Luglio 12th, 2014 Riccardo Fucile
NON C’E’ SETTORE DELLA VITA PUBBLICA (E PRIVATA) CHE NON SIA CORROTTO, SIAMO L’UNICO PAESE AL MONDO CON QUATTRO MAFIE… SE FOSSI UN EUROPEO DIREI “VIA, RAUS!”
Non è l’Italia che deve andarsene dall’Europa, come vorrebbero alcuni partiti, ma l’Europa che dovrebbe cacciarci a pedate nel sedere.
Perchè ci mancano gli standard minimi. Che non sono quelli economici e finanziari, che sono recuperabili e in parte recuperati, dall’odiatissimo, non a caso, governo Monti, ma etici, che sono irrimediabili.
Non c’è settore della vita pubblica, e anche privata, che non sia corrotto.
Parlamentari, presidenti di Regione, consiglieri regionali, personale delle abolende Province, sindaci, assessori, consiglieri comunali, Pubblica amministrazione, Guardia di Finanza, dai più alti ai più bassi livelli, polizia, vigili urbani.
Non c’è luogo in cui la magistratura vada a ficcare il naso dove non salti fuori il marcio.
E non ci sono distinzioni regionali: il Nord, con la sua ex ‘capitale morale’, Milano, vale il Centro e il Sud.
Ci si potrebbe divertire come si fa nel gioco ‘fiori e frutta’, a stendere la carta geografica della Penisola e, a occhi chiusi, puntare il dito a caso.
A meno che non si capiti su qualche cima delle Alpi o su qualche cucuzzolo degli Appennini, non c’è città , cittadino, paese o paesello, insomma non c’è agglomerato di italiani che sfugga al marciume generale
Il premier di questo Paese incontra più volte un pregiudicato, in stato formale di detenzione, e con costui decide leggi fondamentali dello Stato.
Una cosa simile non si era vista mai, nemmeno nel più sgangherato, misero e miserabile Paese del mondo.
Il suo mandato era scaduto da soli due giorni che Sarkozy ha subìto una perquisizione in casa propria (per essere precisi: in quella di Carla Bruni) e un paio di settimane fa è stato trattenuto per un giorno e una notte in stato di fermo.
E non stiamo parlando della Germania, dove un presidente della Repubblica si è dimesso in sette minuti perchè accusato, solo accusato, di aver ricevuto in anni lontani un mutuo agevolato o dei Paesi scandinavi dove resiste ancora l’etica protestante, ma della cugina Francia molto simile a noi in tanti difetti.
Ma anche da loro ci sono dei limiti.
Non si può permettere a un delinquente di determinare la politica di un Paese con la scusa, ridicola, che “ha il consenso”.
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha fatto resistenze inaudite per cercare di non rendere testimonianza in un processo, mentre la testimonianza è un dovere civico che riguarda tutti i cittadini (e se cerchi di sottrarti, i carabinieri, dopo due richiami, ti portano in Tribunale in manette), che non conosce guarentigie nè privilegi di sorta salvo quello, se si è una carica istituzionale, di ricevere i Pubblici ministeri nel proprio ufficio e non nella sede del processo.
Questi sono gli esempi che ci vengono ‘dall’alto’, a tutti i livelli.
Secondo un sondaggio di Nando Pagnoncelli, sette italiani su dieci ritengono che la corruzione non riguardi episodi individuali, ma che sia l’intero sistema a essere corrotto, in ogni ganglio.
E hanno ragione. Peccato che nel frattempo si sia corrotto anche il cosiddetto “cittadino comune”.
Io vado a nuotare in un’antica e prestigiosa Società milanese che ha una bella piscina olimpionica, una delle poche a Milano, e il costo dell’iscrizione è alto.
Non ci sono rumeni. Ma basta lasciare aperto l’armadietto che ti rubano gli asciugamani, i costumi, le mutande sporche.
Siamo l’unico Paese ad avere quattro mafie, quella propriamente detta, la camorra, la ‘ndrangheta, la Sacra Corona Unita insieme alle loro varie sottospecie che sono ben emerse negli scandali Mose ed Expo, con le quali stiamo infettando il resto d’Europa. Perchè dovrebbero tenerci?
Se fossi un europeo direi: via! Raus!
Rimanete a marcire nel vostro truogolo un tempo chiamato il “Bel Paese”.
