Giugno 1st, 2014 Riccardo Fucile
PUBBLICHIAMO IL TESTO INTEGRALE DELL’ANALISI DEL VOTO PREDISPOSTO DALLO STAFF COMUNICAZIONE PER I PARLAMENTARI… DOVEVA RIMANERE SEGRETO
Pubblichiamo il testo con errori compresi (che non sono i nostri)
Analisi del voto
1.Intro
Il MoVimento non è crollato, ma Renzi ha stravinto, con percentuali senza precedenti nella storia della Repubblica se di escludono i risultato elettorale della Dc del dopoguerra, ai tempi della legge truffa. A comporre questo risultato concorrono fattori esogeni ed endogeni. Per comodità di esposizione partiamo dai primi
2. Fuori
MERCARTI FINANZIARI
Una spia sempre importante da tenere sott’occhio sono i mercati finanziari. Con la preannunciata avanzata del MoVimento 5 Stelle nei sondaggi, è scattata la fuga dai mercati e l’innalzamento dello spread. Oggi, i ben informati, parlano di speculazione. Banchieri e finanzieri, si dice, avessero in mano sondaggi ben più accurati e hanno agito speculando sui mercati. Non a caso, dopo il voto, i mercati hanno rimbalzato e lo spread è calato.
CANCELLERIE EUROPEE
Altri ben informati parlano del “terrore” dell’entrata dei cinque stelle nelle istituzioni europee. La pressione sarebbe stata esercitata dai leader europei nei confronti di Renzi.
COMUNICAZIONE
L’elemento che più salta agli occhi è la voluta polarizzazione emotiva dell’elettorato. Non “speranza vs paura” come spiegato da Renzi ma, in realtà , “serenità vs ansia”. I risultati in altri paesi europei (esclusa la Germania) ci dicono che è stato premiato il “nuovo”. In Italia il concetto di “nuovo” ha preso due diramazioni:
1) Nuovo-rassicurante
2) Nuovo-non rassicurante
1) Gli italiani in questa fase difficile hanno dimostrato di aver bisogno di affidarsi a un uomo forte (fattore che ciclicamente torna nella storia, da Mussolini a Berlusconi) e hanno bisogno di serenità .
Renzi ha saputo trasmettere serenità costruttiva, mentre noi abbiamo trasmesso energia sì, ma ansiosa e fatta percepire dai media e dagli altri competitor come distruttiva.
Renzi è stato capace di lasciare il segno con un messaggio di novità , grazie al suo linguaggio e ai suoi toni.
Renzi (volutamente) è apparso diverso dal suo stesso partito, un partito che non trascina, che non ha mai toccato le emozioni del Paese. E Renzi lo sapeva pure.
Noi abbiamo cercato di sovrapporre l’immagine del premier a quella del suo partito (il messaggio del “burocrate”), lui ha sempre giocato a disallinearsi, a discostarsi dal suo partito.
Ciò ha permesso a Renzi di non subire le dirette conseguenze degli scandali giudiziari (vd Expo), la gente ha pensato: “Ok, il Pd fa schifo, ma Renzi è un’altra cosa e sta cambiando pure il suo partito”.
Anche la scelta dei frontmen (meglio women) da dare in pasto alle tv e da mettere a capo della campagna elettorale è andata in questo stesso senso.
Le cinque donne capolista sono state tutte elette e con moltissime preferenze. In particolare Bonafè, Moretti e Picienro sono state mandate ovunque con un copione semplice, lineare ed efficace con un aspetto fresco e giovane. Hanno venduto qualcosa di (apparentemente) concreto, parlando sempre al presente (“Faccio”, “Approvo”, etc).
2) Il punto sarà analizzato nel capitolo “Dentro”.
SONDAGGI DOPATI, CHIAMATA ALLE ARMI E MANOVRA A TENAGLIA
A lungo ha serpeggiato il sospetto che certi sondaggi (l’ultimo a nostra conoscenza risalente a giovedì 22 maggio ci dava testa a testa al 29 per cento) siano stati fatti girare ad arte. Il timore di un imposizione del 5 stelle avrebbe spinto anche gli elettori più pigri e recalcitranti a presentarsi al seggio per frenare l’avanzata. E in parte è vero.
I sondaggi non sono, però, dopati, semplicemente la metodologia utilizzata per la loro stesura non tiene conto di chi, infine, va a votare.
I campioni presi in considerazione sono rappresentativi dell’universo di riferimento (popolazione italiana attiva), ma se la fascia giovane domenica è andata a mare è venuta meno la fetta più influente dell’elettorato a cinque stelle.
L’effetto della “chiamata alle armi” però c’è stato. pur di frenare l’avanzata a cinque stelle, gli apparati dei partiti hanno fatto ricorso a tutte le vecchie metodologie di raccolta del consenso.
Chiamate telefoniche, porta a porta, organizzazione di gruppi che portassero gli anziani a votare. La vecchia macchina del consenso. Il risultato si è avuto. Ma non è tutto, c’è stato qualcos’altro che ha, infine, portato al risultato delle urne. I partiti hanno effettuato una sorta di manovra a tenaglia. Renzi da una parte, ma soprattutto, Berlusconi dall’altra.
Il leader di Fi, infatti, a più di dieci giorni dal voto non ha più chiesto di votare Forza Italia, ma di votare contro il M5S.
A B. non mancano certo tecniche della comunicazione e per questo, da mattina a sera, in tutti gli spazi mediatici possibili ha affondato la sua campagna anti-Grillo: “Grillo l’assassino, Grillo il pericoloso sovversivo, 5 Stelle comunisti e/o fascisti”.
E’ successo non solo grazie all’informazione di base (quotidiani, telegiornali, talk politici), ma soprattutto per mezzo della tv del dolore con i contenitori del pomeriggio e quelli della mattina dove non c’è la politica ma passano dei messaggi incredibilmente penetranti.
In conclusione si può sintetizzare che il voto del 25 maggio non è stato tanto pro-Renzi o pro-Pd, nonostante le percentuali bulgare, quanto contro il MoVimento 5 Stelle e lo spettro della “paura” rappresentata da Renzi.
La chiamata alle armi contro la forza del male (riproduzione del modello anti berlusconiano) è riuscita tanto è vero che a “sinistra”, invece di esultare per un risultato mai ottenuto, hanno invece tirato un sospiro di sollievo (la Repubblica è salva) o inveito contro il grillino sconfitto.
3. Dentro
“E’ come se, a un certo punto, ci avessero mollato”. È questa la riflessione che più passa fra i parlamentari.
