Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
UN PATRIMONIO DI 160 MILIONI DI EURO…GIOVEDI IL PROSSIMO CDA… GASPARRI: “RESTITUIAMO TUTTO ALLO STATO”
Settanta case che fanno gola a tanti, ma che tra veti incrociati, nodi legali e problemi di natura fiscale rischiano di restare «congelate».
È l’infelice destino del cosiddetto «tesoro» di Alleanza Nazionale, un patrimonio che oltre a una sessantina di milioni di euro «liquidi», comprende anche beni immobili del valore di oltre un centinaio di milioni.
Un «bottino» il cui destino dovrebbe essere discusso nel prossimo CdA della Fondazione An, fissato per giovedì 26 giugno.
Un Consiglio d’Amministrazione che, viste le premesse, si preannuncia infuocato.
Gli antefatti sono noti.
Nel corso del 2013 la Fondazione decise di pubblicare un bando per mettere gli immobili a disposizione di chiunque volesse avviare un progetto aderente ai valori della stessa An.
L’operazione, ovviamente, non aveva esclusivamente finalità «morali». Fittando gli immobili – seppur a prezzi agevolati – si sarebbe reso redditizio un patrimonio che fino a quel momento aveva costituito solo un costo: in termini di tasse, spese di condominio e assicurazioni.
La legge che ha modificato il finanziamento pubblico ai partiti, però, ha cambiato il quadro e, in attesa di chiarimenti giuridici, la Fondazione si è vista costretta a ritirare il bando.
Sono passati alcuni mesi senza che fatti nuovi intervenissero, così il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, membro del CdA, ha preso carta e penna e ha scritto agli altri consiglieri per esigere un chiarimento sulla situazione di ogni immobile.
Il senso delle sue richieste era: in che condizione sono gli edifici? C’è qualcuno che li occupa? Vi sono sedi di movimento politici?
In definitiva: cosa si può fare per metterli finalmente a reddito?
A Gasparri aveva risposto il presidente della Fondazione Franco Mugnai, annunciando la creazione di una «task force» – composta a sua volta da diversi consiglieri – a cui erano stati affidati 50.000 euro per studiare una strategia economicamente vantaggiosa per la gestione degli immobili che passasse anche dal trasferimento degli stessi nella piena disponibilità della Fondazione.
Attualmente, infatti, la maggior parte delle settanta abitazioni è ufficialmente affidata a due società immobiliari: la Italimmobili srl e la Immobiliare Nuova Mancini srl.
Ma è proprio sul passaggio delle proprietà alla Fondazione che si incontrano i primi problemi.
A farli emergere è Francesco Biava, vice di Mugnai nonchè responsabile della «Nuova Mancini».
Nella lettera con la quale ha risposto all’ennesima sollecitazione di Gasparri, Biava scrive che gli oneri fiscali a carico della società immobiliare (Irap ed Ires) «sono calcolati sul valore “storico” degli immobili.
Un eventuale scioglimento delle società immobiliari, come discusso in CdA, per far confluire tutti gli immobili direttamente nella Fondazione, porterebbe con sè l’obbligo di una rivalutazione catastale degli immobili stessi, ad occhio 10 volte superiore all’attuale, la cui plus valenza comporterebbe una tassazione pari al 27,5% della stessa».
Non si tratta proprio di spiccioli. Basti pensare a quanto ha pagato di imposte nell’intero 2013 la «Nuova Mancini»: circa 24 mila euro di Imu e altri 35 mila tra Irap e Ires.
Cifre destinate a moltiplicarsi in caso di rivalutazione catastale.
A questi vanno aggiunti altri 18mila euro di spese condominiali e 8mila euro di assicurazioni, per un totale di poco inferiore ai 90mila euro annui.
Se si considera che la stessa «Nuova Mancini» gestisce solo 17 dei 70 immobili della defunta An, si comprende come i costi per la Fondazione arrivino a sfiorare il mezzo milione l’anno.
Decisamente troppo per pensare di andare avanti così.
