Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
IL TENTATIVO DEI CINQUESTELLE DI USCIRE DALL’ISOLAMENTO IN CUI SI ERANO ATTESTATI PER INSEGUIRE UN ELETTORATO ETEROGENEO
Dal punto di vista sociale e ancor più politico.
Equamente distribuito fra sinistra, destra e antipolitici.
Anche se la polemica con Renzi e il Pd l’aveva spinto, sempre più, verso destra. Per questo, comunque, Grillo ha sempre evitato di scegliere un alleato stabile. Accettando il rischio di finire fuori gioco.
Di apparire, comunque, disinteressato ad assumersi responsabilità , a influenzare scelte e decisioni. Soprattutto, insieme ad altri soggetti politici. Così ha pagato un prezzo alto, alle elezioni europee. Ma anche alle amministrative.
Alle europee aveva “minacciato” il sorpasso ai danni del Pd di Renzi. Con il risultato di convincere molti elettori di centro, ma ancor più di sinistra, incerti se e per chi votare, a recarsi alle urne. E a raccogliersi intorno a Renzi.
Non solo, ma la stessa, aggressiva “profezia” statistica di Grillo – vinciamo noi! – ha trasformato un risultato ragguardevole, il 21%, in una sconfitta.
Mentre il 40,8% ha fatto del Pd di Renzi il primo partito in Europa. Alle amministrative, i successi conseguiti a Livorno, anzitutto, ma anche a Civitavecchia e in due altri comuni, sono significativi. Ma anche molto marginali, di fronte al successo del Pd, e del Centrosinistra.
Che hanno vinto in 167 comuni (con oltre 15 mila abitanti) su 243. Mentre prima ne amministravano 128.
Restare nell’ombra, per questo, è divenuto molto più rischioso che “prendere posizione”. Soprattutto di fronte alla prossima discussione – e decisione – in merito alla legge elettorale. Orientata, come prevede l’Italicum, verso un proporzionale con premio di maggioranza al partito o alla coalizione che ottenga più voti. Oppure vinca il ballottaggio.
Se davvero si realizzasse, per quanto riveduta e corretta, questa scelta metterebbe, davvero, fuori gioco il M5s. Protagonista del singolare sistema politico italiano. Un bipartitismo imperfetto.
Perchè oggi il Pd supera il 40%. E otterrebbe la maggioranza dei seggi in Parlamento, senza bisogno di ricorrere a ballottaggi. Perchè, la principale alternativa, il M5s, almeno fino a ieri, ha sempre, decisamente negato ogni “compromesso” con i partiti e i politici nazionali.
Si è, dunque, posto e imposto come partito anti-partiti. Da ciò il suo successo, nel passato. Ma anche il suo limite.
Perchè non è credibile come “alternativa”, vista la sua indisponibilità ad assumersi responsabilità di governo. Vista, inoltre, la sua vocazione all’isolamento e la sua allergia verso ogni alleanza. Tanto più perchè la logica maggioritaria spinge alla coalizione.
E potrebbe indurre il Centrodestra a ricomporsi. Per necessità , anche se non per affinità . Mentre oggi è diviso, frammentato e rissoso. Decomposto dall’esilio e dalla marginalità di Berlusconi. È questo il vantaggio competitivo del M5s, a livello nazionale, ma anche locale. Visto che, dove riesce a superare il primo turno, intercetta gran parte del voto di centrodestra (come ha rilevato ieri Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore .
Ma se il Centrodestra si aggregasse di nuovo, indotto, o meglio: costretto, dalla Legge elettorale, allora il quadro cambierebbe profondamente. Per il M5s.
Perchè, insieme, le liste di Centrodestra (cioè, Fi, Ncd, Fdi, Lega e Udc), alle elezioni europee, hanno superato il 31%. Cioè, 10 punti più del M5s. Mentre, se passiamo all’ambito comunale, i limiti della solitudine del M5s appaiono ancor più espliciti.
Infatti, se consideriamo i tre principali schieramenti (ipotetici), i rapporti di forza negli 8057 Comuni italiani, in base ai risultati delle recenti europee, appaiono molto evidenti.
La coalizione di Centrosinistra prevarrebbe in 5238 Comuni (65%), quella di Centrodestra in 2585 (32%), il M5s in 95 (1,2%).
