Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
L’ARROGANZA DELLA BOSCHI CHE HA PRETESO IL RITORNO AL SUO TESTO BASE, VANIFICANDO I LAVORI DELLA COMMISSIONE: DIO LI FA E POI LI ACCOPPIA
I toni sono forti, i più laceranti da quando Renzi è stato eletto segretario e, soprattutto, dal plebiscito delle Europee.
Ora, però, “il premier e i suoi — dice il senatore dissidente Massimo Mucchetti, anche lui autosospeso nel nome della libertà di voto e di parola di Corradino Mineo — usano quel risultato come una baionetta”. Anche come qualcosa di più.
Prima il voto sulla responsabilità civile dei magistrati alla Camera, quindi lo psicodramma che si è consumato in commissione Affari Costituzionali del Senato a causa del ministro Maria Elena Boschi, che ha preteso il ritorno al testo base firmato da lei vanificando il lavoro della commissione, “per pura vanità ”, dicono i “ribelli”, hanno acceso gli animi di una dissidenza interna mai sopita e, soprattutto, mai gestita. Così, la direzione del Nazareno, prevista per sabato, si preannuncia una conta spietata. E qualcuno già immagina che possa addirittura sfociare in una scissione se, come è più che probabile, Renzi metterà sul piatto un aut aut verso i dissidenti: o state con me, oppure quella è la porta.
A corollario dell’ultimatum, Renzi ha già pronta una scenografia choc per sottolineare che il Pd “è a un bivio e io non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese in mano a Corradino Mineo”: dietro di lui, sul palco, ci sarà un enorme “40,8” come sfondo.
Slogan della giornata: “Adesso tocca a noi #Italia riparte“. Quindi, una grande foto, con la folla che sventola le bandiere Pd.
Chiunque abbia qualcosa da dire in dissenso, lo dovrà fare sul quel proscenio. Che è, anche,un messaggio preciso: il “brand” che vince sono io, Renzi, non il partito. E chi non si allinea, si mette fuori e decide di restare nella “bad company” che fino ad oggi ha saputo collezionare solo una lunga serie di sconfitte.
Se, solo qualche tempo fa, questi stessi modi e queste stesse parole ed intenzioni fosse state messe in atto da Silvio Berlusconi, sarebbe scoppiato un inferno.
Invece, l’aver forzato le regole sostituendo un senatore in commissione solo perchè non allineato, ha svelato un volto di Renzi che fino ad ora era stato possibile solo intuire dietro gli slogan e le promesse.
Ma nessuno ha gridato più di tanto allo scandalo. “Mi sento in un momento imbarazzante — diceva, invece, sempre al Senato un Vannino Chiti spaesato, anche lui estromesso dalla commissione perchè non allineato — non è normale quello che avviene nel partito; il confronto su temi importanti non puo’ avvenire mettendo sotto i piedi l’articolo 67 della Costituzione, non puo’ essere un partito plebiscitario-autoritario, come quando Lotti (sottosegretario all’editoria e braccio destro di Renzi, ndr) parla dei 12 milioni di cittadini, i 12 milioni hanno votato per le Europee. Se si da’ un colpo alla rappresentanza e al ruolo dei gruppi parlamentari e si ritenesse che contano solo da una parte le primarie, dall’altra una sorta di centralismo autoritario, allora il rischio lo vedo”.
Rischio autoritario. Di questo i dissidenti Pd, saliti ufficialmente a 14, accusano Renzi.
Felice Casson si è spinto a definire “un metodo militare” quello messo in atto dal premier per ottenere obbedienza e forzare le regole sul vincolo di mandato parlamentare, ma il risultato è ora un boomerang difficile da gestire.
La tensione è alle stelle nel Pd, i civatiani sono sul piede di guerra, così come i Giovani Turchi e anche alcuni lettiani.
