Giugno 17th, 2014 Riccardo Fucile
IL 28 A ROMA SI TERRA’, ALL’INSEGNA DEL “PARTECIPA PER TORNARE A VINCERE”, IL PRIMO CONFRONTO DI IDEE SU COME FAR RINASCERE LA DESTRA IN ITALIA
PRINCàŒPI
Per una nazione che (ri)alza lo sguardo
Memoria collettiva e valori unificanti per garantire coesione nazionale.
Senso dello Stato come antidoto al populismo e alla demagogia.
Identità nazionale come patrimonio in continuo arricchimento.
L’unitaÌ€ del popolo: rispetto delle tradizioni e consapevolezza di essere comunitaÌ€ politica di donne e uomini liberi.
Il patriottismo (non il nazionalismo) vero contraltare all’omologazione culturale e al pensiero unico.
Patriottismo repubblicano per un’ Italia solida civile e coesa.
La fiducia, in se stessa e nel futuro capitale sociale della nazione
Oltre la crisi
Cultura della legalitaÌ€ per superare la crisi morale dell’ Italia e il dilagare della corruzione e del malaffare. LegalitaÌ€ eÌ€ garanzia di libertaÌ€.
La forza sconosciuta dei buoni esempio contro il fascino perverso degli egoismi. L’etica del dovere accanto alla rivendicazione dei diritti.
Cultura del merito. L’Italia deve garantire a tutti i suoi cittadini di partire alla pari e di andare avanti in virtuÌ€ delle capacitaÌ€ personali.
Libertà di (fare) e libertà (da ignoranza, violenza, bisogno materiale).
Superare la crisi demografica. Favorire la natalità. Sostenere la famiglia.
Nuova cittadinanza. L’Italia eÌ€ degli Italiani, chi vuol esserlo deve meritarlo.
La nostra Europa
Sovranità degli Stati non come limite ma come premessa per una più larga sovranità europea
Europa nazione oltre l’unificazione monetaria e i vincoli di bilancio.
Politica estera militare comune , ruolo attivo di pacificazione nelle aree di crisi.
Globalizzazione come occasione per l’economia reale, non per la speculazione finanziaria.
Cittadinanza europea. Tutela e promozione dei diritti umani.
Conoscere l’Europa, valorizzazione delle culture locali e ampliamento dei canali di comunicazione tra saperi globali.
CentralitaÌ€ del mediterraneo. La sfida geopolitica dell’Italia tra primavere arabe e integralismo religioso.
PROGRAMMA
La Nuova Repubblica
Presidenzialismo e monocameralismo.
Referendum di indirizzo e propositivi.
Riduzione delle competenze, degli apparati e della potestà di spesa delle regioni
Riduzione delle spese regionali con Agenzie indipendenti e commissariamento delle Regioni che non riducono la spesa.
Accorpamento dei Comuni. Reale abolizione delle provincie
Privatizzazione di enti e istituzione pubbliche prive di interesse strategico per la ComunitaÌ€ nazionale. L’inganno federalista
Revisione del titolo V della Costituzione.
Servizi per il cittadino peggiorati, aumento della spesa pubblica e degli sprechi.
Il Nord non è più ricco, il Sud è più povero. 150 anni dopo la questione meridionale è ancora questione nazionale.
Uno Stato a misura di cittadino
Meno leggi, più chiare ed esplicite, non interpretabili. Riduzione della discrezionalità, contro gli abusi di potere
Garantire al cittadino il “diritto di capire” cosa si puoÌ€ fare, come e in quanto tempo.
Sanzionare la Pubblica Amministrazione inadempiente. Ridurre il contenzioso che alimenta la corruzione.
Contrastare l’intermediazione politica e la lentezza burocratica.
Riforma della pubblica amministrazione: mobilità del personale, d coefficienti di efficienza, premi di produttività per i dipendenti della PA.
Tassazione giusta non balzelli oppressivi
Riordino e razionalizzazione della fiscalitaÌ€. Netta distinzione tra rendite finanziarie e speculative e redditi d’Impresa e di lavoro dipendente e autonomo.
Lotta all’evasione come garanzia di equitaÌ€ per gli onesti, stop alla persecuzione fiscale a carico delle imprese e delle famiglie in difficoltaÌ€
Un fisco più equo è più attento alla dimensione familiare.
Lavoro, riforma strategica
Il lavoro come motore di sviluppo e garanzia di crescita economica, la finanza come strumento e non come valore.
FlessibilitaÌ€ non eÌ€ precarietaÌ€. Promuovere la flessibilitaÌ€ positiva — anche rispettando specificitaÌ€ territoriali e di settore — e combatterne l’uso distorto (precariato permanente).
Sostenere con servizi e ammortizzatori sociali la continuità dei redditi da lavoro e i progetti di vita dei lavoratori.
Promuovere l’impiego di tutte le risorse umane inutilizzate, partire da giovani e donne, sempre piuÌ€ istruiti ma sempre meno occupati.
Aiutare le imprese a stare sul mercato attraverso investimenti in sviluppo e innovazione nei settori strategici per il Paese.
Favorire nuovi metodi di lavoro (telelavoro, telepresenza).
Ottimizzare i rapporti con l’apparato burocratico (semplificazione, digitalizzazione).
Un welfare in sintonia con la società che cambia
Ieri nuove povertà, oggi nuovi esclusi. Aumentano i deboli e i non garantiti. A rischio la coesione sociale, pericolo di conflitti non governabili.
Fine dell’assistenzialismo, nuove risposte ai bisogni specifici di famiglie e persone. Sostegni e servizi adeguati e accessibili secondo il principio di sussidiarietaÌ€
Potenziare il ruolo del terzo settore.
Una giustizia giusta
Giustizia neutrale, rapida e accessibile.
La legge uguale per tutti è presupposto di democrazia.
Più solidarietà per le vittime dei reati. Meno benevolenza per i loro autori.
