Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
PARLA IL FONDATORE DEL MENSILE SATIRICO LIVORNESE, DOVE LA “TOPA” E IL “PISANO DI MERDA” SONO DEI MUST
“Che botta! Boia che batosta. Oh, ma qui non ha perso la sinistra, ma il consociativismo democristiano”.
Parola di Mario Cardinali, 77 anni, al secolo mister Vernacoliere: è lui il fondatore e ideatore del mensile satirico più famoso e scurrile d’Italia, dove la “topa” e il “pisano di merda” sono dei must imprescindibili.
Quindi soddisfatto…
Molto, alla faccia delle larghe intese volute da quel Renzi con il condannato
Ecco il suo antiberlusconismo.
Ma scherziamo!? Questo atteggiamento al “volemose bene”, “andiamo avanti”, “aspetta che vengo ad Arcore, un pasticcino?” Ma per favore! E poi parlano di ideologia morta…
Nessuna ideologia.
Nessuna, hanno cancellato tutto. Ma ha contato molto la crisi… Prima ognuno tirava fuori il suo pane quotidiano, ora no.
Renzi non le piace proprio.
No dico, ma lo vede? Con quella faccia a culo da fiorentino saputello. Piuttosto cerco la speranza nei giovani.
Renzi non è proprio un vecchio.
Non lo vede vecchio? Allora cambi occhiali, lei non ci vede bene! Renzi è il vero Gattopardo, un Gattopardo che si è permesso di infangare la nostra storia di sinistra.
Anche Nogarin non si dichiara di sinistra.
Io voglio i giovani, voglio la speranza, voglio poter cancellare questo atteggiamento livornese dove tutto era deciso da prima, tutto già distribuito, mentre la gente sta con le pezze sul sedere. Io ho votato Nogarin al secondo turno.
Prossimo titolo del Vernacoliere?
Ci devo pensare, mancano ancora venti giorni. Ma ora c’è da divertirsi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO LA PUBBLICAZIONE SUL SITO DEL PARTITO DI UN VIDEO ANTISEMITA DEL VECCHIO FONDATORE, LA FIGLIA SI RIBELLA… SE IN ITALIA IL “TRADITORE” E’ FINI, PER LA MELONI E GLI EX AN LA TRADITRICE DOVREBBE ESSERE LA LORO ALLEATA MARINE
Le Pen padre contro Le Pen figlia, si acuisce lo scontro tra il fondatore del Front National, Jean-Marie e la figlia Marine, protagonisti di uno psicodramma politico-familiare senza precedenti nella storia del partito.
Ieri, per la prima volta, la figlia si è scagliata con forza contro una battuta dalle forti connotazioni razziste e antisemite del padre ottantacinquenne, che a fine maggio è stato rieletto per un terzo mandato all’Europarlamento di Strasburgo.
In un video pubblicato sul sito del Front National – che nel frattempo Marine ha fatto rimuovere – l’anziano politico attaccava numerosi artisti che hanno preso posizione contro il Fn: tra loro la cantante Madonna, l’umorista Guy Bedos, il campione di tennis Yannick Noah e il popolarissimo cantante di origini ebraiche, Patick Bruel, campione di vendite in Francia.
Le critiche di Bruel? “La prossima volta ne faremo un’infornata…”, commentava soddisfatto Jean-Marie Le Pen, suscitando shock e indignazione in tutto il Paese. Tanto che il governo socialista di Francois Hollande ha chiesto di procedere alla sua espulsione dal partito.
Ma questa volta a reagire in modo inedito è stata anche la bionda Marine, da tempo impegnata nel ripulire l’immagine del partito.
Vista “la lunghissima esperienza politica di Jean-Marie Le Pen, non aver saputo vedere in anticipo l’interpretazione che sarebbe stata fatta di quella formulazione è un errore politico di cui il Front National subisce le conseguenze”, ha tuonato la Le Pen, forte del suo risultato nelle elezioni europee, dove il Fn si affermato come primo partito di Francia.
La risposta del padre non si è fatta attendere: “Considero che l’errore politico sia di quelli che si sono allineati al pensiero unico”.
E ancora: “Vorrebbero assomigliare agli altri partiti politici. Se questo è il desiderio di un certo numero di dirigenti del Fn, ci sono riusciti. Sono loro che hanno fatto un errore politico, non io”, ha proseguito Jean-Marie intervistato questa mattina da radio RMC, in quello che è un chiaro monito contro la linea politica della figlia.
Condannando per la prima volta le parole del padre, Marine compie una tappa supplementare nella sua strategia di rinnovamento dell’immagine del partito, ponendosi inoltre come vero ed unico capo, forte dell’exploit nel voto Ue.
La presidente del Fn, che ha già qualificato la Shoah come il “massimo della barbarie” (mentre il padre è stato condannato per aver definito le camere a gas “un dettaglio della storia”) non può più permettersi di tollerare le provocazioni di papà .
Motivo? Minacciano pesantemente le sue ambizioni per le elezioni presidenziali del 2017 e ostacolano la sua volontà di formare, insieme agli altri euroscettici d’Europa, un gruppo indipendente al Parlamento di Strasburgo.
Per la proprietà transitiva, sembra di ritornare alle accuse di “traditore” che certi ex An hanno rivolto a Fini (quando, per inciso, Fini l’ha sempre pensata in un certo modo fin da quando Almirante lo impose come suo erede).