Le seggiole e le poltrone che dovevano essere distribuite proprio durante la direzione, per consentire un riequilibrio interno tra correnti e calmierare gli animi più accesi, ora sono diventate di secondaria importanza; c’è Renzi, con i suoi, contro il resto del partito. Che lui vuole “asfaltare”, perchè “non si può perdere l’occasione di fare le riforme e di concludere la legislatura solo perchè “qualcuno ha preso il partito per un taxi”.
In realtà , Renzi non sarebbe mai arrivato a questo punto di rottura con la dissidenza interna.
A commettere errori tattici, anche a livello di comunicazione, sono stati i suoi due più stretti collaboratori, Maria Elena Boschi e Luca Lotti.
La prima, come si diceva, ha preteso, dopo settimane di lavoro sulla riforma del Senato, di azzerare tutti i passi di mediazione che erano stati fatti per ritornare al testo da lei prodotto e firmato.
Il secondo perchè, in piena tempesta a palazzo Madama, se n’è uscito con una frase infelice; “13 senatori non possono permettersi di mettere in discussione il volere di 12 milioni di elettori e non possono bloccare le riforme che hanno chiesto gli italiani”. Un azzardo mediatico e politico piuttosto grossolano, che sempre Felice Casson ha bollato in modo netto: “E’ una forma di ottusità ”.
Finora Matteo Renzi aveva gestito con prudenza il risultato delle europee, ma ora non vuole rischiare di presentarsi al tavolo con Forza Italia con un Pd paralizzato dalle divisioni interne.
Il ruolo di mediatore, in queste ore, è affidato a Luigi Zanda, ma molti nel Pd pensano che dopo la direzione di sabato, Mineo e gli altri saranno messi nelle condizioni di andarsene.
Anche Casson, si dice, vorrebbe lasciare, ma ieri un senatore faceva notare con malizia: “Difficile che esca ora che può aspirare a correre come sindaco di Venezia…”.
Renzi, comunque, ha bisogno di un Pd compatto per presentarsi nelle migliori condizioni all’incontro con Berlusconi, anche perchè in casa democratica, sottotraccia, da settimane si lavora per provare a gettare un amo ai fuoriusciti M5s e più d’uno dà per scontato che gli ex grillini formino un proprio gruppo parlamentare al Senato, capace di costituire un’ulteriore stampella per i democratici sul piano delle riforme. Per questo, meglio far fuori subito i dissidenti: “Sono solo 14 — commentava ieri al Senato una renziana di ferro — pensavamo fossero di più, quasi 25. Se se ne vanno solo loro, non mi azzarderei a parlare di scissione…”.
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
BRANDIRE L’INVESTITURA POPOLARE COME LEGITTIMAZIONE A FORZARE LE REGOLE COSTITUISCE UNA TENTAZIONE AUTORITARIA
Dice il sottosegretario Lotti che “dodici senatori non possono permettersi di mettere in discussione il volere di 12 milioni di elettori”.
Ha spiegato così perchè il senatore Mineo (i dodici, poi diventati 13, si sono autosospesi in solidarietà con lui) è stato rimosso per poter far guadagnare al Pd la maggioranza sulla riforma del Senato nella ormai fatale Commissione Affari Costituzionali.
Potrei chiedere come fa il governo a sapere che quei dodici milioni di italiani hanno votato specificamente per la riforma Renzi sul Senato.
Potrei chiedere di quali elettori si parla. Perchè se si parla di quelli che hanno eletto l’attuale Parlamento, allora il Premier attuale non è stato votato e Mineo sì.
Se invece parla del voto per le Europee andrebbe ricordato che il pur immenso consenso non è comunque consenso politico diretto.
In ogni caso gli eletti, come abbiamo ricordato di recente in merito alla ondate di espulsioni dal M5S, hanno diritto alla libertà di opinione.
Come del resto i militanti di partito – in questo caso, se parliamo al segretario del Pd, mi pare che andrebbe ricordato che in quel partito si è lavorato una vita (del Pd stesso e di varie generazioni di militanti) per affermare il diritto al dissenso interno, con conseguente richiesta di affrontare questo dissenso con pratiche il più possibile lontane dallo stalinismo.