Massimo Fini
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Luglio 12th, 2014 Riccardo Fucile
LE TRUPPE SCHIERATE, MA SONO IN MOLTI ANCORA GLI INDECISI… E SE PASSA IL VOTO SEGRETO NULLA E’ PIU’ CERTO
«Se ci sarà il voto segreto sull’articolo 57 avremo delle sorprese, ve lo assicuro». Erica D’Adda è una
frondista del Partito democratico e il 57 è l’articolo della Costituzione, architrave della riforma che arriva in Aula lunedì perchè riguarda la composizione del nuovo Senato e l’elezione dei futuri senatori (in tutto 100) non più direttamente dai cittadini ma da parte dei consiglieri regionali.
La maggioranza sembra salda, ma il timore dei «gufi» (come li chiama Matteo Renzi) è quello di imboscate da parte della pattuglia trasversale di dissidenti.
Sullo sfondo, la battaglia dell’Italicum, la nuova legge elettorale approvata finora solo alla Camera, altra faccia dell’accordo tra Pd e Forza Italia.
La riforma arriva in Aula lunedì e da mercoledì si dovrebbe cominciare a votare.
Se Anna Finocchiaro prevede il via libera entro la pausa estiva, i timori rimangono. Nel Pd ci sono i 14 sostenitori del Senato elettivo, quota che però potrebbe salire.
E poi c’è il fronte di Forza Italia: da una parte il gruppo dei 7 di Raffaele Fitto (che potrebbero uscire dall’Aula), dall’altra i frondisti di Augusto Minzolini (ai quali si è aggiunto anche Domenico Scilipoti).
Martedì si incontreranno con Silvio Berlusconi e lo stesso giorno è prevista l’assemblea dei senatori del Pd, che potrebbe concludersi con un voto che formalizzi la posizione ufficiale del partito.
Ieri i senatori di Forza Italia Anna Cinzia Bonfrisco e Augusto Minzolini hanno scritto una nota per ribadire «la volontà di proseguire nel processo riformatore in linea con il ruolo centrale assunto da Berlusconi con il patto del Nazareno», ma anche per confermare «la necessità di individuare una soluzione che stabilisca per l’elezione del Senato un criterio che affermi la volontà popolare».
E su questo tema, cita la proposta di Renato Brunetta di due liste diverse tra senatori e consiglieri regionali.
Paolo Romani, capogruppo azzurro al Senato, assicura che la fronda interna sul disegno di legge Boschi si è ridotta e lo si vedrà martedì (a differenza del Pd, in Forza Italia non dovrebbe esserci alcun voto).
Ma Minzolini avverte: «Attenzione, ci sono nomi nascosti, potrebbero esserci delle sorprese. Questa riforma non piace quasi a nessuno, vediamo se alla fine la voteranno o no».
Sorprese che potrebbero arrivare anche dal voto segreto.
Al Senato, in realtà , le maglie sono più ristrette. La richiesta può essere fatta da 20 senatori e poi a decidere sull’ammissibilità è il presidente dell’Aula.
Felice Casson mette le mani avanti: «Sul tema, il regolamento è chiarissimo». Quindi ci sarà il voto segreto? «Insciallah ».
Ma una previsione Casson la fa: «Penso che qualcosa riusciremo a cambiare e che comunque l’esame non finirà questa settimana. Noi del Pd presentiamo oltre quaranta emendamenti. Io voterò certamente per il senato elettivo e sull’immunità . Sul voto finale, invece, vedremo cosa uscirà fuori».
I dissidenti dei vari partiti provano a fare fronte comune.
Miguel Gotor, dopo le modifiche sul quorum per eleggere il presidente della Repubblica, è soddisfatto: «Si è fatto un buon lavoro, il testo è cambiato moltissimo, non capisco perchè opporsi».
Non è d’accordo Maria Grazia Gatti, preoccupata «per i pesi e contrappesi al sistema parlamentare, che non ci sono»: «Io resto per il Senato elettivo, credo che dovrebbero essere ridotti anche i deputati e credo che si dovrebbero allargare le competenze del Senato anche ai diritti sociali e politici».
Voterete contro? «Valuteremo. Non siamo un gruppo nè una corrente, anche se ci parliamo. Non ho timore di sanzioni: non è più tempo di Inquisizione».
Dello stesso parere la D’Adda: «Ho dato scherzosamente del Torquemada a Tonini, che aveva chiesto sanzioni. Tanto più che nel nostro regolamento è consentito il dissenso: non ci spaventiamo».