Naturalmente, queste stime (realizzate in base a simulazioni a cura dell’Osservatorio Elettorale del Lapolis-Università di Urbino) sono del tutto ipotetiche.
Hanno, cioè, finalità esemplari e servono a discutere sugli scenari politici del Paese. Ma per questo sono utili. A sottolineare il “problema” del M5s.
Che ha grande capacità di attrazione, se marcia da solo. Tanto che è primo partito in 303 comuni (3.8% sul totale) e secondo in 3981 comuni (49.4%).
Tuttavia, appare svantaggiato in una competizione che preveda e, anzi, imponga le coalizioni. Dove il Centrodestra, oggi scomposto e anonimo, potrebbe riemergere e “scendere in campo” di nuovo. Anche senza Berlusconi.
Per questo Grillo e Casaleggio hanno riaperto il gioco. Cercando alleanze, in ambito (anti) europeo, dove si sono accordati con l’Ukip. Secondo la logica: meglio male accompagnati piuttosto che soli.
Mentre in Italia si sono rassegnati al confronto con il Pd e, anzitutto, con Renzi.
In parte, riprendendo il discorso avviato con la partecipazione di Grillo a “Porta a Porta”, insieme e accanto a Bruno Vespa.
Il testimonial in grado, più di ogni altro, di “sdoganarlo”, di normalizzarlo sul piano politico. Come oggi, a maggior ragione, può avvenire incontrando, in forma ufficiale, Renzi.
Con, oppure meglio, senza streaming. Per rientrare nel gioco politico, da cui si era, fino ad oggi, auto-escluso.
E, prima ancora, per promuovere una legge elettorale diversa. Non maggioritaria. Che non favorisca le coalizioni. E non rievochi il Centrodestra, come avverrebbe con l’Italicum – e i suoi derivati.
Negoziato da Renzi, non a caso, con Berlusconi e con gli alleati di centrodestra della maggioranza.
Grillo e Casaleggio, per restituire un ruolo e un peso al M5s, rivendicano una legge elettorale di impronta “proporzionale”.
Com’è, in fondo, quella attuale, dopo la sentenza della Consulta. Per non rischiare l’espulsione dal gioco politico. Isolati, in Europa, insieme a Farage. In Italia, soli contro tutti.
Dunque, semplicemente soli.
Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica”)
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Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
L’APERTURA AL PD E’ MATURATA NELLA RIUNIONE CON I CAPIGRUPPO DEL 5 GIUGNO ED E’ STATA TESTATA IN UN INCONTRO CON ORLANDO
«Abbiamo detto per mesi “o noi, o loro”. E ora che abbiamo perso, passeremo i prossimi quattro anni a dire ancora “o noi, o loro”?».
La svolta più clamorosa del Movimento matura così, dietro il doloroso interrogativo che dal 26 maggio scorso turba i sogni di Gianroberto Casaleggio.
Più che un dilemma filosofico, un problema di sopravvivenza politica.
La scintilla non scocca subito, però. Di fronte alla batosta elettorale, la prima reazione è scomposta, sgangherata. Il Maalox, l’accusa di brogli, le lunghe vacanze di Beppe. Tutto, invece, inizia a cambiare il 5 giugno scorso, nei saloni della Casaleggio associati.
Il guru ha di fronte i capigruppo di Camera e Senato. Sono preoccupati: «Gianroberto, la situazione è esplosiva. I parlamentari sono in rivolta, cercano un capro espiatorio. Bisogna fare qualcosa ».
È lì che il grillismo incomincia a cambiare pelle. Casaleggio sente Grillo, al comico interessa soprattutto mettere fine alla bulimia da talk show: «Ci danneggia».
Il resto della strategia è affidato all’approccio aziendale del cofondatore. E i tempi, dettati dalla disperazione, sono fulminei: «Sono imprenditore, so fare solo così».
I sondaggi del quartier generale vanno solo in una direzione, occorre mostrarsi disponibili al confronto.
Il terreno è quello della legge elettorale, anche se l’obiettivo è allargare il ragionamento all’intero dossier delle riforme. Non che la Casaleggio associati consideri davvero possibile accordarsi con il Pd. Anzi, l’obiettivo è quello di complicare la navigazione del governo.
Niente parolacce, comunque, nè blitz sui tetti o corride in Aula: questa diventa la linea. C’è da costruire il volto rassicurante del grillismo. «Facciamo politica», sintetizza il capogruppo Buccarella.