Certezza della pena : chi delinque deve pagare.
Autonomia della magistratura, separazione delle funzioni, nuove modalità di autogoverno.
Onorare concretamente i servitori dello Stato vittime del dovere.
Bandire dalla vita pubblica politici e pubblici funzionari corrotti e/o collusi con la criminalità
Sospensione immediata di ogni forma di privilegio e retribuzione, con obbligo di risarcimento del danno provocato.
Rendere competitiva l’Italia
Modernizzazione delle infrastrutture: trasporti, comunicazioni, reti e fonti energetiche.
Una “strategia Paese” che fissi le prioritaÌ€ e delinei una nuova politica industriale.
Migliorare i servizi alle imprese e favorirne l’internazionalizzazione.
Valorizzare e tutelare l’eccellenza italiana nei settori agroalimentare, artigianale e industriale.
Investire in ricerca e innovazione per favorire la crescita economica .
Un sistema di istruzione pubblica che sia fucina di opportunità.
Riforma strutturale dell’UniversitaÌ€. Incoraggiare il rientro dei “cervelli”
Incentivare, promuovere e sostenere le idee vincenti, i brevetti avanzati e i prototipi a supporto dell’innovazione e della tecnologia .
Supportare le startup giovanili , femminili e innovative di settore tecnologico, a sostegno ambientale e culturale.
L’Italia deve tornare il Belpaese
La bellezza eÌ€ il nostro petrolio. Incentivare il patrimonio culturale e tutelare l’ambiente, binomio indispensabile per un turismo produttore di ricchezza nazionale.
Crescita dell’attenzione per la qualitaÌ€ della vita (salute, cibo, ambiente, consumi, vivibilitaÌ€ della cittaÌ€).
Favorire la conoscenza, in un mondo sempre piuÌ€ “glocale”, delle bellezze locali italiane.
La nuova politica
Rinnovare ( non rottamare) la politica.
Adozione di criteri e metodologie incentrati sul merito per la selezione della nuova classe dirigente
Favorire la partecipazione dal basso e la circolazione delle nuove idee.
Ritrovare il senso della “Polis”. Volontariato sociale e organizzazioni no profit, nuova frontiera dell’impegno civile e della partecipazione del cittadino, oltre i partiti.
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Giugno 17th, 2014 Riccardo Fucile
VENERDI AL VIA L’APPELLO DEL PROCESSO… L’EX PREMIER PRONTO A METTERE DA PARTE GLI ACCORDI PRESI CON IL PD
Ancora una volta i guai giudiziari piombano sulle riforme. Impedendo a Silvio Berlusconi di dedicarsi alla politica. Di metterci la testa.
Altro che “presidenzialismo” su cui domani l’ex premier terrà una conferenza stampa. Altro che incontro con Renzi. Non solo non è stato fissato, ma da Arcore non è stata data nessuna indicazione ai pontieri sul “quando”.
Nella sua mente frulla altro: Ruby e Dell’Utri. Due angosce su cui da giorni è concentrato con i suoi avvocati. Distratto, di pessimo umore, tirato per la giacca da chi vorrebbe una parola definitiva sul “che fare” con Renzi, sulle riforme, sul partito, l’ex premier svicola, prende tempo.
Perchè nella testa ha davvero ben altro.
Stavolta Berlusconi ha davvero paura di finire sepolto vivo dalle inchieste. A partire da Ruby, il processo più temuto.
Venerdì inizia l’Appello a Milano, nel quale tornerà a vestire i panni infamanti dell’Imputato per concussione e prostituzione minorile. In primo grado, esattamente un anno fa, è stato condannato a sette anni più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Una pena durissima, che fa apparire uno scherzo l’interdizione per due anni comminata per la frode fiscale di Mediaset.
Ora l’Appello. I ben informati a corte sono certi che sarà un verdetto lampo. Questione di settimane.
Questione di mesi per il sigillo della Cassazione su cui, dopo Mediaset, Berlusconi ha smesso di avere fiducia.
Ecco perchè chi ha raccolto i suoi sfoghi racconta che il Cavaliere è “preoccupato, anzi terrorizzato”.
Già provato dai venerdì a Cesano Boscone, luogo di autentica tragedia umana di fronte al quale è impossibile rimanere insensibili, adesso vede solo nero.
Entro fine anno la sentenza definitiva che, nelle condizioni in cui si trova, rappresenterebbe la fine della libertà .
Perchè con un tale cumulo di condanne il rischio di pena detentiva sarebbe concreto. In ogni caso, essendo recidivo, perderebbe i benefici dell’indulto su Mediaset e scatterebbero dieci anni (7 di Ruby e i tre di Mediaset). Di fatto, la fine dell’agibilità politica sia pur limitata.
È questo l’incubo di fronte al quale le ore di sonno si sono drasticamente ridotte: “Lo fa impazzire — racconta una fonte in stretto contatto con lui — che il mercoledì gli si chieda di sedersi al tavolo delle riforme come padre della patria e che il venerdì sia imputato per reati infamanti col rischio di perdere la libertà in pochi mesi”.
Ma c’è anche l’affaire Dell’Utri a turbare le lunghe notti di Arcore.
Perchè “Marcello — racconta qualche parlamentare che lo è andato a trovare — si sente mollato e ferito dall’indifferenza del partito che pure ha contribuito a fondare”.
E perchè da sempre la procura di Palermo viene vissuta come ostile. E adesso che Dell’Utri è in carcere con una sentenza definitiva è chiaro che i pm si dedicheranno al patrimonio dell’ex numero due di Publitalia.
Fu proprio il governo Berlusconi e l’allora guardasigilli Alfano a rendere più dure le norme su “sequestro e confisca” dei beni dei mafiosi, inserendo il concetto di “ostensibilità ” delle misure cautelari patrimoniali non solo agli eredi ma anche ai “soci di fatto”: I “soldi – è il vecchio motto dei pm – una traccia la lasciano sempre”.
