Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
IL PIASTRELLISTA MAROCCHINO FU ARRESTATO E POI RILASCIATO…IL SUO NOME TRA GLI INDAGATI FINO AD AGOSTO
C’erano voluti quasi tre anni prima che Mohamed Fikri, piastrellista marocchino, riuscisse ad uscire definitivamente dalla terribile posizione di indagato nell’inchiesta per la morte di Yara Gambirasio.
Succedeva lo scorso agosto ed oggi, come ha spiegato il legale del nordafricano, la notizia del fermo del presunto assassino della 13enne di Brembate di Sopra (Bergamo) «è un’ulteriore riabilitazione, perchè ancora qualcuno nutriva dubbi nei suoi confronti».
I guai giudiziari per lui iniziarono la sera del 4 dicembre 2010, una settimana dopo la scomparsa di Yara.
Con una rocambolesca operazione disposta dalla Procura, infatti, i carabinieri raggiunsero un traghetto salpato da Genova e sul quale Fikri stava raggiungendo Tangeri.
La sua appariva, in quel momento, come una fuga: poche ore prima i carabinieri avevano intercettato una telefonata, nella quale, secondo una prima traduzione, Fikri avrebbe dichiarato: «Che Allah mi perdoni, non l’ho uccisa io».
All’epoca non si sapeva ancora che la ragazza era stata uccisa (il corpo verrà ritrovato, per caso, soltanto il 26 febbraio 2011, a tre mesi esatti dalla scomparsa), e dunque quella frase, pronunciata da un immigrato che, la notte del 26 novembre 2010, data del rapimento della tredicenne, lavorava nel cantiere di Mapello, dove i cani molecolari avevano indugiato a lungo era sembrata agli inquirenti una svolta nell’inchiesta.
Invece, ascoltate da altri interpreti, quella parole vennero tradotte in modo del tutto diverso: «Mio Dio, facilitami nella partenza».
E ciò spinse il pm di Bergamo Letizia Ruggeri a chiedere l’archiviazione per Fikri, il quale dopo due giorni di carcere venne fatto uscire con tanto di scuse.
Venne, infatti, nel frattempo appurato che l’immigrato non stava scappando in Marocco, ma che era partito per un viaggio già programmato.
In una seconda chiamata, tra l’altro, la fidanzata gli chiedeva: «L’hanno uccisa davanti al cancello?». Ma fu chiarito che il dialogo era avvenuto quando i tg avevano già mostrato le immagini del cantiere di Mapello, dove c’era appunto un cancello.
«Non so, può essere», rispose Fikri, dimostrando di non essere a conoscenza della vicenda.
L’accusa di omicidio e di occultamento di cadavere, però, per lui cadde definitivamente solo il 22 febbraio dello scorso anno su decisione del gip, il quale dispose, tuttavia, di iscriverlo nel registro degli indagati con l’accusa di favoreggiamento personale.
Fikri, dunque, restò indagato nel fascicolo per la morte della 13enne per altri sei mesi, fino al 12 agosto 2013 quando venne cancellata dal gip anche l’ultima imputazione.
Il suo legale, l’avvocato Roberta Barbieri, ha raccontato che, dopo un periodo passato in Marocco, Fikri di recente è tornato in Italia ma «ha problemi con il permesso di soggiorno, anche perchè non ha un’occupazione».
Ovviamente, ha chiarito il difensore, «l’arresto e il suo lungo coinvolgimento nell’inchiesta lo hanno segnato e gli hanno creato numerose difficoltà ».
(da “La Stampa“)
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Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
MA SU FACEBOOK UNA FOTO INQUIETANTE: DUE MANI MASCHILI CHE SI AVVICINANO AL SENO DI UNA GIOVANISSIMA, SDRAIATA CON UNA MAGLIETTA CON LA SCRITTA “LA TASTIERA CHE TUTTI GLI UOMINI VORREBBERO AVERE”
Un lavoro come tanti, tre figli e quella che i vicini di casa descrivono come una “vita tranquilla”.
“Ignoto 1″ non c’è più: al posto della “x” che dal 26 novembre 2010 riempiva la casella dell’assassino di Yara Gambirasio da oggi campeggia il volto di Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni, muratore, originario di Clusone, indicato dagli inquirenti come presunto omicida: l’uomo della porta accanto, in quella Mapello (6.400 abitanti in provincia di Bergamo) in cui per 4 anni ha vissuto assieme alla moglie e ai tre figli mentre gli investigatori cercavano incessantemente il killer della 13enne di Brembate. ”Una famiglia riservatissima — racconta Walter Gambirasio, uno dei vicini di casa — li vedevamo sempre a messa, ma i loro tre figli non escono molto e non si frequentano con gli altri ragazzi della zona”.
Una persona normale, passioni comuni, le foto dei figli sul profilo di Facebook, dove spicca il post di una pin up che cavalca una moto sportiva, ma dove dominano gli affetti familiari: “Bellissime le mie due majorette…”, il commento su uno scatto che ritrae le sue due bimbe vestite da ragazze pon-pon.
Una passione per la cagnolina di casa, ritratta mentre allatta “i due nuovi arrivati. Dolcissimi!!!”.
Una tenerezza che contrasta con uno degli ultimi post lasciati sul profilo: la fotografia di quella che si intuisce essere una persona sepolta sotto un carico di asfalto: “Perdona sempre chi ti ha fatto del male: passaci sopra…”, la scritta che campeggia in alto.
