Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
NELLA RIFORMA DELLA P.A. C’E UNA NORMA CHE ANNULLA I CONCORSI GIA’ EFFETTUATI, MA NON DICE NULLA SUI CONTRATTI “AD PERSONAM”
Il governo di Matteo Renzi stravolge le regole di assunzione del personale delle autorità di vigilanza, dall’Antitrust alla Consob, dall’Autorità Anticorruzione all’Authority dell’Energia.
Ma, con una regola scritta ad hoc, sembra voler salvare “gli amici degli amici”, ovvero le persone assunte a chiamata diretta, magari con contratti a tempo determinato, che potranno essere regolarizzate, bocciando invece chi avesse già superato un regolare concorso, istituito con le vecchie regole e non con le nuove norme scritte dal ministro per la Pubblica Amministrazione, Marianna Madia.
È questo il senso di un articolo del decreto legge di riforma del pubblico impiego, che sarà portato in Consiglio dei ministri e che “l’Espresso” ha potuto consultare in bozza. Il decreto introduce infatti un nuovo concorso che si terrà con cadenza annuale, valido per «il reclutamento di personale» di una lunga serie di autorità indipendenti.
Oltre a quelle già citate, sono comprese la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, l’Ivass (assicurazioni), l’Authority delle comunicazioni, quella sugli appalti pubblici e altre ancora.
Nessuna di loro potrà farsi il proprio concorso, ma dovrà «stipulare apposite convenzioni» con altri organismi in modo da accorpare i processi di selezione.
Il diavolo, come spesso accade, sta nei dettagli.
Nella sua formulazione attuale, l’articolo prevede infatti una specie di tagliola per i vecchi concorsi: «Sono nulle le procedure concorsuali avviate in violazione degli obblighi di cui al presente comma e le successive eventuali assunzioni», recita la bozza.
Chi avesse appena superato un regolare concorso, stando alla lettera del decreto, perderebbe dunque il posto.
Cosa che non accadrà invece per chi è stato chiamato dagli attuali vertici delle diverse autorità senza un concorso pubblico e con un contratto “ad personam”, che potrà essere regolarizzato in pianta stabile con le procedure brevi che oggi vengono adottate in maniera molto diffusa.
Su questo aspetto, infatti, la riforma del ministro Madia nulla dice.
Se l’obiettivo dichiarato è quello di ridurre i costi — come prevede un altro comma dell’articolo, che prevede l’unificazione degli uffici amministrativi tra un minimo di almeno tre autorità indipendenti, in modo da garantire risparmi pari al 10 per cento dei costi attuali entro il 2015 — il risultato immediato appare dunque discutibile: fuori chi ha appena superato un concorso, dentro gli “amici degli amici”.
Luca Piana
(da “L’Espresso”)
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
POLEMICHE E PROTESTE SULLE “ALTERNATIVE IMPOSSIBILI” AL NAZIONALISTA BRITANNICO…POI GRILLO ATTACCA PIZZAROTTI CHE GLI RISPONDE. “NON SAI NEANCHE DI COSA PARLI”
Ha vinto il candidato senza (veri) concorrenti, quello di Grillo e Casaleggio. Primo con appena 23mila voti, su meno di 30 mila consensi espressi.
Questo il verdetto degli iscritti al blog del fondatore dell’M5S, che sul portale hanno scelto l’Efd di Nigel Farage come gruppo nel quale confluire nel Parlamento europeo.
Sarà alleanza con il leader del partito britannico Ukip, accusato in patria e fuori di xefonobia e sessismo. Un esito quasi inevitabile, per come era stata preparata la corsa.
Arrivato nel giorno in cui Grillo scaglia il milionesimo strale contro Federico Pizzarotti: “Risponda nel merito, perchè non ha indetto referendum per stabilire se Parma preferisce le penali o l’inceneritore come promesso?”.
Ma la prima pagina del giovedì dei 5 Stelle la prende comunque lui, Farage. Vincitore facile.
Gli iscritti chiamati al voto dalle 10.45 alle 19 avevano a disposizione solo altre due opzioni: l’Ecr, il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei di cui fa parte il premier britannico David Cameron, e quella “non iscritti”.
Ossia scegliere di rimanere soli, con chiaro contrapasso: “un’influenza limitata se non nulla sull’attività legislativa del Parlamento”, come precisava la scheda sul blog.