E qualcuno che condivide le angosce con Berlusconi teme che Scarpinato possa cogliere l’occasione per trovare il modo, partendo dal sequestro sui beni di Dell’Utri, di arrivare a Berlusconi. È chiaro che automatismi non ce ne sono.
Ma che tra i due ci siano stati rapporti economici non è un mistero.
Tanto che un procedimento è già aperto dal 2012, in relazione alla compravendita della famosa villa di Como.
In questo contesto si capisce perchè la riforma costituzionale sia l’ultimo dei pensieri di Berlusconi: “Riparliamone dopo il processo Ruby” ha ripetuto ai suoi in questi giorni.
Nelle parole qualcuno ha anche avvertito un risentimento soft contro il Pd, contro lo stesso Renzi, contro le istituzioni che non hanno mosso un dito.
Per questo, ora che il 20 giugno torna Imputato nel processo Ruby come sfruttatore di minorenni, non ha alcuna intenzione di comportarsi in questi giorni come padre della patria.
La conferenza stampa sul presidenzialismo è un modo per prendere tempo e distanze sul tema.
Poi la “profonda sintonia” tra Berlusconi e Renzi sarà minata da Ruby Rubacuori.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 17th, 2014 Riccardo Fucile
DI AUTORITA’ FINITE REGGICODA DELLA POLITICA NE ABBIAMO GIA’ VISTE TANTE… IL CONFLITTO ANAC-PREFETTURA E IL PROBLEMA DEL TAR
L’anticorruzione e la sorveglianza sulle amministrazioni pubbliche non le ha inventate Renzi.
L’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici esisteva dal 1994 e la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche dal 2009.
Averle unificate nella nuova Autorità affidata a Raffaele Cantone è la dimostrazione della loro inutilità (d’altra parte, con quello che la magistratura ha scoperchiato…); e dell’inefficacia del controllo attribuito a persone provenienti dal mondo della politica o della pubblica dirigenza.
Era necessaria, si è capito, una personalità esterna al mondo da controllare: un Cincinnato o, se volete, un Ambrosoli. Un buon inizio dunque.
Naturalmente non si va alla guerra senza armi.
E la creatura di Cantone, l’Anac, ne ha ricevute due importanti.
1) Può ricevere notizie e segnalazioni di illeciti, il che sembra ovvio e in effetti lo è; ma il denunciante può essere mantenuto anonimo e, nei casi in cui sia assolutamente indispensabile farlo venire allo scoperto, non può essere licenziato dalla società denunciata.
Una sorta di testimone della regina che sarebbe bellissimo esportare in ambito penale, magari con l’“immunizzazione” del corruttore o del corrotto che denuncia per primo il reato.
Nessuno ci proverebbe più sapendo che, al primo accenno di indagine, scatterebbe la gara a chi denuncia l’altro. Va da sè che, se la denuncia è calunniosa, 10 anni di prigione non glieli leva nessuno.
2) Propone la procedura di commissariamento per le imprese i cui amministratori siano indagati per corruzione, concussione e turbativa d’asta.
Ma non tutte, e questo è il primo punto critico.
Solo quelle che hanno avuto appalti per l’Expo. Il Mose non è degno di altrettanta attenzione?
E altri grandi appalti (magari da limitare con una soglia di rilevanza economica)?
E poi proporre non vuol dire ottenere: non è l’Anac che adotta il provvedimento, è il Prefetto a cui l’Anac lo propone.
Però la nuova legge dice che il Prefetto “può” nominare il commissario, “valutata la particolare gravità dei fatti oggetto dell’indagine”.
E qui si aprono molti buchi neri.
Se c’è un’indagine penale la “proposta” dell’Anac è obbligata, non discrezionale: la legge dice “propone”, non “può proporre”.
Ma la decisione del Prefetto è discrezionale: dispone il commissariamento “valutata la particolare gravità dei fatti oggetto dell’indagine”.
Quindi chi deciderà di commissariare questa o quella impresa non sarà Cantone ma qualche sconosciuto Prefetto.
Al di là del dato formale, i Prefetti dipendono dal Ministro degli interni e l’Anac da quello dei trasporti, si può essere certi che Cantone non dipende da nessuno e che lo stesso non può dirsi con sicurezza per ogni Prefetto.
Certo, un conflitto Anac-Prefettura sarebbe imbarazzante per il Governo; ma di Autorità — magari senza Cantone — finite come reggicoda della politica (vi ricordate le conversazioni tra B e Innocenzi dell’Agcom?) ce ne sono state molte.
E poi c’è il problema Tar. Il provvedimento del Prefetto è ricorribile in via amministrativa. I presupposti del ricorso sarebbero: la qualità di indagato dell’amministratore, e qui c’è poco da discutere; e “la particolare gravità dei fatti”.
E qui ogni avvocato potrà riempire volumi.
Al ricorso può seguire la sospensiva: il commissario potrà essere messo in stand-by fino alla sentenza. E poi comunque c’è il Consiglio di Stato.
Insomma, questo inciso puzza tanto di sistemi ben conosciuti dalla politica: si fa finta di costruire e si apprestano i sistemi per distruggere. Era molto meglio condizionare il commissariamento alla sola iscrizione nel registro degli indagati; così com’è si rischia una tela di Penelope.
Infine c’è un altro problema non da poco.
Sarebbe meglio parlare di amministratori dell’impresa e non dei “componenti degli organi di amministrazione”.
In questo modo il commissariamento potrebbe scattare anche se indagato è l’amministratore di fatto e non il semplice prestanome sbattuto in CdA e che non sa nulla di nulla. Si sa bene che i “padroni” di una società spesso non hanno nulla a che fare con gli “organi di rappresentanza legale o di amministrazione”.
Detto questo, l’Anac potrebbe essere una buona cosa. Perchè c’è Cantone.