A Roma, però, la tensione fatica a stare negli argini.
I deputati litigano fino a tarda notte, in una riunione decisiva anche i due leader finiscono sul banco degli imputati.
Cambia pure lo staff della comunicazione. I capigruppo, allarmati, tornano a Milano. Recapitano bozze di ragionamento dell’ala moderata. Il guru prende nota, infine ordina la svolta.
La scelta, in perfetto stile manageriale, è quella di testare la novità . Un po’ in sordina, allora, i capigruppo del Movimento varcano la scorsa settimana il portone del ministero della Giustizia per incontrare Andrea Orlando.
Qualche ora e, venerdì scorso, il post sulla legge elettorale è ultimato. Resta fermo due giorni.
Si attende l’attimo giusto, arriva quando i grillini ritengono imminente l’incontro tra Renzi e Berlusconi.
Restano da valutare gli effetti sulla stabilità della galassia grillina.
I falchi, all’angolo, lamentano di non aver preso parte al momento decisionale. Neanche una mail, stavolta, annuncia la richiesta di incontro al premier. I dissidenti, per altre ragioni, sono perplessi: «Quando altri chiedevano a gran voce quanto ora sta accadendo — ragiona Walter Rizzetto — venivano additati come dissidenti e traditori. Non ero a conoscenza di queste nuove dinamiche, prendo atto che non ne abbiamo discusso assieme».
Chi sostiene invece il percorso è Danilo Toninelli, mente della legge elettorale grillina: «È un sistema innovativo, capace di garantire la governabilità e utile a contrastare efficacemente il voto di scambio».
Quanto alla rapida virata, spiega: «Abbiamo perso, ne prendiamo atto e Renzi diventa l’interlocutore».
Concetti indigeribili fino a qualche settimana fa, come rileva ironico il deputato Cristian Iannuzzi: «Svegliarsi la mattina e scoprire che è cambiata la linea politica del M5S non ha prezzo».
E la base? Sul blog del Fondatore si respira un clima euforico. Pochi i commenti contrari, tanti invece i post di giubilo.
L’ultima parola spetta però a Luis Orellana, epurato dal Movimento: «Dopo l’espulsione, gli insulti, le minacce di morte, ecco la conferma di essere ed essere stato sempre nel giusto».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
NEL 70% DELLE FAMIGLIE CON FIGLIO LA TASI E’ PIU’ CARA DELLA VECCHIA IMU… AGGRAVI PIU’ FREQUENTI SE LA RENDITA E’ BASSA
Giorno del salasso per la Tasi che nel 71,1 per cento delle famiglie con un figlio, secondo un rapportodella Uil servizio politiche territoriali, costerà più dell’Imu del 2012.
Ma non solo: quello che si profila come un «lunedì nero» prevede anche il pagamento di una serie di saldi e tasse sulle imprese che raggiungeranno, secondo la Cgia di Mestre, i 54,5 miliardi
L’attesa maggiore per circa 5,5 milioni di contribuenti in 2.265 Comuni è comunque per l’ultimo giorno utile per pagare la Tasi sulla prima casa e già i primi conteggi emanano il profumo della stangata.
Secondo lo studio della Uil servizio politiche territoriali che ha preso in esame 180 famiglie- tipo, con abitazioni in A/2 e A/3, le più diffuse, in 45 Comuni che hanno già pubblicato l’aliquota, la Tasi per più della metà delle famiglie (52,8 per cento) costerà più dell’Imu del 2012 (ultimo anno in cui si pagò interamente la tassa).
Infatti da un confronto tra i bollettini del 2012 e quelli pronti per il pagamento di oggi risulta che nella categoria A/2 nel 49 per cento delle famiglie con un figlio nei Comuni presi in considerazione il costo della Tasi sarà superiore a quello sostenuto per l’Imu.
Nella categoria A/3 le cose vanno anche peggio: in questo caso nel 71,1 per cento delle famiglie con un figlio, collocate nei Comuni-campione, ci sarà un appesantimento dei costi del fatidico bollettino.
Se si guarda alla categoria A/2 e si prendono in considerazione le famiglie con un figlio si scopre che sono particolarmente penalizzati Comuni come Mantova (dove si pagheranno 174 euro in più), Lucca (136 euro in più), Siracusa (98 euro in più), Venezia (80 euro in più), Vibo Valentia (61 euro in più).