Ma anche un altro post che, riletto alla luce del fermo, risulta agghiacciante: una foto in cui due mani maschili si avvicinano con cupidigia al seno di una giovanissima sdraiata e vestita con una maglietta su cui campeggia il disegno della tastiera di un computer: “La tastiera che tutti gli uomini vorrebbero avere”, la scritta.
Quattro anni trascorsi come se nulla fosse stato.
Come se la rete gettata dagli inquirenti non gli si stesse richiudendo attorno, giorno dopo giorno.
Come se nel giorno in cui gli prelevarono il campione di Dna, finito sotto il microscopio insieme agli altri 18 mila esaminati dagli inquirenti, la cosa non lo riguardasse o lo riguardasse poco.
E’ rimasto a casa sua anche quando gli inquirenti annunciarono di aver isolato l’identikit dell’assassino.
Era il 10 aprile e dal test del Dna arrivò la conferma che il cerchio si era ormai stretti: il padre biologico di “Ignoto 1″ era Giuseppe Guerinoni, autista di Gorno morto nel ’99 a 61 anni: il codice genetico, emerse dagli accertamenti, aveva una compatibilità del 99,99999987% con una macchia di sangue trovata su Yara.
L’omicida s’era ferito con un coltellino, forse nel tentativo di tagliarle gli slip.
Il cerchio attorno a Bossetti, che di Guerinoni era figlio naturale, aveva cominciato a stringersi il 26 aprile scorso, quando si era saputo che i carabinieri avevano prelevato un campione di Dna con un tampone salivare a una donna di 80 anni di Clusone.
Il prelievo di saliva era stato inviato subito al Ris di Parma per la comparazione con quello del cosiddetto “Ignoto 1″.
All’anziana donna i carabinieri erano arrivati sulla base di alcune voci di paese che le avevano attribuito una frequentazione negli anni Sessanta con Giuseppe Guerinoni. La donna è la madre di Bossetti, che ha una sorella gemella.
I cani si erano messi sulle sue tracce fin dall’inizio, fin dal 30 novembre, 4 giorni dopo la scomparsa di Yara, e lo mancarono di poco quando portarono gli investigatori su un cantiere di Mapello, dove è in costruzione un centro commerciale.
Sotto accusa finì un marocchino di 22 anni, fermato su una nave diretta in Marocco perchè sospettato del sequestro e dell’omicidio: è Mohammed Fikri, un operaio del cantiere.
La pista è sbagliata, ma non c’è ancora nulla che porti a lui, al muratore con la passione per le moto e la cagnolina di casa che allatta i suoi cuccioli.
Quattro anni di indagini, poi la svolta.
Il muratore viene prelevato dalla sua abitazione di Mapello e interrogato: “Il mio assistito è sereno — spiega il suo avvocato, Silvia Gozzetti, nominata d’ufficio — nega tutto e si è avvalso della facoltà di non rispondere”.
In serata le luci sono accese nella sua casa di via Piana di Sopra: nessuno risponde al citofono.
All’interno della villetta gialla di due piani, si sente abbaiare un cane.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
LUI RESTA GELIDO E IMPASSIBILE AL MOMENTO DELL’ARRESTO E NON RISPONDE
“Un pezzo di legno”. Un uomo impassibile, gelido, consapevole.
Così si è mostrato Giuseppe Bossetti, quando si è trovato davanti i carabineri del Reparto Crimini Violenti (Rcv) del Ros che lo sono andati a prelevare con l’accusa di essere l’assassino di Yara.
Non sospettava nemmeno lontanamente di essere sotto pedinamento da un mese, nè che gli fosse stato prelevato di nascosto del liquido organico per ricavarne il Dna, che i suoi telefoni fossero sotto intercettazione e la sua casa ormai sotto controllo giorno e notte.
Per arrivare a lui, gli specialisti del Rcv — gli stessi che individuarono e arrestarono anche l’autore della strage davanti alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi — hanno effettuato una scrematura interminabile ma minuziosa su ventimila soggetti (più o meno quelli le cui utenze cellulari erano state agganciate dalle celle della zona di Brembate) le cui caratteristiche mettevano insieme i pochi elementi disponibili, suddividendoli in gruppi che andavano da tremila a cinquecento individui.
E li hanno esclusi uno alla volta, fino ad arrivare a lui.
Ma la comparazione del Dna di Bossetti con le tracce organiche lasciate dall’assassino sugli indumenti di Yara è stata solo l’ultimo passaggio cruciale di un’indagine difficilissima.
Fondamentali sono stati anche i sostanziosi residui di calce che il medico legale aveva rilevato nei polmoni della ragazza, che hanno indirizzato gli investigatori del Rcv verso una tipologia di persona che in qualche modo doveva avere a che fare con i cantieri edili.
E Bossetti di lavoro fa il muratore.
“Ignoto 1” — con questa sigla era stato catalogato l’assassino di Yara — è figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, un autista di autobus morto nel 1999.
Prima di arrivare a lui, gli investigatori avevano individuato sua madre alla quale, per eliminare ogni dubbio, era stato fatto un doppio tampone per il Dna sempre con un prelievo di liquido organico di cui nè la donna nè Bossetti si sono mai accorti.
Alle indagini hanno partecipato i carabinieri della sezione anticrimine del Ros di Brescia, della territoriale e la Polizia di Stato.
