Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
IL GUITTO SI SUPERA: IL MILITANTE POTRA’ VOTARE SOLO CHI VUOLE LA PREMIATA DITTA, OVVERO FARAGE… PIOVONO CENTINAIA DI PROTESTE
“Di quale gruppo politico europeo dovrà far parte il M5S? Sono aperte le votazioni”. Beppe Grillo annuncia così su Facebook la consultazione online — in corso dalle 10.45 fino alle 19 di oggi – per decidere le alleanze dei 5 Stelle all’Europarlamento.
Tre le possibilità , rappresentate dai “gruppi politici europei che hanno ufficialmente manifestato interesse per la delegazione italiana del M5S”, ci sono l’Efd di Farage, i conservatori dell’Ecr e il gruppo dei non iscritti.
E’ possibile esprimere una sola preferenza.
Esclusi dalla consultazione i Verdi, nonostante l’apertura degli ambientalisti e quanto espresso da parte del Movimento, che vedeva in loro l’alleato più affine in Europa. Perchè il Movimento ha deciso di non considerare i Verdi europei? “”Sono stati esclusi dal referendum online sulle alleanze del M5S all’europarlamento perchè, in sintesi, ponevano veti e non davano nessuna certezza di includere i 5 Stelle nel gruppo”, si legge in una velina di regime pentastellato.
L’ironia del deputato M5s: “Verdi assenti? Sarà un errore”
Non tutti i parlamentari del M5S, però, digeriscono l’assenza dell’opzione “Verdi”.
Il deputato Cristian Iannuzzi, su facebook, usa l’ironia: “Bene. Oggi consultazioni sul portale M5S per decidere il gruppo politico europeo al quale aderire. Credo voterò adesione al gruppo dei Verdi”, scrive quando è già noto che non è possibile votare per loro.
Qualcuno glielo fa notare ma lui stesso replica: “Ci sarà sicuramente un errore. La scelta libera e democratica è principio basilare del MoVimento 5 Stelle. La sovranità del popolo della rete, senza filtri di organi direttivi, come invece succede nei partiti tradizionali”, si legge.
Anche sul profilo di Beppe Grillo sono centinaia i commenti di chi critica apertamente l’assenza dei Verdi e di chi spiega, al contrario, di avere votato o di preferire Farage.
Tanto per non condizionare il voto, l’ex comico pubblica poi un post che riporta le dichiarazioni rilasciate dal leader del’Ukip a La Gabbia su La7. “L’alleanza con il M5S si basa sulla voglia di democrazia diretta. Penso che Grillo sia molto preparato sulla democrazia diretta e abbia capito bene in cosa consista il progetto europeo. La nostra alleanza fa paura, le persone che ci temono sanno che saremmo la vera voce dell’opposizione”, ha detto ai microfoni della trasmissione parlando della possibile alleanza.
Ma la decisione di Grillo di riportare queste sue parole sul suo profilo a votazione in corso, viene criticata nei commenti. “Mi sembra che si stia indirizzando l’opinione degli iscritti/votanti verso il voto a Farage”, “propaganda di voto a voto in corso”, “non influenzate i voti introducendo questi articoli”, scrivono online.
Intanto, gli iscritti continuano a votare.
Le opzioni del referendum
Il primo gruppo presentato è l’Efd di Nigel Farage, del quale si mettono in evidenza molti punti positivi, tra cui quello della disponibilità a cambiare il nome del gruppo in caso di ingresso del M5S.
“Il Gruppo — si legge — ha rappresentato nella scorsa legislatura l’opposizione più strenua al federalismo basato sull’austerity e alla concentrazione del potere nelle mani dei burocrati non eletti a Bruxelles. L’Efd è contro l’euro che ha generato povertà e disoccupazione. L’Ukip, il maggiore partito del Gruppo Efd, crede nella democrazia diretta ed è un partito contrario a ogni forma di discriminazione, accogliendo al suo interno membri di diverse etnie e genere che si sono uniti nella difesa della libertà e della democrazia. Il partito si oppone al potere delle grandi banche, delle multinazionali e all’eccessiva burocrazia, dedica solo il 15% del suo budget al mantenimento della sua struttura amministrativa, liberando così molte risorse per le attività politiche sul territorio e per la comunicazione, è disposto a cambiare nome scegliendone uno nuovo insieme al M5S, garantisce peso sufficiente per affrontare le battaglie condotte su temi comuni, ma al contempo assicura libertà totale di voto l’agenda politica che differisca da quella del M5S”.