Ma oltre all’aspetto economico c’è quello giuridico. Perchè se nelle sedi della defunta An fosse ospitata «gratuitamente» qualche associazione di natura politica, si rischierebbe di violare la nuova legge sul finanziamento ai partiti.
Da questo punto di vista, almento per quanto riguarda la «Nuova Mancini», Biava tranquillizza Gasparri: «Nessuno dei 17 cespiti immobiliari – scrive ancora – risulta essere sede di un partito politico. Cinque risultano pienamente utilizzate a vario titolo dai custodi, tre sono utilizzate dai custodi solo occasionalmente, tre non sono utilizzate e restano a disposizione, tre non sono utilizzate e sono inagibili per vari motivi, due sono senza custode territoriale e le chiavi sono nella disponibilità della Nuova Mancini, una è occupata “sine titulo” ed è stata già da tempo aperta una causa per rientrarne in possesso».
Per quanto riguarda le sedi gestite invece dalla Italimmobili sono attesi invece chiarimenti entro il CdA del 26.
In caso contrario c’è già chi, tra i consiglieri, vorrebbe trasferire la documentazione alla Prefettura di Roma, cui spetta il riconoscimento giuridico delle fondazioni.
«A questo punto – spiegava Gasparri nei giorni scorsi – sarebbe meglio riconsegnare tutti gli immobili allo Stato».
Si eviterebbero altri scontri e problemi legali.
Ma chi rinuncerebbe a un tesoro di oltre cento milioni di euro?
Carlantonio Solimene
(da “il Tempo”)
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Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
ECCO I DATI DEGLI ULTIMI DIECI ANNI: 290.000 ARRIVI QUASI TUTTI DISPERSI IN EUROPA… E NON A CASO I CIE SI SONO RIDOTTI DA 11 A 5
E adesso che sta per iniziare il semestre italiano di presidenza europea, davvero convinceremo gli inquilini della casa europea a moltiplicare Mare nostrum, a finanziare le operazione di trasferimento di irregolari, richiedenti asilo, rifugiati economici?
E a prendersi una quota di cittadini dell’Africa subsahariana, del Corno d’Africa. E poi della Siria?
E a ridiscutere il Trattato di Dublino che impone che la richiesta d’asilo sia fatta nel paese europeo dove si arriva?
E di potenziare Frontex, la polizia europea di frontiera?
Nell’estate in cui si stanno polverizzando tutti i record di sbarchi, con quasi 60.000 arrivi (58.487 al 20 giugno, venerdì scorso), 300 in media al giorno dal primo gennaio, l’Italia è sempre più sola (e disperata) nel fronteggiare un esodo che non sembra arrestarsi.
È questa l’angoscia romana, e cioè la consapevolezza, la certezza che gli arrivi continueranno fino a quando non si stabilizzerà la situazione politica e dell’ordine pubblico in Libia.
Ma la schizofrenia italiana che fa innervosire l’Europa è il passaggio da un estremo all’altro senza che nell’uno e nell’altro caso Roma abbia concordato il da farsi con Bruxelles, con Strasburgo.
Ricordate i respingimenti in mare? Con la consegna dei barconi di irregolari alle autorità libiche ai tempi di Gheddafi?
Uno scandalo internazionale, censurato dal Tribunale internazionale dei diritti dell’uomo.
E adesso c’è Mare nostrum, il dispositivo di salvataggio di irregolari in atto nelle acque internazionali molto vicine ai confini libici, attuato all’indomani della ecatombe di immigrati a pochi metri dalla costa italiana.
Prova a ricordare in questi giorni il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che Mare nostrum è a tempo, come se i naufragi saranno poi scongiurati per qualche misteriosa congiuntura astrale.
Al di là della dimensione umanitaria dell’intervento (la vicinanza del Vaticano, della Chiesa si fa sentire), la questione Mare nostrum è terreno di scontro ideologico-politico.
Un vecchio ministro dell’Interno amava ripetere che l’Italia doveva adottare nei confronti dell’immigrazione la politica «del cane che abbaia e non morde».
Insomma, far vedere che i confini nazionali esistono e che non tutti possono superarli come se nulla fosse. E nello stesso tempo dare opportunità di accoglienza, di lavoro per chi ne ha bisogno.
