Luglio 29th, 2014 Riccardo Fucile
IL RAGLIO DELL’ASINO, IL SALTO DEL CANGURO E LO ZERBINO… RENZI PENSA DI ESSERE IN KOREA, LA MAGGIORANZA FA DECADERE 1400 EMENDAMENTI, GRASSO FORMATO STUOINO… LA BATTUTA MIGLIORE E’ DI CIVATI: “PENSAVO DI ESSERE STATO ELETTO IN UNA COALIZIONE CON SEL, NON CON VERDINI”
Un risultato la prima giornata di votazioni in Senato sugli emendamenti alle riforme costituzionali ce l’ha ed è solo un dato politico: il legame già flebile tra Pd e Sel va in frantumi con tanto di rissa tra il sottosegretario Luca Lotti (pretoriano e buttafuori empolese di Matteo Renzi) e Nichi Vendola.
Per il resto l’Aula di Palazzo Madama per la maggioranza si trasforma in un pantano
In Senato si è lavorato a fatica, con ripetute contestazioni, grida, cori da parte delle opposizioni: di Sel nei confronti del Pd, del Movimento Cinque Stelle nei confronti del presidente Piero Grasso, della Lega nei confronti di entrambi.
Una volta arrivati in Aula è successo quanto avevano promesso le opposizioni: “Sarà una guerra”.
Virgola per virgola, parola per parola, si è andati avanti a un millimetro all’ora.
In un intero pomeriggio si è arrivati a fatica a 5 voti.
Il punto di scontro sono stati soprattutto gli emendamenti che avrebbero introdotto il Senato elettivo.
E solo la bocciatura di uno di questi ha sbloccato la situazione: un no che ha automaticamente fatto decadere altri 1400 proposte di modifiche analoghe, in base a una opinabile “legge del canguro”.
Impazza Grasso che tiene lo strascico alla sposa e viene accusato dai Cinquestelle di essere uno zerbino.
E quando Calderoli gli ricorda le norme del regolamento si arrampica sugli specchi per difendere l’indifendibile.
Pd e Sel, ma non solo, si lanciano addosso le accuse di ricatto, la parola più pronunciata nelle agenzie di stampa.
Lo dicono Nicola Fratoianni e Nichi Vendola (i vertici di Sinistra e libertà ) al governo e ai democratici, lo dicono il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi e il presidente del Consiglio Matteo Renzi ai vendoliani e alle altre opposizioni.
Il meccanismo è molto più facile: la maggioranza spera di accelerare sul testo uscito dalla commissione, le opposizioni fanno di tutto per rallentare e modificare la legge truffa.
In serata Renzi, forse dopo essersi guardato allo specchio, pronuncia la quotidiana frase autobiografica: “C’e’ chi paura di perdere la poltrona”.
Un venditore di pentole bucate come lui che vive di politica da oltre un decennio dove la trova un’occupazione?
Vendola si chiede se “i nuovi padri costituenti sono Berlusconi e Verdini”.
Persino Fitto prende le distanze: “E’ un grande errore evitare di avere un Senato elettivo. Se non è possibile questo, allora meglio l’abolizione del Senato che un Senato al quale si stanno attribuendo poteri che annullano anche il superamento del bicameralismo”.
La battuta migliore è di Civati: “So bene che nel Pd, da parecchio tempo, prima ancora che arrivasse il Veltro, c’è chi preferisce Alfano e addirittura Berlusconi a Vendola come alleato di governo e interlocutore sulle riforme, nonostante il nostro progetto fosse il centrosinistra: mi ricordo che siamo stati eletti con Vendola, non nelle liste con Verdini, o sbaglio?”.
Ultima nota di costume: la destra delle grandi battaglie per la libertà di opinione e dei diritti delle minoranze dov’era? Era alleata con il capetto koreano.
C’e’ rimasto giusto di fare il tifo per Minzolini, è detto tutto.
Cialtroni.
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Luglio 29th, 2014 Riccardo Fucile
L’ECONOMISTA: “RENZI, COME MONTI, HA SBAGLIATO I CALCOLI”… “LE PRIVATIZZAZIONI? UN FLOP”
Il Fondo Monetario Internazionale e Bankitalia dimezzano la crescita che era stata prevista dal governo.
«Non cadiamo mica tutti dal pero», rivendica l’economista Emiliano Brancaccio: «Avevamo più volte avvisato che le stime di Renzi, così come quelle di Letta, Monti e della stessa Commissione europea, erano irresponsabilmente ottimistiche».
«Quando si attuano politiche di restrizione dei bilanci pubblici», nota Brancaccio, «il risultato prevedibile è che la domanda di beni e servizi cali e il Pil venga ulteriormente depresso».
«Previsto» era pure il flop delle privatizzazioni, con Fincantieri che ha fruttato la metà di quanto annunciato dal governo.
Servirà dunque una manovra correttiva ?
«Sarebbe una follia», dice ancora Brancaccio, perchè «una manovra che taglia ancora la spesa pubblica e insiste con la pressione fiscale finirebbe per aggravare gli effetti depressivi della precedente».
Professore, Matteo Renzi ha detto ad Alain Fridman: «Che la crescita sia 0,4 o 0,8 o 1,5% non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone». È così?