Ci avessero messo il solito grand commis, si può esser certi che sarebbe stato fumo negli occhi. Il che ci riporta al grande pensiero di Snoopy sdraiato sul tetto della sua cuccia: “Se la mente del giudice funziona, la legge è sempre buona”
Bruno Tinti
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 17th, 2014 Riccardo Fucile
I “FACILITATORI” DA COLLALTI A FORTUNATO: FUNZIONARI E CONSULENTI ALLA CORTE DEL “GRANDE BURATTINAIO”
Ecco come viene pagato un lobbista: “Se il contratto fosse stato un contratto di lobby, sarebbe stata una prestazione reale. Se è formulata in modo diverso… è sicuramente una prestazione inesistente”.
A spiegarlo, dinanzi ai pm, è Piergiorgio Baita, amministratore della società Mantovani, uomo forte del Consorzio Venezia Nuova, che gestiva l’affaire Mose.
Parole da tenere a mente, nei giorni in cui il governo Renzi, stilando il nuovo codice degli appalti, sta pensando di introdurre una “norma per legalizzare le lobby”.
“Chiunque ricopra un ruolo istituzionale — ha detto al Corriere Riccardo Nencini, che ha avuto la delega per il codice — se riceve un lobbista, dovrà annotare su un registro apposito tutto sull’incontro… si tratta di mettere sulla stessa linea di partenza tutte le aziende… di evitare che, chi è più vicino al governo, possa trarne vantaggio”.
Se questa è l’idea del governo Renzi, ecco invece qual è la realtà che emerge dagli atti dell’inchiesta, con uomini di sottogoverno in costante contatto con il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, ormai noto come Mister Mose.
Tra i facilitatori del sistema, sebbene non indagato, spiecca Vincenzo Fortunato: oggi, con il Governo Renzi, è l’uomo chiamato a decidere le dismissioni del nostro Patrimonio immobiliari.
Il braccio destro di Giulio Tremonti
Non c’è soltanto Marco Milanese, il braccio destro di Giulio Tremonti che, per spingere sul Cipe, secondo l’accusa incassa due tranche da 500mila euro.
C’è una schiera di uomini da sempre nelle stanze di governo.
C’è anche Erasmo Cinque, uomo imposto al Consorzio da Altero Matteoli, che presenta Mazzacurati ad Andrea Collalti.
Quest’ultimo, non indagato, a sua volta, è vicino all’ex presidente del Cipe, Mario Baldassarri, e all’intera galassia della vecchia An.
Ed è Collalti che presenta Mister Mose a Riccardo Capecchi, non indagato, tesoriere dell’associazione VeDrò di Enrico Letta, e così Mazzacurati viene letteralmente portato per mano dagli uomini della destra a quelli del centro sinistra.
Successivamente, VeDrò sarà finanziata con 60mila euro (regolarmente fatturati). Erasmo Cinque incasserà — secondo l’accusa — una “tangente del 6,5 per cento” sulle opere.
Per quanto riguarda Collalti, infine, quattro società a lui riconducibili riceveranno dal Cvn 5 milioni di euro con fatture, secondo l’accusa, “totalmente o in parte fittizie”.
Ed è proprio la vicenda Collalti a spiegare che, nel sistema Mose, il Cipe è chiave e obiettivo di tutte le tangenti. I cambi di governo che si susseguono, tra il 2010 e il 2012 — Berlusconi, Monti, Letta — impongono a Mister Mose una rincorsa per trovare sempre nuovi interlocutori. E questa storia insegna che, se i ministri cambiano, i funzionari no. Tanto meno i lobbisti.
Dal commercialista ex Msi la risposta a ogni problema
Andrea Collalti è un commercialista romano, classe 1966, un passato da simpatizzante Msi e un presente nelle società dello Stato.
In lui la cricca del Mose trova la risposta a ogni problema. Oltre a essere stato la cerniera di collegamento con la rappresentanza di An del governo Berlusconi, è l’uomo che fornisce informazioni certe su quanto accade al Cipe.
Del resto è uno dei suoi lavori principali. Nelle tre fittissime pagine di curriculum Collalti scrive: “Esperto in istruzione e coordinamento pratiche di finanziamenti infrastrutturali presso il Ministero dell’Economia ,il Cipe, il Ministero delle Infrastrutture ed il Ministero dello Sviluppo Economico”.
Tradotto: sa come far ottenere i finanziamenti. E infatti svolge questa attività per la Cal Concessioni Autostradali Lombarde Spa (che opera in vista di Expo), per l’autostrada tirrenica Livorno-Civitavecchia (fortemente voluta da Altero Matteoli) e, ovviamente, per il Mose.
I pm, dopo aver perquisito le sedi delle società di Collalti intestatarie di fatture del Cvn per 5 milioni di euro, interrogano Mazzacurati e Baita sul motivo di questi versamenti.
“È una consulenza reale oppure no?”, chiedono al numero uno della Mantovani.
“Non so cosa è scritto nel contratto”, risponde Baita, “so che Collalti svolgeva un’attività di lobby, chiamiamola così, presso le varie istituzioni romane… Presidenza del Consiglio dei Ministri, Cipe, Ministero dell’Economia”.
“Quindi — insiste il pm — in concreto che cosa doveva fare?”.
“Parlare, portare notizie, spingere perchè la posizione di chi doveva votare nelle occasioni delle votazioni… quello che fa un lobbista”.
“Le somme erano destinate tutte a Collalti — ribattono i pm — o erano destinate anche a terzi?”.
Baita dice di non saper rispondere, che può solo immaginarlo, anche perchè è convinto che “l’attività di lobby di Collalti non fosse fatta solo a base di cene e di pranzi…”.
I magistrati di Venezia — Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini — aggiungono un tassello con l’interrogatorio a Mazzacurati: “Collalti ci faceva, diciamo, una assistenza di lobbying soprattutto su un capitolo che è il Cipe… noi utilizzavamo Collalti che aveva una serie di contatti… ”.