Ma sono gli uomini e le donne del Rcv, un gruppo di superinvestigatori ad alta specializzazione tecnologica che interviene come un’ombra in tutti i crimini più efferati compiuti nel paese, ad aver tirato defintivamente la rete dopo un lavoro quotidiano durato mesi in tutta la provincia di Bergamo.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
ABITA A MAPELLO, IL SUO CELLULARE ERA NELLA ZONA, PARE FREQUENTASSE LA PALESTRA… HA UNA MOGLIE E TRE FIGLI
Si chiama Massimo Giuseppe Bossetti. È un muratore itaiano incensurato, ha 44 anni, è di Clusone ma abita a Mapello (Bergamo) e secondo gli inquirenti sarebbe l’assassino di Yara Gambirasio.
Non è più “ignoto 1”, come veniva indicato dagli inquirenti fino ad oggi: ora ha un nome e un volto, oltre al dna.
Il gip ha convalidato il fermo di Bossetti, eseguito nel pomeriggio.
Al termine di un’inchiesta durata oltre tre anni – basata sugli esami genetici ma anche su indagini classiche – pare essere lui il figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, autista di bus morto nel ’99.
Al figlio di Guerinoni era stato associato il Dna delle tracce genetiche ritrovate sul cadavere di Yara. Un uomo che però, almeno fino a ieri, era rimasto sconosciuto, proprio perchè illegittimo, così come era sconosciuta la madre naturale con la quale Guerinoni aveva concepito “Ignoto 1”.
La rabbia della folla.
Il presunto assassino è sposato, ha tre figli, e anche una sorella gemella. Davanti agli inquirenti, ha spiegato il suo legale fuori dalla caserma di Bergamo, Bossetti si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Ma, secondo indiscrezioni, avrebbe sostanzialmente respinto le accuse dicendosi “sereno”. Poi il trasferimento in carcere. All’uscita dalla caserma dove è stato interrogato, una folla di persone ha inveito contro di lui, mentre applaudiva le forze dell’ordine.
La caccia all’uomo.
Il cerchio ha iniziato a chiudersi quando sulla madre dell’uomo, che aveva avuto una relazione con Guerinoni, è stato fatto il tampone per analizzarne il corredo genetico. E gli esami del Dna sono stati ripetuti due volte.
Avuta “la certezza” che lei fosse la madre di “Ignoto 1” e Guerinoni il padre, Bossetti è stato prelevato dalle forze dell’ordine: il suo Dna è ritenuto sovrapponibile a quello trovato sul corpo di Yara il 27 febbraio 2011, e cioè tre mesi dopo la sua scomparsa. Gli investigatori, attraverso l’acquisizione di decine di testimonianze, hanno cercato di individuare la donna che avrebbe avuto una relazione con Guerinoni e, infine, l’hanno trovata.
Non solo Dna.
Ma contro Bossetti non ci sarebbe solo la prova del Dna. Il muratore 44enne, infatti, già rientrava in un gruppo di sospetti per gli inquirenti. In particolare, sempre secondo quanto si è appreso, nel provvedimento di fermo si contesterebbe il fatto che il cellulare di Bossetti è risultato tra quelli che avevano impegnato la cella della zona dove è stato trovato il cadavere, e nell’ora in cui sarebbe avvenuto l’omicidio.
Quindi l’uomo, secondo l’accusa, si trovava in quella zona mentre Yara veniva uccisa. Ma non solo.
Perchè anche la professione di Bossetti ha aumentato i sospetti su di lui. Questo a causa delle polveri di calce trovate sul corpo e, soprattutto, nelle vie respiratorie di Yara. E pare che Bossetti frequentasse anche la stessa palestra della 13enne uccisa.
Questione di tempo.
Era il 26 novembre del 2010 quando Yara sparì, in una sera fredda, dalla palestra di Brembate, alla fine di un corso di ginnastica.
Era questione di tempo e di fortuna, perchè il resto – la professionalità , la grinta, il “non mollare mai” – c’erano sin dall’inizio, come ha sottolineato anche il ministro Alfano: “Le forze dell’ordine, d’intesa con la magistratura, hanno individuato l’assassino di Yara Gambirasio. E’ una persona della stessa provincia dove viveva la vittima.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
BOCCHINO: PRIMA LO HANNO ALLEVATO, ORA NON LO VOGLIONO… PRIMA LO VOTANO DIRETTORE ALL’UNANIMITA’ E ORA FANNO FINTA DI CADERE DAL PERO… ESILARANTE STORACE: “SONO IN ASPETTATIVA, SE TORNO NON VOGLIO GENUFLETTERMI AD ALFANO”: HA RAGIONE, LUI E’ ABITUATO A LUSTRARE LE SCARPE DIRETTAMENTE A SILVIO
Leggiamo sul ben informato quotidiano romano “il Tempo” che “è rivolta a destra contro la nomina di Italo Bocchino a direttore editoriale del “Secolo D’Italia”.
Contro l’ex colonnello finiano insorge in particolare la famiglia Almirante, che dedica al neodirettore diversi post «di fuoco» su Facebook.
A farsi sentire per prima è la figlia di Giorgio Almirante, che non fa nulla per nascondere la sua irritazione.
«Sono rimasta basita alla notizia – scrive -. Il giornale che è stato organo del MSI e poi di An, che ha aperto le porte a tanti giovani che sono poi diventati noti giornalisti che ha avuto direttori come Almirante, Tripodi, Giovannini, Accame in mano a Bocchino! Vergogna! Si vuol forse aprire una porta a Fini? Non si può premiare chi ha contribuito a distruggere il nostro mondo! Anche perchè non ci troviamo davanti al nuovo Indro Montanelli».