Questi sono naturalmente dettagli. Si sa che i renziani credono che il potere che hanno in mano vada gestito in maniera decisionista.
Chi dissente è palude, lo sappiamo.
Tuttavia, visto che la convivenza civile è fondata sulla salvaguardia – che nel suo piccolo riguarda la salvaguardia delle regole – non posso che segnalare che brandire l’investitura popolare come legittimazione ad agire forzando le regole costituisce una tentazione autoritaria. Non farò a Renzi il torto di accostarlo a Berlusconi, perchè sappiamo che ha ambizioni e riferimenti storici molto più alti
Nelle sue idee il paragone è Blair, o Obama.
Peccato che anche la traiettoria di questi leader dimostri che il vasto consenso popolare non fornisce un passaporto con il destino.
Blair è alla fine caduto nella trappola delle sue forzature (ricordate l’Iraq? In queste ore qualcosa di molto drammatico ce lo ricorda) e Obama in quelle della sua inefficacia.
Ma forse sbaglio geografia.
Forse è la visita in Cina ad aver fatto velo al giudizio del nostro premier.
Lì certamente c’è un bellissimo modello su come governare insieme un partito, un paese, le riforme, un mercato, e, se possibile, il mondo.
Lucia Annunziata
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
ECCO IL PATTO A DUE CHE L’EX PREMIER PROPONE A RENZI
A questo punto si riaprono gli spazi per un “patto a due” con Renzi. E per ripartire da quella bozza di accordo su cui avevano lavorato da un lato Verdini e dall’altro il tandem Guerini-Boschi prima che il mese di campagna elettorale rendesse confuso il quadro.
La caduta della testa di Mineo favorirebbe la trattativa: “Renzi — è l’analisi che filtra dall’inner circle berlusconiano — è un duro e ha voluto far vedere, anche a noi, che il dissenso interno non può diventare un alibi per non fare le cose. E in tal modo ci chiede di fare lo stesso con i nostri arrivando a una posizione definitiva”.
È nel corso di un megavertice a cena a palazzo Grazioli – mercoledì sera – che Silvio Berlusconi confida allo stato maggiore di Forza Italia la sua volontà di trovare un accordo con Renzi: “Io voglio che si facciano”.
Frase che va letta tutta d’un fiato con la successiva: “A patto che cambi l’attuale proposta”.
Quella cioè sul cosiddetto modello francese che riempirebbe il Senato di sindaci, garantendo così al Pd una maggioranza bulgara sull’elezione del prossimo capo dello Stato.
Però la bussola è stare dentro il processo di riforme, senza appiattirsi sulle posizioni di Lega e Fratelli d’Italia: “Solo così — è l’analisi di Paolo Romani nel corso del vertice — avremo la golden share del rassemblement di centro destra che vogliamo costruire”.
E soprattutto solo così Berlusconi rimane nel gioco che conta, rimanendo aggrappato al profilo di “padre della patria” nell’era della grande decadenza giudiziaria.
Quello che immaginano le colombe chiamate a ragionare di riforme, da Toti a Mariastella Gelmini a Deborah Bergamini è un percorso politico che possa agevolare l’approdo a un atto di clemenza, a fine corsa.
Perchè, insomma, se uno fa le riforme assieme, elegge assieme il prossimo capo dello Stato e diventa fondatore della Terza Repubblica ci sta pure che alla fine ci possa essere una “pacificazione” da realizzare con un atto di clemenza a un padre della patria.
Nulla di più lontano dall’ottica di Berlusconi è la linea dura di Brunetta che ha posto come conditio sine qua non per partecipare al tavolo il varo di una commissione d’inchiesta sul famoso complotto
La verità , spiegano a microfoni spenti fonti ben informate, è che il Cavaliere si sente aziendalmente tutelato dal governo Renzi che per ora taglia un po’ la Rai ma non la riforma per renderla competitiva e insidiosa per Mediaset e si sente tutelato politicamente da un governo che non piace all’Anm e alla Cgil.