Una situazione imbarazzante per la ditta Meloni & associati: in questo caso parrebbe evidente che dovrebbero indicare Marine come traditrice del FN delle origini.
Ma allora perchè si sono alleati con lei?
Beh, se sono duri e puri, fanno sempre in tempo a giurare fedeltà a Jean Marie…
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Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
CARFAGNA: “RISCHIAMO L’OBLIO”… CONTESTATO L’ASSE DI FERRO CON LA LEGA
Silvio Berlusconi non ci gira intorno, la chiama «sconfitta», anche se non disfatta.
Ma lo fa coi suoi, stavolta nemmeno un comunicato per commentare il bottino del resto magro, che porta al partito in senso stretto il solo grosso comune di Perugia.
«Lo sapevo, tutta colpa delle liti di queste settimane, i nostri elettori non ne possono più, ci vuole una rivoluzione, altro che primarie», è stato il primo commento a caldo.
Sta di fatto che Forza Italia torna in ebollizione come un vulcano pronto a esplodere, la tregua di dieci giorni è già finita.
Fitto e Carfagna alzano la voce, invocano un chiarimento e una ripartenza. Che però non ci sarà . Non oggi.
Il leader vuole anestetizzare tutto, almeno per qualche giorno, evitare proprio la temuta esplosione, che la situazione gli sfugga di mano.
Tant’è che l’ufficio di presidenza convocato per oggi alle 14 resta confermato, ma da Arcore fanno sapere che il «presidente non ci sarà », resterà a Milano come ieri, alle prese con la trattativa Mediaset-Al Jazeera e col Milan.
L’appuntamento, dunque, ruoterà giusto attorno all’approvazione del bilancio (prima quello del Pdl poi di Fi).
L’attesa resa dei conti? Se ne dovrebbe parlare la prossima settimana, tra martedì e mercoledì, fanno sapere col condizionale dalla sede di San Lorenzo in Lucina.
I più schietti tra i dirigenti vicini al capo lo descrivono «infuriato» per come sono andate le cose.
Padova conquistata ma ad appannaggio della Lega, Potenza ai Fratelli d’Italia, il pallottoliere finale inequivocabile, con quel 20 a 8 per il centrosinistra.
«Deluso» lo è l’ex Cavaliere tanto per cominciare per la figuraccia rimediata dal rampante Alessandro Cattaneo a Pavia, dopo che su di lui e Giovanni Toti aveva investito per «reclutare mille volti nuovi» in giro per l’Italia.
Anche se in serata circolava la voce, forse più una provocazione, che vorrebbe Berlusconi in procinto di nominare l’aspirante “anti-Renzi” quale vice-consigliere politico, al fianco di Toti. Sarebbe come mettere le dita negli occhi a Fitto e agli altri che attendono ben altre risposte.
«A quel punto sì che salterebbe tutto per aria» si sfoga una parlamentare frondista. Quel che è certo, è che il leader forzista addebita la sconfitta proprio a Fitto, alla Carfagna e al loro gruppo.
«Colpa anche loro, hanno dato l’immagine di un partito in guerra al proprio interno, mentre i nostri candidati erano ancora in corsa per i ballottaggi, la gente non ne può più di liti» è il commento adirato del capo.
Disposto per ciò ancor meno ad aprire confronti e dibattiti interni. La voglia è piuttosto di «radere tutto» al suolo, per ricominciare
Per lui l’accordo con la Lega regge, nonostante la batosta soprattutto nelle roccaforti del Piemonte e della Lombardia.
Gli altri al contrario sono pronti a chiedere conto proprio dell’abbraccio con Salvini (alleato della Le Pen) prima del secondo turno, con tanto di firma dei referendum.
I deputati meridionali in rotta vogliono aprire il capitolo in ufficio di presidenza.
Non solo meridionali, se anche Laura Ravetto ammette: «Non siamo andati bene, soprattutto al Nord, occorre rinnovamento, ma partendo dalla base».
La lettura del braccio destro del leader, Giovanni Toti chiama in causa le inchieste, «è innegabile che abbiano avuto un loro peso, ma resta la necessità di ripartire, Fi da sola non ce la può fare e c’è bisogno di nuove alleanze».
La questione morale insomma entra nel dibattito berlusconiano ed è la prima volta. §Anche la Santanchè ne parla: «I partiti che sono rimasti lontani dalla vicenda Mose sono stati avvantaggiati».
Fitto, incassata la vittoria a Potenza e Foggia, annulla la manifestazione già convocata per sabato a Napoli per evitare la sovrapposizione con quella organizzata (dopo) dal coordinatore locale De Siano con Toti.
«Farò prevalere il senso di responsabilità , gli elettori ci chiedono unità » scrive lamentando anche il mancato invito.
I nemici dicono che starebbe già lavorando a “Forza Sud”. Lui nega. Con lui, anche Mara Carfagna invoca unità : «Rischiamo l’oblio, bisogna cambiare ora, per onorare la nostra storia ».
La resa dei conti è solo rinviata.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
“SILVIO MI HA CHIAMATO, E’ DISPIACIUTO”… MARTEDI’ L’UFFICIO DI PRESIDENZA DI FORZA ITALIA
Niente sa essere beffardo come la politica. E crudele. Di certo, Alessandro Cattaneo la penserà così per tutta la vita.
Lui, ex sindaco di Pavia a 35 anni, battuto a sorpresa da Massimo Depaoli, professore di liceo, che correva nelle liste democratiche.