Passano poche ore e tocca a Donna Assunta esprimere la sua indignazione: «Propongo di non leggere e non aprire la pagina del Secolo d’Italia fino a quando non sarà fatta completa chiarezza! Nel caso in cui verrà confermato credo che sarà opportuno prendere dei provvedimenti»
Parole dure, come quelle postate da diversi militanti sui profili Facebook degli esponenti di Fratelli d’Italia.
Proprio nel partito della Meloni la nomina di Bocchino ha creato più di un malumore, e c’è chi prova a fare dei distinguo: «Non siamo stati noi a sceglierlo – spiega Fabio Rampelli – ma il CdA della Fondazione An. Che è cosa ben diversa da Fratelli d’Italia».
E c’è anche chi rimprovera a Bocchino l’eccessivo protagonismo degli ultimi giorni. «Certo – commenta Maurizio Gasparri, membro di quel CdA della Fondazione An che ha ratificato all’unanimità la nomina – se Italo avesse evitato di rilasciare interviste a destra e a manca, forse sarebbe stato meglio. Neanche l’avessero fatto segretario generale dell’Onu…».
Mentre Francesco Storace, leader de La Destra, commenta preoccupato l’ipotetica nuova linea politica del giornale on line: «Fa rabbrividire leggere che il Secolo diventerà uno “strumento a disposizione della destra, ovunque sia collocata con la diaspora: Ncd, Fi o Fdi”. Io sono dipendente del Secolo in aspettativa non retribuita. Se domani torno a scrivere lì devo genuflettermi a Quagliarello, Lorenzin, Alfano, Scopelliti?».
Lui, il neodirettore, preferisce non replicare alle accuse: «Non mi interessano queste polemiche, ora bisogna lavorare per unire».
E, nel pomeriggio, annuncia il ritorno della Festa del Secolo: «Tornerà da questo anno – svela – come appuntamento di tutta la destra e per la ricostruzione del centrodestra. Cambiano i partiti, ma le tradizioni politiche che hanno fatto la storia politica italiana restano le stesse».
Sempre che i militanti siano d’accordo.
A leggere quanto riporta “il Tempo” non si sa se ridere o piangere.
Sicuramente sorgono alcune spontanee domande:
1) Donna Assunta che carica aveva nel Msi? Per fortuna nessuna, altrimenti si sarebbe sfasciato prima del tempo, visto che riesce a stretto giro a dire una cosa e a smentirla il giorno successivo. (“Non vado al congresso dei Fratelli d’Italia”…salvo accomodarsi in prima fila il giorno dopo)
Quindi eviti di parlare come fosse depositaria di chissà quale testamento politico: la sua opinione vale come quella di qualsiasi iscritto dell’epoca.
2) Se le persone non hanno il pregio della coerenza, a maggior ragione dovrebbero avere almeno il decoro del silenzio: o vogliamo pubblicare le sue decine di dichiarazioni entusiastiche quando Almirante nominò Fini suo delfino?
Aveva forse sollevato obiezioni donna Assunta quando Bocchino cresceva alla corte di Tatarella, coccolato da Almirante (vedi foto) e faceva carriera in An? Non ci risulta.
3) E’ nota la nostra “stima” per Bocchino, ma è esilarante che tutte le componenti della Fondazione An lo nominino direttore editoriale del Secolo d’Italia (da Fratelli d’Italia a Forza Italia e sottocorrenti varie) salvo poi negarne la paternità di fronte alle proteste della presunta base di lettori.
Come se Bocchino fosse stato chiamato a dirigere il Corriere della Sera e non , salvo qualche pagina culturale di livello, il giornalino della parrocchietta della Meloni, con una linea editoriale tra La Padania e il Giornale.
Potremmo dire “altro che il giornale intelligente diretto da Flavia Perina”, ma a questo punto ci costringono persino a rimpiangere il “caro nemico” Cesco Giulio Baghino.
4) Tra grida di “vergogna”, chi auspica “provvedimenti” e chi propone “di non leggerlo” (cosa che già fanno i più, quindi ci vuole poco a raggiungere l’obiettivo) sembra di assistere a una discussione dei Cinquestelle: a quando una votazione on line pilotata da Assunta Casaleggio con controllo dei voti affidati ai discendenti diretti?
Il tema potrebbe essere “Quale Bocchino vi piace? Quello della prima fase tatarelliana, quello della fase finiana, quello alle dipendenze di Romeo o quello convertito sulla via della Garbatella?”
5) Il grande Storace (gli concedo “il grande”, così forse evito i suoi cortesi “apprezzamenti” via mail) ricorda il suo status di “dipendente del Secolo in aspettativa non retribuita”. e si preoccupa, in caso di suo ritorno al giornale, dell’eventualità che debba genuflettersi ai vari Alfano e Quagliarello.
Ma come direbbe il Razzi di Crozza: “non penso…ritengo che Alfano & C. avrebbero il dovuto rispetto per le sue ginocchia logorate dalle scale di palazzo Grazioli durante le sue periodiche salite al santuario della destra etica, identitaria e sociale”.
Conclusione: il più lungimirante alla fine è Bocchino che, con un cast di caratteristi di questo genere, sta meditando di riportare sulle scene la commedia all’italiana, attraverso la riesumazione delle “feste del Secolo”.
Dai palchi dei comizi al palcoscenico delle compagnie di giro.