Quindi il problema non è la durata della legislatura. Ma come questo contesto possa aiutare nella risoluzione dei guai giudiziari.
In questo contesto si capisce perchè abbia intenzione di massimizzare i vantaggi della situazione. Anche il caso Mineo, è il suo ragionamento, dimostra che Renzi è più attento ai tempi che ai contenuti.
Vuole cioè mostrare all’opinione pubblica che è l’uomo del fare, il torrente contro la palude. È la velocità di realizzazione delle riforme, la bandierina, che vuole piantare. E sa che per fare presto non può andare avanti a maggioranza. Ma ha tutto l’interesse di un patto a due.
“Silvio” e Matteo” non si sentono a telefono da un mese. Nè, al momento, è previsto l’incontro. Ma gli ambasciatori non hanno mai smesso di parlare.
E Verdini, con la benedizione del Capo, ha già recapitato un’offerta. Che, più o meno, suona così: accettiamo anche un Senato non elettivo, ma purchè non sia composto dai sindaci.
Una bozza con i delegati delle regioni era stata già lavorata prima della campagna elettorale.
Ora che Renzi ha piegato con le cattive il Pd, è possibile ripartire da lì. E così, mentre tutto lo stato maggiore di Forza Italia bolla come inaccettabile la proposta del modello francese, sottotraccia si tratta per un’altra soluzione.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
“QUESTA NON E’ UNA SCELTA, E’ UNA FARSA: PERCHE’ AVETE ELIMINATO I VERDI DALLE OPZIONI DI VOTO?”
Il concetto di democrazia diretta va ripensato.
E’ quanto emerge dalla miriade di critiche piovute sul referendum del Movimento 5 Stelle per decidere con chi allearsi al Parlamento Europeo per la formazione del gruppo parlamentare.
Per giorni ha tenuto banco il dibattito su un possibile accordo con altri partiti.
In particolare, l’Ukip xenofobo di Nigel Farage, i Verdi di Ska Keller e Josè Bovè, e i Conservatori dell’Ecr.
Ma, all’apertura delle votazioni, i Greens mancavano all’appello, scatenando così la rabbia di tantissimi grillini che hanno giudicato la mossa di escludere il partito ambientalista come una decisione presa dall’alto: “Io non ho nulla contro Farage, anzi mi piace. Ma per favore non fate finta di chiedere il parere degli iscritti. Davvero pensate che siamo così fessi?”, scrive un utente sul blog di Beppe Grillo.
Dai loro profili Facebook, anche alcuni parlamentari 5 Stelle hanno giudicato negativamente il colpo di mano: Luigi Gallo parla di “un errore non inserire i Verdi tra le opzioni in votazione”.
Stefano Vignaroli invece twitta: “Sono indeciso se non votare il sondaggio sul blog o votare di non iscriversi perchè trovo le altre opzioni scarsamente pluralistiche”. Cristian Iannuzzi è ironico: “Bene, oggi consultazioni sul portale M5S per decidere il gruppo politico europeo al quale aderire. Credo voterò adesione al gruppo dei Verdi”.
Giulia Sarti invece cita Indro Montanelli: “Questo è il mio voto turandomi il naso per il gruppo europeo: conservatori e riformisti, i nipotini di Churchill. Solo per non far vincere Farage”.
Ma è dalla base, dal blog, che arrivano le critiche più aspre nei confronti della consultazione, monca di un’opzione secondo molti: “Per citare Luttazzi: questa consultazione si terrà in forma ridotta per venire incontro alle vostre capacità mentali”, scrive un utente.
Un altro: “Questa non è una scelta, questa è una farsa! Io avrei voluto vedere ALMENO anche i Verdi nella lista. Se la scelta è tra Farage e la destra borghese britannica, boh, non voto. E NON perchè credo a Repubblica su Farage, ma perchè IL METODO PARTECIPATIVO è IL CUORE DEL MOVIMENTO”.