I pm insistono: “E quindi le somme poi a chi andavano?”. Mazzacurati, alla fine, ammette: “Non lo sappiamo… Collalti si arrangiava lui, io non chiedevo… non c’era ragione” di chiedere anche perchè “avevamo riscontri positivi… Me l’ha presentato Erasmo Cinque (…) io avevo un problema e lui mi ha risposto ‘noi a Roma usiamo Collalti’… quando ci siamo incontrati mi ha detto che lui faceva questo mestiere… e che riusciva a dare tutte le informazioni su dove era la pratica, sulle pressioni che si potevano fare o meno. La cosa ha funzionato bene…”
Mazzacurati ammette: i riscontri dell’operato di Collalti sono positivi. Come nel maggio 2010.
Il grande problema del Signore della Laguna
Mazzacurati è in difficoltà : ha bisogno di 400 milioni per portare avanti il progetto Mose ma il finanziamento è bloccato perchè rischia una bocciatura della Corte dei Conti.
Si rivolge a chi può. Prima ne parla con Lorenzo Quinzi, direttore generale dell’ufficio centrale del Bilancio, un gradino sotto Vincenzo Fortunato (entrambi non indagati), in quel momento capo di gabinetto del ministro Tremonti.
I due cercano inutilmente una via d’uscita. Quinzi saluta Mazza-curati spiegando che “lui e Fortunato vedranno lunedì Incalza e Signorini per tutti gli argomenti del Cipe”. Mazzacurati dice che “può sentire il dottor Letta”.
Quinzi ribatte che “lo può dire chiaramente al sottosegretario Letta”, ma aggiunge che, alla Camera, “non sa se ci siano margini di manovra”.
Sono ore frenetiche per Mazzacurati che, pochi giorni dopo, dice di aver tentato anche la strada di Marco Milanese. I due si incontrano. E Mazzacurati poi riferisce che il braccio destro di Tremonti “ha chiamato dappertutto e tutti gli hanno detto che non c’era problema”.
La trattativa, con il sottobosco dei ministeri, è avviata su tutti i fronti possibili. Ma i passi avanti sono lenti e Mazzacurati freme.
Ai primi di maggio intanto aveva incontrato per la prima volta Collalti a Roma. Dopo tre giorni da quell’incontro Collalti telefona a Mazzacurati per parlare del Cipe e proseguire così il discorso avviato nella capitale.
E il dominus della Cricca va subito al sodo: “Buongiorno.. senta… con il Cipe mi pare che si sta complicando”. Collalti, lucido, lo blocca subito: “Con tutto quello che è successo si allungheranno un po’ i tempi… aspetteranno di aver nominato il nuovo ministro… se lo nominano… perchè c’erano dei dossier che dovevano passare anche lì dallo sviluppo economico”.
Tre giorni prima, infatti, il ministro Claudio Scajola è stato costretto a dimettersi per la vicenda della casa vista Colosseo.
L’allora premier Berlusconi prende l’interim e Collalti dice, tra l’altro, “che è difficile riuscire a farlo firmare a lui (Berlusconi, ndr)”.
Bisogna trovare altre strade. Più rapide e agevoli. Il 12 maggio, dopo appena quattro giorni, Collalti richiama Mazzacurati per avvisarlo della riunione del pre Cipe: “Ho l’ordine del giorno sottomano e se vuole adesso glielo mando”. E spiega la soluzione: “Mi hanno fatto capire che… c’è al punto 6 (dell’ordine del giorno, ndr) la rimodulazione del quadro dei fondi infrastrutture… potremmo essere lì dentro”.
Dopo due settimane arriva la telefonata decisiva. Il pre Cipe è andato bene. “Ora ci sono 45 giorni di tempo per una ricognizione dei fondi… poi devono fare il decreto… sempre il Mef lo fa… a quel punto però è il Cipe che riassegna con però il vincolo di dare al Mose almeno 400 milioni”.
Mazzacurati è quasi incredulo: “Non ho capito se è almeno o al massimo?”. Collalti garantisce: “No, è almeno. A me mi hanno detto almeno 400 milioni…”. Il re del Mose ha risolto il suo problema. Definisce la soluzione “ottima.. è ottima, anche perchè gestisce tutto l’Economia”.
Dodici anni all’Economia, poi lo Stretto di Messina
Nel frattempo le altre pedine mosse da Mazza-curati — Quinzi e Fortunato — avevano tentato altre strade.
Chi sono? Vincenzo Fortunato, capo gabinetto del dicastero dell’Economia e finanza dal 2001 fino al 2013, è sopravvissuto indenne a dieci ministri diversi ed ha salutato via XX Settembre lo scorso anno per diventare liquidatore della società Stretto di Messina e poi gestire la Sgr del “fondo dei fondi per le dismissioni”, cioè vendere i gioielli immobiliari dello Stato.
Fortunato con Quinzi condividono la stessa longevità nei Palazzi. Quinzi, infatti, è diventato vice capogabinetto delle Infrastrutture nel 2000 con Antonio Di Pietro e nel 2012 arriva al dicastero di Tremonti. I due ottengono contratti con il Mose: Fortunato percepisce 500 mila euro dal Consorzio per il collaudo dell’opera, Quinzi invece — come racconta Baita — “diventa presidente della commissione” che individuerà le banche con cui accendere i mutui per conto del Mose.
Ma Baita — uomo chiave della “cricca” – non si occupa soltanto di Mose. Ha anche altre mire, come l’opera “Valdastico Nord”, e anche in questo caso le decisioni del Cipe sono fondamentali. Il governo è cambiato, sono arrivati i “tecnici” guidati dal premier Mario Monti, ma il sistema non cambia: bisogna monitorare il Cipe a tutti i costi.