In fondo basterebbe che ciascun ex An interpretasse se stesso e al botteghino ci sarebbe la coda.
Altro che gadget, qua si fiuta l’affare del “Secolo”.
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Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
SU FACEBOOK INVITI A “SPARARE A VISTA”: L’EPIDEMIA RAZZISTA SI FERMA SOLO APPLICANDO LA LEGGE
C’è chi parla di una guerra biologica per decimare la popolazione italiana, chi incita a lanciare bombe, chi a imbracciare i fucili.
Sono di questo tipo i commenti all’allarme lanciato su Facebook dal leader della Lega Nord Matteo Salvini: “Sono in arrivo oltre 800 immigrati a Palermo, molti di questi malati di scabbia. Ragazzi, su la testa, vogliono farci scomparire (chi, come non è precisato, andava di fretta…) Io parto per la Sicilia, io non mi arrendo. Buona domenica”.
Un post che non ha impiegato molto tempo a far leva sui peggiori istinti (per usare un eufemismo) degli utenti del social network.
In tanti hanno quindi commentato, dando al leader del Carroccio alcuni “consigli” su come affrontare il tema dell’immigrazione.
“Sparate a vista senza l’altolà ,vedrai che nessuno più sbarca in italia ,e se vengono i politici sparate anche a loro”, suggerisce un utente a Salvini, in vista del suo prossimo viaggio a Palermo.
Poi: ” Vai e bruciali assieme a quelli del pd”.
Un altro è dello stesso avviso, anche se consiglia un’arma diversa: “Portati via un po’ di bombe….bisogna fare cm la Grecia sparargli contro e girarsi dall’altra parte forse così capiranno che non c’è più posto per loro…”.
E poi: “Matteo ma perchè non si comincia a sparare ai barconi ??? ”
C’è anche chi, dopo quello della scabbia, lancia un altro allarme: “Tra questi potrebbero esserci potenziali terroristi islamici” (che notoriamente non prendono l’aereo, ma per passare inosservati arrivano sui gommoni…
Un follower di Salvini prova a fare chiarezza dal punto di vista medico: “Ragazzi la scabbia è bruttissima è peggio della varicella per non parlare degli indumenti lenzuola asciugamani che bisognerà buttare. Occhio a questa malattia!!!!”.
Infine, c’è chi parla di complotto in una guerra batteriologica: ” È un complotto, una guerra biologica per decimarci.. come nel medioevo quando durante gli assedi ai castelli.. lanciavano con le catapulte le carcasse in decomposizione di vacche e nemici nel castello. Qui è la stessa cosa.. ci spediscono i malati x ammalarci.. indebolirci e poi invaderci. Maledetti tutti quelli che li fanno entrare che potessero crepare di scabbia i loro figli loro stessi e tutti i parenti”.
E’ inutile, di fronte a un attacco batteriologico, la cosa migliore sarebbe concentrare i casi accertati in un’unica struttura, meglio al Nord (dei meridionali è opportuno non fidarsi, potrebbero accettare bustarelle).
Cosa c’è di più sicura della sede di via Bellerio? Suvvia, sistemiamoli dove non possono scappare. Prima però mobilitiamo la classe dirigente della Lega: tutti in via Bellerio e sigilliamo bene le porte.
Nulla c’e’ di meglio che stare uniti nel momento del bisogno, vicini vicini…
Finchè Padagna non li separi.
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Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
E PER DUE TERZI DEGLI ITALIANI ANCHE IN FUTURO NON CAMBIERA’ NULLA
Gli scandali delle tangenti dell’Expo di Milano e del Mose di Venezia rappresentano un banco di prova molto importante per Matteo Renzi perchè la domanda di palingenesi morale è largamente diffusa nell’opinione pubblica e la corruzione rappresenta simbolicamente la massima espressione della distanza tra cittadini e politica.
Le inchieste in corso riportano l’Italia indietro nel tempo.
L’onestà della politica, tanto reclamata dai cittadini, è una sorta di precondizione all’altrettanto reclamato cambiamento del Paese.
L’opinione pubblica sta reagendo alle vicende in questione con molta severità e cupo pessimismo: il 70% ritiene che si tratti di fatti che riguardano indistintamente tutto il sistema politico, mentre solo il 26% pensa che le responsabilità siano individuali e non sia coinvolta tutta la politica.
È un’opinione che prevale nettamente tra tutti gli elettori, anche se tra quelli del Pd la quota di coloro che circoscrivono le responsabilità a casi singoli sale al 44%.
E la prospettiva non appare rosea: solo un terzo degli italiani (35%) pensa che in futuro ci saranno meno scandali grazie al ricambio generazionale e all’impegno dei politici più giovani; al contrario, la maggioranza assoluta (61%) ritiene che la piaga della corruzione non potrà essere debellata e i giovani politici in futuro si faranno corrompere.
A questo riguardo i più ottimisti risultano gli elettori del Pd (il 56% risulta fiducioso e il 41% è rassegnato), mentre stupisce che quelli del M5s siano i più scettici (76% di pessimisti), tenuto conto della straordinaria presenza di giovani politici nelle file del movimento e soprattutto della battaglia per la trasparenza e l’onestà portata avanti con convinzione e intransigenza.
In generale gli atteggiamenti più negativi sono maggiormente diffusi tra gli uomini, nelle classi centrali d’età (tra 30 e 60 anni), tra le persone più istruite e tra gli imprenditori, i dirigenti e i lavoratori autonomi (artigiani e commercianti) che risultano più direttamente a conoscenza delle vicende delle imprese e delle gare pubbliche.