E’ giusto rivendicare con orgoglio che l’Italia non è la Spagna che spara contro gli immigrati che provano a sfondare le porte d’ingresso in Europa delle enclaves di Ceuta e Melilla.
O Malta che fa finta di non vedere i barconi inzuppati di acqua o la Grecia che si ritrova sotto osservazione e in punizione (sospeso Trattato di Dublino).
No, l’Italia è un’altra cosa. Accoglienza, lavoro.
E una terza opportunità , il transito, che è la più praticata.
Se provate a chiedere dove sono finiti i 60.000 sbarcati dal primo gennaio ad oggi, troverete delle risposte stupefacenti o imbarazzate.
Ricordate i Cie? I Centri di identificazione ed espulsione? Più che dimezzati oggi. Erano 11 sono diventati 5.
Prima potevano ospitare fino a 1200 immigrati, oggi sono disponibili solo 450 posti letto.
Inizialmente ospitavano persone da identificare per 30 giorni, poi raddoppiati e infine portati a sei mesi. Un carcere, nei fatti.
Un terzo dei profughi sbarcati nel 2014, circa 22.000 persone, ha fatto richiesta di asilo politico.
Non i 17.000 eritrei che puntano dritti alla Svezia, e che per il Trattato di Dublino non chiedono asilo politico in Italia perchè dovrebbero rimanere poi nel nostro Paese, preferendo «evadere» per raggiungere parenti e amici nel Nord Europa.
E chissà se i comuni solidali della rete Sprar effettivamente assistono tutti e 18.000 immigrati, così come risulta ufficialmente.
Insomma, qualcuno suggerisce una inchiesta a campione, magari scoprendo poi che qualche comune prende i fondi anche se non ci sono più gli «assistiti».
Il paradosso della situazione italiana è che non esistono più le sanatorie.
Le ricordate? Dini, Martelli, Turco-Napolitano, Bossi-Fini.
Negli ultimi trent’anni tra sanatorie ed emersione dal lavoro irregolare, ci ritroviamo con un milione e mezzo di extracomunitari regolarizzati.
Nell’86, 140.000; 1990, Martelli, 220.000; con il decreto Dini del 1995, 246.422; Turco-Napolitano del ’98 216.000. Con la Bossi-Fini, 693.937.
Trent’anni, un milione e mezzo di clandestini regolarizzati.
Oggi (31 maggio 2014) i soggiorni validi sono 73.590, un dato che non comprende i soggiorni scaduti in attesa di rinnovo.
Le sanatorie dunque. Gran parte dei beneficiari sono stati gli «overstayers», cioè stranieri entrati con un visto turistico o temporaneo e poi si sono inabissati.
A fronte di questo dato, dall’ultima sanatoria (2004) ad oggi, via mare sono arrivati complessivamente 288.891 irregolari (dal primo gennaio del 2004 al 20 giugno del 2014).
Che fine hanno fatto? Negli ultimi anni le espulsioni si sono ridotte a poche centinaia. Quanti hanno varcato i confini italiani per raggiungere gli altri Paesi della Unione europea?
E l’Europa come reagirà a un nuovo programma che il governo Renzi presenterà a Bruxelles, e che vede aiuti economici ai paesi d’origine dei flussi migratori condizionati al blocco dei flussi?
E la programmazione di interventi umanitari nei paesi di transito e la trasformazione di Mare nostrum da mero soccorso a una Frontex rafforzata?
Guido Ruotolo
(da “La Stampa”)
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Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
A PARITA’ DI IMPREPARAZIONE PREVALE IL RAPIMENTO MISTICO: LE BERLUSCONIANE ERA TUTTE OCHE GIULIVE, LE RENZIANE HANNO FATTO CARRIERA PERCHE’ TUTTE EREDI DI NILDE JOTTI
Di bianco vestite, sedute l’una accanto all’altra, i ministri “Karina Huff” Boschi e Marianna “Acume” Madia davano due giorni fa la sensazione, peraltro giustificatissima, di divertirsi molto all’idea che qualcuno — anzitutto i media — fosse disposto a prenderle sul serio come esperte di riforme costituzionali.