Anche con i “pizzini” che, secondo una testimone, devono essere consegnati ai piani alti del ministero dello Sviluppo economico e del suo vice, parliamo di Corrado Passera e Mario Ciaccia, entrambi con un passato in Banca Intesa, entrambi non indagati.
Valdastico nord, il foglietto per lo Sviluppo economico
Laura Minutillo, l’ex segretaria di Giancarlo Galan, racconta ai pm di un messaggio destinato dalla “cricca” all’ex ministro Corrado Passera e al suo vice Mario Ciaccia. La vicenda riguarda “l’opera Valdastico Nord”, essenziale per la costruzione dell’autostrada Brescia-Padova, alla quale erano interessati la “Astaldi e Banca Intesa bis” in qualità di “soci”.
“Non dimentichiamo — dice Minutillo — che l’attuale… e allora ministro e viceministro era uno che si chiamava Passera e uno Ciaccia, che erano due di Banca Intesa, fatalità , che da Banca Intesa seguivano prima queste cose qua da soci… tant’è che lui (Renato Chisso, ex assessore veneto alla mobilità , ndr) diede questo foglietto in particolare a Pagani (dirigente di Banca Intesa) che si sarebbe impegnato a far vedere a chi di dovere….”. “A chi?”, chiedono i pm. “Al ministro e al viceministro…”, risponde Minutillo.
“Se effettivamente tecnicamente era supporta-bile questa cosa, perchè poi è sempre il Ministero che dà l’okay, no?
E se era un percorso valido da poter percorrere. Però noi non avevamo copia e quindi Baita chiedeva se poteva aver copia….”.
“Venti giorni fa — conclude Minutillo, l’ex segretaria dell’ex governatore veneto Giancarlo Galan — ho appreso dai giornali… che l’8 di marzo sarebbe stato fatto un Cipe dove si portava… per risolvere la questione avevano trovato la quadra, per fare in modo che la concessione venisse rinnovata”.
Antonio Massari e Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 17th, 2014 Riccardo Fucile
IN TRE ANNI SI SONO MOLTIPLICATE LE TASSE SUI RISPARMI: TUTTE INSIEME FANNO PENSARE A UNA PATRIMONIALE
Non è ancora una patrimoniale: quella parola è tabù, da non pronunciare mai per un politico italiano.
Eppure, dopo la moltiplicazione dei bolli di metà 2011 sui depositi titoli (governo Berlusconi), gli aumenti di aliquote dal 12,5 al 20% di gennaio 2012 su titoli, fondi e conti di deposito (governo Monti), gli aumenti dei bolli dallo 0,15 allo 0,20% a gennaio (governo Letta), la nuova norma del governo Renzi dal 1° luglio innalza dal 20 al 26% la tassazione sul risparmio amministrato e i conti di deposito.
Sommando tutto, a una patrimoniale ci siamo quasi.
Non è detto che sia un male: anni di crisi hanno ampliato le disparità sociali, specie in Italia dove il mondo del lavoro ha ceduto prestigio e potere di acquisto, rispetto a quello sempre verde delle rendite.
Il problema è che il fisco domestico, che marcia a un ritmo di una nuova norma alla settimana, ancora una volta fa molto per complicare la vita al contribuente, quanto meno alla parte di italiani che le tasse le vuole o le deve pagare.
Milioni di risparmiatori dovranno presto mettersi a studiare, con i loro consulenti, per affrontare la situazione plusvalenze e minusvalenze dei loro portafogli, e scegliere fra tre diverse opzioni.
La prima, che purtroppo dovrebbe essere la più diffusa tra chi non verrà a capo della sfida burocratica, sarà di non fare nulla, e intestarsi così un aumento di tassazione retroattivo, al 26%, sulle plusvalenze latenti.
La seconda si chiama opzione di affrancamento, ed è una vendita figurativa a carico degli intermediari contemplata nei cambi di regime fiscale, con il difetto di applicarsi all’intero portafoglio titoli (anche a quelli che producono minusvalenze latenti, e che invece converrebbe rinviare nel tempo, per compensare meglio, domani, l’aumento di carico fiscale sui guadagni).
La terza via è invece vendere determinati titoli, fare i conti con il fisco al 20% e ricomprarli dopo il 1° luglio: ma in tal caso la convenienza c’è solo con costi di transazione inferiori al 6% delle minusvalenze teoriche.
Se il lettore si è perso, non tema: la normativa sta mettendo alla prova anche gestori e tributaristi italiani, che pure hanno visto molto.
Ma è importante districarsi, per evitare due spiacevoli situazioni: lo scatto automatico e retroattivo dell’aliquota nuova sui guadagni passati, o la necessità di pagare pronta cassa una plusvalenza che non si pensava di realizzare ora ma che in un futuro andrà spartita maggiormente con lo Stato.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 17th, 2014 Riccardo Fucile
OGGI E’ PARTITA LA KERMESSE E MOLTE LINEE SEMBRANO ISPIRATE AL PREMIER
Quest’anno c’è aria di festa a Pitti, che celebra la sua 86esima edizione e i 60 anni del Centro di Firenze per la Moda italiana (la holding che organizza con Pitti Immagine i saloni di Pitti).
Protagonista la moda, più di mille i marchi e i grandi nomi dello stile «born» in Florence: Salvatore Ferragamo, Emilio Pucci, Gucci ed Ermanno Scervino.
Grande assente Roberto Cavalli che ha promesso di esserci il prossimo anno.
E che festa sia con la voce di Andrea Bocelli che ieri sera riempiva il nuovo teatro dell’Opera, con la nuova illuminazione del Ponte Vecchio, entrambi regali di Stefano Ricci, presidente del Centro Moda.
E per l’inaugurazione c’è anche Matteo Renzi che ha sempre un pezzo di cuore a Firenze, città che ha governato e sul cui modello vuole riformare l’Italia.