«Il livello di approssimazione di certe dichiarazioni è sorprendente. Questi temi non andrebbero affrontati in modo così superficiale. Quelle cifre fanno la differenza tra un’economia che vede crescere l’occupazione e un’economia che continua a distruggere posti di lavoro, e in prospettiva possono fare la differenza tra uno Stato solvibile e uno Stato in bancarotta».
Renzi, presentando il Def, aveva detto di aver abbassato «prudenzialmente» la previsione rispetto a quella fatta dal governo Letta. Il premier si era poi detto certo, però, che sarebbe stata più alta. In un’ intervista all’Espresso di qualche mese fa lei manifestò un parere opposto. E così è stato. Cosa non ha funzionato?
«A quanto pare, quelli che il nostro premier chiama “gufi” hanno avuto ragione, ancora una volta. Sono ormai più di tre anni che il governo, e la stessa Commissione europea, nel prevedere l’andamento del Pil peccano sistematicamente di ottimismo. Lo fece Monti, l’ha fatto Letta e ora lo fa Renzi. La realtà è che, se ci va bene, quest’anno ci troveremo con crescita zero».
Perchè le stime si rivelano puntalmente troppo ottimistiche?
«Perchè in Europa si evita di affrontare un’evidenza scientificamente inconfutabile: quando si attuano politiche di austerity la domanda di beni e servizi è destinata a cadere, e con essa cade anche il livello del Pil. Persino il Fondo monetario internazionale ha dovuto riconoscere che questo effetto era stato trascurato. La Commissione europea e i governi nazionali dell’eurozona si ostinano a eludere il problema».
E gli effetti degli 80 euro?
«Quelli non si vedono perchè i lavoratori dipendenti sono stati costretti, in questi anni, a erodere i loro risparmi per far fronte alla crisi. In questo scenario è illusorio pensare che gli 80 euro in più in busta paga si possano interamente trasformare in consumi. Ma soprattutto, occorre ricordare che la famigerata manovra degli 80 euro si inscrive in una politica di bilancio che nel complesso rimane depressiva. Il governo continua a sottrarre all’economia più di quanto eroghi: l’obiettivo generale della politica economica resta infatti quello di attuare un prelievo fiscale che eccede la spesa pubblica al netto degli interessi. Questo significa che i cittadini e le imprese si trovano da un lato con 80 euro in più, ma dall’altro lato registrano tagli ulteriori ai servizi e aumenti delle tariffe. E temono incrementi di altre voci di imposta. L’effetto finale sulle capacità complessive di spesa resta dunque negativo».
Potrebbe essere più utile il jobs act, di cui pure si sono perse le tracce?
«No. Ancora una volta si ignorano i risultati accumulati dalla ricerca scientifica per oltre un ventennio: le politiche di precarizazzione non accrescono gli occupati ma fanno sì, semmai, che l’occupazione diventi più instabile. I contratti precari possono al limite indurre le imprese a creare posti di lavoro nelle fasi di espansione ma poi, quando c’è crisi, quegli stessi posti di lavoro, essendo precari, vengono immediatamente cancellati».
Sarà necessaria una correzione del Def in autunno? Il governo ancora nega la manovra correttiva…
«Una restrizione ulteriore del bilancio sarebbe una follia. Tagliare ancora la spesa e insistere con la pressione fiscale non può che aggravare gli effetti depressivi delle manovre precedenti».
Il Financial Times mette l’accento sulle privatizzazioni ferme al palo. La vendita di Fincantieri ha prodotto la metà del previsto. La dismissione del 40 per cento di Poste slitterà di un anno. Sempre il Financial Times scrive che per rispettare quanto previsto nel Def, cioè per ricavare 11 miliardi con cui ridurre il debito pubblico, il governo dovrà mettere sul mercato altre quote di Eni e Enel. È una strada?
«Anche sulle privatizzazioni i cosiddetti “gufi” avevano lanciato un chiaro allarme: in una fase di crisi i prezzi di mercato degli asset sono bassi e le privatizzazoni diventano vere e proprie svendite. L’obiettivo del governo di ricavare 11 miliardi non può che essere disatteso, come già dimostra la vicenda Fincantieri».
C’è un momento migliore per farle?
«Di certo non ora. Ma io credo che bisognerebbe mettere in discussione la logica delle privatizzazioni nel suo complesso. Questo è un paese con scarsa memoria, ma basterebbe forse ricordare gli effetti del record di privatizzazioni che l’Italia ha segnato negli anni ’90. Non mi pare che quell’onda di vendite di asset pubblici abbia dato benefici al paese. Di fatto, gli unici a trarne vantaggio furono quei gruppi di interesse nazionali ed esteri che beneficiarono dello shopping di spezzoni di apparato pubblico a prezzi di saldo».
Disoccupazione, povertà relativa, crescita, debito pubblico. Tutti i valori sono peggiori di quelli registrati nel 2011, anno della lettera della Bce e della chiamata dei “tecnici”. Perchè eravamo più preoccupati tre anni fa?