Una presentazione abbastanza positiva viene fatta anche dell’Ecr, gruppo che ”nasce come espressione dei Conservatori inglesi (Tories). Vuole riformare l’Unione Europea opponendosi al federalismo sulla base di un euro-realismo che rispetti la sovranità degli Stati Membri, crede nella libera impresa, nel commercio.
Quanto al raggruppamento dei non iscritti, scrive ancora Grillo, “i deputati eletti del M5s possono decidere di non aderire a nessun gruppo politico. In questo caso andranno automaticamente a sedere tra i banchi del raggruppamento dei ‘non iscritti’. Essere tra i non iscritti comporta un’influenza limitata se non nulla sull’attività legislativa del Parlamento europeo“.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO IL GOLPE DELL’IMPUTATO DI PONTASSIEVE CHE VUOLE FARSI RE, SUSSULTO DI DIGNITA’ NELL’EX PARTITO DI BERLINGUER… CENTRODESTRA CON MINEO E CHITI, CINQUESTELLE COL DITTATORELLO DELLA REPUBBLICA DELLE BANANE
Tredici senatori si autosospendono dal gruppo Pd dopo la sostituzione di Vannino Chiti e Corradino Mineo in commissione Affari Costituzionali.
Lo annuncia il senatore Pd, Paolo Corsini, in Aula a Palazzo Madama.
Corsini ha letto un documento in cui è scritto: “La rimozione dei senatori Chiti e Mineo decisa ieri dalla presidenza del gruppo rappresenta un’epurazione delle idee considerate non ortodosse”.
I senatori autosospesi sono Casson, Chiti, Corsini, Gadda, Dirindin, Gatti, Lo Giudice, Micheloni, Mineo, Mucchetti, Ricchiuti, Tocci, Turano.
“E’ una palese violazione dell’articolo 67 della Costituzione – prosegue il documento letto da Corsini -. Chiediamo alla presidenza del gruppo parlamentare il necessario chiarimento prima dell’assemblea del 17 giugno. Nel frattempo i senatori si autospendono dal gruppo Pd. Questo non potrà non avere conseguenze sui lavori parlamentari”.
Parlando a Sky, lo stesso Corsini spiega che “altri colleghi che non abbiamo potuto contattare hanno manifestato la volontà di aderire alla nostra iniziativa. Noi riteniamo che sia stato effettuato un vulnus all’articolo 67 della Costituzione, che dice che il parlamentare non ha vincolo di mandato e risponde alla sua coscienza”.
Per Corsini, “c’è tutto il tempo per ricomporre questa frattura. E’ possibile trovare un punto di mediazione e di soluzione del problema. Non è il caso di drammatizzare”.
A chi gli chiede della possibilità che Mineo e Chiti non vengano reintegrati, Corsini la vede come “un’ipotesi che va tutta verificata. Noi riteniamo che il nostro gesto debba portare a un supplemento di responsabilità in vista di una ricomposizione che tutti auspichiamo”.
Corradino Mineo e Vannino Chiti sono contrari all’idea di una riforma del Senato che lo renda composto di membri non eletti, espressione delle realtà politico-amministrative territoriali attraverso la nomina da parte dei Consigli regionali, che è il cuore del progetto renziano – il testo Boschi – sposato dalla maggioranza del Pd.
Chiti è il primo firmatario di una proposta alternativa, il ddl Chiti appunto, che mantiene tra le sue colonne portanti esattamente l’eleggibilità dei senatori.
La dialettica tra le due posizioni, quella della maggioranza Pd e quella guidata dai “dissidenti” Mineo e Chiti, è andata avanti per mesi.
Poi, ieri, la decisione di rimuovere Mineo e Chiti dalla commissione.
Con il primo sostituito dal capogruppo Pd al Senato, Luigi Zanda, mentre Luigi Migliavacca veniva confermato come effettivo al posto di Chiti, eletto all’Europarlamento.