«Pitti è il paradigma di ciò che l’Italia dovrà fare», disse a gennaio il premier aprendo la scorsa edizione. E che Renzi non sia solo un ex sindaco qualunque in città lo si capisce dall’appoggio che riceve dai grandi nomi dell’imprenditoria della moda, soprattutto quelli di casa.
Che lui ricambia portando nel mondo le loro griffe: per vestirsi sceglie Ermanno Scervino, Stefano Ricci, Ferragamo.
Fiorentina anche la marca dei jeans, i Rifle di Fratini.
E sarà un caso ma quest’anno molte collezioni sembrano ispirarsi a lui.
Lo stile «Renzi» contagia gli stand dove prevalgono i suoi colori preferiti, il blu e i toni dell’azzurro, le giacche di lino, le camicie extra slim per fisici allenati, i pantaloni a sigaretta ma non troppo corti, i giubbotti alla Fonzie.
Firenze Hometown of Fashion (16-20 giugno 2014) è un progetto realizzato insieme a Pitti Immagine, con il contributo straordinario del Ministero dello Sviluppo Economico e di ITA Italian Trade Agency.
Sfilate e performance d’autore, installazioni e musica, mostre e proiezioni cinematografiche.
Nell’affollato programma di Pitti, l’ospite è Z. Zegna con l’anteprima il 19 alla Stazione Leopolda di una collezione disegnata da Murray Scallon e Paul Surridge, che miscela eleganza formale e sportswear, il nuovo codice del guardaroba di «lui».
La moda che guarda al futuro, che disegna nuovi scenari di gusto e sociali, ma anche che non perde di vista il passato e trae ispirazione e memoria dall’Arte e dal Cinema. Per questo nel foyer del Teatro dell’Opera è stata allestita la mostra sui Costumi della Sartoria Tirelli, che quest’anno compie 50 anni.
In visione un film Rai con grandi protagonisti della lirica, del teatro e del cinema italiano.
In mostra otto capi del celebre atelier romano, tra cui il vestito del primo atto della Traviata con Maria Callas, diretta da Luchino Visconti (1955), due costumi di Gabriella Pescucci disegnati per Michelle Pfeiffer ne «L’età dell’innocenza», il vestito del costumista da Oscar Piero Tosi indossato da Silvana Mangano nel film «Morte a Venezia».
«Quello tra moda e grande schermo, ma anche con il teatro, è uno scambio mutuo», dice Dino Trappetti presidente della Fondazione Tirelli-Trappetti.
«La moda è spesso ispirata dal cinema. Quando nel 1968 Piero Tosi disegnò i costumi per “La caduta degli Dei”, tutto Anni ’30, anche gli stilisti riscoprirono quel periodo che da allora non è più stato abbandonato: tagli sbiechi e scivolati morbidi».
Insomma, tanti auguri a tutti e che Pitti abbia inizio.
Maria Corbi
(da “La Stampa”)
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Giugno 17th, 2014 Riccardo Fucile
E’ QUESTA L’IMMAGINE DA ALLENATORE CHE APPARE SUL VIDEO PROMOZIONALE LEGATO ALLA MANIFESTAZIONE DEL 28 GIUGNO A ROMA
Gianfranco Fini ritorna alla politica attiva e riscende in campo.
Ma non solo in senso figurato. Nel video promozionale del lancio della kermesse “Partecipa”, che si terrà il 28 giugno a Roma, l’ex presidente della Camera si presenta proprio nelle vesti di allenatore di calcio.
Un’operazione di marketing che va al traino dei Mondiali.
Grisaglia perfettamente stirata, cravatta blu, camicia impeccabile con gemelli ai polsini, il ‘mister’ si gira il pallone tra le mani e poi si alza dalla panchina.
Si avvicina al dischetto del rigore, ci piazza sopra la sfera e si gira verso la squadra, che attende, abbracciata spalla a spalla come si fa per darsi la carica, schierata dentro il cerchio di centrocampo.
Quando l’inquadratura si allarga è la faccia di Gianfranco Fini quella dell’allenatore che chiama con un gesto della mano il giocatore che tirerà il rigore (nello stadio di Ciampino).
“Una partita – spiega l’ex leader di An nel filmato, che ricalca uno slogan dell’ultima campagna delle Europee del movimento di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia – si può perdere se la giochi a testa alta, senza secondi fini. Per tornare a vincere, Partecipa”.
Fini in conclusione cerca di ritagliarsi un nuovo spazio tra la destra berlusconiana e quella vicina a Gianni Alemanno e Giorgia Meloni con la kermesse romana:
“È questo il luogo dove puoi esprimere liberamente la tua idea, sul presente e sul futuro dell’Italia. È solo un primo momento di confronto su quello che dovrà essere il programma della destra italiana e repubblicana. È il campo dove inizieranno ad allenarsi donne e uomini che vivono l’impegno civico con passione e senza secondi fini. È il tempo in cui bisognerà rivendicare il valore della tradizione e la ricchezza del progresso”.
Sul sito internet dell’evento, www.partecipa.info, c’è anche una prima bozza del progetto finiano.
Il video è stato girato dalla Promostudio di Luca Rutigliano, agenzia che ha curato a Bari la campagna elettorale del candidato di centrosinistra alle comunali, il neosindaco renziano Antonio Decaro.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 17th, 2014 Riccardo Fucile
FAR DIMENTICARE LO SPOSTAMENTO A DESTRA IN EUROPA CON FARAGE E COSTRINGERE RENZI A SCEGLIERE TRA LUI E BERLUSCONI, TOGLIENDOGLI ALIBI
Non è vero che Grillo ha scelto di entrare nel gioco. Che si è rassegnato alle logiche del compromesso parlamentare, dopo il flop delle europee.
Beppe la politica la fa, a suo modo, da moltissimo tempo, dosa e distilla le strategie di breve e di medio periodo con oculatezza, talvolta vince e talvolta perde, ma non si butta mai a caso.