Un autentico choc. E poco può consolarlo il fatto che ovunque guardi in Lombardia, trova un paesaggio politico cambiato: dove per decenni sventolavano le bandiere del centrodestra, ora ci sono nuove amministrazioni dell’opposta sponda che iniziano a prendere le misure.
Ma qui sembrava impossibile. Perchè Cattaneo era il vincitore certo. Giovane nella nuova era della politica giovane, soltanto nel gennaio scorso, soltanto cinque mesi fa, era stato eletto a furor di popolo il sindaco più amato d’Italia.
L’indagine di Ipr marketing per il Sole 24ore gli aveva attribuito un gradimento del 67 per cento.
E poi al primo turno aveva staccato di 10 punti l’avversario. E poi dava risalto nazionale a Pavia da quando era salito alla ribalta come portavoce dei «formattatori» del Pdl, i giovani che volevano che il partito si aprisse a un maggior ascolto della base. «Beh, direi proprio che l’esperienza di queste elezioni dimostra proprio che il partito resta ancora da radicare».
Di analisi, Cattaneo per il momento non ne fa: «Che cosa le devo dire? È la dimostrazione che una cosa è rispondere a un sondaggio, un’altra cosa è farsi votare in un rovente secondo turno a scuole chiuse».
Normale, però, che sia stata una brutta delusione: «Normale… – osserva Cattaneo – Sì, normale. Dall’altra parte però mi chiedo che cosa avrei dovuto fare. E la risposta è che ho la coscienza a posto, ho fatto tutto quello che potevo».
E in effetti, il centrodestra ora si lecca le ferite in tutta la Lombardia. Che era con il Veneto la roccaforte del centrodestra, e ora ha dato Bergamo, Cremona e Pavia ai Democratici.
Come la stragrande maggioranza dei comuni dell’hinterland milanese. Persino i comuni della bianca Brianza ora guardano a sinistra. «Ma sì, credo che siano stagioni storiche. E poi, gli elettorati. Un sacco di gente mi diceva “Sei bravo, il migliore che abbiamo avuto. Però, io sono di sinistra e voterò a sinistra”.
Mentre quelli di centrodestra mi dicono “sei bravo, ma stamattina c’era un cestino gettacarte pieno. E quindi non ti voto”».
Ma il cambio di stagione a Pavia non si sentiva? «Io ho cominciato a preoccuparmi con le Europee, con il Pd al 42% e Forza Italia al 17%. Inevitabile il pensare che qualche influsso ci sarebbe stato anche a Pavia».
Silvio Berlusconi si è fatto sentire: «Sì, in effetti era abbastanza dispiaciuto anche lui, proprio per il quadro complessivo che è emerso da queste elezioni. Ma avremo tempo per parlarne domani (oggi) durante l’ufficio di presidenza di Forza Italia».
Sì perchè Cattaneo, oltre ad essere il vicepresidente dell’Anci è anche uno dei componenti dell’ufficio di presidenza del partito.
Ma oggi Cattaneo non vuole recriminare. Certo, ribadisce che «di un partito c’è bisogno. Altrimenti la gente se ne va in spiaggia. E poi, purtroppo da noi c’è stato un certo calo della Lega, che al primo turno ha preso soltanto il 6 per cento».
E così, l’ex sindaco sarà il rappresentante dell’opposizione in consiglio comunale. Eppure, ancora deve capire: «Lei provi a fare un giro per Pavia. Non avrà la sensazione di un’aria così cambiata. Ho visto un servizio in televisione in cui su dieci cittadini interpellati, otto parlavano bene del mio mandato».
Ma allora che cosa è? «È questa rabbia, questo clima incredibile di ostilità . Un tempo, l’essere il sindaco uscente era un indubbio vantaggio. Oggi, è il contrario. È diventato un handicap».
Cattaneo si ferma un attimo: «Prenda Andrea Romizi a Perugia. La sua vittoria è un bel segnale per noi. Ma io credo che anche per lui abbia vinto la logica del voto contro, figlio di un clima incredibile da caccia alle streghe. Con continue recriminazioni da parte di chi poi nemmeno vota».
Marco Cremonesi
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
SODDISFAZIONE PER I CAPOLUOGHI CONQUISTATI, MA PESANO LE SCONFITTE DI LIVORNO E PERUGIA
«Il risultato delle elezioni è una vittoria straordinaria, strepitosa. Io prima del voto ci avrei messo la firma». Matteo Renzi è volato in Vietnam, in missione asiatica, e così gli tocca commentare i risultati del voto di domenica al telefono.
E non riesce a nascondere la soddisfazione. Perchè aveva detto che si sarebbe vinto se si fossero conquistati 20 capoluoghi di provincia.
E ieri, con la vittoria a Caltanissetta, strappata al centrodestra, l’obiettivo è stato raggiunto. E a completare il successo siciliano il Pd conquista altri 4 comuni sugli otto in ballo. Mentre a Bagheria, grosso centro alle porte di Palermo, il giovane candidato grillino Patrizio Cinque (28 anni) batte l’altrettanto giovane (32 anni) uomo del Pd Daniela Vella.
Ma il premier sa che non si può nascondere dietro una valutazione soltanto quantitativa.
Perchè il Pd ha cedute alcune piazze di grande valore simbolico. A partire da Livorno, passata ai grillini. E allora dice ai suoi che il voto «segna la fine delle posizioni di rendita elettorale.