A più di vent’anni da Tangentopoli la storia si ripete o, forse, non è mai cambiata e la corruzione suscita indignazione e livore, a maggior ragione in un periodo come quello attuale, nel quale le risorse sono scarse, i cittadini sono chiamati a fare grandi sacrifici, la pressione fiscale rimane elevata, si tagliano le spese e i servizi ma i costi di importanti opere pubbliche lievitano, senza che alcuno ne risponda.
La corruzione contribuisce a minare il concetto stesso di contratto sociale e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, soprattutto quando sono coinvolti non solo politici e imprenditori ma anche magistrati e esponenti della Guardia di finanza.
In queste circostanze la tendenza alla generalizzazione è largamente diffusa e non tutti hanno le cognizioni per distinguere le responsabilità , districarsi tra le argomentazioni o attribuire le cause all’inefficacia delle norme, dei controlli o delle sanzioni.
Che il denaro destinato al sindaco Orsoni sia stato utilizzato dal diretto interessato per fini personali o dal partito che ne ha sostenuto la candidatura, al comune cittadino poco importa.
Come poco importa all’opinione pubblica discernere tra il politico che chiede denaro ad un imprenditore a fin di bene (per risanare un’azienda e salvare posti di lavoro, per esempio) o per arricchirsi.
Qualunque sia il fine, l’imprenditore prima o poi ti presenterà il conto e chiederà qualcosa in cambio.
Di fronte alla riprovazione sociale e all’esasperazione dei cittadini non è facile fare dei distinguo.
Oggi appare più premiante, in termini di consenso, essere giustizialisti anzichè garantisti.
La decisione di nominare il magistrato Raffaele Cantone a Commissario straordinario dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, conferendogli poteri speciali, tra cui il commissariamento ad hoc di appalti sospetti, indica la volontà del governo di reagire all’ennesimo scandalo delle tangenti, per porre un argine al fenomeno ma anche per non deludere l’aspettativa del cambiamento suscitata dal nuovo esecutivo, non dissipare il credito di cui gode e non sprecare la lieve ripresa di fiducia degli ultimi mesi.
Ma tutto ciò non basta, dato che Renzi oltre ad essere premier è anche neosegretario del Pd, nelle cui file vi sono esponenti coinvolti nei fatti in questione e la distinzione tra vecchio e nuovo partito, per quanto utile nell’immediato per mettere in chiaro le responsabilità , alla lunga potrebbe perdere di efficacia.
Pertanto non può permettersi di abbassare la guardia, perchè bonificare la politica ha una rilevanza decisamente superiore a quella attribuita alle riforme, che pure sono molto importanti per l’opinione pubblica
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
“TOSI E GOBBO SAPEVANO”… VERSAMENTI PER AMENO 10 MILIONI DI EURO
La Procura di Milano indaga da più di un anno su un giro di presunte tangenti che potrebbe collegare i vecchi e i nuovi vertici della Lega Nord.
Soldi sospetti, usciti dalla casse di multinazionali come la Siram, un colosso francese degli appalti di energia e calore, o di grandi aziende italiane come il gruppo statale Fincantieri. Versamenti per almeno dieci milioni di euro, fatturati come consulenze considerate molto anomale, che risultano incassati da due distinte cordate di faccendieri e politici, tutti legati ai vertici del Carroccio in Veneto.
Le carte giudiziarie più scottanti sono ancora segrete, ma gli atti già depositati nel primo processo all’ex tesoriere della Lega, Francesco Belsito, arrestato nell’aprile 2013 e reo confesso, disegnano un quadro accusatorio che, se verrà confermato, potrebbe rappresentare il pezzo mancante della maxi-inchiesta sul Mose.
Le tangenti per almeno 25 milioni distribuite dalle aziende del Consorzio Venezia Nuova, infatti, hanno arricchito politici di Forza Italia e del Pd veneziano, mentre la Lega ne risulta del tutto estranea, come ha rivendicato il governatore Luca Zaia.
Ora però si scopre che l’ex cassiere Belsito e il suo consulente Stefano Bonet hanno accusato proprio i big veneti del Carroccio, in particolare il sindaco di Verona, Flavio Tosi, e l’ex primo cittadino di Treviso, Giancarlo Gobbo, di aver quantomeno avallato un sistema di finanziamento parallelo ed esclusivo: un giro di soldi gestito da faccendieri ed ex parlamentari leghisti.
Come Enrico Cavaliere, deputato dal 1994 al 2000, poi presidente del consiglio regionale veneto fino al 2005, quindi condannato in primo grado per la bancarotta di un fallimentare progetto edilizio da 2.300 appartamenti in Croazia.
O come Stefano Lombardelli, ex dirigente ligure di Fincantieri (di cui Belsito era consigliere d’amministrazione in quota Lega), fuggito in Libia e ormai latitante da più di un anno.
Alla base della nuova inchiesta ci sono le confessioni dei primi arrestati. Belsito è il faccendiere genovese che fu nominato tesoriere nazionale dal padre fondatore della Lega, l’onorevole Umberto Bossi.
Già nell’aprile 2012 aveva ammesso di aver gestito anni di ruberie private sui finanziamenti statali al partito.
Ora, nell’atto d’accusa del suo primo processo, Belsito è imputato di aver intascato due milioni e 401 mila euro e di aver dirottato altri fondi pubblici per pagare spese personali di Umberto Bossi (208 mila euro), dei suoi figli Riccardo (157 mila) e Renzo (145 mila) e della sindacalista padana Rosy Mauro (99 mila), vicepresidente del Senato fino al 2013.