A differenza di quello che può apparire, il Beppe istrione e improvvisatore sui palchi e nelle piazze è l’altra faccia del Beppe determinato e razionale.
Un leader double-face che non scandalizza nessuno.
Quello che dice che la tv è il peggiore dei mali (e cancella poco prima delle politiche l’unica intervista prevista) e poi decide, un anno dopo, che invece è meglio andarci in tv e si accomoda con agio da Bruno Vespa.
Quello che dice: o vinciamo le Europee o lascio, ma poi rimane stabilmente in sella.
E quello che dopo aver detto no, no e poi no all’odiato Pd poi ci ripensa e manda una richiesta formale di incontro, dai toni quasi affettuosi.
Cambiare le strategie, o meglio adeguare flessibilmente le tattiche alle contingenze della politica, annusando l’aria che tira e cercando di non perdere centralità , è quello che fanno i leader politici. Niente di strano, dunque.
Con l’apertura al premier, Grillo raggiunge infatti almeno due obiettivi.
Primo. Mette in imbarazzo il premier costringendolo a scegliere tra lui Berlusconi. Tra il nuovo e il vecchio, tra i puri e gli impuri.
Sinora Renzi aveva potuto spiegare che l’accordo con Berlusconi era dovuto anche all’impossibilità di dialogare con i grillini integralisti e solitari per scelta.
Ora il premier dovrà spiegare che al posto di Grillo sceglie «l’inciucio» con Berlusconi.
D’altro canto proporre una legge elettorale proporzionale senza premio di maggioranza e con la sola correzione dei collegi di media grandezza significa presentare a Renzi il contrario di quello che vuole.
Come portare la carne a un vegetariano che ha chiesto l’insalata. E non è così vero che ci sarebbe governabilità e la possibilità per un partito di governare da solo.
Intanto occorre raggiungere il 40% (non così facile da noi con tre partiti molto consistenti) e a differenza della Spagna non è costituzionalmente possibile avere governi di minoranza.
Il Democratellum sarebbe una sciagura per Renzi e per il paese.
Mentre Grillo non avrebbe niente da perdere. La soglia del 5% gli permette di far fuori tutti i partiti piccoli, compresi quelli della galassia dell’antipolitica, e di conservare un enorme potere di veto.
Secondo obiettivo.
La versione morbida del grillismo potrà far dimenticare in fretta la surreale alleanza con la destra radicale di Farage. Nonostante l’approvazione della rete, il cartello in Europa con il partito della destra estrema e xenofoba inglese ha sollevato moltissime critiche, soprattutto tra i parlamentari.
Tendendo la mano al Pd, Grillo distrae il suo elettorato dalle faccende europee e dopo essersi avvicinato a un partito di destra ha l’occasione di mostrarsi disponibile verso uno di sinistra.
Come a dire discutiamo con tutti, siamo sempre oltre.
E così si invertono le parti rispetto allo streaming del febbraio scorso.
Lì era Grillo che non faceva parlare Renzi, uomo delle banche e giovane vecchio della politica italiana, rimproverandogli di essere poco credibile perchè diceva una cosa per poi smentirla il giorno dopo.
Ora lo vedremo forse ostentare una predisposizione all’ascolto, con il solo obiettivo di smontare l’Italicum ed evitare la logica bipolare e maggioritaria che contribuirebbe ulteriormente al suo sgonfiamento.
Grillo non ha nulla da perdere. Chi invece rischia di più è Matteo Renzi, per la rincorsa a scendere a patti con lui. Tutti lo vogliono.
Dalla Lega che vuole ritoccare il titolo V in cambio dell’ok al Senato, a Ncd e Fi che rilanciano sul presidenzialismo, sino a Beppe (appunto) che potrebbe risvegliare gli appetiti per il proporzionale ben presenti in parlamento.
E se tutti rilanciano, il rischio di tornare alla casella di partenza è molto alto.
Di palude sulle riforme istituzionali ne abbiamo già vista molta.
Elisabetta Gualmini
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Giugno 17th, 2014 Riccardo Fucile
“CI SIAMO RESI CONTO CHE MAMMA GABBIANO ERA MORTA QUANDO IL COMPAGNO HA COMINCIATO A LANCIARE VERSI STRAZIANTI”
Li ha aspettati, covandoli, e protetti come soltanto una madre può fare.
E quando, finalmente, sono nati ha iniziato a nutrirli con quello che passa la natura, insegnando loro i primi «trucchi» per la sopravvivenza.
Ma non ha fatto in tempo a vederli crescere fino al punto di rendersi autonomi, capaci di librarsi in volo.
Qualche giorno fa si è accasciata vicino alla «casa» ricavata in cima alla torretta di un edificio alle porte di Ospedaletti.
Sembrava solo stanca, e i suoi piccoli le si sono stretti attorno, per darle calore e forza sperando che si riprendesse in fretta.
Ma, purtroppo, non è servito a nulla: la gabbianella si è addormentata per sempre. Chissà perchè.
È una storia triste, molto triste, quella raccontata dai «dirimpettai» di questa famigliola alata. Gente che vive nei palazzi vicini, spettatori inermi della vicenda.
«Ci siamo resi conto che mamma gabbiano era morta quando il compagno, l’altra sera, ha cominciato a lanciare versi strazianti», raccontano.
Ma nessuno osa avvicinarsi al nido perchè da quel momento il maschio ha iniziato a prendersi tutte le responsabilità del caso, non permettendo intrusioni di qualunque tipo.
Comprese quelle dei suoi simili, incuriositi dalla sagoma immobile della gabbianella. Magari allenterà la guardia quando i suoi piccoli spiccheranno il primo volo. Nell’attesa, al calar del sole, si accoccolano intorno alla mamma, come lei faceva con loro, forse sperando che si risvegli.
Gianni Micaletto
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