Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
A PAROLE CONTRO LA CASTA, NEI FATTI ORGANICI AI PRIVILEGI
Il M5S aveva presentato un emendamento per mantenere l’immunità anche al Senato: è quanto emerge dalla denuncia del sen. Russo del Pd a cui i grillini rispondono con imbarazzo cercando di arrampicarsi sugli specchi per giustificare un grosso autogol che fa perdere credibilità al loro operato anticasta.
L’articolo in discussione è il 68 della Costituzione che recita:
“Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, nè può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.”
In grossetto la parte che verrebbe modificata dal DDL 1429 che all’art.6 recita
Art. 6.(Prerogative dei parlamentari)
1. All’articolo 68 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma, le parole: «Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento» sono sostituite dalle seguenti: «Senza autorizzazione della Camera dei deputati, nessun deputato»;
b) al terzo comma, le parole: «membri del Parlamento» sono sostituite dalla seguente: «deputati».
Con la modifica quindi l’immunità spetterebbe ai soli Deputati ed i Senatori non ne potrebbero usufruire.
E il M5S cosa fa?
Presenta un emendamento per sopprimere l’articolo 6 e quindi eliminare questa modifica garantendo quindi,di fatto, l’immunità anche ai Senatori.
I firmatari?
Fattori, Bertorotta, Bottici, Buccarella, Bulgarelli, Donno, Montevecchi, Lezzi, Mangili, Martelli, Serra.
L’onestà non va di moda così come la coerenza nel M5S.
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Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
LA RICERCA DELLA BOCCONI SULLA CARENZA DI INFRASTRUTTURE
L’Italia è uno strano paese, si sa. Quando si parla di infrastrutture e opere pubbliche su di noi pesa una strana maledizione.
Le opere utili non si riescono a realizzare, mentre se ne fanno altre che servono solo a generare lucrosi affari.
Altre ancora si fanno pensando a un’Italia che non c’è più bisognosa di cemento, e non guardando invece a ciò che serve veramente per far marciare un’economia avanzata nel ventunesimo secolo.
Paradossi che producono costi che alcuni economisti cercano di quantificare: secondo un recente studio dell’Università Bocconi – che ha creato un «Osservatorio sui Costi del non fare» – tra il 2012 e il 2027 la mancata realizzazione di alcune opere strategiche ci costerà in termini di mancata creazione di ricchezza la bellezza di 893 miliardi di euro. Fanno in media 60 miliardi l’anno, gettati al vento in termini di costi economici, sociali e ambientali che graveranno sull’intera collettività .
È vero che forse bisognerebbe affiancare all’Osservatorio Cnf della Bocconi anche un «Osservatorio sui costi del fare», se si considerano i molteplici danni provocati alla finanza pubblica e alla competitività economica da decisioni scellerate.
Che hanno condotto a realizzare opere inutili per ingrassare politici e costruttori impoverendo gli italiani, anzichè infrastrutture decisive per la competitività e la crescita. Servirebbe certamente anche un «Osservatorio sui costi giusti del fare», per misurare quanto si spende in più per fare un’opera pubblica che in Francia o Germania costerebbe molto meno.
Sicuramente farebbe comodo un «Osservatorio sui costi del fare tardi», per misurare l’esasperante lentezza con la quale si realizzano gli investimenti e le opere pubbliche.
Battute a parte, tornando allo studio di Agici Bocconi, le priorità infrastrutturali devono essere appunto infrastrutture strategiche per lo sviluppo del Paese, affiancate però da piccoli interventi con ampio impatto locale.
Della prima categoria, dicono gli economisti della Bocconi, devono far parte come priorità strategiche la banda larga ed ultralarga, per superare lo storico digital divide, aumentare la produttività e l’efficienza dell’economia reale, e favorire l’inclusione sociale e la qualità della vita.
Poi, la mobilità e la logistica dei trasporti, fondamentali per aumentare la competitività delle nostre produzioni.
Terzo, l’energia e l’efficienza energetica: c’è un problema di costi e di “indipendenza”, ma anche la necessità di essere presenti in un comparto innovativo e industrialmente strategico.
Sul versante invece, del «piccolo», bisogna puntare su piste ciclabili e strade, sulle scuole e sugli edifici efficienti, sulle reti web e su una illuminazione pubblica intelligente.
Secondo, la ricerca è il comparto delle telecomunicazioni quello che rischia di presentare al sistema Italia il conto «globale» più salato, ovvero 429 miliardi di euro in 16 anni. Segue il rinnovamento del sistema del trasporto ferroviario, con 129 miliardi totali. In questo caso accanto agli investimenti nell’alta velocità , quella che serve davvero è la ristrutturazione delle linee ferroviarie convenzionali.
Seguono strade, autostrade, tangenziali a pedaggio (96 miliardi di costi); la logistica (oltre 73 miliardi di euro, soprattutto in campo portuale).
E soprattutto l’energia, sia sul versante degli impianti di produzione e delle reti di trasmissione e accumulo (65 miliardi) che su quello dell’efficienza energetica (46 miliardi, considerando rinnovabili termiche, caldaie a condensazione e cogenerazione industriale).
Ma attenzione: per gli economisti della Bocconi per smuovere gli investimenti serve una pianificazione di lungo periodo, progetti di qualità , modelli di finanziamento innovativi, sfruttare al meglio le risorse Ue.