E se ne è cominciata ad avere la percezione a circa due settimane dal voto. Non è peregrino notare come sia coinciso con il tour di Beppe nelle piazze che, all’inizio è stato percepito positivamente dai parlamentari ma che, a un certo punto, secondo le stesse valutazioni dei parlamentari ha finito per danneggiare e nuocere.
NON SIAMO DA GOVERNO
Ciò che i parlamentari hanno percepito è stato l’atteggiamento di sfiducia nei loro confronti. Seppur elogiati per il loro impegno, i parlamentari del M5S non sono ancora percepito come affidabili.
Si ritengono poco concreti (la battaglia sul 138 l’hanno capita ben poche persone). Mancano di umiltà e a volte sono percepiti come saccenti.
L’EFFETTO PERVERSO DEL #VINCIAMONOI
Paradossale è poi stata la scelta del #vinciamonoi. Ci si è creduto così tanto da aver spinto gli altri partiti a crederci e quindi a reagire con la chiamata alle armi.
Generalmente le elezioni europee non hanno avuto un’importanza primaria. Sostenendo che si trattasse di un voto politico, sono stati tutti spinti a dare il massimo.
Inoltre, una vittoria percepita come sicura potrebbe aver demotivato qualcuno dei nostri che non è andato a votare: “A che serve fare 200km di treno per andare alle urne? Tanto vinciamonoi…”, potrebbero aver pensato, ad esempio, molti giovani fuori sede.
PREFERENZE E CANDIDATI
Altri elementi critici riguardano il non-lavoro sulle preferenze.
I candidati di altri partiti hanno agito coi metodi della vecchia politica raccogliendo consensi personali anche col porta a porta.
I nostri candidati erano sconosciuti e non averli esposti mediaticamente ha fatto sì di creare un’onta di incertezza (quando non di sospetto) su di loro.
4. Possibili soluzioni
USCIRE FUORI
Nel senso più ampio del concetto. Organizzare stati generali tematici, entrare nelle università , nei luoghi di lavoro e lasciar perdere le agorà . Andare a presentare denunce e proposte direttamente ai destinatari. Aprirsi, prendersi le piazze mediatiche degli altri.
RAFFORZARE PARADIGMA DENUNCIA-PROPOSTA
Per far percepire l’affidabilità e il costruttivismo del gruppo, non si possono fare solo denunce senza essere affiancate da proposte e soluzioni. Se non si ha una soluzione a un problema non lo si può denunciare.
CREARE UN PROGETTO
Dovrebbero essere assunti concetti primari per il Paese (lavoro, politica energetica,…) e sviluppati in gruppi di lavoro inter-commissioni. Applicando una metodologia di lavoro, avvalendosi di esperti, alla fine del percorse di giunge a una soluzione per il problema scelto.
INVESTIRE SUL LAVORO PARLAMENTARE
Bisogna rafforzare quantitativamente e qualitativamente l’attività legislativa. Assumere consulenti preparati, i migliori esperti, rafforzare il reparto. Lo stesso vale per la comunicazione. Il gruppo parlamentare alla Camera non ha speso circa 1 milione e 700 mila euro del budget destinato per il primo anno. Sarebbe il caso di impegnarlo proficuamente.
ASSEMBLEE TEMATICHE IN STREAMING
I parlamentari devono tornare a confrontarsi sui temi pratici e concreti. E farlo in streaming, in modo da interessare quelle fette di popolazione destinatarie del lavoro Parlamentare o dell’attività di Governo
DEFINIRE MEGLIO IL TARGET DA PUNTARE
Se si decide di voler raggiungere il 51 per cento allora bisogna adeguare il messaggio. Se si decide di puntare ad alcune fasce di popolazione, bisogna far ricorso a strumenti appropriati (tv in prima istanza) e declinare il messaggio.
SELEZIONARE INPUT
Abbiamo spesso dato un numero eccessivo di input, soffrendo la mancanza di coordinamento fra i vari “produttori di notizie” ovvero la comunicazione della Camera, la comunicazione del Senato, il blog di Beppe Grillo.
Paghiamo il fatto che troppo spesso i compartimenti restano isolati l’uno dall’altro. Al netto dei temi di stretta attualità abbiamo messo troppa carne al fuoco tutta insieme. Poteva essere utile mettere in calendario la potenza da fuoco tema su tema, unendo le forze.
mader
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Giugno 1st, 2014 Riccardo Fucile
DA RODOTA’ E BERLINGUER A FARAGE SENZA CONSULTARE I CITTADINI, SE NON A COSE FATTE: ECCO A VOI LA DEMOCRAZIA DIRETTA (DA QUALCUNO)
Prima Rodotà , poi Berlinguer, ora Nigel Farage.
Il passo è breve, almeno per Beppe Grillo che accosta tutto e l’inccontrario di tutto.
Curiosamente, questa volta i «cittadini» non sono stati consultati: nessuno ha dato il mandato al «megafono» dei 5 Stelle di avvicinare il leader indipendentista.
Ma cosa si nasconde dietro la retorica no-euro di Farage?
Quali sono i temi su cui l’Ukip si contraddistingue nelle campagne elettorali?
E possono essere conciliati in qualche modo con Rodotà e Berlinguer? Sicuramente no: il primo, ad esempio, è sempre stato attento tanto ai diritti dei migranti quanto a quelli della comunità gay, lesbica e trans; il secondo, comunista, malgrado le ostilità di alcuni settori del PCI, si dimostrò particolarmente vicino e sensibile alle battaglie femministe. Posizioni che rappresentano l’opposto rispetto a quelle degli indipendentisti, fortemente liberisti in campo economico, nuclearisti convinti (per Farage, i cambiamenti climatici sono un’invenzione) e sostenitori delle privatizzazioni (anche di quei “beni comuni” tanto cari ai 5 Stelle).
Per quanto riguarda l’accusa di xenofobia, basterebbe leggersi il manifesto dell’Ukip del 2013 per farsi un’idea — seppur minima — delle loro idee: «I nostri valori tradizionali sono stati seppelliti. Ai bambini viene insegnato a vergognarsi del nostro passato. Il multiculturalismo ha diviso la nostra società . Il politically correct sta soffocando la libertà di parola».
Il programma del 2012 prevedeva l’abrogazione dello Human Rights Act (la Convenzione Europea per i diritti umani) «per porre fine alla spavalderia dei criminali pregiudicati e degli immigranti illegali».
Due settimane fa, Farage è stato accusato di razzismo per aver affermato che lui non vorrebbe un vicino di casa rumeno.