Ancora: “Non sono un troll, un piddino, uno dei verdi. Sono un attivista del 5 stelle dal 2009 e sono INCAZZATO NERO! Che democrazia è questa con due opzioni di voto?!”.
Infine: “Chi ha deciso di tenere fuori i Verdi? Quale base è stata consultata per questo? (… e lasciamo perdere il contenuto di quest’ultimo post). Stavolta QUESTA VOTAZIONE E’ UNA FARSA!”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
LA PRESIDENTE HARMS: “GRILLO SPINGE I SUOI VERSO LA DESTRA POPULISTA”… TRE EURODEPUTATI GRILLINI MARTEDI’ AVEVANO INCONTRATO LA DELEGAZIONE FRANCESE: “ERANO SICURI CHE I VERDI SAREBBERO STATI UNA DELLE OPZIONI”
Sorpresa, amarezza e delusione. Questa è la reazione dei Verdi al Parlamento europeo per l’esclusione del loro gruppo dalle opzioni sottoposte agli attivisti del M5S nel referendum di oggi.
Eppure ormai, dicono, ci credevano tutti, soprattutto dopo l’incontro informale di martedà 10 giugno a Bruxelles tra tre eurodeputati pentastellati e alcuni rappresentanti della delegazione francese, nonchè la chiara e inequivocabile apertura dell’eurodeputato Josè Bovè e di Rebecca Harms, la neo confermata presidente del gruppo politico.
Dura la Harms che parla di “democrazia dirottata verso la destra populista ed anti ecologista da parte di Beppe Grillo”.
“Non so chi ha deciso di estromettere i verdi dal referendum. Non so più cosa pensare, non so chi decida davvero”, aggiunge.
E poi l’appello alla reazione: “I membri del Movimento che non sono d’accordo con Grillo si facciano sentire, adesso tocca a loro prendere posizione”.
Eppure che i Verdi fossero una delle opzioni del referendum sembrava per alcuni scontato.
Almeno dopo che martedi scorso tre eurodeputati del M5S, tra cui il capodelegazione Ignazio Corrao, hanno incontrato alcuni rappresentanti della delegazione francese dei Verdi guidata da Michèle Rivasi.
Proprio la Rivasi racconta il suo stupore: “Un incontro interessante e cordiale. I tre deputati italiani mi sono sembrati sicuri che anche i Verdi sarebbero stati inclusi nel referendum”.
Il resto è storia. La Rivasi porta la questione alla riunione di gruppo di martedà pomeriggio dove se ne parla per quasi due ore.
Alla fine la neo confermata presidente, la tedesca Rebecca Harms, afferma pubblicamente che “nel caso in cui il referendum esprima una maggioranza a favore dei Verdi, siamo aperti al dialogo con il Movimento”.
Lo stesso eurodeputato francese Josè Bovè, il giorno dopo, aveva ribadito il concetto.
E adesso cosa succede? “Restiamo aperti al dialogo anche singolarmente con i deputati che non condividessero la linea imposta da Grillo”.
Tradotto in parole povere, chi volesse aderire ai Verdi in un secondo momento non troverà la porta chiusa.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
HANNO VOTATO MENO DI 30.000 PERSONE SUGLI 80.000 AVENTI DIRITTO… IL DEPUTATO IANNUZZI: “BEPPE TORNI SUI PROPRI PASSI”
Il referendum delle polemiche si chiude con l’esito più atteso e auspicato da Grillo e Casaleggio: il Movimento 5 stelle si alleerà con Nigel Farage in Europa.
Gli iscritti al blog hanno deciso (23.192 preferenze su 29.584 voti) che è questa la strategia migliore per i propri eurodeputati.
Al secondo posto (3.533 voti) l’adesione ai “non iscritti”, al terzo (2.939) i conservatori dell’Ecr.
Tra le opzioni non c’era quella dei Verdi perchè, secondo la versione ufficiale del Movimento, “hanno posto veti e non hanno dato certezze”, mentre l’European green party dice che è stata una delusione non vedersi nella lista (“Eravamo disposti al dialogo”).