Roberto Giovannini
(da “La Stampa”)
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Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO DEL LAVORO: “SE IL PD E’ LA NUOVA DC, IO ALLORA SONO DONAT-CATTIN”
Damiano, il carro del Pd di Renzi è stracolmo. Salgono tutti: ex vendoliani, ex montiani…
Si sta un po’ stretti. Il rischio, al di là delle battute, è di trasformarci davvero nella nuova Democrazia Cristiana. Un partito contenitore, senza un’identità politica centrale. Gli esuli di Scelta Civica e di Sel hanno identità politiche profondamente diverse
Qual è la direzione quindi? Il carro del vincitore svolta a sinistra o a destra?
In fondo il renzismo è una variante del blairismo. Con Blair si diceva che il centrosinistra fosse l’unico ad avere il diritto di fare politiche di destra. Con Renzi potremmo dire che si fanno contemporaneamente politiche di sinistra e di destra
A lei e agli altri “compagni” però tocca votarle tutte.
Finchè si tratta degli 80 euro o della tassazione delle rendite finanziarie, lo faccio volentieri. Quando si aumenta la precarietà del lavoro con il Jobs Act, sono contrario.
C’è una disciplina di partito…
Ma c’è anche un’autonomia parlamentare. Il primo Renzi decideva a maggioranza, “prendere o lasciare”. Ora mi pare abbia cambiato atteggiamento e che dica: “Nelle riforme ci sono dei punti fermi, tutto il resto lo possiamo discutere”. Con il “nuovo” Renzi si possono portare correzioni importanti
In sostanza c’è un grande “centro renziano” e poi ci sono le correnti a destra e a sinistra, stile Prima Repubblica
Non è proprio così. Non c’è dubbio che prendere il 40,8 per cento abbia segnato una svolta: ora c’è un partito egemonico, come non lo conoscevamo dagli anni ’50. L’importante è che la “vocazione maggioritaria” che sognava Veltroni non si trasformi in “vocazione totalitaria”. Ma le aree come la nostra non sono micro partiti all’interno di un grande partito unico. Noi (la cosiddetta “Area riformista”, ndr) abbiamo l’ambizione di essere una “componente culturale”, giochiamo la nostra sfida sui contenuti: il nostro obiettivo è mantenere il Pd a sinistra
Le cito in breve la definizione di “partito pigliatutto” secondo la Scienza Politica (Otto Kircheimer, 1966): è caratterizzato da una drastica riduzione del bagaglio ideologico, non ha una classe sociale di riferimento e assicura rappresentanza a diversi gruppi d’interesse. È un ritratto spiccicato del Pd, non trova?
Penso che anche in un partito pigliatutto ci sia margine per una scelta. In un Paese come il nostro dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, io voglio stare dalla parte degli ultimi. Penso che anche il Pd debba rappresentare loro
Quindi si può vivere (e morire) serenamente “demorenziani”
Spero che Renzi ce la faccia: è davvero l’ultima spiaggia e ha avuto il merito di sconfiggere il populismo di Grillo. Il “demorenzismo” può essere utile in questa fase storica. L’importante è che non ci sia un uomo solo al comando.
Tommaso Rodano
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Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
IL GOVERNO ORA CONTA SU UNA DOZZINA DI DEPUTATI IN PIU’ E QUATTRO SENATORI
Una nuova maggioranza a geometria variabile.
Un mese dopo quello strabiliante 40,8%, la calamita renziana sta ridisegnando i confini di tutti i gruppi parlamentari.
Dodici deputati e quattro senatori in più, tra quelli appena usciti e quelli in procinto di mollare le vecchie imbarcazioni
Non è solo un fatto numerico, si assiste a un vero e proprio smottamento delle vecchie appartenenze.
Alla Camera il dato è eclatante, benchè il premio di maggioranza garantito dal Porcellum renda le nuove adesioni politicamente ininfluenti.
Da Sel sono già andati via in sei – capitanati dal capogruppo Gennaro Migliore – attratti dal Pd ma per il momento in transito nel Misto.
Altri sei vendoliani li dovrebbero raggiungere nei prossimi giorni.
La scomposizione di Scelta Civica è inarrestabile. Andrea Romano è ormai già fuori e molti altro lo seguiranno
Ma dove il dato diventa significativo è al Senato, finora luogo infido per Renzi.
La transumanza è cominciata. Tra i sette senatori di Sel i più insofferenti sono Dario Stefà no, protagonista nella fase della decadenza di Berlusconi, e Massimo Cervellini.
Se andassero via Vendola perderebbe quasi un terzo della sua mini-pattuglia.
D’altra parte i senatori vendoliani, insieme a tredici epurati grillini, stanno progettando un gruppo comune.
Tanto che hanno preso a rilasciare dichiarazioni congiunte.
Certo, il nuovo gruppo resterà all’opposizione, ma potrebbe costituire comunque una sponda politica per alcuni provvedimenti del governo.
Se davvero dovesse costituirsi, questo neo gruppo avrebbe come ambizione di attirare anche quei dem dissidenti sempre più lontani dall’orbita governativa, da Corradino Mineo a Felice Casson, da Massimo Mucchetti a Erica D’Adda.
Tra gli ex M5S c’è poi la senatrice Fabiola Anitori, in avvicinamento direttamente al Pd.