«Per adesso siamo meno preoccupati perchè Draghi ha compiuto una mossa che cambia il quadro. Nel 2011 l’Italia e gli altri paesi periferici europei erano esposti alla speculazione internazionale. Gli operatori sui mercati finanziari vendevano, i prezzi dei titoli crollavano e i tassi d’interesse – i famigerati spread – aumentavano».
Oggi questo rischio è scongiurato?
«Per il momento sì. La differenza tra allora e oggi sta nel fatto che la Bce ha preso un impegno: proteggere i paesi in difficoltà da eventuali ondate di vendite sui mercati finanziari. In caso di vendite, la Bce compra i titoli e quindi i prezzi e gli spread rimangono stabili. Il problema è che la strategia della Bce si basa sull’idea che il suo ombrello protettivo sia temporaneo. L’auspicio dichiarato della banca centrale è che le politiche di austerity e le famigerate riforme strutturali siano in grado, a un certo punto, di rilanciare i paesi in difficoltà e di rendere quindi superflua la sua protezione. Noi stiamo invece registrando che così non sarà ».
E come sarà ?
«Vale tuttora la previsione contenuta nel “monito degli economisti” che abbiamo pubblicato nel settembre scorso sul Financial Times: con le attuali politiche di austerity, la divergenza tra paesi deboli e paesi forti dell’eurozona continuerà ad ampliarsi. La politica monetaria non può affrontare da sola questa divaricazione. Bisognerebbe almeno affiancare le azioni della banca centrale con un piano di investimenti pubblici mirati. Le più autorevoli ricerche economiche dimostrano che l’intervento statale può esser decisivo non solo per fini di assistenza ma anche per creare condizioni di sviluppo tecnologico e produttivo, soprattutto nei paesi più deboli, che ne hanno più bisogno. Il guaio è che in Europa i dogmi del liberismo, sebbene più volte sconfessati, tuttora resistono, e l’idea di un rilancio in chiave moderna dell’intervento pubblico resta tabù».
Quali saranno dunque le implicazioni per l’eurozona?
«Le divergenze tra paesi forti e paesi deboli dell’Unione aumenteranno. Se si continua a pensare che la politica monetaria possa risolvere da sola questo enorme problema, l’Unione monetaria europea non potrà che confermarsi insostenibile. Anche se ora sembrano tutti più sereni, i nodi verranno di nuovo al pettine e presto o tardi si tornerà a vivere il clima del 2011. Sarà una previsione da “gufo”, ma fino a ora i cosiddetti “gufi” hanno avuto molta più lungimiranza dei professionisti dell’ottimismo».
Luca Sappino
(da “L’Espresso“)
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Luglio 29th, 2014 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE ALLA CULTURA SI SMARCA: “DECISIONE DEL GOVERNATORE”
Per partecipare al Meeting “culturale” di Comunione e Liberazione, in programma a Rimini dal 24 al 30 agosto, la giunta Maroni, attraverso una delibera della presidenza, ha stanziato un contributo diretto di 60mila euro.
Il Festivaletteratura di Mantova, manifestazione di portata internazionale capace l’anno scorso di raccogliere oltre 100mila persone ai vari eventi, si deve accontentare di 20mila euro e per ottenerli deve anche partecipare a un bando.
“Maroni ci spieghi il criterio di queste scelte” tuona il consigliere regionale Marco Carra.
“L’assessore alle culture, Cristina Cappellini — prosegue il consigliere — aveva detto che tutte le manifestazioni, fossero sagre, feste più o meno provinciali o festival culturali nazionali o internazionali, dunque senza distinzione, avrebbero dovuto partecipare a un bando per accedere a un contributo di massimo 20mila euro. E aveva anche assicurato che la regola era ferrea e non potevano più esserci contributi diretti di Regione Lombardia a nessun evento”.
Insomma, perchè questa disparità di trattamento, come mai si è fatta quest’eccezione? Se vale la regola che le rassegne culturali possono essere finanziate solo attraverso regolare bando, perchè il meeting di Cl, a tutti gli effetti evento culturale, si sottrae a questa normativa?
“Le due situazioni non possono essere paragonate — spiega l’assessore Cappellini — poichè l’assegnazione di fondi per il meeting di Comunione e Liberazione non è stata decisa dal mio assessorato. Si è trattato di una decisione della presidenza. Con ciò non dico che non la condivido. Il Festivaletteratura ha partecipato al bando e venerdì uscirà la graduatoria. Allora sapremo a quanti soldi avrà diritto”.
Bene che vada saranno 20mila euro, il massimo previsto dal bando.
Su un budget che per il Festival si aggira intorno al milione e 500mila euro.
Secondo Carra, però, è chiaro il modus operandi della Giunta Maroni: “Quei 60mila euro sono un obolo politico di Maroni agli alleati ciellini, un investimento per garantirsi l’appoggio necessario a tenere in piedi la sua Giunta. Al meeting i soldi della Regione non mancano mai a differenza di altre iniziative, ma per quanto riguarda uno degli eventi che caratterizzano ormai la Lombardia nel mondo, Maroni e la Lega concedono solo spiccioli: 20mila euro, decisi, evidentemente, con l’unico criterio della convenienza politica”.