Ma l’aria in casa 5 stelle è sempre più pesante.
Prima i contatti riservati dello staff con l’Ukip, poi il pranzo a Bruxelles tra i due leader e infine due settimane di presentazione di Farage e delle sue idee sul blog.
La critica di molti è che il voto sia stato fortemente influenzato da Grillo e Casaleggio ormai convinti che fosse quella la soluzione migliore.
Il messaggio per oltre quindici giorni è stato “Farage non è razzista o xenofobo” e ancora: “I media e la politica tradizionale hanno paura perchè insieme potremmo essere molto potenti”.
Versione ufficiale non condivisa da molti dentro il Movimento, tanto che qualcuno azzarda che questa potrebbe essere una scelta che porta ad una riflessione seria. Spaccatura? La decisione non sembra sufficiente per far arrivare a tanto.
Chi festeggia è il politico inglese, che da ora avrà più chance di veder nascere il suo gruppo (servono almeno 25 eurodeputati che rappresentino un minimo di 7 stati): ”Sono estremamente soddisfatto del risultato. Sarò lieto di lavorare con il Movimento 5 Stelle per una vera voce di opposizione in seno al Parlamento Europeo. Con Grillo saremo il ‘dream team’ della democrazia ed un incubo per Bruxelles”.
Ma se non ce la facessero, i 5 stelle dovrebbero optare per la seconda opzione votata: la non adesione a nessun gruppo, ovvero la condanna all’irrilevanza.
Tanti i parlamentari a 5 stelle che nel corso delle ore hanno manifestato il loro dissenso.
Prima la deputata Giulia Sarti che si è fatta fotografare mentre si tappava il naso: “Voto turandomi il naso e per non far vincere Farage”.
Ma non solo. Anche Cristian Iannuzzi, Paola Pinna, Francesco D’Uva e Lugi Gallo hanno espresso le loro perplessità e in molti hanno dichiarato l’astensione.
Il primo a parlare nel dopo risultato è Iannuzzi: “Spero che, anche alla luce della crescente insoddisfazione che traspare tra i frequentatori della rete e tra gli attivisti locali, Beppe Grillo abbia l’umiltà ed il coraggio di tornare sui propri passi e di ascoltare. Sono consultazioni falsate”.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
AUTOGOL DELLA MELONI: CHIEDE A MARINO DI TITOLARE UNA STRADA AL SEGRETARIO DEL MSI… MA PERCHE’ NON L’HA FATTO IL SUO SODALE, SINDACO DI ROMA PER 5 ANNI?
A chi si chiede periodicamente se a destra esista ancora il senso dell’umorismo, una risposta indiretta arriva talvolta anche da semplici notizie, apparentemente serie o da comunicati identitari.
Poichè a Roma il Comune ha titolato un largo a Enrico Berlinguer, Giorgia Meloni non perde occasione per un photo-spot e chiede al sindaco Marino un ricordo anche per Giorgio Almirante.
«Caro Sindaco – scrive la presidente di FdI – abbiamo partecipato oggi come forza politica e con sincero rispetto, all’inaugurazione della targa toponomastica di Largo Enrico Berlinguer, perchè crediamo che sia giusto ricordare un uomo che, al di là delle idee lontane anni luce dalle nostre, ha saputo interpretare la politica con onestà , sobrietà e semplicità .”
Continua il compitino: “Sono i valori in cui credeva anche Giorgio Almirante che nel 1984 si recò alla camera ardente a via delle Botteghe Oscure e, dinanzi allo sguardo stupefatto di dirigenti comunisti rese omaggio a Berlinguer. Crediamo sia arrivato il momento di scrivere una pagina di “bella politica dedicando anche a Giorgio Almirante un luogo della città dove è vissuto e dove ha dato vita a mille battaglie».
Ma allora i guai “sora Giorgia” se li va proprio a cercare…
Chiedere a Marino quello che avrebbe dovuto e potuto fare il “grande fratello” Alemanno in cinque anni di amministrazione?