Nel caos di Scelta Civica, a palazzo Madama è la fase dell’attesa: si è mosso soltanto uno, il senatore Gianpiero Dalla Zuanna, per andare tra i dem.
La scomparsa improvvisa di ogni punto di riferimento ha infatti paradossalmente congelato gli esodi, ma è solo questione di tempo.
«A ottobre decideremo – confida Renato Balduzzi, il “saggio” a cui i montiani si sono affidati – , potrebbe nascere un soggetto politico nuovo, più ampio».
Tutta l’area centrista in effetti è in fermento dopo il successo di Renzi alle europee.
Il Nuovo centrodestra di Alfano sta lavorando per stabilizzare il cartello elettorale con l’Udc e i Popolari per l’Italia.
Intanto due giorni fa Ncd ha guadagnato da Gal il senatore campano Pietro Langella (figlio e nipote di due boss uccisi in agguati di camorra), nominandolo persino coordinatore del partito a Napoli.
Il “supergruppo” centrista in gestazione è destinato tuttavia a perdere due elementi, ormai in totale contrapposizione a Pier Ferdinando Casini.
Sono Mario Mauro, fatto fuori dalla commissione affari costituzionali, e il suo fedele amico Tito Di Maggio (entrambi in direzione Forza Italia).
Ma la frana più vistosa potrebbe prodursi proprio nell’universo berlusconiano, specie se altre condanne dovessero appesantire la leadership dell’ex Cavaliere.
I più sospettati sono quella mezza dozzina di senatori vicini a Raffaele Fitto, da tempo nel mirino del cerchio magico.
Se nascesse un nuovo polo d’attrazione popolare Fitto potrebbe andarsene.
L’interessato per ora smentisce seccamente: «Questa corsa verso Renzi ha già fatto registrare il tutto esaurito. Sono rimasti solo posti in piedi. No grazie, io resto in Forza Italia con buona pace di chi alimenta questi retroscena solo per attaccarmi».
Francesco Bei e Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
UNA MASSA ENORME DI EVASIONE E DI ELUSIONE, UNA FUGA DAI CONTROLLI CHE SPAZIA DALLO SCONTRINO ILLEGALE E CHIARE FORME DI CRIMINALITA’
Periodicamente le Fiamme Gialle diffondono bilanci dettagliati delle attività antievasione sul tutto il territorio italiano.
Ed è sempre sconcertante verificare quanta parte della ricchezza nazionale venga nascosta e sottratta al fisco, così compromettendo la tenuta del nostro sistema tributario e distorcendo l’intera economia reale.
Solo nel corso dei primi cinque mesi del 2014, ad esempio, la Guardia di Finanza ha recuperato oltre 10 miliardi di evasione fiscale internazionale, ha scoperto frodi, truffe e sprechi di denaro pubblico per 2,1 miliardi ed appalti irregolari per 1,1 miliardi, ha denunciato 1.435 responsabili di reati contro la pubblica amministrazione, ed ha smascherato 3.070 evasori totali.
IL GEOMETRA E IL PENSIONATO
Ma più dei numeri, la cui incidenza è comunque parziale rispetto all’enorme montagna di nero su cui si reggono i pilastri meno nobili di questo Paese, sono le storie dei personaggi che in modo più o meno fantasioso sono finora sfuggiti al fisco a raccontare le dimensioni del fenomeno evasione.
E le distorsioni sociali ed economiche che si porta dietro.
Esemplare, da questo punto di vista, è il caso del nullatenente geometra 64enne romagnolo che all’erario avrebbe nascosto 1,15 milioni di euro, tra appartamenti, terreni, conti correnti, auto e moto.
Oppure quello del povero pensionato che formalmente risiedeva in Venezuela da quarant’anni, ma che gli agenti hanno scoperto vivere agiatamente a Castellanza, in provincia di Varese: luogo molto più comodo, rispetto al lontano Sudamerica, per svolgere un’attività imprenditoriale nella vicina Svizzera, ovviamente senza pagare un euro di tasse in Italia.
Questa ed altre vicende simili sono emerse grazie al «pieno di interventi voluti dal comando provinciale della guardia di finanza di Varese per individuare i casi di estero-vestizione, ossia della fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale delle persone, siano esse fisiche o giuridiche».
Una pratica purtroppo molto diffusa nei territori vicino alla frontiera svizzera, da cui spesso partono i proventi poi depositati a Lugano.
Ma se qualcuno si ferma ai Paesi limitrofi, le Fiamme Gialle hanno altresì rintracciato soldi mai dichiarati in Italia anche negli Stati Uniti e in Venezuela
Raramente l’astuzia e la creatività di chi vuole frodare il fisco si fermano ai confini noti.
Non a caso ammonta ad oltre 460 milioni di euro il valore dei beni sequestrati agli evasori fiscali nei primi cinque mesi del 2014.
Una cifra che sale fino a 914 milioni, se ai sequestri eseguiti a garanzia della pretesa erariale si aggiungono anche quelli proposti all’autorità giudiziaria.
Ancora. Dall’inizio dell’anno la Guardia di Finanza ha recuperato a tassazione 10,3 miliardi di euro sul fronte dell’evasione fiscale internazionale, attuata attraverso la fittizia residenza all’estero, le stabili organizzazioni non dichiarate ed altre manovre ritenute elusive.