Di fronte alle prime, dure reazioni all’interno del Pd, soprattutto di Civati e Fassina, Matteo Renzi da Pechino interveniva, senza fare nomi: “Non molliamo di un centimetro. Non lasciamo a nessuno il diritto di veto. Conta molto di più il voto degli italiani che il veto di qualche politico che vuole bloccare le riforme. E siccome conta di più il voto degli italiani, vi garantisco che andremo avanti a testa alta”.
“Apprezzo il Renzi politico e penso sia una risorsa – ribadisce oggi Mineo a Radio Popolare – ma il renzismo-stalinismo è grave. Non era mai successo che si violasse così l’articolo 67 della Costituzione. Da parte mia nessun veto, la mia colpa è quella di aver detto che i colonnelli di Renzi, Boschi, Zanda e Finocchiaro hanno gravemente danneggiato il progetto di riforma del Senato voluto dallo stesso governo”.
Poi, a RaiNews24, la testata che dirigeva, Mineo avverte: “Il partito è Renzi”.
E mette in guardia da un possibile “indebolimento” del Pd in seguito all’autosospensione dei senatori democratici.
Pippo Civati, a sua volta, riprende le parole del premier e controbatte sul suo blog. “Il premier dalla Cina, rinverdendo la tradizione bulgara, rivendica la decisione di ieri, che inizialmente era stata attribuita a Zanda e al gruppo del Senato. Dice che non accetta veti: benissimo. Il problema è distinguere i veti (che si confondono, come in questo caso, con i propri ricatti: o così o niente) dalla libera espressione di un’opinione in campo costituzionale. Dove tutti i parlamentari sono sovrani, di più: sovranissimi. Il premier non è stato eletto in Parlamento, ma dovrebbe ricordare che la Costituzione è cosa più importante. Anche di quello che legittimamente pensa lui. Con tutto il dovuto rispetto”.
All’esterno del Pd, le reazioni ovviamente non mancano.
Spicca, ad esempio, la posizione di Luigi Di Maio, deputato M5s e vicepresidente della Camera, scrive su Twitter: “Sulla sostituzione di Mineo e Chiti da parte del Pd dobbiamo essere intellettualmente onesti: se in un partito o gruppo parlamentare la linea politica si decide a maggioranza e successivamente in Parlamento un membro del gruppo vota in dissenso, addirittura rischiando con il suo voto di sabotare la linea decisa dalla maggioranza dei suoi colleghi, è giusto che vengano presi provvedimenti”.
Ma sono decisamente prevalenti le accuse a Renzi. Paolo Romani, capogruppo di Forza Italia al Senato, invece, vede nella “guida di Renzi” le “antiche tradizioni del centralismo democratico, che di democratico ha sempre avuto ben poco”.
Perchè vede “un leader che più che coinvolgere, e soprattutto convincere, con il proprio carisma applica serenamente l’epurazione del dissenso”.
Per la presidente del Gruppo Misto-SEL Loredana De Petris: “Non era mai successo che ai parlamentari venisse di fatto impedito di esprimersi liberamente, a maggior ragione su un tema così importante e delicato come le riforme istituzionali. Ancora più grave è che la direttiva di far tacere le voci scomode e dissenzienti sia partita direttamente dal Governo, oltretutto in una materia che è invece di stretta competenza parlamentare”.
Patrizia Bisinella, capogruppo in commissione a Palazzo Madama per la Lega Nord. “Mineo esattamente come Mario Mauro dei Popolari per l’Italia è risultato scomodo ai democratici e quindi silurato. La contrarietà al testo delle riforme si paga cara alla faccia del dialogo e della democrazia dentro i partiti in particolare quello che dovrebbe essere ‘democratico’ e soprattutto dentro le aule parlamentari”.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
DIETRO IL VOTO DEI FRANCHI TIRATORI ANTI-TOGHE L’INSOFFERENZA PER IL GIUSTIZIALISMO… MA C’E’ CHI SOSPETTA ANCHE UNA VENDETTA CONTRO LE INCHIESTE O UN SEGNALE DELLA MINORANZA A RENZI
La spaccatura del Pd segnala che un pezzo consistente del partito, con Berlusconi alle corde e il nuovo corso, sogna il tramonto della stagione giustizialista a sinistra.
Il gruppo democratico si è trovato solo contro tutti ieri mattina.