Quanto al voto segreto: «Io preferisco la battaglia a viso aperto e non mi nascondo. Ma di sicuro ci sono molti che sono sulle nostre posizioni e non si espongono perchè hanno timore».
Il testo non le piace, nonostante le modifiche: «Non voglio usare termini pesanti, ma dimostra una visione della democrazia che è diversa dalla mia: c’è un attacco ai corpi intermedi e un accentramento dei processi e dei poteri».
Roberto Calderoli, reduce dallo sfortunato malore con infortunio, si attribuisce il merito per «la palude evitata» e riassume i rumors: «C’è un fronte ideologico che voterà contro per convinzione. Ma c’è anche il partito della pagnotta: quelli che, a torto o a ragione, temono di andare a casa».
Alessandro Trocino
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Luglio 12th, 2014 Riccardo Fucile
PARLA IL PIU’ FAMOSO POLIZIOTTO DEL MONDO: “LA MIA VITA E’ STATA UNA LOTTA CONTINUA CONTRO L’ARROGANZA DEL POTERE. DA VOI MANCA LA CERTEZZA DELLA PENA”
Ci vogliono un paio d’ore di macchina per raggiungere Hudson River Town, un grazioso villaggio a nord della Grande Mela.
Il paesaggio è rigoglioso. Tanto verde. Prati. Boschi. E silenzio. La frenesia e il chiasso di Manhattan sono svaniti.
È qui, parallelo al grande fiume, un po’ fuori dal mondo, che vive Frank Serpico, il poliziotto che denunciò la corruzione fra i suoi colleghi e che è diventato il simbolo della legalità nonchè lo sbirro più famoso al mondo anche per via del film sulla sua vita interpretato da Al Pacino.
Quando il gps segnala la destinazione finale troviamo una fattoria lontana e una macchina della polizia federale parcheggiata.
Ci indicano la via per trovare Frank. Tagliamo in due l’ennesimo bosco e spuntiamo nel villaggio di Hawthorne Valley dove Serpico, ci dice una specie di cow boy del terzo millennio, «gestisce il teatro della scuola».
Ci saranno una quindicina di case, le tipiche yankees di campagna. Tutte legno, il porticato con la sedia a dondolo, un piano-terra e una stanza da letto sopra, comignolo e, fuori, accatastata, la legna per l’inverno che qui, mi dicono, picchia duro.
È una giornata bellissima. Sole forte. Cielo limpido.
L’appuntamento è di fianco ad un supermercato perchè Serpico non riceve nessuno a casa sua. E ogni appuntamento ha un diverso indirizzo. Eredità di una professione dalla quale, mi dirà poi, non è mai uscito.
Ci sediamo ad un tavolo di legno sotto un gazebo fuori dell’Hawthorne Valley Farm Store e sorridente, da dietro, all’improvviso, si materializza il Mito.
«Vi ho sorpreso?»
La voce è forte e colpisce perchè si accompagna a un fisico fin troppo magro. Capelli arruffati. Barba incolta. Una camiciola jeans a maniche corte. Foulard blu con piccoli disegni bianchi. Occhiali da sole e al collo una lente d’ingrandimento con una cornice d’argento.
«L’ho comprata da un tabaccaio vicino San Pietro a Roma. E non me ne separo mai».
Frank si siede, posa un libro (è «Mistero Buffo» di Dario Fo) e un piccolo dizionario tascabile italiano-inglese («mi serve per rispolverare la vecchia lingua») che non aprirà mai tanto è scorrevole il suo linguaggio con una chiara inflessione napoletana.
È’ un tipo diretto, senza fronzoli. Il padre (ne parla molto) nacque a Marigliano, vicino Napoli. Lui è nato a Brooklyn ed è stato battezzato con uno dei nomi più italiani che ci siano, Francesco.
«Le suore volevano che venissi battezzato col nome di Francis. Mio padre si impuntò. Questo figlio mio ha sangue italiano e deve avere nome italiano. Io, caro amico, mi chiamo e sono Francesco Serpico, Quando mi chiamano Frank non mi dispiace. Gli americani, lo sa, accorciano tutto. Ma io sono Francesco Serpico. Piacere»
Allora Francesco, cominciamo?
«Cominciamo? Per favore mi parli in direzione dell’orecchio destro. Lo sparo a sinistra mi ha spezzato il nervo e lì ci sento assai meno».