Ad esempio, solo rispetto a «scatole vuote » e società di carta, le cosiddette frodi carosello, sono state denunciati 193 responsabili con evasione dell’Iva per oltre 235 milioni di euro
Sul fronte di un’evasione meno fantasiosa, ma certo non meno dannosa, i controlli in materia di scontrini e ricevute – oltre 163mila da gennaio a maggio di quest’anno – hanno riscontrato irregolarità ben nel 32,5 per cento dei casi, portando anche alla scoperta di 9.400 lavoratori in nero irregolari scoperti e alla sanzione di 1.935 datori di lavoro.
CRIMINALITà€ E REATI FINANZIARI
Un capitolo fondamentale delle attività delle Fiamme Gialle riguarda il sequestro e la confisca di beni alla criminalità economica ed organizzata, che ha raggiunto quota 2,8 miliardi di euro.
In particolare, dall’inizio dell’anno sono stati eseguiti accertamenti patrimoniali antimafia nei confronti di oltre 5.500 persone che hanno portato al sequestro di beni per 2,4 miliardi di euro, mentre a 413 milioni di euro ammonta il valore dei beni confiscati, quindi definitivamente entrati nel patrimonio dello Stato.
La lotta al riciclaggio di capitali sporchi ha poi portato ad individuare 542 milioni di euro oggetto di riciclaggio, a denunciare 717 persone e ad arrestarne 36. §
Inoltre sono stati denunciati 2.060 responsabili di reati bancari, finanziari, societari e fallimentari, e 257 usurai, di cui 51 tratti in arresto.
Un tema doloroso, molto presente in queste settimane di cronaca giudiziari, è quello degli appalti pubblici: la Guardia di Finanza ha trovato procedure di affidamento viziate per oltre 1,1 miliardi di euro, denunciato 374 responsabili, di cui 34 finiti in carcere. Infine, sono stati segnalati danni erariali da cattiva gestione del denaro pubblico per oltre 1,6 miliardi di euro, con 1.435 denunciati e 126 arrestati.
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Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
PER DELINEARE “UNA NUOVA DESTRA” NON OCCORRONO PALETTI E PERCORSI OBBLIGATI, MEGLIO GLI ERETICI CHE I SIGNORSI’… BASTA SUDDITANZA ALLE RIFORME PATACCA DI RENZI, OCCORRE PROPORRE UN NUOVO MODELLO DI PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI ALLA COSA PUBBLICA E TUTELARE LE FASCE PIU’ DEBOLI… E IL SALVATAGGIO DEI PROFUGHI DIVENTI LA CAMPAGNA “ORGOGLIO ITALIA”, UN POPOLO DI MARE CHE RISPETTA LA VITA E LA LEGGE DEL MARE
Quando si vuole costruire un nuovo percorso “partecipativo” è consigliabile non solo partire con il piede giusto, ma anche non piantare troppi paletti, salvo quelli che evitano di finire nel precipizio.
Leggendo l’intervista che Gianfranco Fini ha rilasciato a “il Fatto” (articolo sotto) ci sembra di notare, anche rispetto al documento su “valori e programmi” alla base dell’appuntamento di sabato prossimo a Roma per il lancio di “Partecipa – L’Italia che vorresti”, la tendenza a circoscrivere il “rinnovamento a destra” in canali un po’ troppo “istituzionali”.
Fini invita ad avanzare in ogni caso “idee nuove per la destra”.
Partiamo da ciò che condividiamo: una destra moderna, europeista, riformista (ma bisogna vedere come), amante della legalità e con il senso dello Stato.
Ma una minima analisi retroattiva va fatta: non si può liquidare l’esito negativo dell’alleanza con Monti semplicemente con il “pasticcio” della lista unica al Senato e di tre alla Camera.
E sostenere che non esisteva alcun minimo denominatore comune e tanto meno “un’anima identitaria” comune, finisce per essere in antitesi con la ancora recente indicazione di voto per “Scelta europea” alle elezioni per il parlamento Ue.
Non dovrebbe essere indicativo il fatto che quel centro-destra appiattito su posizioni ultra-liberiste sia stato bocciato dagli elettori?
Non dovrebbe far riflettere che è stato Renzi a riassorbirlo e non Alfano?
E qui veniamo al punto, Renzi è in sintonia con i luoghi comuni del Paese, nulla di più: il Paese vuole imprecisate riforme e lui le promette, sa muoversi alla ricerca del consenso e chiaramente lo cerca in ambienti diversi da quelli che ha già , attraverso un programma trasversale che mischia concetti di destra e di sinistra in un guazzabuglio che prima o poi esploderà nei fatti, tempo al tempo.
Pensa di governare l’Italia come un sindaco decide sui parcheggi in piazza.
Ma la cosa grave sono stati i silenzi della destra italiana di fronte alle sue patacche.
Nessuno che abbia detto che gli 80 euro sono una ignobile marchetta elettorale, tutti a temere di inimicarsi i beneficiati.
Perchè nessuno ha inchiodato Renzi alla domanda: “perchè dai 80 euro a chi ne guadagna 1300-1400, e non a chi tira avanti con 400-500 euro al mese o a chi non ha lavoro? Forse perchè ti servono 10 milioni di voti a breve e questi sono gli unici che puoi raggiungere in tempo utile?”
Perchè nessuno ha detto che un condannato in primo grado per danno erariale allo Stato o uno che alloggia gratis per due anni in una casa il cui affitto è pagato da un “amico”, casualmente titolare di una società in affari con il comune di Firenze, non ha titolo per parlare di etica politica?