“È finito — spiega — il tempo in cui qualcuno sa che in quel posto lì vince di sicuro». Aggiunge però che se è vero che abbiamo perso in alcuni comuni, «è insostenibile» affermare che le sconfitte di Livorno Perugia, Padova o Potenza, segnano un arretramento del Pd.
Ma queste sono sconfitte che bruciano e hanno riacceso il dibattito nel Pd fra vecchia e nuova guardia.
Il premier però non vuole affogare quello che considera un quasi trionfo nelle beghe interne di partito.
E sul dibattito sulle responsabilità avverte i suoi che «sarebbe sbagliato» aprire una discussione interna al Pd sul risultato: a vincere è stato tutto il partito, che è riuscito a vincere in Piemonte e in Abruzzo e a conquistare 20 Comuni su 27. Sulle sconfitte, prosegue Renzi, «ci faremo qualche domanda in più».
Ma, conclude, non è che se uno sta vincendo 20 a 0 e poi prende il 20 a 1, comincia a dare la colpa al difensore, al fuorigioco o al portiere: sempre di un «trionfo straordinario si tratta».
Dunque il segretario del Pd, anche in vista dell’Assemblea nazionale di sabato, ha un approccio soft verso la minoranza.
Pier Luigi Bersani dal canto suo, non alza i toni dello scontro: «La situazione va studiata a fondo. — dice l’ex segretario — In generale il Pd e il centrosinistra sono avanzati anche stavolta perchè abbiamo conquistato una trentina di Comuni in più. Ma ci sono delle spine, dei problemi. E Livorno è uno di questi».
E che il Pd sia in effetti andato avanti lo dimostrano tutta una serie di vittorie.
Per esempio quelle di Sanremo e di Ventimiglia, feudi da Claudio Scajola.
Nella seconda città è stato eletto sindaco, dopo una spettacolare rimonta, Enrico Ioculano, un ragazzo di 28 anni.
Silvio Buzzanca
(da “La Repubblica”)
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Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
DAL CONSORZIO DEL MOSE UN FIUME DI DENARO BIPARTISAN ANCHE PER FINANZIARE LE SINGOLE CAMPAGNE ELETTORALI: LE AMMISSIONI DI BAITA
È un mare magnum di imbrogli e di mazzette.
Ce n’è per tutti, centro sinistra, centro destra. Milioni di euro di tangenti e di “finanziamenti” a singoli politici, soprattutto ed anche, ai partiti.
Un malaffare che durava da anni e che coinvolge il Consorzio del Mose sempre pronto a creare fondi neri proprio per ingraziarsi i politici, regionali e nazionali. «Abbiamo dato soldi – mette a verbale Piergiorgio Baita, braccio destro del “supremo “ Giovanni Mazzacurati, nel corso dei suoi 5 interrogatori – a Forza Italia, al Pdl milanese, a Giancarlo Galan, Niccolò Ghedini, Renato Brunetta, Pietro Lunardi, Altero Matteoli, Giorgio Orsoni».
Dichiarazioni che scuotono i palazzi del potere romani
Ecco cosa racconta a proposito del Pdl e della pratica, ormai chiara, della “retrocessione”, cioè lo storno di somme dai bilanci attraverso le sovraffatturazioni: «Le richieste del Consorzio Venezia nuova continuavano ad aumentare. Si è presentata la società Bmc, con la quale eravamo venuti in contatto per una questione di sostegno elettorale alla campagna del governatore Galan, dicendoci che, oltre a fare le prestazioni di pubbliche relazioni, immagini e altre cose, loro erano in grado di retrocedere somme in nero, mestiere che facevano normalmente per tutto l’entourage politico del Pdl milanese, allora non so se si chiamasse Forza Italia o quello che era. Tanto è vero che si presentarono accreditate dal segretario regionale del partito, che a quel tempo era l’avvocato Ghedini. Quindi in quel momento, 2005-2006, cominciammo ad integrare le retrocessioni derivanti dal sasso (un tipo di lavori effettuati sul Mose) con le retrocessioni derivanti dal rapporto con Bmc. Questo fino al 2010»
E poi c’erano le elezioni. «Abbiamo sempre pagato le campagne elettorali a un sacco di gente», confessa Baita, «ogni volta era un salasso… e l’ingegner Mazzacurati proponeva un budget di fondi neri per ogni competizione, politiche, regionali, comunali».
La spartizione, ricorda l’ex amministratore delegato della Mantovani, «creava difficoltà al Consorzio Venezia Nuova ed alla nostra impresa, che è tra i principali soci, perchè qualche candidato del partito disponeva di più mezzi di altri, perchè pagavamo tutti ma non pagavamo i partiti, e questo ha creato non pochi malumori a livello di segreterie dei partiti, perchè questi non vedevano arrivare una lira, così che alcuni candidati riuscivano anche ad imporsi all’interno del proprio partito». La linea imposta da Mazzacurati era dunque chiara: «Non pagare i partiti, ma le singole persone che avessero avuto una probabilità di vincere per diventare deputati, sindaci ed altro…»
Baita, negli interrogatori, passa al dettaglio.
«Ho pagato come socio la campagna elettorale delle regionali del 2005 consegnando 200 mila euro alla signora Minutillo, che lavorava col Presidente Galan, come contributo elettorale. Glieli ho consegnati all’Hotel Santa Chiara di piazzale Roma a Venezia».