Ma sarebbe bastato per respingere l’emendamento sulla responsabilità civile dei giudici. Invece non ha retto dimostrando che il 41 per cento dei consensi tra gli elettori non è sufficiente per garantire il governo, Matteo Renzi, la maggioranza da incidenti parlamentari e divisioni interne. Resta però il problema di fondo: bisogna “cambiare verso” anche nel legame tra magistratura e politica.
C’è quindi un pezzo di Pd garantista che ieri ha deciso di farsi sentire.
«Il tema della giustizia c’è. Non si affronta così ma c’è», ammette il capogruppo alla Camera Roberto Speranza annunciando in pratica la fine di una fase durata vent’anni. C’è anche un pezzo di Pd che non vedeva l’ora di vendicarsi con le toghe dopo le inchieste sull’Expo e sul Mose.
Forse c’è un pezzo di Pd che vuole dimostrare al segretario di contare ancora molto, almeno nelle aule parlamentari, tanto più dopo le polemiche sui ballottaggi e la disputa vecchionuovo.
«Questo lo escludo. Come escludo una rivincita sui magistrati — spiega Speranza -. Per dire, Giachetti è un superenziano ma ha votato a favore del testo leghista. Anzi il suo intervento è stato una specie di tana libera tutti per il gruppo. E se si vota secondo coscienza, un gruppo di garantisti esiste anche nel Pd».
I numeri dicono che la questione non è affatto secondaria. Non è «una tempesta in un bicchiere d’acqua», come ha detto Renzi da Pechino.
I deputati democratici presenti al momento del voto erano 214. L’emendamento è stato approvato con 187 voti favorevoli.
Un Pd compatto lo avrebbe stoppato con non chalance. Secondo i calcoli più prudenti sono dunque 50 i dissidenti Pd che non hanno seguito le indicazioni del gruppo e del governo.
La confusione avvolge le motivazioni politiche di questa scelta.
Mentre l’esecutivo finiva sotto, tutto l’emiciclo ha assistito a una violenta lite tra il sottosegretario Sandro Gozi e la responsabile Giustizia Alessia Morani (dunque renziana) che aveva mancato l’appello perchè stava parlando a una trasmissione tv.
Comunque, un quarto dei presenti ha voluto mandare un segnale. In maniera trasversale, con tutte le correnti Pd coinvolte.
Puntando i magistrati, il governo, cavalcando la polemica sui ballottaggi. Nessuno si sente di escludere a priori alcuna pista. Anche perchè, come nella vicenda dei 101 di Prodi, il voto segreto mette al riparo volti, nomi e storie.
«La scorsa legislatura — dice ancora Speranza — i deputati del Pd si spaccarono alla stessa maniera. È la prova che la ragione sta solo nel tema giustizia. E nella sensibilità presente nel Pd per il problema della responsabilità civile».
Lo dice anche Walter Verini, capogruppo nella commissione Giustizia di Montecitorio: «È stata colpa dell’improvvisazione. Un voto sbagliato. Bisogna trovare una soluzione che garantisca insieme l’autonomia della magistratura e i cittadini vittime di errori dolosi ».
Significa cambiare una linea storica della sinistra, legata al ventennio berlusconiano
Ecco, è arrivato il momento di voltare pagina nel rapporto sinistra- magistrati.
Chiudere l’era del «collateralismo», come lo definisce qualcuno. «Il tema garantista è molto presente tra di noi — spiega il bersaniano Alfredo D’Attore -. Ma esiste anche il problema della corruzione che in Italia appare ormai fuori controllo. Se non teniamo insieme i due aspetti perdiamo la bussola ».
È successo ieri nell’aula di Montecitorio. La rotta giusta è affidata alla riforma della giustizia che il ministro Andrea Orlando sta preparando e che nel crono- programma di Renzi va presentata entro fine mese. Il pasticcio è sotto gli occhi di tutti.
Speranza e il vicesegretario Lorenzo Guerini sono arrivati sul filo di lana al momento del voto: erano sulla tomba di Berlinguer per i 30 anni della sua scomparsa.
Ben 80 deputati dem risultavano in missione, cioè assenti giustificati. Un po’ troppi.
