorale britannica, almeno fino allo scorso maggio, quando erano sorte le prime perplessità .
E qui spunta il problema. Perchè, tra queste donazioni, c’era anche l’utilizzo a titolo assolutamente gratuito di un ufficio della delegazione europarlamentare dell’Ukip a Bognor Regis (West Sussex), sempre gentilmente concesso da Longhurst.
L’accusa.
Andando a fondo, la Commissione Elettorale ha scoperto che il leader Ukip avrebbe utilizzato fondi europei e dei contribuenti per coprire le spese di questo locale e, per l’accusa, pagare anche il suo fantomatico affitto.
Si parla, solo dal luglio 2009, di circa 70mila sterline di rimborsi investiti nell’ufficio. Che, almeno fino a poco tempo fa, le autorità di Londra consideravano a carico dell’Ukip, affitto compreso, quando in realtà era stato ceduto a zero euro da Longhurst.
Farage ha reagito duramente, sostenendo che i rimborsi sono stati utlizzati per coprire le spese dell’immobile come “macchinari e computer”.
Ma, secondo l’accusa, oltre 10mila sterline all’anno per questa causa sembrano troppi.
“Rischia un anno di carcere”.
Cosa succederà ora al nuovo alleato di Beppe Grillo e del Movimento Cinque Stelle? “Al momento stiamo esaminando con attenzione tutte le informazioni forniteci da Nigel Farage – ha fatto sapere un portavoce della commissione elettorale – una volta che il processo sarà completato prenderemo una decisione su eventuali azioni, se necessario”.
Il Times oggi parla di rischio di “un anno di carcere” per il leader Ukip.
In realtà , secondo gli altri quotidiani britannici, qualora Farage fosse giudicato colpevole, la sanzione più plausibile sembra quella di una multa, che dovrebbe aggirarsi intorno alle 20mila sterline.
Il caso indennità nel M5S.
Ma i fondi dell’Unione Europea ai parlamentari di Bruxelles aprono un altro caso nel Movimento 5 Stelle.
Perchè gli eurodeputati pentastellati non sono obbligati a restituire parte dell’indennità o della diaria, come invece accade a deputati e senatori in Italia.
Basta confrontare i due “codici di comportamento” sul blog di Beppe Grillo per notare la differenza.
Per i parlamentari di Strasburgo, a differenza dei colleghi italiani, vige la assoluta volontarietà .
E, sinora, solo cinque eurodeputati su 17 hanno dichiarato pubblicamente di restituire almeno parte della diaria, che ammonta a 304 euro al giorno.
Pochini rispetto ai 6250 euro netti al mese di indennità che invece, a meno di future smentite, terranno tutti e interamente.
Senza contare il rimborso di spese generali a 4.299 euro e il rimborso per i costi di viaggio, alloggio e “spese connesse” di 4.323 euro.
“I soldi servono per vivere”.
Eppure indennità e rimborsi europei sono soldi pubblici anche italiani, visto che il nostro Paese è il terzo contribuente della macchina dell’Unione.
Il gruppo M5S a Strasburgo ha già dichiarato che presto deciderà di devolvere metà della diaria per una giusta causa.
Solo la diaria, però. La ben più ricca indennità , invece, a meno di clamorose sorprese, non verrà toccata.
E’ stato lo stesso capogruppo a Bruxelles, Ignazio Corrao, a escludere significativi tagli di stipendio: l’indennità “serve per vivere fra Bruxelles e l’Italia, i viaggi, la casa, le spese per il collegio”.
Poco convincente, perchè molte spese vengono rimborsate.
(da “la Repubblica”)
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
“GRATITUDINE ALLE MIGLIAIA DI FINANZIERI CHE STANNO ADEMPIENDO, IN CONDIZIONI DIFFICILI, AL LORO DOVERE DI PERSEGUIRE REATI E TUTELARE LA LEGALITA'”
Non è facile parlare. Soprattutto quando si è sotto i riflettori.
Quando i giornali e le televisioni rilanciano notizie di inchieste, di scandali, di tangenti (vere o presunte lo si saprà solo alla fine).
Il Comandante Generale della Guardia di Finanza Saverio Capolupo accetta di farlo. Anche per lanciare un messaggio ai cittadini italiani: «La Guardia di Finanza continuerà a perseguire con rigore e con la massima determinazione i valori della legalità , compiendo con serenità il proprio dovere».