Fini per molto meno è stato massacrato.
Perchè a destra si accetta la fittizia polemica tra chi “vuole fare le riforme” (ovvio Renzi) e chi le ostacola?
E se le riforme sono una ignobile patacca (come in buona parte sono, in primis quella della P.A.) si deve avere paura a dirlo?
O non se ne deve discutere per non turbare gli equilibri di Verdini?
Ecco lo spirito che la destra dovrebbe recuperare: la capacità in primis di saper fare opposizione seria, documentata, determinata.
Basta con una generazione che si è abituata troppo a poltrone e prebende, largo a chi ha voglia di condurre nuove battaglie in campo aperto.
E a proposito di praterie: Renzi si è gia preso gli ettari dei “moderati creduloni”, ma per farlo ha dovuto abbandonare altri terreni, cosa aspettiamo ad occuparli?
Vogliamo metterci in testa che esiste in Italia un 40% che non vota, un 22% che vota Grillo e un altro 10% che vota partiti minori di opposizione?
Cosa si aspetta a tentare di piantarci le tende con una destra moderna, non soporifera e letale, che sappia dare risposte concrete ai ceti meno abbienti, ai giovani disoccupati e ai precari, ai lavoratori autonomi, alle partite Iva, ai pensionati?
O pensiamo che tutto si risolta con la flessibilità o facendo fare 50 km a piedi ogni giorno a un impiegato nella P.A.?
E ai pensionati in coda alla Caritas cosa pensiamo di dire? Che staranno meglio quando avranno una Repubblica presidenziale?
O non è il caso di aumentare le pensioni da fame, costruire case popolari e aiutare le giovani coppie?
Ultima (per ora) provocazione: una destra LEGALITARIA dovrebbe pubblicizzare tre semplici proposte facilmente comprensibili.
In primo luogo recuperare l’evasione fiscale a botta di 20 miliardi l’anno (meno del 10% l’anno sul totale di 150 miliardi) e abbassare contestualmente le aliquote di tassazione.
Il cittadino deve capire e vedere: lo Stato incassa 20 dagli evasori e pari pari li restituisce a me, contribuente onesto.
Non è difficile farlo, basta volerlo e non avere pietà per nessuno, questo è di destra.
Seconda proposta: recuperare il 20% dei 60 miliardi annui che ci costa la corruzione nella P.A.e destinarli al lavoro per i giovani, aumentare la pensioni sociali. e gli stipendi di impiegati pubblici e forze dell’ordine.
Non è difficile farlo, basta volerlo e non avere pietà per nessuno, questo è di destra.
La terza apparentemente è la più coraggiosa e ancor più di destra, perchè legata al senso e alle tradizioni delle regole del mare.
Siamo stanchi di ministri accattoni che piangono miseria alla Ue perchè “accogliere i profughi ci costa”.
Meno F35 e più solidarietà e aiuti alla nostra Marina: si lanci la campagna “Orgoglio Italia”, “un popolo di mare rispetta la vita e le leggi del mare”, in perfetta linea identitaria con le nostre tradizioni.
Non abbiamo bisogno dell’Europa per salvare delle vite, facciamo da soli.
Sarebbe una campagna gratuita di immagine straordinaria verso i popoli in via di svluppo, aprirebbe nuovi rapporti commerciali per le nostre aziende in molti Paesi e metterebbe in difficoltà gli altri Paesi europei.
Fuori dagli schemi, per una destra piccante.
Noi avanti e Renzi con le gomme bucate e la lingua di fuori ad arrancare all’inseguimento.
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Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
L’ASSEMBLEA DEL 28 GIUGNO ALL’EUR “PER UNA DESTRA CHE NON C’E'”: LE BASI DI UNA PARTECIPAZIONE DAL BASSO
Dal “disastro montiano” al plebiscito per Renzi, passando per una destra che Gianfranco Fini vorrebbe costruire per chi non si sente nè berlusconiano nè meloniano.
È la premessa con cui l’ex presidente della Camera ed ex leader di An ha promosso l’assemblea romana del prossimo 28 giugno, “L’Italia che tu vorresti — le tue idee per una destra che non c’è”, tentando una nuova discesa in campo dopo l’epilogo di Futuro e Libertà che alle scorse politiche è rimasta fuori dal Parlamento.
È possibile una nuova destra, moderna, europeista e non populista?
Mi auguro di sì, perchè ne ha bisogno l’Italia. Nel senso che definire il contenuto di una politica partendo dalla collocazione geografica è del tutto inutile, in quanto non ci si può limitare a dire destra, sinistra o centro senza fare lo sforzo di individuarne i contenuti. Ed è anche lo sforzo che mi accingo a fare il prossimo 28 giugno, quando non a caso l’assemblea si intitolerà “L’Italia che tu vorresti — le tue idee per una destra che non c’è”.
Con quali obiettivi?
Si tratta di un’assemblea aperta dove l’idea è di ascoltare le testimonianze dei presenti. Gli spunti per il dibattito partono dal senso dello Stato, che considero l’antidoto al populismo e alla demagogia, dalla legalità e dalle riforme.
Una destra europeista o euroscettica?