Poi basta. Niente Alde, il gruppo dei liberali. E soprattutto niente Verdi Europei, invocati da parecchi parlamentari e moltimeet up.
La certezza è che ha vinto lui, l’amico inglese, con 23121 voti. I non iscritti ne hanno preso 3533 voti, l’Ecr 2930. Dato importante, se confrontato con il post scriptum a fondo post: “Nel caso che la soluzione più votata non sia praticabile, sarà perseguita la successiva più votata”.
Tradotto , se Farage e l’Efd non riuscissero a formare il gruppo, a rigor di norma i 5 Stelle dovrebbero rassegnarsi a stare tra i non iscritti.
Dettaglio curioso: sul blog non è comparso il numero degli aventi diritto al voto. Eppure il 18 febbraio scorso, quando gli iscritti avevano “spedito” Grillo all’incontro in streaming con Renzi, il portale riferiva di 85404 aventi diritto.
Quella volta votarono oltre in 41 mila. E allora, nel gioco delle cifre scritte e dimenticate, rimane evidente la diserzione di una bella porzione della base.
In tanti non hanno voluto neppure scegliere. E in diversi hanno pure spiegato perchè, proprio sul blog, lamentando l’assenza dei Verdi o comunque “la mancanza di una rosa più ampia”.
Ma Farage sorride comunque. “Con Grillo faremo un dream team da incubo per Bruxelles, insieme ci divertiremo a fare un sacco di guai ai burocrati” esultava ieri sera.
Ma il leader dell’Ukip ha i suoi problemi. Con il sì dei 5 Stelle, l’Efd sale a 4 partiti di 4 nazioni diverse. Perchè si formi come gruppo, ha bisogno di altri 3 gruppi di 3 Paesi differenti. C’è tempo solo fino al 24 giugno.
E gli avversari sono tanti. L’Ecr di Cameron ha già soffiato a Farage due partiti (i Popolari danesi e i Finns finlandesi), Marine Le Pen è attivissima.
I gruppi si possono anche sciogliere e costituire in corso di legislatura.
Ma il purgatorio dei non iscritti sarebbe un brutto debutto.
Molti eurodeputati erano contrari alla soluzione Efd. Ora proveranno a gestire la situazione, mentre il capogruppo Ignazio Corrao è cauto: “Saremmo comunque liberi nel gruppo, su molte cose voteremo con i Verdi”.
Verdi che però sono furibondi: “Avevamo fatto bene a dubitare della buona fede di Grillo” sibilano da Green Italia. Le proteste più alte arrivano dai dissidenti del Movimento.
Il deputato Cristian Iannuzzi: “Sono avvilito per le modalità con le quali è gestito il portale del M5S. Spero che Grillo abbia l’umiltà ed il coraggio di tornare sui propri passi”.
Dura anche Giulia Sarti, che a voto aperto ha dichiarato: “Mi turo il naso e voto l’Ecr, nipotini di Churchill, solo per non far vincere Farage”.
Ma gli scontenti silenziosi sono tanti. Grillo però tira dritto. E se la prende ancora con Pizzarotti, invocando “risposte nel merito”.
Il sindaco non ritrae la gamba: “Caro Grillo, se mi avessi chiamato invece di scrivere, ti avrei spiegato che non esistono penali che permettono la chiusura dell’impianto, che è privato”.
Quindi, la chiosa: “A questo punto ti chiedo: vuoi continuare così, fidandoti di gente che vuole il male del Movimento, o vogliamo risolvere i problemi dei cittadini?”.
Lo scontro finale pare vicino, mentre si parla di una verifica di metà mandato per i sindaci M5S.
Molto simile a una botola per l’avversario di Parma.
(Luca De Carolis e Andrea Valdambrini
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
GRILLO E CASALEGGIO SEGUONO UNA PRECISA STRATEGIA: SPOSTARE A DESTRA IL MOVIMENTO PER COPRIRE LO SPAZIO LASCIATO LIBERO DAL BERLUSCONISMO IN CRISI
Trascinare a destra il Movimento 5 Stelle è l’azzardo politico con cui Grillo e Casaleggio confidano di poter sopravvivere al doppiaggio subito dal Partito Democratico lo scorso 25 maggio.
Occupare lo spazio lasciato libero dalla crisi del berlusconismo, monopolizzare la protesta euroscettica rintuzzando la risorgente concorrenza leghista.
Sono calcoli domestici di questa natura a spiegare una scelta che i due padri-padroni hanno perseguito fino in fondo, a costo di provocare lacerazioni in un elettorato per sua natura trasversale.