Persino la presidente della commissione Giustizia Donatella Ferranti era impegnata in un convegno. Ma bastavano i presenti, senza la spaccatura inattesa
Rimane l’evidente frattura dentro il Pd. Le accuse a Giachetti si sprecano.
Vengono dagli alleati della maggioranza e dal suo partito. Il vicepresidente della Camera renziano invoca la disciplina del gruppo sulla legge elettorale ma fa come vuole su altre leggi, è l’accusa che circola negli ambienti dem.
Ma Giachetti ha scoperchiato il vaso.
All’interno c’è il tema, vasto, della giustizia. Materiale che scotta.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
AMAREZZA E SCONCERTO TRA I GIUDICI: “IL PAESE AFFOGA NEL MALAFFARE E IL PROBLEMA SIAMO NOI CHE INDAGHIAMO”
Grandissima preoccupazione e fortissimo sconcerto. Nelle mailing list. E direttamente al telefono. Un allarme che monta per tutta la giornata.
Le toghe reagiscono molto male al voto di Montecitorio sull’emendamento Pini.
Di primo acchito paiono non crederci. Poi legano questo voto ad altri fatti «negativi» che li stanno riguardando, l’insistenza su una nuova giustizia disciplinare, l’ipotesi di abbassare da un giorno all’altro l’età pensionabile, il paventato taglio degli stipendi, la stretta sulla custodia cautelare, e anche il caso Milano che mette in cattiva luce la procura più esposta d’Italia.
Come dice un pm in un messaggio via mail «ma che bisogno c’è di riformare la giustizia proprio mentre i magistrati arrestano politici, imprenditori, finanzieri, ma anche colleghi?».
Inevitabilmente, le critiche e gli interrogativi piovono sul Pd di Renzi.
C’è chi ricorda il recente voto sull’arresto del deputato messinese Francantonio Genovese che, alla vigilia del voto europeo, fu a scrutinio palese per il timore che, se fosse stato segreto, sarebbe stato respinto.
Tale è la forza della delusione e della protesta che le differenze di orientamento ideologico tra un magistrato e l’altro si annullano.
Ecco Rodolfo Maria Sabelli, il presidente dell’Anm, moderato di Unicost, infuriarsi proprio come Anna Canepa, segretaria di Magistratura democratica.
Il primo: «È un segnale pessimo, soprattutto perchè s’inserisce in un momento di indagini importanti sulla corruzione».
La seconda: «Mentre il Paese è affogato nel malaffare, il problema sono i magistrati». Sabelli ironizza: «O sono profetico o porto sfiga, ma giusto sabato scorso, nella riunione dell’Anm, parlavo di un’idea bizzarra che si sta affacciando, cade il tabù sulle riforme durato un ventennio ed ecco palesarsi proprio la riforma disciplinare e quella della responsabilità civile… ed eccola qua, la seconda è arrivata».
È nettamente contrario pure Cosimo Maria Ferri, la toga di Magistratura indipendente divenuta sottosegretario alla Giustizia: «È un passo indietro. Sono contrarissimo. Indebolisce i giudici»
Twitter, Facebook, le liste delle singole correnti, zeppe dei messaggi in vista del voto per il Csm.
Ogni via è buona per contestare non solo l’emendamento Pini in sè («incostituzionale »), ma i 187 voti a favore, soprattutto quelli del Pd. Si può strappare solo una battuta (non autorizzata) ad Armando Spataro, neo procuratore di Torino: «Da non crederci ».
Su Fb si sfoga Ezia Maccora, giudice a Bergamo, ex Csm, oggi Anm, nota toga di Md: «È terribile. Com’è possibile che il Parlamento torni indietro di due anni, voti ancora questo emendamento, dopo decine di audizioni di giuristi importanti?
Com’è possibile che lo faccia proprio in questo momento, mentre i miei colleghi garantiscono la legalità ? Ci si dovrebbe preoccupare di garantire la nostra indipendenza e invece ecco il segnale che le toghe devono pagare in prima persona».
Maccora vede un “effetto spada” che pende su tutta la magistratura italiana.
«Chiunque potrà far causa al suo pm e al suo giudice» dice Sabelli.
E Giuseppe Maria Berruti, direttore del Massimario della Cassazione, preoccupatissimo, si chiede le ragioni di uno scenario che disegna come catastrofico.