L’Europa è rimasta a metà del guado: dopo il fallimento del referendum francese e olandese sul Trattato costituzionale l’Ue è andata avanti con il metodo intergovernativo e non con quello comunitario. Il voto dello scorso maggio lo ha dimostrato: dobbiamo ricostruire l’Europa, andando avanti e non indietro.
Come essere riformisti da destra?
In primis toccando l’assetto della Repubblica: non solo il Presidenzialismo, che mi fa piacere torni essere oggetto di dibattito, ma riformare il monocameralismo senza pasticci. Penso alla necessità di referendum propositivi, alla revisione totale del titolo V, ricordando che il nodo è dato dall’inganno del federalismo, in quanto i servizi al cittadino sono peggiorati mentre purtroppo la spesa pubblica è aumentata.
Dopo la rottura con Berlusconi e l’epilogo di Fli, perchè tentare di nuovo? Meglio una Leopolda di centrodestra o trovare un Tsipras di destra?
Il centrodestra del futuro credo non debba prendere spunto da nessuna delle due, ma dovrebbe ripartire dai temi: più che guardare l’etichetta della bottiglia cerchiamo di valutarne il contenuto. Esso potrà avere un mercato ed essere nuovamente ricercato dal consumatore, ma è triste che nessuno osservi come l’intera area in due anni abbia perso circa sette milioni di voti. Significa che l’offerta complessiva non intercetta più il consenso. Per queste ragioni non mi interessa partire da un luogo fisico come la Leopolda o da una persona come un Tsipras di destra, anche perchè i leader non si battezzano, ma nascono dal basso.
Dopo Granata passato a Green Italia, Della Vedova tra i montiani, un’altra ex finiana come Giulia Bongiorno si accasa altrove, aderendo all’iniziativa di Corrado Passera: possibile un dialogo?
Ho l’impressione che non sia stata ben valutata dai promotori la fase che stiamo vivendo: il combinato disposto tra il successo di Renzi e il disastro montiano secondo me ha posto la parola fine all’ipotesi di supplenza da parte della società civile nei confronti della politica, che oggi è tornata ad essere centrale. La discesa in campo di forze extra politiche si scontra con due dati: il fallimento di Scelta civica e il fatto che Renzi abbia riportato il suo partito, e quindi la politica, al centro.
Proprio Renzi fa ha parlato di Partito della nazione, come proposto in passato anche dal suo terzo polo. Rimpianti?
Se il centrodestra non farà un bagno di umiltà e di approfondimento rischierà di offrire al premier una vera e propria prateria, tale da rendere non velleitario il suo riferimento al Pd come Partito della Nazione. Ma vi pare possibile che la riforma annunciata della Pa, che va in una direzione che la destra dovrebbe gradire, prosegua senza che proprio da destra ci sia una voce di commento? Dovremmo evitare che Renzi giochi la sua partita sostanzialmente senza competitors.
Quali gli errori dell’esperienza pidiellina e montina da non ripetere?
L’errore capitale nel Pdl fu quello di non organizzarlo con una forma partito, quindi con dibattito interno e regole. Le leadership era molto forte, ma alla fine era divenuta autocratica in quanto, come si sta accorgendo adesso anche Fitto, ciò che si era inserito nello statuto è rimasto lettera morta. Ne sono la prova emblematica: il Pdl ha votato una sola volta su di un singolo provvedimento, quello che mi dichiarava incompatibile, senza nemmeno che io fossi presente.
E Fli che si fonde con i montiani? Lo rifarebbe?
Fu il frutto del pasticcio di una lista sola al Senato contro tre alla Camera e dell’assenza di una manifestazione comune: sembrava una convivenza obbligata e non sincera. Non essendoci inoltre un minimo comun denominatore non c’è stata neanche un’anima identitaria che potesse risultare convincente soprattutto per gli elettori di destra.
Francesco De Palo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
LE VERIFICHE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE E I MAGRI BOTTINI DI EQUITALIA
Domandona: che cosa si potrebbe fare con 620 miliardi di euro?
Per esempio dare una botta pazzesca al debito pubblico: dal 137,5 al 97,8 per cento del Prodotto interno lordo.
Oppure non far pagare l’Irpef agli italiani per quattro anni.
O ancora, avviare un gigantesco piano di opere pubbliche del valore di 110 Mose.
Siamo ai confini della realtà , penserete. Invece no.
Perchè 620 sono esattamente i miliardi di crediti da riscuotere che Equitalia aveva in carico alla fine del 2013.
Dentro quella incredibile montagna c’è di tutto, compresi gli 80 miliardi dovuti all’Inps e una quindicina di miliardi di multe e tasse comunali non pagate.
Soprattutto, ci sono 500 miliardi di crediti dell’Agenzia delle Entrate: dei quali almeno 350 rappresenterebbero l’evasione fiscale vera e propria accertata.
Una cifra mostruosa, che va considerata ovviamente al lordo degli errori, accumulatasi a partire dal 2000 a un ritmo di una cinquantina di miliardi l’anno, salita a 75 nella media degli ultimi tre, perchè la società creata nove anni fa non riesce a incassarne che una frazione.
Il dieci per cento, sì e no. Al punto che questo è diventato il problema più grosso del Fisco italiano.
Continuando a questo ritmo, nel 2018 i crediti fiscali potrebbero raggiungere la somma astronomica di 950 miliardi.