Quel gran pezzo di storia padana, sul piano politico, si è chiuso con il sofferto passaggio del Carroccio nelle mani dell’ex ministro Roberto Maroni, oggi governatore lombardo, e dei suoi alleati, decisi a spazzare via l’era dei rimborsi-truffa.
Scongiurando così anche il pericolo che la Lega dovesse restituire ben 57 milioni di contributi elettorali ritenuti irregolari.
Belsito si era tradito tra il 28 e il 30 dicembre 2011, quando cercò di trasferire 5,7 milioni di euro a Cipro e in Tanzania, dove però la banca africana rifiutò i soldi del partito padano, segnalando un sospetto riciclaggio di tangenti.
Come spalla finanziaria, l’ex tesoriere leghista si era affidato a un consulente veneto, Stefano Bonet, poi arrestato con lui.
Bonet è il titolare di una società , chiamata Polare, che è riuscito a far accreditare come «organismo di ricerca»: una ditta privata che, grazie a una favolosa legge italiana, può certificare le innovazioni industriali e far ottenere ad altre aziende ricchi crediti d’imposta.
Secondo i magistrati, la Polare avrebbe emesso fatture false per 18 milioni di euro a favore della Siram, che con quelle triangolazioni avrebbe abbattuto le tasse da pagare in Italia.
La nuova indagine sulla Lega nasce dai documenti e archivi informatici sequestrati nel 2013 nelle sedi della Siram, della Polare e di altre ditte venete.
Il primo a parlare di presunti «rapporti illeciti» tra Lega e Siram, ma soltanto dopo l’arresto e quelle perquisizioni a sorpresa, è proprio Belsito: «Bonet e Lombardelli mi dissero che la Lega del Veneto aveva chiesto denari, da versare a una società di Cavaliere e del suo socio, Claudio Giorgio Boni, come percentuale dei guadagni della Siram. Fui io a transare l’importo finale.
Ho trattato personalmente con Boni, che mi disse che Cavaliere aveva avuto l’ok da Tosi a chiudere per un milione. Boni mi assicurò più volte che lui e Cavaliere agivano per conto del sindaco di Verona».
Belsito sostiene che nella Lega, almeno fino al 2011, sarebbero esistiti due livelli di finanziamento illecito, locale e nazionale (anzi, «federale»), come succedeva nei partiti della Prima Repubblica. Il tesoriere doveva rivolgersi ai vertici proprio per capire a chi spettassero i soldi della Siram.
«L’autorizzazione a chiudere a un milione l’ho avuta direttamente da Bossi, che mi disse che era roba dei veneti», dichiara Belsito, che aggiunge: «Ne parlai anche con Gobbo e Zaia, che non fecero alcun commento, mentre Roberto Calderoli mi disse di stare tranquillo e non fare denuncia».
Nel settembre 2013, dopo tre mesi di carcere, anche Stefano Bonet vuota il sacco e aggiunge altri particolari: «L’ex onorevole Cavaliere e il suo socio ligure, Boni, erano importanti procacciatori d’affari per la Siram. Nel 2010 pretendevano due milioni dalla mia Polare. Fu la Siram ad accollarsi anche questa loro pretesa, per non compromettere i rapporti con la politica e i propri interessi nella sanità in Veneto. Cavaliere infatti era legato al sindaco Tosi e si occupava dei finanziamenti alla Lega. Questo mi fu riferito dagli stessi Cavaliere e Boni, di fronte a dirigenti della Siram».
Fin qui sono soltanto parole di due arrestati che in teoria potrebbero anche aver tramato false manovre per screditare quei leghisti puliti che li avevano già scaricati.
I documenti sequestrati dalla Guardia di Finanza, però, confermano che Cavaliere ha effettivamente incassato mezzo milione di euro (più Iva) e il suo socio Boni altri 350 mila (sempre netti).
Nel novembre 2013, quando viene indagato e perquisito per quei bonifici, l’ex onorevole accusa i pm di aver fatto un gravissimo errore: Cavaliere e Boni giurano di aver fornito vere consulenze alla Polare, per cui quel milione lordo sarebbe semplicemente una loro regolarissima liquidazione.
Il problema è che la società di Bonet aveva appena ricevuto esattamente gli stessi soldi dalla Siram. Di qui la conclusione dei pm: la multinazionale francese ha usato la ditta di Bonet per pagare con una triangolazione, cioè senza comparire direttamente, quei due «procacciatori di appalti» legati alla politica.
Nelle sue confessioni, Bonet aggiunge che la Siram non poteva dire di no alla Lega Nord, perchè non voleva perdere due appalti colossali con la sanità veneta.
E a questo punto rivela di aver partecipato a un incontro delicatissimo nel municipio di Treviso: «Oltre a me, erano presenti due dirigenti della Siram e, per la Lega, Gianpaolo Gobbo, allora sindaco, Lombardelli e Belsito.
Lombardelli alla fine rimase solo con il sindaco e dopo l’incontro mi disse che era stata già concordata la somma di cinque milioni di euro per pagare la politica, e segnatamente Gobbo, perchè a Treviso non si muove nulla se la Lega non vuole».