Dal Comitato organizzatore del Festivaletteratura — la diciottesima edizione è in programma dal 3 al 7 settembre — non c’è molta voglia di commentare: “Non vogliamo entrare in polemica con nessuno — afferma Marzia Corraini, una degli otto membri del Comitato Organizzatore — e prendiamo atto della scelta della Giunta regionale. Per quanto ci riguarda abbiamo partecipato al bando e attendiamo l’esito. Se ne avremo diritto, incasseremo i soldi previsti”.
La querelle fra Regione e Festival si trascina da un po’ di tempo.
Da quando sul libretto ufficiale della rassegna letteraria è sparito il logo della Regione, ente che diciott’anni fa aveva contribuito a realizzare la manifestazione.
Il Comitato aveva spiegato che si trattava di una normale prassi.
Non avendo ancora ricevuto il finanziamento, la Regione non era stata inserita fra gli sponsor. Ma si era poi aperto un duro confronto con l’assessore Cappellini che aveva detto chiaro e tondo agli organizzatori che dovevano sottostare alle nuove regole: niente contributi diretti, assegnazione di fondi soltanto attraverso bandi.
Emanuele Salvato
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Luglio 29th, 2014 Riccardo Fucile
I DATI SULLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO RIVELANO CHE CHI USA QUESTO ARGOMENTO MENTE SAPENDO DI MENTIRE… ITALIA FANALINO DI CODA IN EUROPA, ECCO I DATI
Nel 2002 il Consiglio Europeo decideva che ogni Stato Membro avrebbe dovuto destinare alla cooperazione allo sviluppo risorse crescenti fino ad arrivare allo 0,7% del proprio PIL.
L’Italia si è fermata molto prima, a circa 1/3 del percorso.
Grazie al portale OpenAid Italia, lanciato dal Ministero degli Affari Esteri, abbiamo la possibilità di analizzare anno per anno il come e il dove dei fondi italiani destinati alla cooperazione allo sviluppo.
Partiamo da quello che dovrebbe essere: per un accordo del 2002 del Consiglio Europeo, tutti gli Stati Membri Ue devono destinare lo 0,7% del proprio PIL a fondi per lo sviluppo.
L’Italia dal 2004 a oggi non è mai riuscita a raggiungere questo obiettivo, fermandosi sempre a percentuali bassissime.
Mentre la differenza fra fondi stanziati e fondi realmente erogati è relativamente bassa, la distanza del nostro Paese dagli accordi presi a Barcellona è a dir poco allarmante.
Cooperazione all Sviluppo: i fondi che dovevamo stanziare vs. quelli realmente stanziati
2004
Fondi stanziati: euro 2.388.000 contro obiettivo di euro 9.555.000
2005
Fondi stanziati euro 4.555.000 contro obiettivo di euro 9.875.000
2006
Fondi stanziati euro 3.302.000 contro obiettivo di euro 10.275.000
2007
Fondi stanziati euro 3.078.000 contro obiettivo di euro 10.627.000
2008
Fond stanziati euro 3.916.000 contro obiettivo di euro 10.753.000
2009
Fondi stanziati euro 2.799.000 contro obiettivo di euro 9.875.000
2010
Fondi stanziati euro 2.610.000 contro obiettivo di euro 10.821.000
2011
Fondi stanziati euro 3.429.000 contro obiettivo di euro 10.915.000
2012
Fondi stanziati euro 2.401.000 contro obiettivo di euro 10.782.000
Nel 2012 sono state 3.353 le iniziative di aiuto allo sviluppo, bilaterali o multilaterali, promosse dall’Italia secondo gli ultimi dati Ocse.
Il Paese dove il nostro impegno è maggiore è la Tunisia (oltre 78 milioni di euro), seguono il Pakistan (69ml), l’Afghanistan (39ml), il Senagal (36ml) e il Mozambico (11ml).
Se molti di questi Paesi venissero davvero aiutati a casa loro il fenomeno migrazione sarebbe ridotto: questi dati dimostrano invece come in Italia , tra gli ultimi Paesi europei ad aiutare la cooperazione, si vive di ipocrisia e di chiacchiere.
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Luglio 29th, 2014 Riccardo Fucile
SANGALLI: “SENZA CRESCITA MANOVRA A OTTOBRE”
“Se non cresciamo, non solo i problemi non si risolvono, ma si acuiscono. E non si può escludere che a ottobre, per questi motivi, sarà necessaria una manovra correttiva”.
Così il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, nel corso del suo intervento a un convegno di Confcommercio ha lanciato il suo monito al governo Renzi.
“Non c’è bisogno di una manovra correttiva per il 2014” ha subito replicato il vice ministro dell’Economia, Enrico Morando, intervenuto a un convegno della Confcommercio.
“Continuare a parlare di manovra correttiva è negativo e non serve a nulla. Non perchè dobbiamo edulcorare la pillola ma perchè sono convinto che le cose siano così”. Morando ha sottolineato che “se entriamo nel 2015 con il tasso di crescita quasi assente come quello attuale, ci sarà un effetto trascinamento negativo che dobbiamo affrontare”.