Quindi i “contributi” al sindaco di Venezia Orsoni che il Consorzio sosteneva e che fecero «arrabbiare tanto» il senatore Renato Brunetta: «Abbiamo sostenuto una serie di costi elettorali per Brunetta, ma non gli ho dato soldi in contanti».
Ed aggiunge: «So che l’ultima campagna elettorale il Consorzio ha chiesto 250 mila euro di budget. Il candidato su cui aveva puntato in modo preciso era Orsoni».
Ci sono anche i “contributi” all’ex ministro Matteoli, prima all’Ambiente e poi alle Infrastrutture.
Secondo Baita i soldi a Matteoli arrivano attraverso l’imprenditore romano Erasmo Cinque che «sui lavori fittizi che prendeva dal Consorzio pagava una tangente del 6 per cento, ed una volta a Matteoli – racconta Baita – furono consegnati 400 mila euro in contanti».
Baita è un fiume in piena, travolge tutto, nonostante i suoi avvocati gli avessero consigliato di non farsi interrogare e di «andarsi ad operare al cuore» per evitare il confronto con i magistrati. Mette dentro anche l’Expo di Milano.
Fa riferimento a un appalto che la Mantovani s’era aggiudicata e «che fece infuriare il presidente della Regione Lombardia Formigoni perchè noi eravamo fuori dal “mazzo” delle imprese che partecipavano. Il governatore ci odiava, ha fatto una dichiarazione di fuoco il giorno dopo che avevamo vinto».
Baita fa anche il nome dell’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari, sostenendo che Mazzacurati «aveva con lui un dialogo perchè Parusso era l’uomo che Massimo Cacciari aveva chiesto di mettere a Thetis. Poi c’è stato un momento di scontro molto violento con Cacciari..».
E sempre a proposito della Thetis Baita racconta che «Cacciari chiamò Mazzacurati e gli disse di comprare le azioni dell’Eni in Thetis, sostituendosi all’Eni. Da quel momento Thetis è stato il Consorzio bis, sottratto ai consorziati».
(da “La Repubblica”)
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Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
GLI APPALTI SPARTITI DA SOCIETà€ VICINE AI DUE POTENTI E IL RUOLO DEL LEGALE DI BERLUSCONI
“Non rendiamo altri interrogatori e facciamo un’operazione all’aorta…”. Può apparire surreale, come idea per saltare un interrogatorio, ma questo avevano proposto gli avvocati Piero Longo ed Elisabetta Rubini, soci dello studio Ghedini, a Piergiorgio Baita, l’imprenditore ora che sta raccontando il sistema Mose agli inquirenti.
A rivelarlo è lo stesso Baita: “Strutturalmente sono un iperteso — dice ai pm — però ho una pressione che è controllata dai farmaci. E ho rifiutato, nonostante la visita dei due cardiologi in carcere, di farmi operare, dicendo che non vedevo il motivo di farmi operare, per non rendere l’interrogatorio ulteriore rispetto a quello del 10, e che era mia intenzione invece rendere un interrogatorio diverso. E a quel punto mi è stato detto: ‘Beh, ma se è così allora non possiamo più difenderti perchè abbiamo delle incompatibilità con delle persone’”. Questa è la versione di Baita.
Anzi: l’inizio di una serie di confessioni che, da quel momento in poi, tireranno in ballo stesso avvocato Nicolò Ghedini, parlamentare di Forza Italia (e storico legale di Silvio Berlusconi) che, secondo Baita, sponsorizza l’uomo che costruirà il “nero” a San Marino per il Pdl milanese. E non solo.
Ricostruisce il meccanismo delle tangenti destinate all’ex ministro Altero Matteoli e gli appalti affidati su richiesta di Gianni Letta.
Nè Ghedini nè Letta risultano indagati.
Il Pdl e i fondi extra-bilancio portati a San Marino
“In quel periodo — racconta Baita — si è presentata la società Bmc, con la quale eravamo venuti in contatto per una questione di sostegno elettorale alla campagna del governatore Galan…”.
La Bmc è una società sammarinese guidata da William Colombelli. Arrestato nei giorni scorsi, Colombelli è accusato di aver emesso, con la sua Bmc, fatture inesistenti per Mantovani. Secondo la Guardia di finanza il giro di false fatture, emesse dalla società di Colombella, è superiore ai 10 milioni di euro.
La Bmc — spiega Baita — non si occupa soltanto di “pubbliche relazioni” ma è in grado di fare ben altro: “Loro erano in grado di retrocedere somme in nero”.
Un vero e proprio “mestiere”, sostiene Baita, destinato a soddisfare una precisa parte politica: “Mestiere — dice l’imprenditore — che facevano normalmente per tutto l’entourage politico del Pdl milanese, allora non so se si chiamasse Forza Italia o quello che era. Tanto è vero che a quel tempo si presentarono accreditate dal segretario regionale del partito, che era l’avvocato Ghedini…”.
Siamo tra il 2005 e il 2006 e l’accordo dura fino al 2010: “Nel 2010 interrompiamo i rapporti con Bmc per una serie di motivi, prima di tutto perchè San Marino entra in blacklist, quindi diventa difficile anche la gestione stessa amministrativa del rapporto, secondo perchè il signor Colombelli cominciava a evidenziare già atteggiamenti ricattatori molto spinti, sia nei confronti nostri, sia nei confronti dei suoi chiamiamoli sponsor politici, e quindi il rapporto cominciava a diventare molto pericoloso…”.