Partiamo dalle sue radici italiane a cui tiene molto, ci pare…
«Nel mio sangue scorre sangue italiano. Uno dei momenti più belli della mia vita è stato quando ho avuto il passaporto italiano, qualche anno fa. Me lo consegnò questo collega qui, italiano, l’ispettore capo della Polizia Sergio Cirelli, che è diventato mio grande amico. È riuscito a concretizzare un sogno antico. Ora con quel documento sono completo. Rivolevo indietro il mio nome, la mia cultura che è quella che mi hanno dato i miei genitori. Le dico di più. Quando sono tornato a casa ho pianto. Come anche quando ho letto il certificato di nascita di mio padre che sempre Cirelli ottenne e mi portò».
Cosa è per lei l’Italia?
«È il Paese dove voglio tornare. Voglio morire lì, da dove partì mio padre. Seguo su internet la stampa italiana e so perfettamente bene che l’Italia ha tanti problemi: disoccupazione, droga, criminalità , corruzione. So che la mia scelta non è per andare a star meglio dal punto di vista materiale. Qui si sta bene, non mi manca niente. Adoro coltivare le mie insalate, i miei pomodori, la mia frutta. Mi piace ancora (ma prima mi piaceva di più) allevare le mie pecore, le mie galline, le mie vacche. Qui ho tanti amici che mi vogliono bene. Ma più di ogni altra cosa sento da parecchio tempo una gran voglia d’Italia. La mattina, quando mi alzo, la prima cosa che mi viene di fare, mentre metto su il caffè, è cantare. G uarda ‘o mare quant’è bello, spira tanto sentimento… »
Cos’altro rappresenta l’Italia?
«Ovviamente non è solo il Paese dove si mangia meglio al mondo, io ho voglia d’Italia perchè, credo, è un Paese dove ancora si può vivere in una dimensione umana. Qui per cercare una dimensione umana sono dovuto scappare dalla metropoli. In Italia ci sono ancora i valori di una civiltà che è nata dal Cristianesimo. E di quelli che c’è bisogno. Vede, la mia vita è stata una lotta continua contro l’arroganza del potere. Sa quando ho cominciato? Tanti anni fa. Mio padre faceva il lustrascarpe. Nella bottega aveva tre sedie. Eravamo lui e io. Allora avevo una decina d’anni. Un giorno entra un poliziotto. Era grosso e alto. Si siede e tocca a me lucidargli le scarpe perchè mio padre aveva un altro cliente. Ce la metto tutta. Voglio fare bella figura con un uomo in divisa. Strofino, ingrasso, lucido come meglio non avrei mai potuto. Quando finisco, il poliziotto si alza e se ne va. Senza pagare. Senza dire grazie. E senza neanche salutare. Io ci rimango malissimo. Trattengo a stento le lacrime e mio padre corre a consolarmi dicendomi: vedrai che prima o poi gli daremo una lezione. Il giorno dopo, puntuale, eccolo che torna. Mio padre esce dal negozio. Gli si para davanti. Io gli sto a fianco. E gli chiede: è venuto per farsi pulire le scarpe? Certo. Mio padre gli allunga la mano: qua i soldi perchè da oggi si paga anticipato. Il poliziotto sbofonchiò qualcosa che non capimmo, girò i tacchi e se ne andò. Il commento di mio padre fu: abbiamo perso un cliente ma abbiamo conquistato la dignità . Non l’ho mai dimenticato. Fu una lezione di vita dalla quale la mia esistenza è stata segnata per sempre».
Perchè?
«Perchè l’arroganza del potere è una dei mali più profondi e più gravi del nostro tempo. E’ vero, l’arroganza del potere c’è sempre stata ma come si manifesta oggi, in mezzo a tanta retorica, no, non c’è mai stata. Prenda Clinton, probabilmente il peggior presidente degli Stati Uniti che ci sia mai stato. Ha messo a tacere in modo vergognoso l’affaire-Levinski e tutti gli altri che hanno accompagnato le sue due Presidenze. Altro che il vostro/nostro Berlusconi! Clinton, in quanto Presidente del più importante Paese del mondo, doveva essere al di sopra di ogni, pur minimo, sospetto. E invece ha calpestato le leggi, i codici, i Tribunali. Su Clinton le voglio dire un’altra cosa. Joe Tramboli è un nome che forse non vidrà niente. In realtà è agente, di origine italiana anche lui, che svelò la corruzione di alcuni suoi colleghi e li arrestò. Oggi è caduto rovinosamente nel dimenticatoio e fu proprio Clinton, che interpellai nel ’94 per chiedergli di conferire a Tramboli la medaglia del Presidente (gli chiesi anche di istituti una commissione di vigilanza sui corrotti in polizia) a non fare nulla.