Le regole del Fiscal Compact danno all’Italia come a tutti i paesi europei la possibilità di “reinterpretare la legge di bilancio”; “quelle norme hanno la caratteristica di essere meno stupide delle precedenti perchè basate su obiettivi strutturali, che tengono conto dell’andamento del ciclo. Se il ciclo peggiora rispetto alle previsioni di bilancio allora la legge di bilancio deve essere reinterpretata. Non c’è bisogno di una manovra correttiva per il 2014, il che non vuol dire che non siamo preoccupati per il ciclo. Dopo di che le decisioni di finanza pubblica per il 2014-2015 saranno prese in una fase enormemente impegnativa che avrà il suo centro nel successo o insuccesso della revisione della spesa”.
“È meglio — ha proseguito Sangalli – una scomoda verità subito che un lento stillicidio di confuse illazioni che deprimono le aspettative di famiglie e imprese. E per favore, abbandoniamo l’idea di nuove tasse e di ulteriori eventuali prelievi: le tasse sono la mortificazione della crescita”.
Tutti i Paesi europei, ha aggiunto il presidente di Confcommercio, “crescono poco, ma l’Italia è ferma”.
L’allarme di Confcommercio. Le tasse uccidono la crescita.
Dallo studio condotto emerge che a fronte di un aumento della pressione fiscale in Italia del 5% dal 2000 al 2013, il pil procapite è sceso del 7%.
In Germania nello stesso periodo la pressione fiscale è diminuita del 6% mentre il pil reale procapite è aumentato del 15%.
In Svezia, paese fuori dall’Ue ad esempio, la pressione fiscale nello stesso periodo è scesa del 14% e il pil reale procapite è aumentato del 21%.
“Per favore – ha detto il presidente Sangalli – abbandoniamo l’idea di nuove tasse e di ulteriori eventuali prelievi: le tasse sono oggi la mortificazione della crescita. Le performance del 2014 sono compromesse, non distruggiamo le basi per la ripresa del 2015”.
“L’italia – ha evidenziato Sangalli – è ferma”. Dal 2008 al 2013 l’Italia ha perso in termini di pil reale procapite l’11,6%.
Peggio ha fatto solo la Grecia con un -23,2%. La Germania ad esempio nello stesso periodo ha visto crescere il pil reale procapite di 4,4 punti percentuali. La Francia ha perso 2,3 punti.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 29th, 2014 Riccardo Fucile
DA INIZIO LUGLIO MUSEI E LUOGHI ARCHEOLOGICI APERTI DALLE 20 ALLE 22 A CHI CREA EVENTI COLLATERALI… POI SI SCOPRE CHE DEVONO PURE PAGARSI LA SIAE E L’ASSICURAZIONE
Pagare per lavorare gratis, in nome dell’arte.
Monta sul web la protesta dei lavoratori dell’arte e dello spettacolo, spesso giovani e precari, che avevano raccolto con entusiasmo la possibilità di realizzare eventi speciali in occasione della nuova iniziativa del ministero dei Beni e delle attività culturali, #VenerdìalMuseo. Versione estiva delle Notti dei Musei.
Da inizio luglio tutti i venerdì sera i principali musei e luoghi archeologici statali restano aperti due ore in più, dalle 20 alle 22 per mettere in mostra la “creatività nazionale”.
In tanti hanno scaricato l’apposito avviso pubblico che porta la firma del direttore generale del Mibact, Anna Maria Buzzi. Pronti a candidarsi.
Ma hanno trovato brutte sorprese, scoprendo che la loro attività sarebbe “a titolo gratuito in favore del ministero”, e che dovrebbero dotarsi di una “polizza assicurativa di responsabilità civile per danni”.
Non finisce qui: ai “fortunati” toccherebbe anche il rispetto di “tutte le norme che disciplinano la realizzazione di eventi da svolgersi in luogo pubblico”.
In pratica, l’accollo di tutte le onerose spese Siae. Con tariffe fisse di diritti d’autore dai 73.40 ai 425.80 euro.
In Italia lavorare nella cultura costa.
“Il ministero chiama a raccolta tutti gli operatori culturali per organizzare eventi che rendano più appetibile una propria iniziativa. Questo non prevede però solo la beffa di essere a titolo completamente gratuito, ma anche il danno di prevedere una serie inspiegabile di oneri a carico degli operatori culturali stessi — ha scritto in una lettera aperta, condivisa da migliaia di utenti Facebook, il violoncellista Michele Spellucci-. Ora, con tutto il cuore, Signor Franceschini, le chiedo: con quale coraggio?”.
E dire che proprio il ministro della cultura Dario Franceschini aveva parlato di “un’iniziativa che avvicina ulteriormente i musei italiani agli standard europei”.
E che agli inizi del suo mandato aveva affermato, facendo il verso all’ex ministro Tremonti: “Con la cultura si mangia”.
“A questo punto ci chiediamo: qual è il valore che si vuole dare agli artisti in questo Paese? Devono ridursi a suonare o ad esibirsi nelle piazze chiedendo un euro a cittadini volonterosi, oppure danzare e suonare gratis alle iniziative del ministero che è impegnato a diffondere la cultura? E la cultura si diffonde così?” — dichiara Emanuela Bizi, segretaria nazionale della Slc.
Nel frattempo l’avviso pubblico della discordia è sparito dal sito web del ministero.