Partendo dalla premessa “politica” che «dopo le grandi indagini è sempre scattata una “voglia” di responsabilità civile, come un riflesso condizionato».
Poi, esterrefatto: «Solo in Italia si può pensare che il giudice, mentre fa il processo, stia guardando un suo possibile avversario in una causa di risarcimento del danno. Nel civile poi la causa diventa certezza matematica perchè chi perde tra i due contendenti la farà »
Il commento: «Un orrore giuridico. Una vicenda pazzesca».
Il voto sull’emendamento Pini come spia di una generale insofferenza: «La politica soffre e non vuole su di sè i poteri di controllo ». Per dirla con la deputata di Fi Jole Santelli: «Col voto segreto, qui a Montecitorio, la magistratura perde sempre».
«Una contraddizione latente », come la chiama Luca Palamara, il pm di Roma che per Unicost corre per le elezioni del Csm: «Tutti dicono di voler fare la lotta alla corruzione, ma è solo uno slogan. Quando c’è da votare una norma contro di noi non si perde tempo».
Di questo, nell’attuale Csm, chiede conto l’ex pm di Bari Roberto Rossi, toga di Area.
Ieri, a pochi minuti dal voto, ha preso la parola in plenum: «Questa norma è incomprensibile e incostituzionale ».
E poi: «C’è poco da fare, la magistratura continua a non essere molto amata, per usare un eufemismo…». A Messina, il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, che ha firmato per l’arresto di Genovese, toga di Mi, dice quello che tutti hanno detto per l’intera giornata: «È una battuta di arresto. Un momento di grave confusione in un processo di riforma».
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
UNA NORMA NON TI PIACE? TI ASTIENI, IN MODO DA LUCRARE POI SULLA SUA APPROVAZIONE DANDONE LA COLPA AD ALTRI
Si sa che la politica è una disciplina complicata: vedi le celebri “convergenze parallele”, immortale ossimoro moroteo.
Da ieri, a complicarla un po’ di più, abbiamo anche l’“astensione attiva”.
Funziona così: ti astieni nella speranza che venga approvata una legge che ritieni disgustosa; ma della cui approvazione sarà poi possibile accusare altri.
È andata così per l’emendamento leghista favorevole alla responsabilità civile dei magistrati.
Se i grillini, forcaioli convinti, avessero votato contro, l’emendamento sarebbe stato bocciato.
Si sono invece astenuti, e come spiega gongolante il deputato Colletti «la nostra decisione di astenerci ha tirato fuori tutta l’ipocrisia del Pd»: che sul provvedimento era notoriamente diviso, con una maggioranza che ha votato no e una minoranza “garantista” che ha votato sì.
Secondo coscienza, si dice in questi casi.
Morale della favola: ci si può astenere su una legge considerata pessima per il Paese, qualora si possa poi lucrare politicamente sul risultato dandone la colpa ad altri.
Una volta questo si chiamava: politicantismo.
Michele Serra
(da “La Repubblica”)
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
LA PROCURA DI NAPOLI: “IL VICECOMANDANTE E ALTRI GENERALI INSERITI IN UN SISTEMA CHE SI SPARTIVA LE MAZZETTE”
I soldi in contanti gli sarebbero stati consegnati nelle scatole dei telefonini cellulari. Ma evidentemente quei 30 mila euro al mese non bastavano. E allora il colonnello della Guardia di Finanza Fabio Massimo Mendella si faceva pagare anche le vacanze in Sardegna, oppure le gite in barca a Capri con i calciatori del Napoli.
Atteggiamento spregiudicato che i magistrati di Napoli inseriscono in un vero e proprio «sistema» di corruzione che avrebbe avuto tra i referenti il generale Vito Bardi, comandante in seconda della Guardia di Finanza.
Il sospetto degli inquirenti è che proprio a lui possa essere finita una parte dei soldi versati dai fratelli Pizzicato, amministratori della «Gotha spa» che si occupa di metalli e gestori di alcuni locali notturni napoletani per evitare le verifiche fiscali.
Non è l’unico. Anche altri alti ufficiali tuttora in servizio – oltre all’ex numero due delle Fiamme Gialle Emilio Spaziante – potrebbero aver partecipato alla spartizione delle «mazzette» pagate dagli imprenditori.