La novità del renzismo è proprio questa: la disparità di trattamento di stampa e giornali nei confronti della loro provvisorietà politica.
Quando ad argomentare non poco confusamente erano le berlusconiane, le mitragliate “moraliste” dei giornalisti erano spietate.
Se la Santanchè veniva attaccata, nessuno tirava fuori la storiella lisa del sessismo. E così se a ricevere la critica erano le Carfagna e le Gelmini, le Comi e le Biancofiore.
Adesso che le novelle statiste sono renziane, l’atteggiamento cambia: a parità di impreparazione coincide una sorta di rapimento mistico generale.
Sull’ex showgirl Carfagna si poteva ironizzare, sulla nota costituzionalista Boschi no.
E giù copertine, articolesse infatuate e servizi atti a tratteggiarla come una sorta di quasi-Madonna aretina.
Fa simpatia anche l’accento toscano, su cui lei stessa aveva — goffamente — provato a ironizzare nello spot raggelante col futuro sindaco di Bari Decaro (sì, quello della “fohaccia o schiaccia”). La berlusconiana era per forza oca giuliva, emblema della mancanza di meritocrazia; al contrario, le renziane hanno fatto carriera perchè tutte eredi evidenti di Nilde Jotti.
Anche il candore dei vestiti è prova certa della loro castità e candor, al contrario delle berlusconiane equivoche o delle grilline volgari.
E’ vero, anche la Carfagna aveva provato a reinventarsi sobria in un tripudio di tailleur e pettinature da dopoguerra, ma non andava comunque bene.
Invece la Boschi è sempre perfetta, che scelga il bianco o l’azzurro shocking.
Le renziane sono — per Decreto Regio firmato da Scalfari in persona — brave e buone, anche se collezionano errori e gaffe: se la Madia sbaglia ministero fa simpatia, se la Gelmini si copre di ridicolo coi neutrini è uno scandalo planetario.
Se la Morani affoga nelle supercazzole para-economiche a Ballarò va capita (“è inesperta”), mentre se a inciampare è una Taverna occorre evidenziare come quella senatrice lì sembri proprio la Sora Lella.
Le renziane sono palesemente droidi berlusconiane 2.0, col buonismo finto al posto del garantismo livido, però l’imperativo di quasi tutti i media è gridare al miracolo del “finalmente la nuova politica”.
Non importa che, a voler essere puntigliosi, le somiglianze riguardino pure pettegolezzi e maldicenze.
Non importa che, fino a ieri, quasi tutte loro non fossero per niente renziane.
Non importa che, della Bonafè, l’unica cosa che si ricordi del pensiero politico sia forse il tacco 12.
E non importa che Pina “Dolce Forno” Picierno ricordi in tutto — e in peggio — Daniela Santanchè: le renziane vanno sempre incensate e le altre ogni volta abbattute.
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 23rd, 2014 Riccardo Fucile
“IL GOVERNO HA VISTATO DUE VOLTE I NOSTRI TESTI, ORA MI FANNO PASSARE PER QUELLA CHE PROTEGGE I CORRROTTI, E’ VERGOGNOSO”
“Cosa vogliono da me? Vogliono dire che la Finocchiaro protegge i corrotti e i delinquenti? Ma stiamo scherzando. È questo il loro giochino? Sono disgustata. Allora racconto com’è andata davvero la storia dell’immunità “.
Anna Finocchiaro ha la voce affilata di una persona furibonda, che vorrebbe spaccare tutto.
Al telefono si sente che accende una sigaretta prima di cominciare la ricostruzione.
La presidente della commissione Affari costituzionali del Senato è in Sicilia dov’è tornata dopo il lavoro sugli emendamenti che hanno in parte riscritto la riforma di Palazzo Madama.
“Di tutto quello che abbiamo fatto è rimasta soltanto la storia dell’immunità . Questo mi dispiace”. Ha capito che è in corso uno scaricabarile da parte del governo sui relatori e sulle loro proposte di modifica: Renzi e Boschi, nel disegno di legge originale, avevano tolto lo scudo, i relatori lo hanno rimesso.