Maurizio Di Fazio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 29th, 2014 Riccardo Fucile
CALDEROLI INCHIODA GRASSO: “NON CONOSCE IL REGOLAMENTO, STA VIOLANDO LA NORMA DEL VOTO SEGRETO”… GRILLINI, SEL E LEGHISTI SCATENATI… ZANDA PENSA DI ESSERE IL DIRETTORE DI UN GULAG
Dopo un lungo dibattito nell’aula del Senato, e due riunioni in capigruppo, non è stato trovato nessun accordo.
La proposta di mediazione avanzata da Vannino Chiti sull’esame del ddl riforme, che aveva raccolto le aperture del premier Matteo Renzi, è caduta nel vuoto.
Ed è subito bagarre in Aula. Fischi e urla da parte delle opposizioni hanno costretto il presidente dell’aula a sospendere la seduta.
Ma alla ripresa i toni non sono cambiati. Il nodo è la decisione di votare per parti separate gli emendamenti che al loro interno hanno riferimenti sia all’elezione diretta dei parlamentari sia alla tutela delle minoranze linguistiche (su cui è stato accolta la richiesta di voto segreto): “La vogliamo finire con questa gazzarra? Prego i presidenti di gruppo di richiamare i propri senatori”, ha detto Grasso.
E avverte: “Chi prosegue con la protesta andrà fuori dall’Aula”.
Ma i senatori dell’opposizione gridano in coro: “Non si può, non si può”.
La proposta bocciata di Chiti. Il senatore pd, capofila dei dissidenti, ha suggerito di posticipare a settembre le dichiarazioni di voto e il voto finale, e al tempo stesso di ridurre il numero degli emendamenti per concentrare la discussione su pochi punti qualificanti e cercare una mediazione anche sul merito.
Proposta accolta dal governo, che però con il ministro Maria Elena Boschi ha precisato: “Non possiamo sottostare a un ricatto ostruzionista della minoranza, e non su tutti i punti di merito sarà possibile trovare un punto di incontro”. Nel corso del dibattito, tutti i gruppi di maggioranza e il gruppo di forza italia si sono detti disponibili alla mediazione.
Lo stop di Sel.
Dall’opposizione, l’m5s ha invece ribadito che difenderà tutti i suoi emendamenti che però sono solo 200. Sinistra e libertà , presentatrice da sola di circa 6mila emendamenti, ha dal canto suo spostato il tema della discussione: “Non ci interessa avere una settimana di tempo più, ci interessa sapere se c’è la disponibilità a muovere dalle proprie posizioni per raggiungere mediazioni alte”. Ovvero, Sel vuole sapere se il governo è disposto a modifiche sostanziali del testo, e se il dibattito potrà svilupparsi “libero dai vincoli del convitato di pietro, il patto del nazareno” tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.
Posizione che ha provocato la dura reazione del capogruppo pd Luigi Zanda: “Se Sel non riduce il numero dei propri emendamenti, non ci sono le condizioni per una mediazione”.
Zanda ha quindi bocciato la richiesta di convocare la capigruppo per rivedere il calendario, chiedendo di proseguire secondo il percorso già stabilito.
Ma alla fine ha prevalso la linea di chi la capigruppo la voleva, compresa Sel: “la capigruppo credo sia utile, potremo avere la possibilità di capire se davvero c’è l’intenzione di una mediazione alta, di muovere dalle proprie posizioni e arrivare a risultati apprezzabili per tutti quanti”, ha detto De Petris.
Dunque, come sottolineato dalla Lega e da Calderoli, a questo punto è il governo che dovrà dire se è disponibile a mediare o no sul merito della riforma.
E la risposta del governo è arrivata a conclusione del dibattito: “il governo come sempre ha la disponibilità a trovare ulteriori punti di incontro anche nel lavoro dell’aula dei prossimi giorni”, ha spiegato il ministro Boschi, ma allo stesso tempo “il governo non può in qualche modo sottostare a un ricatto ostruzionista”.
Dunque “probabilmente non sarà possibile trovare su tutti i temi dei punti di incontro tra maggioranza e opposizione, ma è impensabile che una minoranza affermi le proprie ragioni a scapito di una maggioranza: non succede in nessun paese democratico, non succederà neanche stavolta”.
Sel mette in atto una contromossa per evitare lo spacchettamento dell’emendamento 1.28.
Dopo che nuovamente il Pd, come già avvenuto per l’emendamento di Sel precedente e poi ritirato dagli stessi firmatari, ha chiesto il voto per parti separate, con votazione segreta solo sulla parte relativa alle minoranze linguistiche e non anche per quella che prevede il Senato elettivo.
Con la riformulazione in un’unica riga dei due concetti – Senato elettivo e minoranze linguistiche – Sel prova a evitare che la bocciatura della parte sul Senato elettivo, per voto palese, faccia scattare il ‘canguro’, ovvero l’effetto domino che travolge, facendoli decadere, tutti gli altri emendamenti sullo stesso argomento
La riformulazione del testo dell’emendamento è la seguente: “i membri del Parlamento sono eletti a suffragio universale garantendo le minoranze linguistiche”. L’obiettivo di Sel, in definitiva, è sia evitare lo spacchettamento che tentare si proceda a scrutinio segreto anche per la parte che riguarda il Senato elettivo.