Signor Comandante, qual è il suo stato d’animo oggi dopo gli arresti di alcuni ufficiali di prestigio della Guardia di Finanza? Stupito, deluso, si sente tradito dai suoi uomini, oppure occorre prudenza prima di stilare sentenze definitive?
«Nel nostro ordinamento esiste la presunzione di innocenza fino a condanna definitiva. Inoltre rivendico a gran voce la circostanza che queste indagini le stiamo svolgendo noi, fianco a fianco con le Procure della Repubblica competenti. Se qualcuno viola le regole o, peggio ancora, abusa del proprio ruolo, ne deve rispondere alla giustizia e, dopo che è stata definitivamente accertata la responsabilità penale, anche sul piano disciplinare ed amministrativo. E le assicuro che in questo siamo inflessibili e non facciamo sconti a nessuno. Il mio animo è colmo di amarezza, come quello dei tanti finanzieri che operano tra mille sacrifici, ogni giorno, ma non accettiamo processi alla Guardia di Finanza, l’istituzione è sana».
So che non vuole entrare nel dettaglio delle indagini, ma cosa ne pensa dell’arresto del colonnello Mendella e della perquisizione – nei vostri uffici al comando di Roma – della stanza del generale Bardi?
«Ritengo opportuno non entrare nel merito del provvedimento, poichè non spetta a me dare giudizi in questa fase, con le indagini ancora in corso. Aspettiamo la conclusione».
Dalla carte dell’inchiesta napoletana sembrerebbe emergere un sistema ricco di eccessi per i suoi ufficiali. Non solo gite in barca e frequentazioni di calciatori ma migliaia di euro in tangenti. Non ha mai avuto il presentimento che qualcosa non funzionasse? Elementi che sollevassero dubbi sulla condotta dei suoi colleghi? E soprattutto, se questi “elementi” dovessero essere confermati in sede definitiva, crede che occorrerebbe avviare una riflessione sul Corpo?
«Ciascun Comandante ha anche la responsabilità di prestare una particolare attenzione al proprio personale, affinchè anche nella vita privata e nelle relazioni interpersonali, fuori dall’attività di servizio, siano mantenuti comportamenti in linea con i principi che devono caratterizzare non solo i finanzieri, ma tutti i servitori dello Stato. Quando ci sono segnali di anomalia in tal senso, avviamo accertamenti e verifiche interne. C’è grande attenzione ai problemi legati a moralità e trasparenza anche all’interno dell’Istituzione, proprio per la delicatezza del lavoro che svolge. Siamo i primi a voler fare pulizia quando rileviamo l’esistenza di qualche mela marcia, che in un’organizzazione così numerosa e complessa e che fa un lavoro così delicato, può venir fuori in qualsiasi momento».
Uomini delle Fiamme Gialle sono coinvolti anche nell’inchiesta sul Mose. Premesso che si tratta di comportamenti individuali, e dunque la responsabilità penale è personale, quali possono essere gli strumenti per prevenire fenomeni di questo tipo? Teme che nell’opinione pubblica possa crescere la sensazione di uno strapotere della Gdf che faciliti gli abusi dei suoi uomini?
«Le indagini le stiamo svolgendo noi e le attestazioni di stima che stanno arrivando dalle Procure della Repubblica, dalle Autorità di Governo e da quella Anticorruzione testimoniano quanto il lavoro della Guardia di Finanza venga riconosciuto ed apprezzato, con fiducia. Continuiamo a lavorare con serietà , impegno e con la massima attenzione. Non c’è alcun strapotere, ma è sotto gli occhi di tutti il grandissimo lavoro che la Guardia di Finanza sta svolgendo contro la corruzione, l’evasione fiscale, gli sprechi di denaro pubblico, un lavoro necessario mai come adesso. La nostra missione istituzionale è decisiva per una crescita sana ed una leale concorrenza, a tutela delle persone oneste e del sistema economico – finanziario del Paese».
Cosa vuol dire a chi la sta leggendo in questo momento e si sente frastornato da tutta questa sequela di tristi avvenimenti giudiziari che vedono un ex generale della guardia di finanza in galera ed altri indagati?
«Ai cittadini assicuro che la Guardia di Finanza continuerà a perseguire con rigore e con la massima determinazione i valori della legalità , compiendo con serenità il proprio dovere. Per questo esprimo la mia gratitudine agli uomini ed alle donne in fiamme gialle, che in indagini complesse e condotte in circostanza non facili, hanno saputo adempiere senza esitazione al proprio dovere».