Ma torniamo ai primi incontri. Baita ribadisce al pm: “Il ruolo della società di Colombelli come un’organizzazione in grado di fare una provvista di fondi extrabilancio, attività che Colombelli a me direttamente ha affermato di fare da qualche anno per conto di Forza Italia a Milano… l’accredito principale che poi è stato quello che ci ha spinto ad avvalerci dei servizi dell’organizzazione di Colombelli era quello dell’onorevole Ghedini”.
La cartiera del partito e il fattore fiducia
“C’era stato fatto presente… direttamente dal governatore Galan… che c’era un malessere da parte della segreteria del partito regionale perchè con tutti i soldi che il partito aveva convogliato sul Consorzio Venezia Nuova la segreteria del partito non aveva visto niente, sospettando che il presidente Galan intercettasse tutto a monte. E quindi il Presidente Galan ha detto: “Se date l’incarico a Bmc mi risolvete anche un problema di rapporto col mio partito” .
“Io Ghedini non l’ho mai incontrato..”, continua Baita, “ne ho parlato con l’ingegner Mazzacurati, manifestando il disappunto presunto di Ghedini sui comportamenti del Consorzio…”
“Disappunto — chiede il pm — per il fatto che i soldi… andavano non al partito ma alle tasche di Galan?”. “Non al partito, sì, sì”, risponde Baita, “di questo ebbi anche una specifica sollecitazione dalla dottoressa Minutillo che si recò allo studio di Ghedini per verificare, ricavandone la conferma, che è il motivo poi per cui abbiamo incominciato a intrattenere i rapporti con l’organizzazione di Colombelli”. “Colombelli — insiste il pm — quindi viene presentato come uomo di fiducia del segretario di partito?”
“Assolutamente, totalmente”, replica Baita, “non c’è stato il minimo dubbio.
“Non so se era cartiera pura o una cartiera indiretta — continua Baita — però non cambia niente, anche se fosse stata una cartiera impura…”.
“Sì”, continua il pm, “ma intendo dire: in realtà lui (Colombelli, ndr) vi viene messo là , vi viene consegnato, vi viene dato… Cioè il segretario del partito sapeva benissimo che la Bmc… faceva per voi?”.
“Dottore”, conferma Baita, “non c’è il minimo dubbio. Da quando ho dato l’incarico a Bmc io non ho più avuto richieste, nè da Galan nè dal partito… Finchè ho avuto rapporto con Bmc non ho avuto nessun tipo di richiesta ulteriore dal partito, da Galan. Quindi davo per assolutamente certo il fatto che Bmc avesse.. intrattenesse i suoi rapporti di soddisfazione col partito….”
I due milioni anticipati al governatore
Ma Colombelli non intende interrompere i rapporti. Dice di aver anticipato 2 milioni a Galan — attraverso passaggi con la Fondazione Mbc e Claudia Minutillo, segretaria dell’ex governatore — e ne pretende la restituzione.
Poi viene cacciato “brutalmente dallo studio di Ghedini” e invita lo stesso Galan a sistemare i suoi conti a San Marino: “Quando nel 2010 ho interrotto i rapporti — continua Baita — Colombelli disse: ‘gli ho anticipato oltre due milioni di euro, quelli me li restituite’. Dico: ‘guarda che io non ho niente a che vedere con i soldi che tu hai anticipato alla Minutillo’.
Colombelli non si è mai dato per vinto fino all’ultimo, ha cercato di avere gli ulteriori due milioni e mezzo, però che fosse abbastanza vero l’ho intuito quando Colombelli, avendo avuto la richiesta di una rogatoria a San Marino sulle prestazioni Bmc, mi disse, tramite la Minutillo, che aveva cercato di mettersi in contatto urgente con l’onorevole Ghedini, che l’aveva estromesso dallo studio brutalmente, che aveva cercato un contatto con Galan che non glielo dava e che riferissimo al presidente Galan che era urgente che lui andasse a San Marino a sistemare i suoi conti…”.
Interrogato dai pm, Colombelli, racconta che attraverso Galan ottiene anche un’importante carica: “Conosco il presidente Giancarlo Galan, e per la presentazione ufficiale tra i due governi, per questo accordo, sono stato nominato console a disposizione della Repubblica di San Marino sul Veneto, con una delibera apposta per la Regione Veneto. Quindi ufficialmente fino a due giorni fa avevo questa nomina…”.
Altero e la tangente dal 6,5 al 7,5 per cento
I soldi? “Erano per Matteoli e per il partito di An”.
È il 17 giugno 2013 quando Piergiorgio Baita, che ha guidato la Mantovani spa fino al suo arresto avvenuto il 28 febbraio 2013, ricostruisce ai pm il patto tra Matteoli e il “grande burattinaio” Giovanni Mazzacurati, per trenta anni alla guida del Cnv.
Il “papà del Mose” ora accusato di aver fatto lievitare di oltre un miliardo di euro l’opera, dissipato in tangenti e consulenze agli amici: un euro ogni cinque bruciato in favori.
E i favori che fanno a Matteoli costano cari: affida fondi del ministero al Consorzio in cambio di una percentuale da versare all’azienda di Erasmo Cinque, suo uomo di fiducia che poi, stando alla ricostruzione contenuta nelle oltre 109 mila pagine dell’inchiesta sul Mose, girava a Matteoli una parte di quanto riceveva “senza mai operare fra l’altro”.