Grasso avverte: basta cori da stadio o espulsioni
Questi cori da stadio non mi sembrano Adeguati”. Così il presidente del Senato Pietro Grasso quando le opposizioni, in aula, riprendono a gridare “non si può, non si può”, riferendosi al voto per parti separati dell’emendamento 1.28 Di Sel sul senato elettivo con la parte sulla tutela delle minoranze che consentirebbe il voto segreto.
Visto che le urla aumentano, e arrivano anche dei fischi, Grasso chiama i commessi e i questori. Poi avverte: “chi non consente di parlare in aula va fuori- dice- adesso cominciamo ad indicare chi turba l’ordine dei lavori”.
Il capogruppo Pd, luigi zanza, parla di “reato” perchè si tratta, secondo lui di “interruzione di organi costituzionali”.
Grasso mette comunque in votazione, per parti separate e senza discussione, il primo comma dell’emendamento de petris che non passa.
Lega, “Grasso schiavo di Renzi”
“Grasso è lo schiavo di Renzi. Vergogna, con la complicità del presidente del Senato il parolaio di Firenze vuol togliere ai cittadini il diritto inalienabile di poter votare ed eleggere i loro rappresentanti. Vadano a casa se non vogliono che i liberi cittadini li caccino a calci nel sedere. Lega pronta alla battaglia”. Lo dichiara Gian Marco Centinaio, capogruppo della Lega Nord al Senato.
Calderoli, così si cancella voto segreto da regolamento Senato
Singolar tenzone in aula del Senato tra il presidente Pietro Grasso e il co-relatore del ddl sulle riforme, Roberto Calderoli della Lega nord, grande conoscitore dei regolamenti parlamentari, sul tema del voto segreto.
Calderoli spiega che procedendo così come fatto finora in aula, con la richiesta di voto per parti separate degli emendamenti, “a suon di voti di maggioranza si sta cancellando dal nostro regolamento il voto segreto”.
Piccata la risposta di grasso alla richiesta di chiarimenti di Calderoli, che ricorda che in base al regolamento la votazione per parti separate devono mantenere “la logica normativa” delle singole parti.
“La richiedente Ghedini o lei presidente Grasso ci spieghino come fanno a reggersi le parti separate dell’emendmenrto 1.28 così come richiesto” insiste Calderoli.
Grasso dal canto suo ribadisce la sua decisione di sostenere il voto segreto solo per la tutela delle minoranze linguistiche, mentre uno sconfortato Calderoli tenta di spiegare che il punto non è questo.
Alla decisione di Grasso di procedere comunque al voto sulla votazione per parti separate, si scatena nuovamente la bagarre in aula.
Scoppiano nuovamente i cori “non si può”, sostenuti da urla di disapprovazione. Qualcuno afferma che “questo è un reato”, ma l’assemblea non riesce a ricomporsi. Grasso inutilmente chiede l’intervento dei questori.
Gli animi restano incandescenti.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 29th, 2014 Riccardo Fucile
NEL MIRINO LA GESTIONE DELLA PROVINCIA QUANDO LUI NE ERA PRESIDENTE… ENTRO VENERDI SARA’ DEPOSITATA DALL’AVV. TAORMINA: SI PARLA DI SPESE PER 30 MILIONI E DI ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
Le spese d’oro di Renzi. Arriva la maxi-denuncia
L’avvocato Taormina la presenterà entro venerdì. Nel mirino la gestione della Provincia
I documenti sono da tempo sul tavolo dell’avvocato Carlo Taormina. Una vera e propria montagna di fogli che l’ex parlamentare di Forza Italia ha letto e riletto, sottolineato, evidenziato, traendone un’unica conclusione: Matteo Renzi deve essere denunciato.
Il testo della denuncia è pronto e, a quanto risulta a Il Tempo, verrà presentato entro venerdì in una conferenza stampa che si preannuncia scoppiettante.
I «capi d’imputazione» a carico del premier e di altri soggetti sono diversi.
Ci sarebbe anche l’associazione a delinquere.
E la domanda è immediata: perchè?
Tutto nasce dal dipendente comunale Alessandro Maiorano unanimente riconosciuto come il «censore» di Renzi. Sono anni che lo accusa di aver sperperato soldi pubblici quando era presidente della provincia di Firenze (dal 2004 al 2009).
E proprio per questo il premier lo ha querelato per diffamazione.
Nasce da qui il rapporto con Taormina che ne ha assunto la difesa. Ma anche la decisione dell’avvocato di andare fino in fondo.
Di scoprire e dire a tutti cosa è successo in quei 5 anni di governo.
Il primo capitolo è, ovviamente, quello delle cosiddette spese «pazze» alla provincia sotto la giunta Renzi.
«Spese di rappresentanza», si dirà . Certo, peccato che è la stessa giustificazione utilizzata da tanti dei consiglieri regionali, comunali e provinciali che in questi anni sono finiti sotto la lente dei magistrati.
Per Franco Fiorito, ad esempio, non è bastata.
Basterà per Renzi?