“La gratitudine non è di questo mondo e so che in politica è ancora più vero. Ma non riesco ad abituarmi a questo andazzo barbaro”.
L’immunità per i senatori porta la firma sua e di Calderoli, è un dato di fatto.
“Mettiamo subito in chiaro. La riforma dell’immunità dopo Tangentopoli, nel ’93, porta la mia firma. L’ho scritta di mio pugno, dall’inizio alla fine. C’è la mia firma anche nella battaglia contro i reati ministeriali che la destra voleva allargare. Questa sono io”.
Adesso però gli emendamenti del Senato che reintroducono l’immunità portano il suo nome. Nel testo del governo quella norma non c’era.
“Noi il Senato lo abbiamo ridisegnato. Il Senato del governo era completamente diverso. Non aveva le stesse funzioni, le stesse competenze…”.
Sta dicendo che il ddl Boschi era un guscio vuoto quindi era normale che non ci fosse lo scudo?
“Lasciamo perdere. Questo lo dice lei”.
Perchè i nuovi senatori devono avere delle garanzie?
“Se attribuisci a una Camera alcune funzioni sulle politiche pubbliche, così com’è nella riforma emendata, non ci può essere disparità con l’altro ramo del Parlamento. E non lo dico io, lo dicono tutti i costituzionalisti. Stamattina in televisione per esempio l’ho sentito affermare con precisione dal professor Ainis. Ciò detto, i relatori non scrivono gli emendamenti di testa loro. Raccolgono le indicazioni che emergono durante il dibattito e hanno il dovere di valutarle quando scrivono le loro proposte. Ma se mi chiede come la penso io, allora rispondo: la Finocchiaro pensa che l’immunità non va bene così neanche per i deputati. Si figuri”.
Aveva elaborato un emendamento diverso?
“Avevo proposto che a decidere sulle autorizzazioni all’arresto e alle intercettazioni dovesse essere una sezione della Corte costituzionale e non il Parlamento. Valeva sia per il Senato sia per la Camera. È una proposta di legge che ho presentato in questa legislatura e anche nella precedente. È chiara la mia posizione? Stavolta l’avevo scritta in un emendamento”.
Poi che è successo?
“È sparito dal testo perchè il governo ritiene che non si debba appesantire il lavoro della Corte costituzionale”.
Quindi il governo sapeva. Difficile che torni indietro.
“Non lo so. Ma so che l’esecutivo ha vistato due volte i nostri emendamenti, compreso quello sull’immunità . Conosceva il testo, sapeva tutto. Ha fatto una scelta”.
Così si crea una disparità tra consiglieri regionali e sindaci. Ci saranno quelli con lo scudo e quelli senza.
“I senatori avranno funzioni di controllo che vanno difese dalla limitazione della libertà . I costituzionalisti sono d’accordo su questo punto. Come lo sono i partiti, da Forza Italia al Pd, alla Lega, all’Ncd e anche M5S. E noi abbiamo raccolto i loro pareri. Io però penso che l’articolo 68 non deve coprire gli atti svolti da sindaco o da consigliere regionale. Per quei fatti l’autorizzazione a procedere non dovrebbe essere necessaria. Fermo restando che la mia proposta è un’altra: rimettere il tema dell’immunità alla Consulta. Ma il governo mi ha risposto di no, motivandolo con la necessità di non pesare troppo sui giudici costituzionali. Ho preso atto. Perciò mi chiedo: cosa vogliono da me?”.
Che farà adesso?
“Sto pensando di proporre addirittura un emendamento al mio emendamento per far passare l’idea del rinvio alla Corte. Sono favorevole anche a uno scudo valido solo per le espressioni e i voti dati in aula. Risponderò così a questo fastidioso scaricabarile su di me. Però è incredibile che tutto si riduca all’immunità “.
Perchè?
“Abbiamo fatto un lavoro pazzesco tutti insieme. Ne è venuto fuori un Senato vero ma innovativo. Non può rimanere solo la vicenda dell’immunità “.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)
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