Un dubbio alimentato da quanto raccontato al procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli e al sostituto Henry John Woodcock proprio da Giovanni Pizzicato che sostiene di aver ricevuto anche notizie sulle indagini in corso, compresa la decisione «di mettere sotto controllo 42 utenze».
«Fondi in Romania e Lituania»
È il 14 novembre scorso quando l’imprenditore decide di collaborare. E dichiara: «Nel 2005 venni avvicinato da un mio collega Pietro Luigi De Riu e mi disse che sarebbe stato bene che per la mia attività incontrassi un suo amico, il maggiore Fabio Massimo Mendella, con il quale fu organizzata una cena presso uno dei locali che all’epoca gestivamo, “La Scalinatella” di Napoli… De Riu ci propose di trovare un accordo economico con Mendella, in misura proporzionale al volume d’affari della società . Mi fu detto che con 15 mila euro al mese avremmo potuto star tranquilli… Cominciai quindi a pagare, ma poi nel tempo i versamenti sono cresciuti a 20 mila e poi fino a 30 mila euro. Non abbiamo avuto mai alcun controllo generale o comunque mirato dalla Guardia di Finanza. Complessivamente avrò versato oltre l milione di euro. Questi versamenti sono stati tutti quanti effettuati a Napoli… in qualche circostanza io avevo messo i soldi contanti in una confezione di un cellulare richiedendo alle mie segretarie di consegnarli al dottor De Riu. L’ultimo dei pagamenti è avvenuto a settembre, ottobre del 2012. Il contante lo abbiamo ritirato in banca in Italia fino al 2011 più o meno, poi ho utilizzato somme che venivano prelevate dai conti presenti in Lituania e Bulgaria».
«Soldi ai due generali»
Fila tutto liscio, poi Mendella viene trasferito a Roma. Ma lì avrebbe trovato la soluzione: trasferire nella capitale la sede della «Gotha spa» in modo da poter far partire una verifica «pilotata».
Racconta Pizzicato: «De Riu mi aveva detto che questa verifica per poter essere autorizzata, in quanto di competenza territoriale di altro Comando, aveva richiesto una speciale autorizzazione concessa da due generali, uno dei quali mi fu detto essere il generale Spaziante. De Riu mi disse anche che successivamente c’era stata una segnalazione da parte del colonnello Baldassari di Napoli. Quest’ultimo, poi trasferito anche lui a Roma, aveva segnalato questa anomalia richiedendo spiegazioni al Comando generale sul perchè la verifica era stata aperta dal Comando di Roma. In proposito devo aggiungere che il De Riu, in relazione a questa verifica mi aveva richiesto la somma di euro 150 mila perchè a suo dire erano stati coinvolti, data la natura straordinaria dell’iniziativa, i generali che avevano autorizzato la stessa. Io anche in questa occasione ritenni di dover pagare».
In barca con i calciatori
Ci sono le «mazzette», ma anche gli svaghi. L’imprenditore ha svelato di aver «pagato nel 2007 una settimana di soggiorno al residence “Smeraldina” di Porto Rotondo dove alloggiarono sia il De Riu che il Mendella, che era con la sua compagna, e io, che ero presente, pagai tutte le cene della settimana».
Ma anche di aver organizzato nel 2006 una gita «a Capri con il presidente degli industriali napoletani, Paolo Graziano, amico di Mendella, che festeggiava a bordo della sua barca il suo compleanno.
La barca di Graziano era un Mangusta e a bordo della stessa c’era l’ex calciatore del Napoli Ciro Ferrara con la famiglia di Fabio Cannavaro, quest’ultimo a bordo della sua barca. La barca del Graziano fu da noi raggiunta con un gommone che era di proprietà di mio cugino, Sergio Reale. Noi partimmo da Ischia dove io ero con la mia barca, a bordo della quale c’era Mendella con la sua compagna, oltre De Riu con la sua fidanzata dell’epoca».
Nell’ordinanza il giudice elenca gli elementi di riscontro ai viaggi. E poi allega le intercettazioni di conversazioni durante le quali il colonnello Mendella fa finta di incontrare «belle donne» quando invece vede il commercialista De Riu per farsi consegnare le tangenti.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 12th, 2014 Riccardo Fucile
“MAI CHIESTO FAVORI PERSONALI, SOLO INTERVENTI PER AZIENDE IN CRISI, HO FATTO QUELLO CHE DOVREBBE FARE UN SINDACO”
Così fan tutti?