Ma non finisce qui. Secondo capitolo della saga riguarderebbe la società Florence Multimedia. Arrivato in Provincia Matteo “smantella” l’ufficio comunicazione e crea una società ad hoc. Perchè? E, soprattutto, come venivano destinati i soldi? Ci sono delibere del Consiglio?
La Provincia ha risparmiato o ha piuttosto speso di più?
Tutte domande cui Taormina vorrebbe rispondere.
Poi si passa al Genio Fiorentino , manifestazione creata dalla Provincia per evocare fra le altre cose la nascita di Dante Alighieri. In sintesi soldi per realizzare eventi nei comuni della Provincia. Si è svolto tutto regolarmente?
Terzo capitolo riguarderebbe la Fondazione Strozzi che da molti è indicata come un pezzo significativo del «potere» che in questi anni ha sostenuto Renzi nella sua scalata verso Palazzo Chigi.
I «fondatori istituzionali» sono Provincia, comune e camera di Commercio di Firenze. Tra i «fondatori» associazioni e importanti istituti di credito.
Recentemente la Corte dei Conti ha contestato a «Firenze Parcheggi» un danno erariale di qualche migliaio di euro per delle sponsorizzazioni, tra cui quelle alla «Fondazione Strozzi», elargite nel 2011.
Amministratore di Firenze Parcheggi era, in quell’anno, Marco Carrai, fedelissimo da sempre dell’attuale premier.
Si arriva così all’ultimo capitolo.
Quello della ormai famosa casa in via degli Alfani, 8 che Carrai aveva affittato e che per tre anni è stata la residenza di Renzi.
Il premier ha già spiegato che quella «non era la casa di Renzi pagata da altri, ma la casa di Carrai pagata da Carrai. Renzi ha usufruito in alcune circostanze dell’ospitalità di Carrai, il cui contratto di affitto dell’appartamento è stato già reso pubblico».
Tutto vero, ma c’è una domandina che a detta di chi oggi decide di vederci chiaro, resta sospesa nel nulla: Carrai ha «guadagnato» qualcosa da questa cortesia?
E comunque c’è tutto il resto. Una vera e propria montagna di soldi, si parla di oltre 30 milioni di euro spesi, di cui ora Renzi dovrà dare conto.
Nicola Imberti
(da “il Tempo”)
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Luglio 29th, 2014 Riccardo Fucile
SEL NON RITIRA GLI EMENDAMENTI, IL PD VUOLE SCORPORARLI E L’OPPOSIZIONE INSORGE: “TRUFFATORI”…. SEDUTA SOSPESA
Dopo il fallimento di tutte le mediazioni per agevolare il dibattito sulle riforme costituzionali, bloccato da una parte da circa 8mila emendamenti e dall’altra dal contingentamento deciso dalla conferenza dei capigruppo del Senato, la discussione in Aula — a Palazzo Madama — è ricominciata con la votazione sugli emendamenti al testo uscito dalla commissione Affari costituzionali.
Sul primo voto segreto la questione si è fatta incandescente.
Oggetto dello scontro tra maggioranza e opposizione l’emendamento di Sel, a prima firma Loredana De Petris, che introduce il Senato elettivo prevedendo che “i membri delle due Camere sono eletti a suffragio universale”.
La senatrice del Pd, Rita Ghedini, ha chiesto il voto per parti separate e di votare prima l’emendamento 1.1713, sul quale c’è il parere favorevole del governo.
Dura la risposta di M5S e Sel: “E’ un trucco, un artificio per non fare il voto segreto”. L’assemblea recepisce la richiesta del Pd, quindi sarà messa a votazione prima la norma riformulata dai relatori Finocchiaro e Calderoli, “sull’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza” in Parlamento.
Ma ormai è bagarre in Aula al Senato, al momento di votare, per parti separate, un emendamento di Sel che prevede l’elezione diretta del Senato.
Quando Grasso indice la votazione, che potrebbe avere l’effetto di precludere altri voti sul tema, l’opposizione insorge: “Non si può, non si può”, si sente urlare dai banchi M5S.
E Grasso sospende la seduta.
“Visto lo spacchettamento del mio emendamento, ritiro i miei emendamenti 1.29, 1.30, 1.31″. Lo annuncia in Aula al Senato Loredana De Petris, capogruppo di Sel. L’annuncio arriva poco prima del voto, per parti separate, della proposta di modifica 1.29 di Sel per il Senato elettivo.
Si passa così a un altro emendamento, che tuttavia contiene ancora l’elezione a suffragio universale del Parlamento. Ma anche su questo emendamento (1.28), il Pd chiede il voto per parti separate.
“Voterò in dissenso dal mio gruppo per difendere il principio dell’elezione universale e diretta delle due Camere”. Lo dichiara il senatore Pd Corradino Mineo nell’annunciare in Aula che voterà a favore dell’emendamento di Sel sull’elezione diretta del Senato.
“Non sarà una battaglia, faremo guerra quando calpestate la Costituzione”. Lo dice il senatore della Lega Sergio Divina in Aula al Senato. “Una parte soggiogata dal presidente del Consiglio vuole soltanto un Parlamento veloce. Noi non vogliamo un Parlamento veloce: vogliamo ancora un Parlamento libero”, proclama Divina.
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