Una retorica anti-immigrati che ha colpito non solo contro i cittadini extracomunitari, ma anche contro quelli appartenenti all’UE.
«La campagn elettorale dell’Ukip va chiamata con il suo nome: razzista», ha dichiarato la labourista Barbara Roche: «usa le stesse pratiche e le stesse retoriche dei partiti apertamente razzisti ma invece che indirizzarle contro immigrati dall’Asia o dall’Africa, le indirizza verso gli europei».
Accuse provenienti anche dall’insospettabile Alan Sked, che dell’Ukip è il fondatore: «Lascio il partito. Sotto la guida di Farage è diventato troppo razzista».
Ma sono anche altri i temi che dovrebbero imbarazzare i pentastellati nel rapporto con gli indipendentisti: i diritti e la dignità delle donne e di omosessuali, lesbiche e transessuali. Tanto sulle prime quanto sui secondi vi è un vasto archivio di dichiarazioni da parte dei dirigenti dell’Ukip, Farage compreso, che spesso sfociano in vere e proprie forme di sessismo e omofobia.
A proposito della parità di stipendi tra uomo e donna, il leader indipendentista è stato chiaro: «Le madri lavoratrici che prendono il permesso di maternità valgono meno degli uomini».
E se vogliono avere successo ed essere brave quanto questi ultimi, devono «essere pronte a sacrificare la famiglia».
Una semplice caduta di stile? Macchè.
A ribadire il concetto ci ha pensato Godfrey Bloom, europarlamentare dell’Ukip, che in un suo intervento ha affermato che «nessun datore di lavoro con il cervello al posto giusto dovrebbe assumere una donna giovane, single e libera».
Farage ne ha preso le distanze? No: «È dimostrato che il suo commento è giusto». Successivamente, Bloom ha lasciato il partito — colpevole di non averlo difeso – dopo aver aggredito in strada un giornalista e averne minacciato un secondo e dopo aver dichiarato, in una conferenza dell’Ukip, che «questo posto è pieno di puttane» che «si dimenticano di pulire dietro il frigorifero».
Anche in questo caso, le accuse di misoginia nei confronti di Farage non provengono solamente dai suoi avversari, ma anche da membri interni.
È il caso di Marta Andreasen — unica europarlamentare dell’Ukip nella scorsa legislatura – che ha lasciato il partito muovendo pesanti critiche nei confronti del leader: «È uno stalinista. La sua visione prevede le donne in cucina o in camera da letto».
Toni che si alzano ulteriormente quando ad essere affrontato è il tema omosessualità .
Per David Silvester, consigliere dell’Ukip, l’approvazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso sarà causa di alluvioni e inondazioni.
Almeno in questo caso, il partito ha deciso di prenderne le distanze.
Ancor più pesanti sono state le dichiarazioni di Julia Gasper: «Tra omosessualità e pedofilia ci sono tali legami che non basta un’enciclopedia» e «alcuni gay preferiscono il sesso con gli animali».
Douglas Denny, candidato indipendentista, ha bollato gli omosessuali come «anormali» e «sodomiti». Un altro ancora (Paul Forrest) ha affermato che i gay abusano dei bambini dieci volte in più delle «persone normali».
Il Fatto Quotidiano ha riportato un’apertura dell’Ukip sui matrimoni tra persone dello stesso sesso. Così non è.
Due mesi fa, infatti, proprio Farage ha smentito delle frasi di apertura a lui attribuite, ponendo due obiezioni al riconoscimento di tale diritto
Una violenza, quella di diversi esponenti dell’Ukip, che non risparmia nemmeno i bambini disabili: «Dovrebbero essere tutti abortiti», ha vomitato il candidato Geoffrey Clark. Fortunatamente, per lui, è scattata la sospensione.
Il detto «dimmi con chi vai e ti dirò chi sei» è sempre valido…
(da “L’Espresso”)
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Giugno 1st, 2014 Riccardo Fucile
L’EX VICE DI RENZI, CRESCIUTO ALL’OMBRA DEL PREMIER, TRA DEVOZIONE E AFFARI DELLA MOGLIE
Il G8, i fondi per il polo museale, il rilancio dell’aeroporto: il Comune di Firenze si aspetta molto dal governo, ora che è guidato da Matteo Renzi e che il suo ex vice sindaco nonchè fedelissimo amico, Dario Nardella, è diventato primo cittadino del capoluogo toscano.
I due ieri si sono incontrati a Palazzo Chigi per parlare “delle questioni aperte tra la città e il governo e dei progetti che riguardano il futuro della nostra città ”, ha scritto Nardella su facebook ancor prima di lasciare gli uffici della Presidenza del Consiglio.
Tra i due c’è un legame profondo. Se Marco Carrai è il Gianni Letta di Renzi, Nardella ricorda l’entusiasta e fedele Sandro Bondi.
Lunedì sera, per dire, festeggiando la conquista di Palazzo Vecchio, commosso ha annunciato: “Spero di vedere presto Matteo”.
Nato a Torre del Greco, nel 1975, Nardella nel 2004 viene eletto consigliere comunale a Firenze nelle file dei Ds e qui conosce Marco Carrai, già intimo di Renzi.
Tra i due nasce un’amicizia e sboccia un’associazione.
Nel 2005 danno vita a Eunomia, che ancora oggi organizza master per la formazione politica per amministratori: 2.500 euro per partecipare a una serie di incontri con relatori che vanno da Denis Verdini a Massimo D’Alema, da Lorenzo Bini Smaghi a Giulio Napolitano (figlio di Giorgio) .
Una associazione che fa da bacino di consensi e che, negli anni, unirà molti degli amici renziani di oggi. Patrocinata da Comune e Provincia di Firenze, finanziata, tra gli altri, da Eni, Coop e Ente Cassa di Risparmio di Firenze, dove Carrai è consigliere.
Di Eunomia Nardella è tuttora direttore, presidente è Enzo Cheli, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale; Carrai è responsabile delle relazioni esterne mentre tesoriere è Francesco Neri, presidente del Consorzio nazionale Con.Opera della Compagnia delle Opere, associazione di imprese fondata da Comunione e Liberazione.
Non a caso Eunomia ha ospitato anche Giorgio Vittadini, tra i fondatori del Meeting di Rimini, fondatore e presidente fino al 2003 proprio della Cdo.
