IL PRESUNTO KILLER E’ L’UOMO DELLA PORTA ACCANTO
MA SU FACEBOOK UNA FOTO INQUIETANTE: DUE MANI MASCHILI CHE SI AVVICINANO AL SENO DI UNA GIOVANISSIMA, SDRAIATA CON UNA MAGLIETTA CON LA SCRITTA “LA TASTIERA CHE TUTTI GLI UOMINI VORREBBERO AVERE”
Un lavoro come tanti, tre figli e quella che i vicini di casa descrivono come una “vita tranquilla”.
“Ignoto 1″ non c’è più: al posto della “x” che dal 26 novembre 2010 riempiva la casella dell’assassino di Yara Gambirasio da oggi campeggia il volto di Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni, muratore, originario di Clusone, indicato dagli inquirenti come presunto omicida: l’uomo della porta accanto, in quella Mapello (6.400 abitanti in provincia di Bergamo) in cui per 4 anni ha vissuto assieme alla moglie e ai tre figli mentre gli investigatori cercavano incessantemente il killer della 13enne di Brembate. ”Una famiglia riservatissima — racconta Walter Gambirasio, uno dei vicini di casa — li vedevamo sempre a messa, ma i loro tre figli non escono molto e non si frequentano con gli altri ragazzi della zona”.
Una persona normale, passioni comuni, le foto dei figli sul profilo di Facebook, dove spicca il post di una pin up che cavalca una moto sportiva, ma dove dominano gli affetti familiari: “Bellissime le mie due majorette…”, il commento su uno scatto che ritrae le sue due bimbe vestite da ragazze pon-pon.
Una passione per la cagnolina di casa, ritratta mentre allatta “i due nuovi arrivati. Dolcissimi!!!”.
Una tenerezza che contrasta con uno degli ultimi post lasciati sul profilo: la fotografia di quella che si intuisce essere una persona sepolta sotto un carico di asfalto: “Perdona sempre chi ti ha fatto del male: passaci sopra…”, la scritta che campeggia in alto.
Ma anche un altro post che, riletto alla luce del fermo, risulta agghiacciante: una foto in cui due mani maschili si avvicinano con cupidigia al seno di una giovanissima sdraiata e vestita con una maglietta su cui campeggia il disegno della tastiera di un computer: “La tastiera che tutti gli uomini vorrebbero avere”, la scritta.
Quattro anni trascorsi come se nulla fosse stato.
Come se la rete gettata dagli inquirenti non gli si stesse richiudendo attorno, giorno dopo giorno.
Come se nel giorno in cui gli prelevarono il campione di Dna, finito sotto il microscopio insieme agli altri 18 mila esaminati dagli inquirenti, la cosa non lo riguardasse o lo riguardasse poco.
E’ rimasto a casa sua anche quando gli inquirenti annunciarono di aver isolato l’identikit dell’assassino.
Era il 10 aprile e dal test del Dna arrivò la conferma che il cerchio si era ormai stretti: il padre biologico di “Ignoto 1″ era Giuseppe Guerinoni, autista di Gorno morto nel ’99 a 61 anni: il codice genetico, emerse dagli accertamenti, aveva una compatibilità del 99,99999987% con una macchia di sangue trovata su Yara.
L’omicida s’era ferito con un coltellino, forse nel tentativo di tagliarle gli slip.
Il cerchio attorno a Bossetti, che di Guerinoni era figlio naturale, aveva cominciato a stringersi il 26 aprile scorso, quando si era saputo che i carabinieri avevano prelevato un campione di Dna con un tampone salivare a una donna di 80 anni di Clusone.
Il prelievo di saliva era stato inviato subito al Ris di Parma per la comparazione con quello del cosiddetto “Ignoto 1″.
All’anziana donna i carabinieri erano arrivati sulla base di alcune voci di paese che le avevano attribuito una frequentazione negli anni Sessanta con Giuseppe Guerinoni. La donna è la madre di Bossetti, che ha una sorella gemella.
I cani si erano messi sulle sue tracce fin dall’inizio, fin dal 30 novembre, 4 giorni dopo la scomparsa di Yara, e lo mancarono di poco quando portarono gli investigatori su un cantiere di Mapello, dove è in costruzione un centro commerciale.
Sotto accusa finì un marocchino di 22 anni, fermato su una nave diretta in Marocco perchè sospettato del sequestro e dell’omicidio: è Mohammed Fikri, un operaio del cantiere.
La pista è sbagliata, ma non c’è ancora nulla che porti a lui, al muratore con la passione per le moto e la cagnolina di casa che allatta i suoi cuccioli.
Quattro anni di indagini, poi la svolta.
Il muratore viene prelevato dalla sua abitazione di Mapello e interrogato: “Il mio assistito è sereno — spiega il suo avvocato, Silvia Gozzetti, nominata d’ufficio — nega tutto e si è avvalso della facoltà di non rispondere”.
In serata le luci sono accese nella sua casa di via Piana di Sopra: nessuno risponde al citofono.
All’interno della villetta gialla di due piani, si sente abbaiare un cane.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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