A fare la differenza naturalmente sono le detrazioni per i figli che con l’Imu erano in misura fissa e con la Tasi sono a discrezione dei Municipi.
Senza contare che molti Comuni oltre a toccare il tetto massimo dell’aliquota al 2,5 per mille hanno aggiunto la cosiddetta addizionale mobile dello 0,8 per mille, indispensabile se si vogliono trovare risorse per le detrazioni. In alcuni casi un vero e proprio circolo vizioso: l’addizionale consente le detrazioni ma rende il carico della tassa più pesante
Se si guarda ad alcune grandi città , rilevate dallo studio Uil servizio politiche territoriali, emerge inoltre che in termini assoluti l’esborso per una abitazione A/2 arriverà fino a superare i 400 euro mangiando buona parte del bonus- Renzi che per gli otto mesi dell’anno raggiungerà i famosi 640 euro.
Sarà cosi ad esempio, ad Ancona, Parma, Torino, Piacenza, Cremona, Rimini e Reggio Emilia.
Tornando all’«ingorgo» che è previsto per la giornata di oggi, secondo la stima effettuata dalla Cgia, l’imposta più onerosa sarà l’Ires, ovvero l’imposta sui redditi pagata dalle società di capitali: il gettito dovrebbe aggirarsi attorno ai 14,7 miliardi di euro.
Di tutto rispetto anche l’importo che dovrebbe arrivare dal pagamento dell’Imu e della Tasi: 10,8 miliardi di euro.
Sul terzo gradino del podio le ritenute Irpef: l’importo dovrebbe aggirarsi sui 9,7 miliardi.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)
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Giugno 16th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX NUMERO UNO DELLA MANTOVANI RACCONTA IL SISTEMA DI APPALTI E TANGENTI
«L’accordo con i politici era: io non metto il naso su come spendi i soldi che ti do, ma tu ne rendi una parte a me. Non è solo una questione di mazzette. Quelle sono di un importo ridicolo rispetto all’esborso per tutto il resto: consulenze, libri, incarichi, sponsorizzazioni… Una pioggia di soldi».
Così Piergiorgio Baita, ex numero uno della Mantovani, travolto dall’inchiesta sul Mose, racconta il sistema di appalti e tangenti attorno al Consorzio Venezia Nuova.
«Ti xè sta’ mona», gli ha detto, sospirando, la moglie. «Son sta’ mona», si ripete lui tutti i giorni, affondando per ore la vanga nella terra dell’orto dietro la casa di Mogliano.
Come Cincinnato, Piergiorgio Baita, l’uomo forte della «Mantovani» travolto dall’inchiesta sul Mose, si è ritirato a lavorare il suo campo.
Dalle commesse milionarie sulle paratie mobili e altri lavori pubblici a venti «commesse» di insalata, cetrioli, zucchine, melanzane e vari tipi di pomodori, compreso il «cuore di bue» che mette alla prova gli ortolani più esperti.
Sa che lui, però, non ha alcuna possibilità che qualcuno venga a chiedergli di ritornare al potere, come accadde al leggendario Lucio Quinzio.
Più facile che tornino a bussare alla sua porta i magistrati che indagano sui grandi appalti veneti e non solo. Anche se lui, chiusa la partita sui reati fiscali con un patteggiamento, giura di aver già detto tutto.
Su Giancarlo Galan, sulla sua ex segretaria Claudia Minutillo «che più che una segretaria sembrava la vicepresidentessa», su Renato Chisso, sul giro di bustarelle e prebende, su Giovanni Mazzacurati, il collega e amico d’una vita al quale rinfaccia, vero o no che sia, di averlo trascinato dentro quel sistema di corruzione diffusa di cui «la mazzetta è soltanto l’espressione più visibile».
Cosa vuol dire? Che fin dall’inizio, quando la «Mantovani» entrò nel Consorzio, fu reso edotto di come stavano le cose: «Mi hanno preso da parte come fa la mamma con la figlia il giorno delle nozze, quando le spiega cosa deve aspettarsi».
Beata ingenuità …
«L’accordo col vertice politico era: io non metto il naso su come spendi i soldi ma quando ti do i soldi tu ne rendi una parte a me. Questo mi spiegò la mamma. Non è solo una questione di mazzette. Quelle sono di un importo ridicolo…».