Anche Nardella è legato alla Cdo. O meglio: la moglie Chiara Lanni. Consigliere di Con.Opera, già vicepresidente del Cda della cooperativa Acchiappastelle, oggi vicepresidente del Cda della cooperativa Cavallo Bianco, entrambe legate al consorzio della Cdo, presieduto come detto da Neri e guidato, in veste di direttore generale, da Guido Boldrin, dal 2001 al 2009 direttore generale di Compagnia delle Opere Opere Sociali.
Ovviamente, come tutte le associazioni che gestiscono asili nidi, partecipa alle gare indette dal Comune. E qualcuna la vincono pure.
Ma l’amicizia con Renzi sindaco prima e la parentela con Nardella ora non c’entrano nulla.
Al momento. C’è un’interrogazione presentata da Tommaso Grassi, consigliere di Sel, il 27 gennaio 2014 per sapere “se il Comune di Firenze a partire dall’anno 2004 a oggi ha avuto o ha ancora in essere collaborazioni, contatti, appalti, contratti, con le cooperative” riconducibili a Lanni. Risposta non pervenuta.
Certa invece la firma di Nardella sotto le ultime nomine affidate da Palazzo Vecchio appena otto giorni prima del voto. Simone Tani nuovo amministratore unico della controllata Sas; insediati nel Cda della Mercafir Bianca Maria Giogoli, ex Pdl, poi Fli e da poco nelle liste “noi con Matteo Renzi”, e Lorenzo Petretto, figlio dell’assessore al bilancio.
Il sindaco gioca d’anticipo, con la benedizione dell’amico premier.
Già nel 2006 lui e Carrai tastano il terreno al posto dell’allora presidente della Provincia criticando il Pd. “Il futuro non può attendere oltre” è l’appello che il 22 aprile lanciano Nardella e Carrai per una “nuova forza politica solida e rassicurante”, anticipando i temi della rottamazione.
Tra i firmatari che raccolgono l’invito: Enzo Cheli, Lucia De Siervo, Salvatore Scino e altri fedelissimi di oggi.
Matteo di Nardella si fida. Come si fidava l’ex sindaco di Firenze Domenici di cui il Bondi di Renzi è stato consigliere.
L’attuale primo cittadino fa le sue apparizioni nelle carte di diverse inchieste.
Il due gennaio 2008 l’architetto Gaetano Di Benedetto, tecnico di Palazzo Vecchio accusato di truffa e ritenuto vicino alla Cricca di Angelo Balducci, viene intercettato mentre spiega all’ingegnere Vincenzo Di Nardo, altro tecnico legato alla Cricca, come arrivare a ottenere gli appalti che interessano “gli amici”.
E dice: “C’è una persona emergente, preparati, te lo troverai avanti nel futuro: Nardella, Dario Nardella”. Aveva visto giusto.
Dopo poco più di un anno è Riccardo Fusi, indagato nell’inchiesta Grandi Opere e arrestato per il fallimento di alcune società , a raccontare degli incontri avuti con Renzi “e il vicesindaco lì, il Nardella” organizzati per capire come conquistare i lavori del Panificio Militare e di altre aree nella città di Dante.
Leggendo le intercettazioni dell’inchiesta sulla Btp , in realtà , si comprende come Fusi e il suo socio Nencini giochino su tutti e tre i fronti: Renzi, Nardella e Carrai.
Fusi li aveva conosciuti il 22 ottobre 2007: aveva partecipato da invitato alla prima iniziativa di raccolta fondi pro Renzi organizzata dall’associazione Noi Link, embrione della fondazione Big Bang che nascerà nel 2012.
All’hotel Brunelleschi, quel giorno, siedono 106 persone pagando mille euro per pranzare con il futuro rottamatore, guest star: l’allora ministro Francesco Rutelli.
Con Fusi, Neri, Antonio Cantini e Alfiero Poli di Polistrade, il direttore della Cna Luigi Nenci, imprenditori vari; mentre al fianco di Renzi sedeva, oltre a Carrai e all’avvocato Alberto Bianchi (ora nel Cda dell’Enel), Giorgio Gori, candidato sindaco di Bergamo costretto al ballottaggio. Nardella ha conquistato Firenze con il 60%. Ma non si è preso meriti.
L’ha detto subito: “Grazie Matteo”.
Davide Vecch
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 1st, 2014 Riccardo Fucile
SECONDO GLI ANALISTI PIU’ VOLI DA FIUMICINO VERSO GLI USA, MENO ROTTE INTERNE E LOW COST
Ma se l’accordo fra Alitalia e Etihad si fa, che cosa cambia in concreto per chi viaggia in aereo in Italia?
Sono tre le richieste di Etihad che farebbero la differenza per chi vola: Linate potenziata a danno di Malpensa, meno agevolazioni alle compagnie aeree «low cost» (con dispiacere dei più affezionati clienti), e ferrovia ad alta velocità per arrivare meglio a Fiumicino.
Cominciamo da Malpensa.
Se sbaracca, da dove prenderanno i voli a lungo raggio gli italiani del Nord? Lo faranno da Fiumicino oppure dagli hub (aeroporti nei punti di snodo della rete) al di là delle Alpi, cioè quelli di Lufthansa, Air France e Klm?
O magari si decollerà da un futuro hub milanese ma con aerei del Golfo come progetta la Emirates, cugina di Etihad?
Antonio Bordoni, analista di compagnie aeree e aeroporti e già manager di diversi vettori internazionali, dice che il futuro è già scritto nel presente: «Etihad chiede di liberalizzare Linate? Ma più liberalizzata di così! Da sempre Linate ha impedito a Malpensa di fare massa critica e di crescere come hub. Finchè la Sea non avrà il coraggio di togliere ai milanesi la comodità del city airport di Linate, Milano non avrà mai un hub».
Del resto, insiste Bordoni, non solo Linate ma troppi altri aeroporti del Nord Italia sottraggono clienti a Malpensa offrendo voli a lungo raggio, come ad esempio Venezia dove Alitalia ha appena inaugurato un volo diretto per Tokyo.
Ma Linate, Venezia o altri scali non possono diventare a loro volta degli hub al posto di Malpensa?
«Impossibile – ribatte Bordoni – non hanno spazio per le piste». Perciò: dal Nord Italia si decolla (e si decollerà ) «verso Francoforte o Parigi o Amsterdam, che hanno voli giornalieri verso le destinazioni intercontinentali. E solo in qualche caso si andrà verso Fiumicino, che ne ha pochi».