Per Cinque “la tangente era prima del 6,5% e poi è lievitata al 7,5%”, ricostruisce Baita ai pm Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonini.
Il rapporto tra Matteoli e Mazzacurati comincia nel 2003, quando l’allora esponente di An è ministro dell’ambiente e dà il via libera al cosiddetto “protocollo Marghera”, un patteggiamento ambientale: i proprietari delle aree contaminate versavano una sorta di condono al ministero che con quei soldi avrebbe dovuto poi procedere alla messa in sicurezza delle aree.
Edison, Eni ed Enel pagarono oltre 600 milioni di euro nelle casse del ministero dell’Ambiente.
Matteoli che fa? Chiama l’amico Mazzacurati, racconta Baita, per “decidere come spendere quei soldi”.
Potrebbe impiegarli “facendo il progetto, le gare, gli appalti, oppure può fare, come in realtà ha poi fatto, un accordo di programma con il magistrato alle acque per inserire quei fondi come lavori aggiuntivi sui lavori del Consorzio”.
Magistrato delle acque, fa un inciso Baita, “che suggerisce e fa nominare sempre Matteoli”, sia Cuccio-letta sia il suo successore D’Alessio.
L’accordo è semplice da chiudere e vantaggioso per il Consorzio, perchè si garantisce fondi e lavori senza neanche dover partecipare a gare, ma la condizione per chiudere la pone il ministro: “Che i lavori venissero affidati all’impresa Socostramo di Cinque, impresa che in primo momento non poteva avere i lavori perchè, non essendo socia del Consorzio, non poteva essere direttamente assegnataria; pertanto i lavori sono stati assegnati a Fisia Impregilo, al quale poi noi siamo subentrati, con il vincolo di subappaltarli a Cinque”.
Poi in uno dei tanti giri di scatole vuote, prosegue Baita, “Fisia riceve fuori quota, cioè fuori dal piano di riparto del Consorzio, questi lavori e li subappalta a Cinque e a Mantovani perchè Mantovani ha i requisiti per la bonifica, Cinque non ha niente, però lo prendiamo (…) e ci risubappalta la sua parte di lavori in cambio di una percentuale fissa”.
Questo 6,5% è la tangente, sintetizzano i pm.
“Fino al 2003-2004”, precisa Baita perchè poi Matteoli ha altre richieste e oltre a Cinque vuole inserire altre persone.
Prima “Vittadello per il lavori di Napoli” poi quando diventa “ministro delle Infrastrutture deve aver litigato con Cinque perchè presenta un altro signore, un certo Gualterio Masini di una ditta Teseco, che si propone di liberare il Consorzio dalla presenza di Cinque”.
Il magistrato chiede: “Di eliminare la tangente?” Baita: “No, no. Di eliminare Erasmo Cinque, non la tangente (…) quella rimane”.
Perchè, aggiunge, “il Consorzio, invece di dare i lavori a Cinque, dà l’incarico a Teseco di fare questo progetto per 7 milioni e mezzo (…) solo che Masini probabilmente… non gira tutto quello che deve girare, perchè dopo un po’ Matteoli si fa di nuovo vivo (…) con Mazzacurati sempre, Mazzacurati è l’unico che ha rapporti diretti con Matteoli… e dice che bisogna fare una consegna di 400 mila euro direttamente a Cinque a Roma”.
Baita spiega di aver avuto una frequentazione assidua con Cinque quindi il pm gli chiede se lui gli ha mai parlato del destinatario finale di queste somme. Baita Risponde: “Erano per Matteoli e per il partito di An, ma tutti quanti abbiamo sempre avuto il dubbio che ci facesse una importante cresta. Però”.
Il magistrato insiste: “Diciamo che Erasmo Cinque ammetteva che, avendo ricevuto questo benefit dal ministro, era lui alla fine, il suo partito, il destinatario della somma?”
Baita: “Non c’è dubbio. La cosa è stata ancora più evidente quando c’è stata la nomina del presidente Cuccioletta, che è stato un uomo indicato da Matteoli”.
Così come il suo successore D’Alessio. “Venne indicato da Cinque in contrasto con Mazzacurati, che voleva Balducci invece. Ma è stato in quell’occasione che Cinque per Mazzacurati è stato un filtro insormontabile verso Matteoli”.
I magistrati si stupiscono: “Non è riuscito ad arrivare tramite Gianni Letta? “Ci ha provato, però in quel momento mi pare che Letta gli avesse consigliato di non inasprire il rapporto politico con Matteoli”.
I favori richiesti dal dottor Gianni
Mazzacurati, infatti, aveva un rapporto privilegiato con Gianni Letta. Lo sanno i pm e lo ribadisce anche Baita che, anche in questo caso, ricostruisce nel dettaglio la rete di uomini e società soddisfatte per “operare alcuni favori richiesti dal dottor Letta a Roma” (…) “ subappalti dati a ditte richieste dal dottor Letta”.
Il “doge” dell’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio era l’ingegnere Mazzi della Fincosit.
Ricorda Baita: “Mazzi mi diceva ‘siccome io ho un rapporto troppo diretto con Letta, è meglio che glielo dai tu il subappalto a queste ditte’, in particolare un certo Cerami, che io non conosco”.
Una società in particolare crea persino malumore tra i soci, la Technital “perchè Technital nella vita del Consorzio ha avuto incarichi per oltre 120 milioni di euro di progettazioni” e il Consorzio opera così “rimettendoci dei soldi”.