Col rischio che Marino la strada la dedichi pure, al contrario di quello che ha fatto l’ex missino Alemanno che non ha mai osato decidere una mazza in merito?
E che faceva allora la Meloni?
Non era nello stesso partito del sindaco di Roma?
Perchè non si è indignata allora che era pure ministro?
Se fossimo in Marino risponderemmo: “Accolgo con piacere la sua proposta e sarà mia cura formalizzarla e trasmetterla agli uffici competenti a stretto giro, in modo da poter individuare una localizzazione idonea e prestigiosa in tempi brevi. Al fine di onorare la figura di un protagonista della storia controversa della nostra Repubblica e realizzare quello che la precedente amministrazione non aveva concretizzato”.
Roba da farsi un photoshop per nascondersi….
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
ALL’ORIGINE IL DANNO CAUSATO DALL’ASSUNZIONE DI DIRIGENTI IN ASPETTIVA
Matteo Renzi a giudizio davanti ai magistrati contabili.
Il presidente del Consiglio dovrà rispondere alla Corte dei conti di danno erariale: la contestazione è di 816mila euro.
L’udienza è fissata per il 24 settembre prossimo alle 10.30.
La magistratura contabile gli contesta il collocamento in aspettativa di dirigenti della Provincia poi assunti come esterni.
Quando era presidente della Provincia di Firenze, infatti, l’attuale premier avrebbe voluto quattro direttori generali anzichè uno solo e li avrebbe pagati come manager privati invece che come dirigenti pubblici.
Adesso Renzi dovrà presentarsi dinanzi alla Corte dei conti e convincere i giudici di non aver causato alcun danno erariale e spiegare perchè, durante la sua presidenza, sono stati assunti come direttori alcuni dipendenti in aspettativa.
Alcuni di loro avrebbero anche continuato a esercitare le stesse funzioni svolte da impiegati pubblici ma con retribuzioni molto più alte.
Secondo la magistratura contabile, in poco più di due anni e mezzo — dal primo gennaio 2007 al 31 luglio 2009 — queste assunzioni potrebbero aver causato un danno erariale di 816mila euro, come cifra massima.
Uno «spreco» di denaro pubblico — osserva la sezione giurisdizionale toscana della Corte dei Conti – dal quale, a priori, non si possono escludere le responsabilità della politica.
Da qui «l’intervento in giudizio di Renzi» in qualità di presidente della Provincia e del suo ex assessore al Personale, Tiziano Lepri, oltre al dirigente dei servizi finanziari dell’ente, Rocco Conte.
L’indagine della Corte dei conti è partita da una denuncia di Alessandro Maiorano, un dipendente del Comune di Firenze, che nell’ottobre 2012 ha presentato un esposto alla Guardia di Finanza per chiedere di indagare sull’attività pubblica e privata dell’ex sindaco di Firenze ed ex presidente della Provincia.
I militari hanno ascoltato più volte Maiorano.
Nel verbale sottoscritto davanti al colonnello Cuzzocrea e al maggiore Piccin della Guardia di Finanza di Firenze, il dipendente comunale – che ha presentato un corposo numero di fatture pagate dalla Provincia di Firenze tra il 2005 e il 2008 per un importo complessivo di 20 milioni di euro – chiede di fare chiarezza su molti aspetti dell’attività amministrativa dell’attuale presidente del Consiglio, tra cui cento assunzioni a chiamata diretta, le spese inerenti alle presentazioni del libro di Renzi «Stil Novo», l’attività delle società possedute dalla famiglia del premier.
L’esistenza del procedimento è stata del resto confermata anche dal ministero del Tesoro.
L’indagine della Corte dei conti prende le mosse sempre dalle dichiarazioni di Maiorano che aveva posto l’accento sulle assunzioni dirette nell’esposto indirizzato alla Corte dei conti e al Ministero delle Finanze in cui chiedeva agli inquirenti di fare chiarezza sul caso.