Un altro analista, Gregory Alegi, docente di gestione delle compagnie aeree alla Luiss, vede la possibilità (non la certezza) di un futuro più dinamico: «Etihad progetta di fare di Fiumicino un secondo hub. Roma e Abu Dhabi sono abbastanza distanti da non intralciarsi a vicenda, come invece avrebbero fatto Roma e Parigi nell’alleanza con Air France, ma sono anche abbastanza vicine da fare sistema. Etihad vuole sfruttare la possibilità dei voli diretti fra Roma e gli Stati Uniti offerta dall’accordo Open Skyes fra Ue e Europa. Avremo da Fiumicino molti voli intercontinentali Alitalia da e per l’America, mentre Abu Dhabi sarà l’hub del gruppo in direzione Est con voli Etihad». Alegi non esclude nemmeno che in futuro il gruppo integrato Alitalia/Etihad inauguri un buon numero di rotte intercontinentali da Malpensa. «Però non subito, in un secondo tempo. All’inizio la priorità saranno i tagli delle rotte nazionali».
E l’ipotesi Emirates? Cioè è possibile fare di Malpensa un hub, non entrando in Europa come azionista di Alitalia, ma chiedendo di gestire direttamente una rotta Milano-New York, e poi molte altre? «Questo non ha possibilità di essere approvato dalla giustizia amministrativa» risponde Alegi. «Le regole internazionali sono chiare, Emirates non può farlo».
Resta la questione delle low cost.
Etihad chiede che vengano tolti quei vantaggi economici che hanno permesso alle compagnie «no frills» di diffondersi in tanti aeroporti locali.
I viaggiatori italiani perderanno molti collegamenti comodi ed economici? Alegi pensa che questo avverrà , ma non perchè lo chiede Etihad: «Dubito che il governo possa vietare agli enti locali di finanziare le low cost. Semmai a impedirlo sarà la crisi dei bilanci pubblici».
L’analista considera anche fondamentale la questione delle infrastrutture: «La ferrovia veloce per Fiumicino si deve fare. Al de Gaulle di Parigi si arriva con l’alta velocità . Questo perchè la Francia funziona come sistema. Anche l’Italia deve imparare a farlo, e non solo per la comodità dei viaggiatori».
Luigi Grassia
(da “La Stampa”)
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Giugno 1st, 2014 Riccardo Fucile
A META GIUGNO LA PRESENTAZIONE DI “ITALIA UNITA” IN UN CIRCOLO ROMANO
Corrado Passera è un finto moderato. È moderato nei modi, questo sì, è moderato quando parla. Non è moderato nelle scelte.
Quando Mario Monti lanciò Scelta Civica, Passera decise di restarne fuori. Contrariamente a tutti coloro che gli erano attorno e che gli consigliavano di restare in partita, in un modo o nell’altro.
Invece, l’ex ministro si prese un anno sabatico.
Che ha fatto in questi mesi? Un tuffo nella realtà .
Lui, che ha sempre vissuto nell’iperuranio, a dividersi tra Villa d’Este e i saloni vellutati delle banche, assorbito dal fantastico mondo del “business a sei zeri altrimenti non è business”, ebbene proprio lui si è lanciato in un percorso solitario e silenzioso attraverso l’Italia.
Si dice a Roma “è sceso da cavallo”, un bagno di umiltà che non aveva mai sognato di fare. Indossando pantaloni e camicia, si è messo a fare il giro della penisola. Lontano dai riflettori, Passera si è lanciato in un bagno di gente. Gente normale. Gente comune.
Un anno passato ad ascoltare. A prestare attenzione ai problemi delle categorie. A raccogliere le sofferenze di un Paese in terribile crisi, a verificare da vicino la disgregazione sociale.
Di qui Passera ha cominciato a stendere il suo programma. A delineare il suo piano d’azione. Anzitutto, senza scadenze. Non ha fretta l’ex ministro.
Più prende tempo, più il centrodestra sarà in difficoltà , più chiederà a lui di prenderne il timone, più lo invocherà .
Per metà giugno, è in programma una convention del suo movimento, Italia Unita, negli studios romani di via Tiburtina e dimostrerà che in questi mesi ha costruito una rete locale che pesa.
E lo farà concedendo alcune anteprime in qualche circolo privato della capitale
Un “uomo del fare”: così proverà a presentarsi.
Ecco, questo è il suo punto debole. Chi lo ha ascoltato riferisce che è ancora piuttosto fragile nei comizi, non ha certamente la forza travolgente di Berlusconi e tanto meno di Renzi. Però sta studiando, si sta allenando. Ci prova.
E, rispetto all’attuale premier, ha una carta in più da giocare: la credibilità , almeno sul fronte economico.
Si presenterà al pubblico e dirà : questo è il mio programma, chi ci sta ci sta.
Non pensa a trattative con i partiti del centrodestra, tanto meno attende investiture. Sa che i vari partiti dell’area moderata si stanno consumando, logorando.
Vuole costruire qualcosa di nuovo sullo scenario politico che vada oltre l’attuale ex Pdl.
Un uomo del fare, dunque, che vuole rivolgersi a una larga fetta di elettorato che non trova una risposta. Largo spazio al welfare con aiuti alle famiglie sotto un certo reddito e con figli, un inizio di quoziente familiare.
Lotta all’evasione con la restituzione dell’Iva per chi paga con bancomat o carta di credito.
Passera medita poi di lanciare una flat tax massimo al 30% per le nuove imprese, una tassa unica più bassa rispetto alla media. Un esperimento del genere l’ha avviato la Carinzia, in maniera piuttosto aggressiva verso le imprese italiane.
Altro tema che Passera pensa di imporre è quello in generale della semplificazione fiscale con un profondo rinnovamento del sistema, ben più ampio di quello che Renzi si appresta a varare.
Poi c’è la questione degli investimenti esteri. Più volte l’ex ministro dello Sviluppo ha parlato di grandi gruppi internazionali, fornendo però numeri diversi.
È tuttavia innegabile che abbia a disposizione i contatti giusti per convincere imprese estere a puntare sull’Italia, in particolare sulle infrastrutture.
Guarda ai fondi per la coesione territoriale. Finora, in termini di prodotto interno lordo, il Sud è stato la palla al piede del Paese, mentre potrebbe recuperare terreno puntando sulle sue vocazioni: turismo, porti, Mediterraneo.
Sì, d’accordo, ma Berlusconi? È la domanda che si pongono in tanti. Già , Silvio che fa? Per ora osserva. Osserva cosa fa Passera.
Sa che ha grosse risorse economiche personali, e questo – è noto – è un elemento di grande importanza agli occhi del Cavaliere.