Il comico italiano che si affianca all’istrione britannico, lo ha fatto cercando accuratamente lo scandalo, il colpo di scena.
La propaganda di Nigel Farage contro gli immigrati e i musulmani, le sue uscite volgari contro i gay e contro la parità femminile, vengono minimizzate da Grillo quando sul blog deve rintuzzare le critiche.
Ma in realtà egli spera di giovarsene. Spera che Grillo-Farage divenga l’accoppiata grottesca ma devastante sul palcoscenico della crisi dell’Unione Europea.
Tutto fa brodo, dopo l’emorragia di quasi tre milioni di voti e la conseguente ingestione di Maalox, per rinnovare su scala continentale la scommessa antisistema fallita in Italia.
La parola magica è: euroscetticismo. Per questo dal referendum pilotato ieri sul blog sono stati anticipatamente esclusi i Verdi come possibile approdo grillino.
Il partito ambientalista ha per sua natura una fisionomia cosmopolita, europeista, sovranazionale, che lo rendeva inadatto a catalizzare la spinta reazionaria dei noeuro e dell’egoismo delle piccole patrie.
Una cultura green che Grillo rinnega, dopo che per anni l’aveva valorizzata nei suoi spettacoli, perchè trova più redditizio l’abbinamento col nuclearista britannico.
Quella operata ieri, ma preparata fin dal giorno successivo a un risultato elettorale che fa del M5S la principale forza d’opposizione, è una scelta di campo precisa e senza ritorno.
Se il Pd di Matteo Renzi occupa saldamente lo spazio riformista dell’innovazione politica, è da destra che Grillo ritiene di controbatterlo.
Optando con il reazionario Farage per l’ideologia dei popoli ribelli all’Unione, non da riformare ma da mandare a gambe per aria.
Un’alleanza spaccatutto, nelle intenzioni di chi la battezza sperando che l’architettura dell’Ue non regga questo passaggio difficile.
Il referendum online è stato una caricatura imbarazzante della cosiddetta democrazia della rete. Basta leggere le argomentazioni con cui si valorizzava l’alleanza con l’Ukip di Farage, rispetto all’unica altra ipotesi di alleanza ritenuta ammissibile: quella strampalata con i conservatori inglesi di Cameron.
Certo, una volta esclusa a priori l’alleanza coi Verdi, la terza opzione appariva come la più ragionevole: non iscriversi a nessun raggruppamento, mantenere la propria indipendenza. Nessuno infatti obbligava i grillini a apparentarsi nel Parlamento europeo.
L’argomento secondo cui ciò li avrebbe condannati all’irrilevanza non risulta coerente per un movimento che ostenta disinteresse alle poltrone e che, nel parlamento italiano, pretendeva addirittura di sedersi in tutta la parte alta dell’emiciclo pur di non schierarsi fra destra e sinistra.
Stavolta il M5S si è schierato, eccome.
A destra, al fianco di una destra che non si vergogna certo di definirsi tale.
Grillo e Casaleggio lo hanno fatto orientando sul voto per l’Efd 23 mila sostenitori su 29 mila partecipanti al referendum.
Ricordiamocelo, quando da quelle parti si lanciano proclami democratici, magari rivolti a un partito come il Pd che bene o male coinvolge nelle sue scelte fondamentali di leadership tre milioni di cittadini. 23 mila grillini, con tutto il rispetto, hanno “deciso” ieri la collocazione a destra di un movimento votato da circa sei milioni di cittadini.
Ma in realtà lo hanno deciso in due.
Gad Lerner
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
LA PROCURA DI MILANO INDAGA SU DIECI MILIONI DI EURO VERSATI AL PARTITO NEL 2011… BELSITO E BONNET ACUSANO TOSI E GOBBO DI AVER AVALLATO UN SISTEMA DI FINANZIAMENTO PARALLELO
Nel numero in edicola domani “l’Espresso” rivela che la Procura di Milano indaga da più di un anno su un giro di presunte tangenti che potrebbe collegare i vecchi e i nuovi vertici della Lega Nord.
Soldi sospetti, usciti dalla casse di multinazionali come la Siram, un colosso francese degli appalti di energia e calore, o di grandi aziende italiane come il gruppo statale Fincantieri.
Versamenti per almeno dieci milioni di euro, fatturati come consulenze considerate molto anomale, che risultano incassati da due distinte cordate di faccendieri e politici, tutti legati ai vertici del Carroccio in Veneto.