Nella risposta del Mef all’esposto, si parla di «gravi anomalie nella costituzione del fondo per lo sviluppo delle risorse umane e produttività del personale non dirigente»; di «illegittimo inserimento di risorse aggiuntive di bilancio in assenza di una norma contrattuale nazionale di riferimento per complessivi 2.001.943 euro»; di «illegittimo incremento delle risorse decentrate per complessivi 5.015.666 euro nel periodo 2004/2010 in assenza dei presupposti previsti dalla norma e allo scopo di finanziare emolumenti a carattere indennitario non riconducibili alle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro»; di «erronee modalità di determinazione del monte salari».
Il Mef ha rideterminato in 1.155.00 euro l’importo da recuperare.
Il procedimento davanti alla Corte dei conti non ha nulla a che vedere con le altre rivelazioni di Maiorano su Renzi, tra le quali quelle sulla società Eventi 6 Srl – già Chil Srl – che nel 2011 ha fatturato 4 milioni di euro e che si occupa di marketing e promozione con sede a Rignano sull’Arno e di proprietà all’80% della famiglia Renzi: le sorelle del premier Matilde e Benedetta possiedono in parti uguali il 72%, la madre Laura Bovoli l’8%.
La Eventi 6 Srl nel 2010 ha acquisito la Chil promozioni Srl, società aperta negli anni Ottanta dal padre di Matteo Renzi, Tiziano, società per la quale il premier ha lavorato come dirigente occupandosi di marketing.
Ad oggi Renzi è ancora un dirigente in aspettativa della società di famiglia.
Tutto perfettamente in regola. Ma Maiorano chiede anche di fare chiarezza su altre società che graviterebbero attorno all’universo Renzi: la DotMedia, la Web e Press e la Florence Multimedia, promossa dallo stesso premier quand’era presidente della Provincia.
Ci sono poi quei «20 milioni di spese di rappresentanza, cene, alberghi e viaggi» che Renzi avrebbe speso tra il 2004 e il 2009 e di cui Maiorano ha presentato copia delle fatture.
Spese sostenute e approvate in piena trasparenza: infatti a Renzi non viene contestato alcun addebito.
(da “il Tempo“)
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
CONDIVIDIAMO L’APPELLO DI AMICI E FAMILIARI
Ci tocca denunciare il caso di un anziano signore tenuto in ostaggio, nell’indifferenza più assoluta, in un casolare dalle parti di Monza.
L’uomo, che ha avuto qualche problema con la giustizia di un altro Paese (l’Urss di Milano), è stato sequestrato da una coppia di giovani badanti, riconoscibili dalla architettura creativa delle labbra: una le porta a forma di cuore, l’altra di canotto.
Un amico di vecchia data dell’ostaggio, Antonio Martino, ha lanciato l’allarme dalle colonne di «Libero»: «Se riuscissi a parlargli, cosa che non mi riesce più da diversi mesi perchè non me lo passano quando telefono…».
Le rapitrici lo hanno isolato dal mondo.
Privato di ogni strumento di comunicazione, persino del telecomando, il recluso trascorre le giornate nella solitudine del suo salotto intriso di bunga-ricordi, in compagnia di un cagnolino adorabile che in realtà è una spia della banda con il registratore dentro il collare.
La situazione è precipitata quando alle porte del covo è giunta la cognata dell’ostaggio, moglie del fratello minore Paolo, per discutere — citiamo testualmente — «un importante problema economico di famiglia».
Dopo avere provato invano per un mese a mettersi in contatto con il congiunto, la donna si è decisa all’azione di forza.
Ma le sequestratrici labbrute — nomi in codice Rossi & Pascale — e il cagnolino spia hanno sigillato porte e finestre della magione, insensibili alle sue urla di dolore.
Non resta che rivolgersi ai carabinieri di Arcore che presidiano l’ingresso.
Non sia mai che l’uomo, soffocato da tanto amore, tenti la fuga.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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