Sa che Passera può parlare al mondo della piccola e media impresa, all’imprenditore lombardo, a quello che ha la fabrichetta in Brianza e che, deluso, aspetta un uomo che possa rappresentarlo
Corrado, che era favorevole alla patrimoniale, da qualche tempo non ne parla più. Silvio apprezza.
Corrado viene sistematicamente assaltato da Carlo De Benedetti: esser insultato dall’Ingegnere è il miglior biglietto da visita per il Cavaliere.
È vero amore? Presto per dirlo, per ora si guardano e s’annusano.
Se son rose fioriranno.
Fabrizio dell’Orefice
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Giugno 1st, 2014 Riccardo Fucile
IL TESORO TEME IL PRESSING PER UNA NUOVA MANOVRA DA 4 MILIARDI
Fatto sta che in queste ore le linee telefoniche tra Palazzo Chigi, il Tesoro e il Berlaymont sono roventi.
E il clima è teso anche alla Commissione europea, se è vero che la paginetta delle raccomandazioni dedicata ai conti pubblici italiani è stata trasmessa dai servizi della Direzione generale Economia e Finanze direttamente al gabinetto del presidente Barroso.
Insomma, il dossier è per tutti una patata bollente e la decisione finale a Bruxelles verrà presa tra questa notte e domani mattina.
Poco prima che la Commissione pubblichi le Countryspecific recommendations, le raccomandazioni per ogni paese della zona euro composte da un giudizio, e una serie di indicazioni, sulle riforme e sulla politica di bilancio.
Ed è proprio questa la parte spinosa per l’Italia.
Roma naviga con il deficit sotto il 3% (per il governo e per la Ue è al 2,6%), ma i conti non tornano del tutto sul deficit strutturale, ovvero quello depurato dal ciclo economico e dalle una tantum
In attesa che nel 2016 entri in vigore il Fiscal Compact con l’ingiunzione di tagliare il debito eccessivo di un ventesimo l’anno, ogni Paese deve assicurare che la sua traiettoria inizi a scendere e avvicinarsi al pareggio di bilancio strutturale, rispettando così il proprio Obiettivo di medio termine.
Ma l’Italia su questo punto potrebbe essere giudicata inadempiente perchè mentre Roma prevede di avere a fine anno un deficit strutturale dello 0,6%, la Commissione lo vede allo 0,8% (noi stimiamo una crescita allo 0,8, la Ue dello 0,6%).
Scostamento che potrebbe portare Bruxelles a sollecitare una manovra da circa 4 miliardi.
C’è poi la questione legata al 2015, con Roma che prevede uno 0,1% e chiede di rinviare al 2016 il raggiungimento dell’equilibrio perfetto, lo zero per cento strutturale, mentre Bruxelles prevede uno 0,7%.
Una diffidenza che potrebbe essere causata anche dall’incertezza, rilevata dalla Commissione, delle coperture degli 80 euro di taglio dell’Irpef.
Per questo il governo teme che l’Unione bocci il rinvio di pareggio di bilancio richiesto dal governo, complicando ulteriormente le cose. Senza contare che il debito continua a crescere, nel 2014 alla quota record del 135,2% del Pil.
Pur consapevoli della situazione, al Tesoro si dicono «tranquilli ». Non solo perchè, come ha detto ieri il ministro Padoan, ci troviamo di fronte a una divergenza metodologica nel calcolo di alcune voci di bilancio, per cui «la diversità di opinione è parte della normale dialettica », ma anche perchè le raccomandazioni di Bruxelles non sono vincolanti.
«Se la Commissione ci consigliasse di intervenire sui conti si aprirebbe un confronto, potremmo tenerne conto o meno», spiegano fonti del governo.
Ma si aprirebbe comunque un fronte polemico che tanto Roma quanto Bruxelles in questa fase politica eviterebbero volentieri.
Per questo al governo sperano che la Commissione limi le virgole in modo da rendere il proprio giudizio meno abrasivo possibile.
Diverso sarebbe se la Ue ci aprisse, tra fine anno e inizio 2015, una procedura per debito eccessivo legata anche al mancato raggiungimento degli obiettivi sul deficit strutturale.
In questo caso sì le indicazioni di Bruxelles sarebbero vincolanti, ma si tratta di un passo che al momento al Tesoro viene considerato «impossibile ».
E in effetti una scelta così legata all’ortodossia del rigore appare improbabile in una fase di debole ripresa, di sentimenti euroscettici e con molte capitali che chiedono apertamente di abbandonare l’austerity
Ma per Renzi e Padoan domani arriveranno anche buone notizie, con un’ottima pagella sulle riforme.
La Commissione darà il via libera a quanto fatto fin qui e spronerà ad andare avanti. Ci sarà l’allarme sulla «gravissima» disoccupazione giovanile e la sollecitazione ad attuare il Jobs Act, giudicato positivo.
Si chiederà di completare la riforma della giustizia civile, di accelerare sulla digitalizzazione dello Stato e di attuare rapidamente la riforma della Pa.
Ci sarà l’ok alla riduzione di Irap e costi energetici per le aziende, un via libera alla revisione dei valori catastali e la richiesta di andare avanti con la delega fiscale.
Infine il solito richiamo a puntare sulle tasse legate ai consumi e alle proprietà abbassando le altre imposte.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 1st, 2014 Riccardo Fucile
DOPO LA MAZZATA ELETTORALE FITTO CI RIPROVA, CHIEDENDO ANCHE LO STREAMING… MA BERLUSCONI FA SENTIRE CHI COMANDA: “È NO”.
Politicamente, tutto quello che tocca Silvio Berlusconi diventa una barzelletta.
L’esempio principe sono le primarie nel centrodestra.
Un’utopia o un’araba fenice, fate voi.
Nel dicembre del 2012, prima della scissione di Fratelli d’Italia, il gigante Guido Crosetto, oggi con Meloni e La Russa, le paragonò al pulcino Pio, insopportabile canzone tormentone che dilagò nell’estate di quell’anno: “Le nostre primarie sono diventate il pulcino Pio della politica italiana”.
Le macerie azzurre e il no di Silvio
Sulle macerie berlusconiane del Venticinque Maggio, l’attuale alfiere delle primarie, sia di partito per la classe dirigente, sia di coalizione per i candidati alle elezioni, è Raffaele Fitto, ex governatore incolore ma potente della Puglia.