L’ex cassiere Francesco Belsito e il suo consulente Stefano Bonet hanno accusato proprio i big veneti del Carroccio, in particolare il sindaco di Verona, Flavio Tosi, e l’ex primo cittadino di Treviso, Giancarlo Gobbo, di aver quantomeno avallato un sistema di finanziamento parallelo ed esclusivo: un giro di soldi gestito da faccendieri ed ex parlamentari leghisti.
“L’Espresso” scrive che il primo a parlare di presunti «rapporti illeciti» tra Lega e Siram è stato proprio Belsito: «Bonet e Lombardelli mi dissero che la Lega del Veneto aveva chiesto denari, da versare a una società di Enrico Cavaliere (ex deputato del Carroccio ed ex presidente del consiglio regionale Veneto, ancora presente nel collegio dei probiviri del partito) e del suo socio, Claudio Giorgio Boni, come percentuale dei guadagni della Siram. Fui io a transare l’importo finale. Ho trattato personalmente con Boni, che mi disse che Cavaliere aveva avuto l’ok da Tosi a chiudere per un milione. Boni mi assicurò più volte che lui e Cavaliere agivano per conto del sindaco di Verona».
Belsito sostiene che nella Lega, almeno fino al 2011, sarebbero esistiti due livelli di finanziamento illecito, locale e nazionale (anzi, «federale»), come succedeva nei partiti della Prima Repubblica.
Il tesoriere doveva rivolgersi ai vertici proprio per capire a chi spettassero i soldi della Siram.
«L’autorizzazione a chiudere a un milione l’ho avuta direttamente da Bossi, che mi disse che era roba dei veneti», dichiara Belsito, che aggiunge: «Ne parlai anche con Gobbo e Zaia, che non fecero alcun commento, mentre Roberto Calderoli mi disse di stare tranquillo e non fare denuncia».
Nel settembre 2013, dopo tre mesi di carcere, anche Stefano Bonet vuota il sacco e aggiunge altri particolari: «L’ex onorevole Cavaliere e il suo socio ligure, Boni, erano importanti procacciatori d’affari per la Siram. Nel 2010 pretendevano due milioni dalla mia Polare. Fu la Siram ad accollarsi anche questa loro pretesa, per non compromettere i rapporti con la politica e i propri interessi nella sanità in Veneto. Cavaliere infatti era legato al sindaco Tosi e si occupava dei finanziamenti alla Lega. Questo mi fu riferito dagli stessi Cavaliere e Boni, di fronte a dirigenti della Siram».
Nelle sue confessioni, Bonet aggiunge che la Siram non poteva dire di no alla Lega Nord, perchè non voleva perdere due appalti colossali con la sanità veneta.
E a questo punto rivela di aver partecipato a un incontro delicatissimo nel municipio di Treviso: «Oltre a me, erano presenti due dirigenti della Siram e, per la Lega, Gianpaolo Gobbo, allora sindaco, Stefano Lombardelli (ex dirigente di Fincantieri, latitante da un anno) e Belsito. Lombardelli alla fine rimase solo con il sindaco e dopo l’incontro mi disse che era stata già concordata la somma di cinque milioni di euro per pagare la politica, e segnatamente Gobbo, perchè a Treviso non si muove nulla se la Lega non vuole».
La Siram proprio nel 2011, dopo una tornata di gare costellate di irregolarità e per questo durate tre anni, ha vinto davvero due maxi-appalti decennali per le forniture di calore agli ospedali veneti: l’Asl di Treviso si è impegnata a versarle ben 260 milioni di euro, quella di Venezia altri 241 milioni.
Paolo Biondani
(da “L’Espresso“)
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
TRA I FAVORI ANCHE UN POSTO BARCA PER IL GENERALE…CONTRO DI LUI CI SONO LE TESTIMONIANZE DI ALTI UFFICIALI
Hanno parlato. Offrendo ricordi, racconti, dettagli. Non solo imprenditori, ma anche alti ufficiali della Guardia di Finanza ora chiamano in causa il comandante generale in seconda delle Fiamme Gialle, Vito Bardi, indagato per corruzione a Napoli.