Baita ricorda di essersene lamentato con Mazzi “che mi ha sempre detto ‘parlane con Mazzacurati, ti spiega”.
Lui va: “Mi ha detto ‘non rompermi le scatole che va bene così’”.
Antonio Massari e Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 10th, 2014 Riccardo Fucile
GLI INQUIRENTI COSTRETTI A MUOVERSI CON CAUTELA
I ladri se la spassano tra ville, aerei privati, incarichi e consulenze per figli e mogli e inseguono le guardie spiate da rappresentanti di quello Stato che servono.
E’ questa la fotografia del Paese capovolto che emerge dal più grande sistema corruttivo mai smantellato prima d’ora: un miliardo di euro di soldi pubblici, finanziamento del Mose.
Le guardie: i pm Paola Tonini, Stefano Buccini, Stefano Ancillotto, ogni sera si portano i fascicoli e le chiavette Usb a casa.
Li nascondono sparpagliandoli in posti diversi. Un metodo sicuro anche per renderli inutilizzabili, come hanno spiegato al collega del Mattino di Padova, Renzo Mazzaro: “Una pistola la smonti e imboschi i pezzi così la rendi inservibile anche se la trovano”.
L’irruzione notturna nell’ufficio di William Ambrogio Colombelli, il console della Bmc (società di brokeraggio) di San Marino con la tessera di Fi, presentato a Giancarlo Galan dall’avvocato di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, arrestato perchè emetteva fatture false per far rientrare in Italia il “nero”, trattenendo per sè il 20 per cento, è la dimostrazione di come il sistema di spionaggio fosse efficiente.
Cosa cercavano? Colombelli aveva subodorato di non essere nelle grazie di Baita della Mantovani e per timore di essere fatto fuori dal sistema registra tutte le conversazioni con Baita.
Chi ha forzato la serratura della sua porta, senza lasciare traccia, cercava la “prova regina” che però era stata ben nascosta.
Quando il 28 febbraio 2013 i finanzieri arrestano Baita perquisiscono anche la sede della Mantovani e tra le carte trovano copia dell’ordinanza che aveva ricevuto tre giorni prima di finire in carcere.
Baita, difeso da Longo e Ghedini, che come avrebbe confidato gli consigliavano il silenzio, resta 106 giorni in prigione muto come un pesce. Poi revoca il mandato ai due avvocati, affida la sua difesa ad un legale estraneo a quell’ambiente politico e vuota il sacco che, stando a voci molto più di un sentito dire, contiene prove che porterebbero a nomi eccellenti a livello nazionale.
Tra le carte spunterebbe anche una mazzetta di 500 mila euro destinata a Tremonti che, però, non risulta indagato. Mentre lo è il suo braccio destro, Marco Milanese, oggetto della richiesta di custodia cautelare inoltrata al Gip il 3 dicembre 2013. Milanese — che sa bene in quale guaio si trova — si presenta dai pm, e inizia a collaborare e il 13 maggio scorso la richiesta viene revocata, motivazione: “Era stato un errore”.
Pm così guardinghi che nelle rare volte in cui ricevono giornalisti nelle loro stanze in Procura, per paura di essere ascoltati dal Grande orecchio parlano sottovoce. Accorgimenti necessari per riuscire a comporre il puzzle con certosina pazienza, nel più totale riserbo anche grazie ai preziosi investigatori del Gico, guidato, dall’inizio dell’inchiesta, 2002 fino a settembre scorso, dal comandante Renzo Nisi, che proprio mentre l’inchiesta scoperchia i santuari, viene trasferito.
Motivazione ufficiale: avvicendamento, ufficiosa: su gentile richiesta di politici potenti poi finiti nella rete.
Avvicendamento che ha procurato un arresto dell’inchiesta in quanto chi lo ha sostituito era digiuno dello stato dell’arte, e che puzza molto di bruciato.
Fu proprio lui, infatti, ad inchiodare il Generale Emilio Spaziante, la spia a libro paga del CVN, 2,5milioni di euro promessi, versati 500 mila.
Spaziante, per tenere informato Mazzacurati si serve di Walter Manzon, comandante provinciale di Venezia. Manzon gira la richiesta dell’elenco delle persone oggetto di intercettazioni telefoniche ed ambientali a Nisi.
Il comandante Nisi, grazie al suo fiuto di investigativo, informa i pm e gli consegna solo quello delle persone oggetto di intercettazioni telefoniche, ma non ambientali e così scopre il gioco di Spaziale.
A Manzon e al generale di corpo d’Armata, Mario Forchetti, ex Aise (servizi segreti internazionali) presidente del Comitato per la trasparenza sugli appalti in Lombardia, quattro giorni fa è stata perquisita la casa
In questo clima, guardandosi le spalle lavorano gli uomini delle Fiamme Gialle.
Come quella volta che uno di loro doveva ricevere da un collega una chiavetta Usb. “Un quarto d’ora prima mi chiama per cambiare il luogo dell’incontro. Lo aspetto al binario, mi abbraccia e all’orecchio mi dice: mi stanno seguendo, andiamo al bar. Beviamo un caffè e prima di andare via mi accorgo di avere la chiavetta nella tasca della giacca: ce l’aveva infilata mentre mi abbracciava”.
E’ la storia del Paese capovolta dove, in uno strano paradosso fatto di intrecci e buste di quattrini, i ladri inseguono le guardie.
Una storia che continua: è solo all’inizio.
Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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