Fitto le ha rilanciate ieri con l’intervista più solenne e istituzionale che si può, quella al Corsera, e Silvio le ha stroncate per l’ennesima volta: “Chiedo a tutti di non proseguire con uno sterile dibattito a mezzo stampa sulle primarie e a non contribuire così all’immagine negativa che i media ostili costruiscono ogni giorno a nostro danno”.
Raffaele il Sarkozy di Lecce vuole pure lo streaming
Fitto, che coi quasi 300mila voti raccolti alle Europee crede di essere un Sarkozy di Lecce, ha rilanciato: “Non è la discussione che fa male, ma le falsità e i veleni. A Berlusconi chiedo di fare il prossimo ufficio di presidenza di Forza Italia in diretta streaming”.
Per rianimare quel che resta del partitino azzurro i rimedi sono copiati al centrosinistra (primarie) e ai grillini (streaming). Ne verrebbe fuori un mostriciattolo a tre teste.
L’annuncio finto di B. e le ambizioni di Angelino
Nell’autunno del 2012, il tormentone delle primarie fu letale ad Angelino Alfano, allora segretario del Pdl.
La frattura tra B. e l’ex delfino senza quid cominciò da lì, il resto venne dopo. A onor del vero, fu Berlusconi a fare e disfare tutto.
Sfiancato dalle faide interne, Berlusconi annunciò il 25 ottobre una decisione epocale, anticipata già a giugno: “Non sarò più il candidato premier. Con elezioni primarie aperte nel Popolo della Libertà sapremo entro dicembre chi sarà il mio successore, dopo una competizione serena e libera. Il movimento fisserà la data in tempi ravvicinati (io suggerisco quella del 16 dicembre)”.
La Pitonessa in campo e l’ironia di Rotondi
In teoria, perchè poi non si tennero più, le primarie del Pdl sarebbero cadute due settimane dopo quelle del Pd tra Bersani e Renzi, quando il sindaco di Firenze venne sconfitto dalle regole ordite da Nico Stumpo.
Il 26 ottobre Daniela Santanchè dichiara di candidarsi contro il favorito Alfano. La Pitonessa, ancora non tale, sceglie una mela come simbolo della sua discesina in campo. Questo lo slogan: “Me-la mangio, me-la voto”.
Lo sfrenato Brunetta tenta di andare oltre: “Le primarie devono servire anche per il candidato al Colle”. Illusi di essere slegati dal giogo padronale, gli azzurri scoprono la libertà , al punto che Alfano, imprudentemente, spiega: “Saranno primarie di partito ma aperte”. Semplificazione crudele di Gianfranco Rotondi: “Significa che vota anche il primo che passa”.
La minaccia dei soldi: “Non caccio un euro”
All’inizio di novembre, Berlusconi ha già cambiato idea sulle primarie.
Non le vuole più e mette sul tavolo la minaccia estrema: “Se le fate, io non caccio un euro. Voglio vedere dove li trovate tre milioni di euro per farle”. In cuor suo, l’ex Cavaliere teme che l’investitura di Alfano nei gazebo sia la fine del centrodestra padronale.
La resa dei conti arriva in un drammatico ufficio di presidenza dell’8 novembre. Il Condannato è messo in minoranza da “Angelino” e costretto a ingoiare le primarie. Sandro Bondi parla di “brutalità ” mai vista. Venti giorni dopo, le primarie sono diventate uno straordinario e ridicolo circo Barnum con undici candidati.
Gli undici del Circo Barnum: Samorì, Proto, Sgarbi e Marra
I magnifici undici sono: Alfano, Santanchè, il misterioso Samorì (banchiere amico di Dell’Utri), un nobile di nome Silighini Garagnani, l’amazzone Biancofiore, il solito Sgarbi, la Meloni e Crosetto (ancora separati), il veneto Galan, l’indagato Proto, finanche Alfonso Luigi Marra, avvocato anti-banche ed ex fidanzato di Sara Tommasi.
Proto definisce Alfano come “un salmone che va contro la corrente”. Samorì proclama: “Mi temono perchè sono nuovo ma per loro è suonata la campana”. Spunta un rottamatore che vuole ergersi a Renzi del centrodestra: Alessandro Cattaneo.
Il dinosauro torna in campo contro Bersani
Ben presto però ci si rende conto che le primarie non si svolgeranno mai.
I candidati piccoli sono contro Alfano per le regole capestro: ventimila firme da raccogliere in due settimane, necessarie a candidarsi.
A sua volta il segretario del Pdl minaccia di non correre se ci saranno indagati in lizza. Berlusconi, infine, medita di rifare Forza Italia e vuole cacciare “un dinosauro dal cilindro” (ossia lui stesso). Il dibattito sulle regole contempla anche il modello americano (votare nell’arco di due mesi) ma a dicembre è tutto finito. Bersani vince le primarie contro Renzi e B. ci ripensa: “Se il loro candidato non è Renzi allora posso correre ancora io”.
Il modello americano e il destino della Ravetto
Due anni dopo ci risiamo. Basta sostituire Alfano con Fitto e la farsa è la stessa.
Ufficialmente B. ha dato l’incarico a Laura Ravetto di scrivere il regolamento per le primarie.
La fine del tormentone è nota.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 1st, 2014 Riccardo Fucile
SE INVECE DI RENZI L’AVESSE PROPOSTA BERLUSCONI SI PARLEREBBE DI IMMONDA RAPINA PER AIUTARE MEDIASET: INVECE TUTTI ZITTI E ALLINEATI
Immaginiamo per un attimo se Berlusconi fosse ancora premier e, per regalare 80 euro a milioni di lavoratori, il giorno dopo le elezioni (ma annunciandoli in campagna elettorale), prelevasse forzosamente 150 milioni di euro dalle casse della Rai.
Allo sciopero dei sindacati e dei lavoratori si unirebbero immantinente i partiti del centrosinistra, strillando al conflitto d’interessi e all’immonda rapina che regala ossigeno all’altro protagonista del duopolio collusivo: la sempre più boccheggiante Mediaset.
Invece la rapina l’ha firmata Renzi, dunque tutto tace.
E non c’è giornale — di destra, di centro e di sinistra — che non irrida alla protesta dei dirigenti e dei lavoratori di Viale Mazzini, che dovrebbero rassegnarsi senza batter ciglio a un brutale prelievo che scassa i conti dell’azienda pubblica e costringe i vertici a licenziare.
Intendiamoci: nonostante i timidi sforzi di Tarantola & Gubitosi, due tecnici che hanno approfittato dell’allentarsi della morsa dei partiti per mettere un po’ d’ordine (mai abbastanza), gli sperperi restano enormi e nessuno intende difendere il carrozzone.