Una valanga che rischia di diventare la nuova “Mani pulite” della Guardia di Finanza
Si profila un vero e proprio “sistema” di corruzione molto più vasto, dietro il blitz della Procura che, dopo la perquisizione al Comando generale e l’arresto del colonnello Fabio Mendella – con l’accusa di avere intascato un milione di euro in tangenti dai due imprenditori, i fratelli Pizzicato – punta alle alte sfere.
Il comandante Bardi avrebbe chiesto «favori e utilità » a vari imprenditori, i cui nomi vengono secretati nelle carte dell’inchiesta, ma emergono da filoni già esplorati.
Tra i regali destinati al generale, ci sarebbero viaggi, soggiorni e «un posto barca ad Ostia».
Non solo. Dal decreto di perquisizione a carico di Bardi, trapela l’esigenza di blindare testimoni e fonti di prova, nel timore di «iniziative inquinanti» riconducibili al suo ruolo.
C’era una «rete di complicità », è dunque l’ipotesi del procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli e del pm Henry John Woodcock, che foraggiava le divise sporche.
A quasi sette anni dall’inchiesta sulla P4 che aprì i primi squarci sulle complicità nella Finanza, si delinea ora la filiera eccellente delle mazzette.
I colonnelli e altri quadri intermedi, alcuni dei quali già individuati come Mendella, sarebbero i collettori di tangenti; in cima, ecco il livello dei generali.
Oltre a Bardi, è indagato anche il suo predecessore – oggi in pensione, ma già inguaiato dallo scandalo del Mose, a Venezia – Emilio Spaziante, lo stesso generale che il 21 febbraio scorso si sarebbe incontrato, in piazza Euclide a Roma con il capitano che aveva diretto una verifica “sospetta” sulle società dei Pizzicato.
Nelle prossime ore non si esclude un incontro riservato tra i magistrati di Napoli e quelli di Venezia.
Tra le pagine delle intercettazioni, spunta anche un presunto giro di frequentazioni con donne, riferibile agli interessi di Mendella, anche se, per l’interpretazione dei pm, il termine è allusivo e potrebbe nascondere riferimenti ad altri personaggi.
«QUEL GENERALE PUà’ INQUINARE L’INCHIESTA»
Poche ma significative pagine. In cui il generale Bardi è descritto come fonte di possibile inquinamento dell’indagine.
Nel decreto di perquisizione a carico del comandante in seconda, è scritto: ci sono «diverse fonti testimoniali che hanno riferito sia dei rapporti di stretta vicinanza tra il colonnello Mendella e il generale Bardi, sia dei rapporti di familiarità del generale con imprenditori partenopei (e non), a loro volta oggetto delle indagini».
Un passaggio inedito e molto significativo conduce al contributo dato da alti ufficiali della Finanza: «Queste ultime circostanze sono state riferite anche da appartenenti alla Guardia di Finanza collocati ad alti livelli gerarchici sentite come persone informate sui fatti».
Ci sono colonnelli che chiamano in causa il generale: eppure non c’è alcuna traccia di nomi o di contesti.
Scrive la Procura: «Delle diverse fonti testimoniali si omette il riferimento nominativo per ragioni di cautela processuale, potendo le stesse essere oggetto di iniziative inquinanti, in ragione del ruolo rivestito da Bardi».
Lo stesso provvedimento lascia comprendere la vastità delle indagini sul generale e l’esistenza di altri filoni. «Altri soggetti – è ancora scritto nel decreto di perquisizione – hanno riferito di rapporti ispirati a richieste di favori di rilievo economico riguardanti il predetto Bardi».
«QUANDO BARDI CHIESE I FAVORI»
Indagini parallele si intrecciano con il filone Guardia di Finanza. In uno dei processi a carico di Valter Lavitola, quello per tentata estorsione ai danni di Impregilo, la Procura ha depositato un verbale dell’imprenditore Mauro Velocci, già citato negli atti sul progetto “Carceri modulari” a Panama.
Interrogato il 14 dicembre 2011, Velocci riferisce alcune confidenze ricevute da un altro imprenditore, Angelo Capriotti, che asseriva di avere “al soldo” alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine.
E quando i pm gli chiedono in particolare di rapporti di Capriotti con ufficiali della Guardia di Finanza, Velocci tira in ballo il generale Vito Bardi, al quale Capriotti aveva chiesto di interessarsi a un esposto presentato da una loro società .
E aggiunge: «Dopo qualche tempo, Capriotti mi riferì che il generale Bardi gli aveva fatto delle richieste “strane”, ovvero richieste di utilità , se non sbaglio riferite all’acquisto o alla locazione di un posto barca ad Ostia».