Ridicolo?
«Sì, ridicolo rispetto all’esborso per tutto il resto. Consulenze, libri, pubblicazioni, incarichi, sponsorizzazioni… Una pioggia di soldi».
A tutti.
«Tutti… O almeno quasi tutti».
Altro che il clientelismo meridionale!
«Ha presente la Sicilia negli anni d’oro? Uguale».
Un esempio?
«Ho letto un interrogatorio dove Mazzacurati spiega che il magistrato alle acque non era in grado di assumere 30 o 40 persone, “allora gliele assumevamo noi”».
Per non dire delle campagne elettorali
«Le campagne elettorali! Potrei dire che io cercavo di ribellarmi ma ormai è andata. Persa la verginità non è che me la posso rifare. Per questo non posso fare la parte del grande accusatore. Sarebbe assurdo».
Giura che, all’inizio, non aveva davvero capito. Per quanto lui stesso, nella stagione di Mani pulite, avesse avuto grane giudiziarie da cui era uscito assolto: «La Mantovani fino ad allora aveva lavorato “per” l’Impregilo. Quando l’Impregilo disse: noi ce ne andiamo e chiudiamo baracca, Chiarotto, il padrone della Mantovani, disse: ok, compriamo noi. E tirò fuori 78 milioni di euro. L’unico che abbia tirato fuori soldi».
Quindi?
«Quando tutto ci fu chiaro, cosa dovevamo fare: sbattere la porta accusando Impregilo d’averci dato un “prodotto difettato”?».
Certo, sarebbe stato sempre meglio che pagare il pedaggio…
«Noi non pagavamo niente. Pagava il Consorzio, cioè lo Stato».
Il magistrato gli ha appena dato una bacchettata sulle dita: non parli dei dettagli dell’inchiesta. Sul sistema corruttivo e sull’alone di ipocrisie che lo circondano, però, Piergiorgio Baita spiega che ne avrebbe da dire tante ma tante «che a sentir certi discorsi, ad esempio quelli di Mauro Fabris, il nuovo presidente che con il Consorzio aveva una “consulenza strategica” e oggi pensa di liquidare ogni problema come si trattasse solo di una marachella fatta da un paio di mariuoli», si deve «mordere la lingua».
A convincerli a puntare sul Consorzio, spiega, fu il modo in cui «era uscito senza una scottatura dal falò di Mani pulite. Pareva che l’allora presidente Luigi Zanda, oggi capogruppo del Pd al Senato, fosse riuscito a camminare sui carboni ardenti della politica in fiamme passando la prova pulito come un angioletto mentre tutti i soci erano rimasti bruciati in altri cantieri e altri appalti. Il Consorzio pareva al di sopra di tutto. Palazzo bellissimo. Quattro motoscafi e dodici motoscafisti (dodici!) sempre a disposizione… Soldi e soldi a volontà ».
Ovvio: sei miliardi…
«No, quelli comprendono anche i lavori, le sperimentazioni, gli studi…Certo, il Consorzio si prendeva una quota del 12 percento».
Altissima.
«No: esagerata. Che si spiega col fatto che nei primi anni lo sforzo organizzativo del Consorzio era sproporzionato rispetto alla effettiva produttività dei cantieri. Poco lavoro, tanto studio. Il 12% era riferito ad importi modesti. Poi, quando il fatturato è salito coi cantieri a 600 milioni di euro l’anno, si è ritrovato ad averne 72. Uno sproposito, rispetto a compiti che coi cantieri aperti erano ridottissimi. Cosa vuoi sperimentare ancora? E se poi la sperimentazione dice che non va bene cosa fai: butti via tutto e ricominci?».
È uno dei temi: gente così priva di scrupoli magari ha tirato un bidone anche sul Mose vero e proprio…
«No. È il meglio della tecnologia esistente. Il meglio del meglio rispetto a quanto richiesto. Qual è semmai, il problema? Non è previsto nulla sul “dopo”. Quando sarà finito».