Nicola Imberti
(da “il Tempo“)
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO LA SCOMUNICA DELLA ZARINA SERRACCHIANI, IL SINDACO ORSONI ESPRIME AMAREZZA: “LONTANO DALLA POLITICA”… ERA ACCUSATO DI AVER PRESO SOLDI PER IL PARTITO
Giorgio Orsoni si è dimesso da sindaco di Venezia.
Dopo la revoca degli arresti domiciliari, le polemiche per il suo ritorno a Ca’ Farsetti e una nota molto critica del vice segretario nazionale Pd e governatore del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, ha deciso di lasciare l’incarico.
“E’ con grande amarezza”, ha detto Orsoni in una conferenza stampa stamane, “ma ho sempre operato nell’interesse della città . Ci sono state reazioni opportunistiche ed ipocrite, anche da parte di elementi della giunta”. Proprio ieri l’assessore comunale di Venezia alle Politiche educative, Tiziana Agostini, si era dimessa dall’incarico.
“Lontano dalla politica”.
“Le conclusioni che ho preso sono molto amare, ho constatato che non c’è quella compattezza che mi era stata preannunciata per le cose urgenti da fare per la città e per questo ho voluto dare un segno chiaro della mia lontananza dalla politica e che si è concretizzato con la revoca della giunta, che vuole solo significare che e venuto meno il rapporto tra la mia persona e la politica che mi ha sostenuto fino ad ora”, ha detto Orsoni in conferenza stampa.
“E’ un gesto solo politico, con una chiara presa di distanza dalla politica”.
La lettera del Pd.
La decisione di Orsoni arriva dopo quella che in molti hanno definito una scomunica da parte del Partito Democratico. “Siamo umanamente dispiaciuti per la condizione in cui si trova Giorgio Orsoni”, avevano affermato in una nota Debora Serracchiani, vice segretario nazionale Pd e governatore del Friuli Venezia Giulia e Roger De Menech, segretario regionale del Pd Veneto, “ma dopo quanto accaduto ieri, e a seguito di un approfondito confronto con i segretari cittadino, provinciale e regionale del Pd, abbiamo maturato la convinzione che non vi siano le condizioni perchè prosegua nel suo mandato di sindaco di Venezia”.
La richiesta di dimissioni.
“Invitiamo quindi Orsoni”, che ieri ha ripreso le funzioni di sindaco dopo il patteggiamento e la revoca degli arresti domiciliari, “a riflettere sull’opportunità nell’interesse dei cittadini di Venezia e per la città stessa di offrire le sue dimissioni”, continuava la nota.
“Siamo convinti, inoltre, che non si debba disperdere quanto di buono il Pd di Venezia e tanti bravi amministratori hanno fatto e stanno facendo per la città . Per questo e per la necessaria chiarezza indispensabile in simili frangenti riteniamo che lo stesso orsoni saprà dare prova di grande responsabilità “.
Lo scontro con il Pd e Renzi.
Dopo lo scandalo Mose, che ha portato agli arresti domiciliari anche di Orsoni (ora revocati), i rapporti tra il sindaco e il Pd, che lo ha sostenuto nella corsa a Ca’ Farsetti, sembravano oramai compromessi.
Alla notizia dell’arresto, il renziano Luca Lotti aveva già scomunicato Orsoni, sottolineando che il sindaco “non fa parte del Pd”.
E in un’intervista oggi su Repubblica in edicola, Orsoni aveva ribadito la sua innocenza e non aveva esitato ad accusare il Pd e il premier Matteo Renzi, ribadendo la sua volontà di rimanere a Ca’ Farsetti: “Non mi dimetto, sono deluso da Renzi. Si è comportato come un fariseo”. Poi, la retromarcia.
“Patteggiamento goccia di sangue”.
Nell’intervista a Repubblica, comunque, Orsoni, accusato nell’inchiesta Mose di finanziamenti illeciti, aveva dichiarato di voler rimanere al suo posto (anche se “potrei mandare tutti a quel paese”) e aveva definito “inaccettabile il comportamento del Partito Democratico”, annunciando anche azioni legali contro i vertici.
“L’unico a mostrare solidarietà è stato Piero Fassino. Qualcuno è stato troppo frettoloso a giudicarmi. Sono innocente, il patteggiamento è solo una goccia di sangue che ho dovuto versare”.
(da “La Repubblica”)
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