Un computer e alcuni atti e documenti sono stati prelevati da uffici e dalla casa del generale, all’esito della perquisizione condotta dalla Digos di Napoli e dagli stessi finanzieri della Tributaria di Roma.
Intanto l’avvocato Vincenzo Siniscalchi, difensore di Bardi, sottolinea: «Il generale, pur nell’amarezza di queste ore, manifesta la sua intenzione di chiarire ogni aspetto e di mettersi a disposizione degli inquirenti, ribadendo l’assoluta fiducia nel loro lavoro e della giustizia».
D’AVANZO E I SUOI AMICI GENERALI
C’è un’altra vicenda di verifiche fiscali ritenute “anomale” che porterebbero dritte al colonnello Mendella e al generale Bardi. Sono i controlli sul gruppo imprenditoriale di Achille D’Avanzo, il patron della “Solido Property”.
Costui, titolare di numerosi immobili affittati alla Guardia di Finanza, è amico non solo di Mendella e del generale Bardi, ma anche dell’ex capo del Sismi Niccolò Pollari.
Proprio a Pollari, D’Avanzo aveva venduto un ampio e prestigioso appartamento a Campo de’ Fiori a Roma.
Alla Finanza di Napoli, lo stesso D’Avanzo aveva fittato un edificio come caserma: affari al centro di un’indagine, poi archiviata a Roma.
I sospetti di oggi, invece, si concentrano sui possibili favori fiscali che hanno riguardato le sue società . In particolare, colpisce l’analogia: così come gli imprenditori Pizzicato (che hanno detto di aver versato un milione di euro), anche D’Avanzo trasferì la sede delle imprese campane a Roma e lì, nella capitale, furono disposti nuovi accertamenti fiscali. Ma i legali della holding inviano una nota per dire: «le società hanno sede a Roma fin dal 2004».
Dagli atti, in ogni caso, emerge una «indubbia contiguità » tra D’Avanzo e ambienti della Finanza, come emerge da alcune dichiarazioni dell’ex deputato Pdl Marco Milanese, l’ex consigliere politico dell’allora ministro Giulio Tremonti.
Due ex eccellenti che potrebbero raccontare i retroscena di una stagione di potere, ormai in declino.
Dario Del Porto e Conchita Sannino
(da “La Repubblica”)
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
E MARINA ORA LO BLINDA: LA FIGLIA GUIDA IL CERCHIO MAGICO… SOTTO TIRO FINISCE GHEDINI
Silvio Berlusconi è scomparso dai radar della politica. E non è uno degli inabissamenti dei suoi.
Per la prima volta – a differenza di quanto avvenuto dopo la sconfitta alle Politiche 2006 – non è lui a decidere la temporanea eclissi, l’ex Cavaliere si ritrova fuori dalla scena, altri decidono per lui, dentro e fuori il partito.
Fuori, un altro leader (40 anni meno) lo oscura, dentro, un gruppo ristretto che fa capo a Marina gli ha costruito intorno una sorta di cordone sanitario.
«Dalla politica ho ricevuto solo delusioni e amarezze, è uno di quei momenti in cui manderei tutti a quel paese» ha confidato in uno degli ultimi pranzi coi figli ad Arcore allargati a pochi fidati.
La «voglia di mollare tutto» poi rientra, torna quella di rivedere Renzi, strappare l’ennesima legittimazione a dispetto dei servizi sociali ai quali è condannato.
Ma il nuovo faccia a faccia torna in forse. Il fatto è che il leader di Forza Italia ha accusato il colpo delle Europee, racconta chi lo circonda, è stata per lui la materializzazione in percentuale – il più basso di sempre, quel 16,8 – dello spettro che lo terrorizzava: gli elettori che gli voltano le spalle.
Il vecchio brand, il vecchio copione, le vecchie battute che non funzionano più.
«Il vero problema è che da questa crisi stavolta non sa come uscirne » spiega uno dei più alti in grado. Così succede che sulle riforme istituzionali lasci quasi in asso gli ospiti, invitati a cena per parlarne mercoledì a Palazzo Grazioli.
Liquidati, i vari Brunetta, Romani, Toti, Gelmini, con un vago «aspettiamo di capire cosa vuol fare Renzi, a me di questi tecnicismi non frega nulla ».