Stop alle banche, nasce Equitalia
Ma facciamo un passo indietro. Un tempo il recupero delle imposte non pagate era affidato ai concessionari privati, quasi sempre di emanazione bancaria. Come la cronaca si è incaricata di dimostrare, era un autentico disastro.
Riscuotevano soprattutto il loro aggio, e qualcuno faceva sparire anche i soldi destinati al Fisco. Così nel 2005 si decise di fare una società pubblica, Riscossione spa (che sarebbe poi stata ribattezzata Equitalia). Azionisti, l’Agenzia delle Entrate e l’Inps.
Sembrava l’uovo di Colombo. Ma pieno di zavorra.
Intanto i dipendenti: Equitalia dovette assorbire quelli delle ex concessionarie, dove le banche proprietarie non avevano di sicuro collocato il personale migliore.
Ritrovandosi sul groppone 8.240 buste paga. Poi le regole: privatistiche per il conto economico della società , pubbliche per la riscossione. Non solo.
La legge gli aveva consegnato poteri enormi nei confronti dei piccoli debitori, come le ganasce alle auto e l’ipoteca immobiliare, ma assolutamente inadeguati a incassare dai grandi evasori, anche se scoperti con le mani nel sacco.
Se sia stata una scelta deliberata o soltanto una serie di tragici errori lo dirà la storia. Sappiamo però che in tutti questi anni nessun governo ha mosso un dito per cambiare l’andazzo.
Tra piccoli e grandi evasori
I numeri sono sotto gli occhi di tutti. Mentre a partire dal 2007 gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate decollavano, e il ricavo della lotta all’evasione con i pagamenti «spontanei» direttamente alla medesima Agenzia salivano da 1,9 ai 5,6 miliardi del 2013, gli incassi di Equitalia crescevano a un ritmo medio decisamente inferiore: 2 miliardi e mezzo l’anno.
Grazie solo agli introiti delle partite di importo più modesto. La dimostrazione sta nei numeri.
La riscossione per conto dei Comuni ha sfiorato il 40%, quella delle cartelle Inps il 20% e quella dei crediti fiscali appena il 6%.
E di questo 6%, la quasi totalità riguarda il recupero di tasse già dichiarate dai contribuenti. Restano l’evasione fiscale vera e propria accertata a partire dal 2000, dove non si arriva neppure al 3%.
Dieci miliardi su 350, che hanno riguardato anche in questo caso prevalentemente le partite minori.
Risultato: piccoli debitori imbufaliti, l’immagine di Equitalia ammaccata, grandi evasori al sicuro. Di più. La cattiva fama che circonda la società ha indotto i politici a ridurne sempre più i poteri. Dunque il tetto minimo di 20 mila euro alle ipoteche, i limiti alla pignorabilità dei beni e dei salari nonchè alle ganasce, il divieto all’esecuzione forzata sulla prima casa, la moltiplicazione delle notifiche, le facilitazioni concesse al debitore nella sospensione della riscossione.
Con la conseguenza di ridurre i già magri incassi di Equitalia di un miliardo l’anno.
Come si è arrivati a questo è stato in parte già spiegato.
Pressata dall’esigenza di far tornare i conti aziendali, Equitalia riscuoteva dov’era più facile incassare facendo la voce grossa con le ganasce e le ipoteche.
Anche perchè l’obbligatorietà della riscossione coattiva per tutte le pratiche, indipendentemente dall’ammontare, faceva sì che la burocrazia divorasse tutte le energie relegando le posizioni più difficili da aggredire sempre in fondo al mucchio.
Tanto più che gran parte del personale non ha neppure le competenze necessarie per scovare il malloppo sottratto all’Erario.
Più poteri all’Agenzia?
È stato calcolato che l’80% dell’evasione accertata dall’Agenzia e affidata per il recupero a Equitalia fa capo a soggetti falliti o presunti nullatenenti. Innumerevoli sono i casi in cui i beni finiti nel mirino del Fisco magicamente passano di mano.
Inutile scovare gli evasori se poi non si intascano i soldi. Ragion per cui servirebbero un know how investigativo e poteri coercitivi assai diversi.
Così c’è chi ha ipotizzato di affidare i dossier più scottanti all’Agenzia delle Entrate che può mettere in moto la Guardia di Finanza per inseguire le tracce del denaro.
Intervenendo magari anche su certe regole della riscossione coattiva, finora fallimentari.
La partita delle nomine
La morale? Diciamo pure che quei 620 miliardi non si potranno prendere proprio tutti. Ma anche se riuscissimo a recuperarne un decimo, ci pensate?
Tutta materia per il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, come pure per il nuovo direttore dell’Agenzia: Rossella Orlandi, toscana di Empoli, stimata direttrice delle Entrate in Piemonte che ha subito promesso guerra ai grandi evasori.
Prima donna a ricoprire un incarico tanto importante è stata nominata da Matteo Renzi al vertice operativo del Fisco con la benedizione dell’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco, al termine di una vicenda che non ha precedenti.
Perchè la scelta di Padoan, che ha il potere di proporre il nome al Consiglio dei ministri, era caduta invece sul numero due di Attilio Befera: Marco Di Capua, ex finanziere, corresponsabile di una gestione dell’Agenzia che aveva portato a quei risultati in termini di accertamenti.
La proposta era stata regolarmente formalizzata e si attendeva soltanto la ratifica del decreto da parte di Palazzo Chigi.