Ma se gli appalti sanitari li assegnano i tecnici delle Asl, che bisogno avevano i manager di un’azienda privata di incontrare i politici di Treviso insieme ai tesorieri e faccendieri leghisti? L’unica certezza per ora è che la Siram proprio nel 2011, dopo una tornata di gare costellate di irregolarità e per questo durate tre anni, ha vinto davvero due maxi-appalti decennali per le forniture di calore agli ospedali veneti: l’Asl di Treviso si è impegnata a versarle ben 260 milioni di euro, quella di Venezia altri 241 milioni
Bonet, negli interrogatori in carcere, precisa di poter parlare solo di quell’incontro preparatorio, ma giura di non sapere se i presunti cinque milioni li abbia poi incassati veramente Gobbo, oppure Lombardelli «che voleva il suo 5 per cento» o magari altri leghisti.
Alla fine del 2011, infatti, i dirigenti italiani della Siram hanno escluso Bonet dai rapporti con i politici, spiegandogli però che al suo posto sarebbe subentrata un’altra società di consulenza. Forse è solo una coincidenza, o forse no, fatto sta che nello stesso periodo la Siram e altre grandi aziende interessate a vincere appalti (soprattutto in Veneto e in Liguria) hanno versato molti altri soldi a un nuovo «organismo di ricerca», chiamato Care, fondato proprio da Boni e Cavaliere, che nel frattempo incassavano ricchissime consulenze anche tramite le loro società Matco, Leb e Archimedia.
Consulenze molto singolari: tariffe del tre per cento che le aziende private pagano solo in caso di effettiva aggiudicazione di appalti pubblici.
Nonostante le ricadute dello scandalo Belsito e l’iscrizione tra gli indagati per l’affare Bonet-Siram, l’ex onorevole Cavaliere resta molto amico del sindaco Tosi, almeno per ora.
E conserva ottimi agganci con i vertici del suo partito, tanto da figurare ancora all’inizio del 2014 nel «collegio dei probiviri» della Lega.
Paolo Biondani
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Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
SETTIMANA DECISIVA PER I DUE EX MINISTRI: DEL PRIMO SI OCCUPERA’ IL TRIBUNALE DEI MINISTRI, PER IL SECONDO PENDE UNA RICHIESTA DI ARRESTO ALLA CAMERA
Enrico Letta annuncia querela contro il Fatto Quotidiano per l’articolo pubblicato ieri sui soldi che la società Italia Futuro Servizi, interamente controllata da VeDrò, think tank dell’ex premier, ha ricevuto dal Consorzio Nuova Venezia del “grande burattinaio” della cricca del Mose, Giovanni Mazzacurati.
Soldi che, leggendo le lettere tra i due, sono stati chiesti dalla società riconducibile a Letta di cui è tesoriere e amministratore unico Riccardo Capecchi
I rapporti tra Mazzacurati e Capecchi sono ricostruiti nelle carte dell’inchiesta sul Mose.
A Capecchi abbiamo chiesto l’elenco di quanti hanno versato soldi alla società per finanziare il “progetto VeDrò” dal 2006 al 2012 ma non abbiamo ancora avuto il materiale.
Agli atti ci sono i documenti sequestrati dalla Guardia di Finanza nell’abitazione privata di Capecchi , oggi amministratore delegato di Poste Energia.
L’inchiesta, intanto, va avanti.
Questa settimana saranno decise le sorti dei due politici più rilevanti coinvolti: Altero Matteoli e Giancarlo Galan.
Quelle del terzo, Giorgio Orsoni, si sono già concluse: ha patteggiato quattro mesi per finanziamento illeciti e abbandonato la carica di sindaco.
Dell’ex ministro, indagato per le bonifiche di Marghera, si occuperà oggi il tribunale dei ministri del Veneto.
Il presidente Monica Sarti ha convocato altri due componenti, i giudici di Venezia Priscilla Valgimigli e Alessardo Girardi, alla cittadella della giustizia per valutare come procedere con l’ex titolare delle Infrastrutture che, secondo la testimonianza di Mazzacurati, avrebbe ricevuto tangenti recapitate anche nella sua abitazione in Toscana.
Con la posizione di Matteoli sarà affrontata anche quella di Erasmo Cinque, ritenuto suo braccio destro e titolare della società Socrostamo che, secondo l’accusa, Matteoli ha imposto al Consorzio Venezia Nuova in cambio dei 600 mila euro di “condono ambientale” a Marghera e di una percentuale del 6,5% sugli appalti, indicata dai magistrati come “tangente”.
I giudici del tribunale dei ministri dovranno decidere quando sentire Matteoli, come chiedono i suoi legali.
Per l’ex presidente della Regione Veneto, Galan, è atteso per mercoledì il verdetto della giunta per le autorizzazioni a procedere.
È la seconda riunione e potrebbe essere ulteriormente aggiornata. Per Galan il gip di Venezia ha chiesto l’arresto in carcere ma è indispensabile il via libera da parte di Montecitorio.
Il fu governatore ha cercato di farsi convocare dai magistrati per spiegare la sua posizione. Ma i pm hanno preferito rimandare il confronto. Galan potrebbe presentare un memoriale
Mercoledì e venerdì, invece, sono previste le udienze al tribunale del riesame presieduto dal giudice Angelo Risi.
Tra due giorni saranno affrontate le posizioni, tra gli altri, di Stefano Boscono Bacheto, titolare della cooperavita San Martino da cui è scaturita l’intera inchiesta nel 2009, di Luciano Neri, “mazziere” dei finanziamenti illeciti da distribuire alla politica e di Federico Sutto, segretario di Mazzacurati.
Antonio Massari e Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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