Ma anche sul partito tutto resta fermo. Berlusconi è intenzionato a non cedere a Raffaele Fitto e al gruppo che lo segue rivendicando primarie e «svolta democratica». Dopo lo strappo di Alfano e le nuove fibrillazioni, l’ex premier si è convinto di aver allevato «per lo più traditori e opportunisti ».
L’ufficio di presidenza chiesto per una resa dei conti post voto non sarà convocato nemmeno la prossima settimana, «lasciamoli sbollire, non possiamo darla loro vinta» si sfogava quella stessa sera Berlusconi, intenzionto a rinviare l’affare spinoso a dopo l’estate.
Sempre che il giocattolo non gli esploda prima tra le mani. Poche o nulle le novità anche nella riunione con tutti i coordinatori regionali invitati ieri a Grazioli, salvo il solito talent scout da far partire a livello locale alla disperata ricerca di volti nuovi.
Già , ma allora come trascorre la sua giornata, chiuso nella “prigione dorata” in Brianza dal venerdì al lunedì e a Roma da martedì a giovedì, come gli impone la sentenza?
Gli incontri con altri esponenti del partito sono ridotti al lumicino. Chiusa la campagna elettorale, il capo ha staccato la spina e si è gettato a capofitto sui due pezzi pregiati dell’impero.
Mediaset, con la delicatissima trattativa in corso con Al Jazeera per il pacchetto Premium, un affare da oltre 300 milioni di euro.
E poi Milan, l’altro spicchio di cuore, con la laboriosa sostituzione dell’allenatore Seedorf con Inzaghi. Quel che preoccupa i fedelissimi rimasti al suo fianco – in lotta per trascinarlo nelle cose della politica – è l’ up and down repentino dei suoi stati d’animo.
Anche nei colloqui privati il leader «in certi momenti sembra assentarsi del tutto» spiegano con apprensione alcuni frequentatori di Palazzo Grazioli.
È uno dei motivi, ma non certo l’unico, che ha indotto la famiglia a blindare il “patriarca” in questo suo lungo autunno.
Le donne che compongono il famoso “cerchio magico” sono accomunate dal rapporto con la primogenita Marina. È a lei che fanno riferimento la giovane fidanzata Francesca Pascale e la «superbadante», come viene chiamata, Maria Rosaria Rossi.
Il duo – allargato all’assistente Alessia Ardesi, ormai anche lei sempre a “corte” – ha stretto un patto di ferro con la presidentessa Fininvest-Mondadori.
La missione è piuttosto basic ma delicata: tenerlo lontano da guai e incidenti che hanno costellato gli ultimi dieci anni.
Una mission in cui le due si prodigano con piglio militare. Fino all’isolamento, ad Arcore come a Roma. Gli unici del partito ammessi senza filtri sono il consigliere Toti, il coordinatore lombardo Gelmini, il capogruppo Romani, la portavoce Bergamini, la ex europarlamentare Ronzulli.
Pochi altri. Tra le famose “cerchiste” è la Rossi a dirigere il traffico in entrata ai centralini: ormai anche chi era habituè in casa, fa fatica.
Denis Verdini non vanta più il rapporto di una volta, Gianni Letta è caduto in un cono d’ombra, sono solo alcuni dei nomi.
La senatrice ha talmente scalato i gradini della “reggia” da aver determinato il clamoroso allontanamento della segretaria di sempre, Marinella Brambilla, ora passata alle dipendenze dell’ultimo figlio, Luigi.
Clamoroso perchè stava al fianco dell’ex Cavaliere dall’età di 18 anni, discreta e riservata come deve esserlo chi conserva i segreti di una vita del principale.
La mission che Marina avrebbe impartito ora alle “ragazze” è perfino più ardua: recidere il cordone che lega il padre all’avvocato Niccolò Ghedini: non solo perchè inamovibile da Arcore, ma anche perchè regista di strategie processuali rivelatesi in alcuni casi «fallimentari».
Quanto alla primogenita, tutto governa e controlla e a dispetto delle smentite del padre («Basta parlarne »), dopo il passo indietro di Barbara, resta pronta «in caso di emergenza».