«Manco per sogno. Non ci provare, non te lo permetto».
Anche lei, professor Cacciari?
«Che bel segreto di Pulcinella. E mica l’ho fatto una volta sola, di chiedere un intervento a Giovanni Mazzacurati e al Consorzio Venezia Nuova».
Non erano i suoi nemici del Mose?
«Ma che discorso è? Se ho bisogno di chiedere aiuto per un’impresa che sta fallendo da chi vuole che vada, dal mendicante di Rialto? Sono cose ufficiali, le mie».
Nero su bianco?
«Tutto, per quel che mi ricordo. Ho scritto a Mazzacurati, ad altre associazioni cittadine, ho chiesto aiuti anche all’Eni, con cui baruffavo un giorno sì e l’altro pure per via di Porto Marghera».
Ha qualche ricordo inedito?
«Sicuramente nel 1996 chiesi in modo del tutto trasparente a Mazzacurati di aiutarmi a ricordare come si deve l’alluvione di trent’anni prima».
E lui?
«Mai cacciato una lira, a mia memoria. E non ci vuole molto a capire perchè. Non aveva interesse a farlo».
Non sente odore di incoerenza?
«Sento odore di ridicolaggine e di piccole vendette personali da parte dei meschini di sinistra. Come si fa a dare retta a simili boiate?»
È consolante trovarsi in buona compagnia?
«Ma smettila di fare il mona. Non permetto paragoni. Il mio caso è molto diverso da quello del patriarca Scola e da Enrico Letta».
Le faccio notare che non si tratta di due noti criminali…
«Certo, anche se Letta era tra quelli del centrosinistra nazionale che non mi hanno mai dato ascolto sul Mose, come Prodi e D’Alema».
Dov’è la differenza?
«Io non ho mai chiesto favori personali, ma solo interventi per aziende in crisi o per faccende di interesse locale, come la squadra di calcio. Facevo il mio mestiere di sindaco».
Preoccupato?
«Stai scherzando? Neppure infastidito. La gente mi conosce, e sa bene come sono andate le cose, allora e oggi».
Era amico di Mazzacurati?
«Parola grossa. Immaginavo quel che poi sarebbe successo, anche perchè con un governatore come Galan che andava in giro sventolando la bandiera del Mose le domande sorgevano spontanee. Ma dell’ingegnere ho sempre avuto grande stima».
Lo conosceva bene?
«Abbastanza. Abbiamo avuto centinaia di rapporti e incontri, mica è un crimine. Intanto era un uomo colto, cosa non da poco e molto rara in quel consesso. Prima dell’inchiesta tendevo anche a considerarlo una persona perbene».
L’ha fatto per avidità ?
«Non credo. Lui no. Da tecnico, Mazzacurati era l’unico davvero innamorato di quell’opera. Ne era entusiasta. La sua missione di vita. Avrebbe fatto di tutto per realizzarla. E in effetti».
Quindi fingevate di essere nemici?
«Mazzacurati sapeva come la pensavo. Credo che anche lui provasse stima nei miei confronti, proprio perchè sapeva che ero distante da lui e in-cor-rut-ti-bi-le».
Chiedere un favore non significa creare un precedente?
«Un intervento, non un favore! C’è differenza. Comunque questo è giustizialismo di bassa lega. Non avevano alcun interesse a blandirmi. Era noto che non avrei mai cambiato idea».
Avversario e richiedente?
«Ci può stare. Senza alcun imbarazzo. Ho sempre detto peste e corna del Mose, e in quei paraggi non ero certo gradito. Avevo la coscienza così libera e tranquilla che mi potevo permettere di chiedere cose utili alla città senza neppure essere sfiorato dall’ombra del do ut des».
Quante volte figliolo?
«Con il Consorzio, con Eni, con Fincantieri. Sempre per salvare aziende e posti di lavoro. Mai per me. In quindici anni da sindaco di Venezia l’avrò fatto almeno un migliaio di volte. Abbondiamo, che non vorrei mai dimenticarmene qualcuna…».
Marco Imarisio
(da “il Corriere della Sera”)
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