Ma non era stata messa nel conto la freccia al curaro che ha colpito Di Capua sul più bello: quando alcuni giornali lo hanno qualificato come tremontiano nonchè amico di Marco Milanese, ex deputato del Pdl sotto inchiesta per corruzione e già braccio destro di Giulio Tremonti. Amicizia fatale, ancorchè tutta da dimostrare.
Fatale almeno quanto questa dichiarazione pubblica dell’ancora influente Visco: «Un governo di destra ha organizzato l’amministrazione finanziaria più repressiva. Non a caso ci sono tutti questi ufficiali della Guardia di Finanza». Di Capua, appunto.
D’obbligo ricordare che pure Luigi Magistro, attuale capo di dogane-monopoli ed ex collega di Di Capua e di Rossella Orlandi, fresco di nomina nel consiglio di amministrazione di Equitalia con la prospettiva di assumerne la presidenza in vista della sua riorganizzazione, viene dalle Fiamme Gialle.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
IL PREFETTO DI PERUGIA : “NON VOLEVO DIRE CHE LA COLPA E’ DELLE MADRI, MA SE HO SBAGLIATO E’ GIUSTO CHE PAGHI”
«Ho sbagliato, non c’è molto altro da aggiungere. Non volevo dire quello che ho detto. Meglio, volevo dirlo ma non intendevo in senso letterale, era solo un modo per scuotere le coscienze».
Antonio Reppucci, già ieri era l’ex prefetto di Perugia, rimosso nel giro di 24 ore per avere detto, durante una conferenza stampa, che le madri che non si accorgono che il figlio si droga sono delle fallite e farebbero bene a suicidarsi.
Parole riprese dalle telecamere che sabato hanno fatto il giro del web e, in poche ore, scatenato l’indignazione del premier e l’immediato annuncio del ministro Alfano: «Prenderò immediati provvedimenti. Quel prefetto non può stare nè lì nè altrove»
Signor prefetto. Una brutta giornata.
«Guardi, oggi non ho nemmeno letto i giornali, per cui non so bene cosa è stato scritto. So che ieri le mie parole sono state interpretate nel modo sbagliato e che questo ha creato un po’ di confusione».
Beh, dire che una madre che non capisce che il figlio si droga si deve solo suicidare come altro deve essere interpretato?
«Allora, innanzitutto sono frasi estrapolate dal contesto. Io non ho detto questo. Anzi, l’ho detto ma non volevo dire quello che lascia intendere il senso letterale. Io sono cattolico e praticante, figuriamoci se posso mai davvero istigare una persona a suicidarsi. Non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello. Mentre le parlo ho qui accanto mia moglie, figuriamoci se posso mai dire che una madre si deve togliere la vita. È una cosa assurda. Un paradosso per essere incisivo, per farmi capire, per scatenare una reazione. In Umbria la droga è un problema molto serio e molto diffuso. E forse per questo ero così infervorato».
Ma lo ha detto, prefetto, è stato ripreso dalle telecamere. Nessuno si è inventato nulla.
«Sì, ma è un modo di dire. Che peraltro a Napoli si usa spesso per esprimere disappunto».
E quindi lei crede che la colpa della tossicodipendenza sia solo delle madri?
«Assolutamente no. Sono state prese delle frasi. Io so come si fa il vostro mestiere, me ne intendo di comunicazione. E voi avete preso qualche parola e ricostruito un pensiero che non corrisponde al mio. Io ho parlato di fare squadra, di lavorare insieme. Mi sono rivolto alle scuole, alle istituzioni. Non credo, e non lo ho detto perchè non lo credo, che la colpa sia solo delle mamme».
Lo ha detto, in realtà .
«Senta, io mi occupo di droga da tanti anni. Quando stavo in Calabria frequentavo anche alcune comunità per il recupero dei tossicodipendenti. So bene quali sono i problemi e le dinamiche. E so bene che la colpa non è solo delle famiglie ma di tutta la comunità . Lo ho anche detto ma nessuno lo ha registrato ».
Prefetto, ma è stato registrato tutto.
«Non è vero. E se è così è stato tagliato».
Quella frase le è costata cara. Ora che cosa succede?
«Non lo so. Sono a disposizione del ministro che farà quello che vuole di me. Sono come i carabinieri: usi obbedir tacendo. E forse è giusto così: ho sbagliato».
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha definito le sue parole «inaccettabili per un servitore dello Stato».
«Lo capisco e ha ragione. Chissà come sono rimbalzate a Roma».
Ma signor prefetto, era una registrazione.
«Sì ma tagliata ad arte. Avete fatto il vostro mestiere e lo avete fatto bene. Io vi ho fornito l’occasione. Ma io sono così. Sono una persona appassionata in tutto quello che faccio».
Alfano dice che la rimuoverà .
«Ha ragione. Ho sbagliato. È la vita. Una volta sei incudine e una volta martello. Ora io sono incudine. Nonostante la mia carriera parli per me».
Signor Prefetto, come si sente oggi?
«Ho ricevuto tante chiamate di persone che mi conoscono e mi stimano. Gente che ha lavorato con me e ha capito il senso delle mie parole perchè mi conosce e sa come la penso. Certo, sono arrabbiato. Deluso. Come mi devo sentire secondo lei?».
Vorrebbe tornare indietro?
«Magari. Ma purtroppo non si può».
Maria Elena Vincenzi
(da “La Repubblica“)
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