Per quel giorno più o meno lontano, che coinciderà con le Politiche, sta cercando di farsi trovare pronta.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Giugno 13th, 2014 Riccardo Fucile
ITALIA, PAESE TUTTI TUTTI RESPINGONO GLI ADDEBITI MA ACCETTANO GLI ACCREDITI
Il giorno del suo arresto, il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni non parlò, affidandosi a una dichiarazione dei suoi legali, già entrata nella leggenda: “La difesa del professor Orsoni esprime preoccupazione per l’iniziativa assunta (dai magistrati, ndr) e confida in un tempestivo chiarimento… Le circostanze contestate paiono poco credibili: gli si attribuiscono condotte non compatibili col suo ruolo e il suo stile di vita. Le accuse vengono da soggetti già sottoposti a indagini, nei confronti dei quali verranno assunte le dovute iniziative”.
Cioè: Orsoni è innocente; non ha mai visto uno solo dei 560 mila euro di finanziamenti illeciti dal pubblico Consorzio Venezia Nuova (concessionario del Mose e dominus di tutti gli appalti); e ad accusarlo sono un branco di delinquenti che verranno denunciati per calunnia.
Del resto, prim’ancora che parlassero i difensori, era sceso in campo l’avvocato d’ufficio Piero Fassino, sindaco di Torino e presidente dell’Anci, noto per il fiuto da rabdomante:
“Chiunque conosca Giorgio Orsoni e la sua storia personale e professionale non può dubitare della sua correttezza e onestà ”.
Tre giorni dopo Orsoni apparve dinanzi al Gip per l’interrogatorio di garanzia e lì — assicurarono i legali — rilasciò “dichiarazioni molto lucide, tranquille e serene con le quali ha dichiarato che non riconosce alcun addebito di responsabilità e si propone di dimostrarlo attraverso indagini difensive e integrazioni della documentazione della Procura”.
Dopodichè, oplà : nel breve volgere di un paio di giorni, il sindaco estraneo e sereno, anzi Serenissimo, rinuncia alle indagini difensive e anche alle integrazioni, confessa il finanziamento illecito e chiede alla Procura di patteggiare una pena di 4 mesi di reclusione e 15 mila euro di multa in cambio della scarcerazione e della revoca della sospensione dalla carica in base alla legge Severino.
Così torna a fare il sindaco, perchè Venezia ha ancora tanto bisogno di lui.
La sua tesi è che, sì, a pensarci bene, quei soldi illeciti per diventare sindaco li ha ricevuti, ma obtorto collo, perchè costretto dal Pd (al quale non è neppure iscritto): “E’ stata una campagna elettorale ‘chiavi in mano’, io facevo quello che diceva il Pd: vennero da me tre esponenti del partito per chiedermi di rivolgermi agli ‘sponsor’ per avere contributi, perchè Brunetta aveva tanti soldi”.
I soldi arrivarono, ma non a lui: al Pd per la sua campagna elettorale, e lui non poteva certo sospettare che fossero illeciti.
In fondo come può un umile avvocato, giurista e docente di Diritto amministrativo sapere che la legge proibisce alle società pubbliche o miste (tipo il consorzio Venezia Nuova)di finanziare i partiti, e che i finanziamenti leciti da imprese private vanno rendicontati sia da chi li eroga sia da chi li riceve?
Se insegnasse logica, saprebbe almeno che la versione A “sono estraneo, non ho mai visto un euro” è lievemente incompatibile con la versione B “il partito mi costrinse a chiedere quei soldi”, a sua volta leggermente in contrasto con la versione C “i soldi andarono al partito a mia insaputa”.
Ma lui insegna Diritto e non è tenuto alla logica.
Resta da capire perchè mai un professore così corretto, un amministratore così ignaro, per giunta sereno anzi Serenissimo, munito financo del certificato di onestà e correttezza rilasciato da Fassino in persona, abbia deciso di patteggiare una pena detentiva per aver violato la legge.
Ma il bello viene ora che torna a fare il sindaco.
Renzi, quello del Daspo e dei calci nel sedere ai ladri, non può espellerlo dal Pd perchè non è iscritto al Pd.
Però potrebbe farlo sfiduciare dal Pd, visto che ha confessato un reato: a meno che il premier non attenda che il Gip approvi la pena concordata da Orsoni con i pm o che Orsoni ricorra in Cassazione contro il suo patteggiamento (si può fare anche questo, in Italia).
Intanto magari Fassino ci spiegherà che nessuno, anche se ha confessato e patteggiato, “può dubitare della correttezza e onestà ” di Orsoni.
Del resto a Greganti, tre volte arrestato e tre condannato, il Pd torinese aveva ridato la tessera, ad honorem.
Cose che cà pitano nel Paese dove tutti respingono ogni addebito, ma accettano ogni accredito.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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