Ma perchè mai dopo quello che è successo i cittadini italiani dovrebbero fidarsi a lasciar finire i lavori al Consorzio? Meglio cambiare idraulico, magari prendendolo sul mercato internazionale così capiremmo anche se i lavori sono stati fatti bene o no…
«Non servirebbe a niente. È colpa nostra, sia chiaro, se ci siamo messi nelle condizioni di sputtanare non solo i nostri rapporti con la politica ma anche i lavori fatti. Posso giurare però che i cantieri sono un’altra cosa. Sono eccellenti. Non è cambiando le imprese che si risolve il problema. Va cambiato il contratto. Vale anche per l’Expo. Tutte queste chiacchiere sulle procedure… No, deve essere cambiato il lavoro non sono finito. Ti pago solo se finisci l’opera e funziona come dico io. Se l’opera non è finita vale zero».
Come il Mose.
«Sì, in questo momento vale zero. Zero. Allora finisci il lavoro, mi fai vedere se funziona e se è in grado di svolgere le funzioni che ti ho chiesto e poi ti pago. Così ritorni a fare anche l’imprenditore, perchè un imprenditore che non rischia in proprio non è un imprenditore. Io faccio l’orto. So che se viene giù una grandinata perdo i miei pomodori, la mia insalata, le mie zucchine. Chi lavora per lo Stato sa che se vien giù la grandinata paga lo Stato. Non può andare avanti così. Cosa siamo stati, tutti noi, in questi anni? Dei diffusori di spese. Che non dovevano rendere conto a nessuno, praticamente, sui risultati. Ma è finita. Finita. Devono tornar fuori gli imprenditori, quelli che investano il loro».
E non nominategli l’intemerata di Giorgio Squinzi contro gli imprenditori che pagano.
«Chi non paga, spesso, fallisce. E tutti a stracciarsi le vesti… Bisogna finirci in mezzo, per capire.C’erano i mutui in banca, i 78 milioni da recuperare, i fornitori da pagare… Per carità , non ci sono scusanti, voglio solo dire che la faccenda era sul serio complessa».
Giura, però, che se tornasse indietro…
«Ho sbagliato. Abbiamo sbagliato. Dovevamo ribellarci. Dire di no. Dicevamo a noi stessi: è per la continuità dei cantieri. Pigrizia. Inerzia intellettuale».
E una certa dose di immoralità , magari…
«Sì, certo. Ma parliamoci chiaro: perchè un imprenditore sia morale occorre rendere conveniente la moralità . La moralità nasce dall’efficienza della spesa».
Quindi quanto sente Giorgio Squinzi fare certi discorsi…
«I costruttori sono imprenditori borderline, ma anche quelli di altri settori, se dovessero vendere i loro prodotti alla politica…»
Possibile che per anni, dentro il Consorzio, nessuno si sia accorto che era un «puttanaio»?
«Sì. Tanti. Ma poi nessuno ha fatto un passo in più. “Vado in Procura” non l’ha detto nessuno. Felice Casson ha indagato sei anni. Senza venire a capo di niente. In fondo il sistema andava bene a tutti».
Tornasse indietro ci andrebbe, in Procura?
«Interverrei prima. Per rompere questo sistema avvolgente. Dove la politica, al di là delle bustarelle, interviene in modo asfissiante. Imponendo i suoi “tecnici di area”, i suoi avvocati, i suoi consulenti, costringendo ad assumere elettori e clienti, agevolando imprese amiche…».
L’ultimo pensiero è per Giovanni Mazzacurati: «Hanno pesato tante cose. L’accumularsi di richieste delle famiglie. La moglie e l’ex moglie, che sono sorelle. A un certo punto non gli bastava più accontentare l’una o l’altra ma doveva accontentare esattamente allo stesso modo i figli e i nipoti. Prendeva una casa a una figlia e doveva prenderne una alla pari anche a quell’altra. L’avvicinarsi della fine del Mose aveva messo addosso alle famiglie l’ansia che finissero le provvigioni. A un certo punto non sapeva più dove andare a sbattere la testa. Quando è arrivata la malattia del figlio, Carlo, il regista, gli ha dato il colpo di grazia…».
Certo che questa ingordigia tutto intorno che emerge dall’inchiesta…
«Non è solo l’ingordigia. È l’ingordigia in anni in cui c’è gente che ha fame. C’era, prima, un equilibrio perverso che in qualche modo reggeva. Ma se tu mangi caviale mentre intorno hanno fame… Beh, non c’è merito tecnico che ti giustifichi certi privilegi. È lì che si è rotto tutto…
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera“)
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