Ma gli sprechi non si combattono così. Così si distrugge l’azienda, a tutto vantaggio della concorrenza, che ha un nome e un cognome: Silvio Berlusconi, quello a cui Renzi esternò “profonda sintonia” dopo il “patto del Nazareno” che — in barba a tutte le desegretazioni di carte preistoriche — resta occulto per tutti fuorchè per i due firmatari.
Chi — giustamente — inorridisce per il pranzo Grillo-Farage potrebbe spendere qualche parola anche sul patto Matteo-Silvio sulle spoglie della Costituzione repubblicana.
Se Renzi volesse ridurre il grasso in eccesso in Viale Mazzini, avrebbe dovuto anzitutto svelare finalmente quali sono i suoi piani per la tv di Stato (dire “fuori i partiti dalla Rai”, ora che tutti i dirigenti messi lì dai partiti sono diventati o stanno diventando renziani, è ridicolo).
E poi fissare — in quanto azionista di maggioranza attraverso il Tesoro — obiettivi di risparmio per l’anno prossimo, non per quello in corso.
A inizio 2014 l’azienda aveva presentato il bilancio di previsione, sostanzialmente in pareggio, nonostante la gigantesca evasione del canone (che nel 2014 aumenterà di altri 23 milioni) e il suo mancato adeguamento all’inflazione (perdita secca di altri 22 milioni grazie a Letta jr.), senza contare il taglio dei costi operativi per le partecipate di Stato (che alla Rai costerà altri 50-70 milioni).
Ma a quel punto è arrivato il diktat di Palazzo Chigi (incostituzionale, secondo il lungo parere del giurista Alessandro Pace), che battendo cassa per altri 150 milioni ha tagliato le gambe al cavallo.
Nemmeno una parola sulle prospettive dell’azienda e sulla lotta all’evasione del canone (la parola “evasione” era impronunciabile prima delle elezioni e continua a esserlo dopo).
Solo sprezzanti intimazioni a cedere una quota di RaiWay, la società che controlla le torri di trasmissione, e a chiudere qualche sede regionale.
La privatizzazione di RaiWay, se imposta in tempi brevi (che poi andranno comunque al 2015, previa quotazione in Borsa), è sinonimo di svendita di un bene pubblico: chi è costretto a dismettere un ramo d’azienda, e in tempi brevi, deve subire il prezzo degli acquirenti, e non viceversa.
Quanto alle sedi regionali, sappiamo tutti che — salvo eccezioni — sono ridotte a caravanserragli partitocratici, con notiziari specializzati nella sagra della porchetta e nella fiera del tartufo.
Ma per conoscerne i motivi Renzi dovrebbe rivolgersi ai suoi alleati di partito, di governo e di riforme. E la soluzione non è chiuderle, ma riportarle a un minimo di professionalità ed efficienza. Magari radendo al suolo la legge Gasparri che invece, come l’evasione e il conflitto d’interessi, resta tabù.
Se proprio il governo deve tosare il sistema televisivo, potrebbe cominciare facendo pagare le frequenze a Mediaset per quel che valgono, anzichè seguitare a regalargliele o quasi.
Un giorno, magari quando verrà desegretato il patto del Nazareno, sapremo perchè fa così.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 1st, 2014 Riccardo Fucile
I SOLDI SAREBBERO ARRIVATI ALL’EX MINISTRO TRAMITE ERASMO CINQUE DELLA SOCOSTRAMO SRL, GIA MILITANTE DI ALLEANZA NAZIONALE, ENTRATO NELL’APPALTO GRAZIE ALLE INSISTENZE DI MATTEOLI
Quattro giorni fa la notizia di una notifica per la trasmissione di atti al Tribunale dei ministri.
Oggi l’affaire Mose e i motivi per cui l’ex ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture Altero Matteoli è finito nei guai sono più chiari.
Soldi, “milioni di euro”, sarebbero arrivati tramite un amico, l’imprenditore Erasmo Cinque della Socostramo srl, all’attuale senatore di Forza Italia.
Il presunto giro di tangenti, come riportano oggi Il Corriere della Sera e Il Tirreno, verrà quindi vagliato dal Tribunale dei ministri a cui sono arrivati due faldoni di atti dai pm di Venezia.
Il nome di Cinque era spuntato nelle intercettazioni dell’inchiesta Bertolaso-G8 ed la sua impresa si è associata alla Mantovani per la costruzione della Piastra dell’Expo.
Il filo tra il senatore e il costruttore due è quello che fu il partito Alleanza nazionale. Matteoli coordinava il partito in Toscana, mentre l’imprenditore si occupava dell’ufficio studi e coordinamento.
A chiamare in causa Cinque e Matteoli, che nei giorni scorsi ha assicurato che avrebbe fatto chiarezza, sarebbero stati due imprenditori indagati da mesi.
Il condizionale è d’obbligo perchè i verbali di queste dichiarazioni sono segretati. Piergiorgio Baita, ex ad della Mantovani arrestato lo scorso il 28 febbraio 2013 per fatture false, avrebbe iniziato a raccontare un meccanismo poi confermato dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, arrestato il 12 luglio 2013 nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti truccati.
Anche il responsabile amministrativo della Mantovani Nicolò Buson (anche lui arrestato nella prima tranche dell’inchiesta) avrebbe confermato.
Ora, dopo diversi interrogatori, tutti sono tornati tutti in libertà .
Cuore dell’inchiesta l’affidamento degli appalti da parte del Magistrato alle acque al Consorzio Venezia Nuova per gli interventi per la salvaguardia della laguna e anche per le bonifiche.
Proprio la Mantovani, impresa che ha vinto l’appalto per la cosiddetta Piastra dell’Expo, inserita nel Consorzio stesso avrebbe vinto le gare.
E grazie alle insistenze di Matteoli a far parte del Consorzio sarebbe entrata l’impresa romana di Cinque, chiamata per le bonifiche dei terreni inquinati di Porto Marghera. L’imprenditore, indagato per corruzione secondo alcuni quotidiani, avrebbe avuto il ruolo quindi di collettore di bustarelle destinate al politico. Questa l’ipotesi dei pm di Venezia.
La difesa ha già iniziato lo studio degli atti e nei prossimi giorni ai magistrati depositeranno una memoria difensiva ai tre giudici del Tribunale dei ministri perchè valutino l’archiviazione oppure l’incriminazione.
E Matteoli, già nei giorni scorsi, ha fatto sapere che è a disposizione per chiarire tutto.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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