Nel dettaglio cosa le rispose Clinton?
Ecco qua. «Caro Frank, condivido le sue preoccupazioni e apprezzo molto i suoi consigli». Aggiunse anche che aveva segnalato la candidatura del poliziotto in questione ai suoi collaboratori. Ma nulla venne fatto. Una vergogna, proprio come tutte le altre cose di Clinton. Il quale ha ancora la faccia tosta di andare in giro per tenere conferenze, peraltro assai ben pagate. Davvero una vergogna».
E degli altri Presidenti americani che pensa?
«Che nessuno ha avuto il coraggio di chiedere scusa alla Nazione per i morti nelle guerre sbagliate che sono state dichiarate e combattute con un dispendio di risorse economiche da far paura. I cui risultati peraltro sono semplicemente disastrosi. A che è servito lottare in Afghanistan se i talebani sono a pochi metri dal potere? Ed in Iraq? Hanno buttato giù Saddam Hussein. Non era certamente un modello di democrazia. Ma, uscito violentemente di scena lui, cosa ne è di quel Paese? Oggi c’è il Califfato di Al-Baghdadi che arriva fino in Siria e minaccia di arrivare in Libano, cioè al Mediterraneo. Che bel risultato! E l’aiuto ai ribelli anti-Assad in Siria? E’ solo servito ad aiutare gli eredi di Al Qaeda di cui è stato giustiziato il capo. Insomma, contraddizioni strategiche e diplomatiche da un lato e migliaia di morti dall’altro. Chi ne è responsabile? Chi ne chiede scusa al popolo americano?».
È un fiume in piena, Serpico. Si accalora. Si agita. Muove le mani come vuole il clichè napoletano più classico.
«Se io fossi il Capo del Governo in un Paese come l’Italia, cosa farei? Prima di tutto parlerei con le madri. Ecco a Matteo Renzi chiederei di parlare alle mamme, alle famiglie».
Che c’entrano le madri e le famiglie?
«C’entrano. Perchè il problema numero uno è l’educazione di un popolo, e nessuno ci pensa più all’educazione. Non nel senso della buona creanza (dice proprio così, buona creanza, ndr). Ma nel senso dei valori di fondo. Senza lealtà , trasparenza, senso di responsabilità , culto dell’onestà intellettuale e morale allo stesso tempo, umiltà , rispetto per gli altri, senza questi valori si va solo a sbattere contro il muro. Si sprofonda nel cinismo di Stato, nei compromessi più ignobili, nelle bugie pubbliche. Si offrono modelli di vita assurdi. A New York c’è un consumismo sfrenato, che esagerazioni inutili, che spese folli, folli per la entità del danaro che esce e folli per gli oggetti, quasi sempre inutili, che si acquistano. Ma si può andare avanti in questo modo? Il consumismo è una delle più grandi trappole del mondo moderno. E, se fossi Renzi, o chiunque a capo del governo italiano, farei anche un’altra cosa»
Dica.
«Mi batterei affinchè fosse garantita la certezza della pena che in Italia oggi è un’utopia. Chi sbaglia deve pagare. Punto».
Lei è diventato un eroe in tutto il mondo, il suo nome è un simbolo. Come vive questa notorietà ?
«Gli Stati Uniti mi hanno dato, nello stesso tempo, grandi soddisfazioni ed enormi amarezze. Come ho già ricordato in altre occasioni, il Museo della Polizia di New York City non ha accettato di esporre il mio distintivo. Che cosa dimostra questo? Che non molto è cambiato in tutti questi anni. Basta pensare che, grazie anche al film sulla mia storia, sono conosciuto in tutto il mondo. Mi hanno riferito che anche gli agenti e i carabinieri italiani sanno chi sono e quello che ho fatto. Questo mi riempie d’orgoglio come mi riempie di orgoglio sapere che la polizia italiana, pur impoverita dai risparmi imposti dal Governo, ottiene grandi risultati e di recente è riuscita a fare una spettacolare operazione antimafia in Sicilia. Bravi davvero come erano bravi ai tempi dei mafiosi di qua e di là dall’Oceano. Il New York Police Department cerca invece di cancellare la mia figura dalla storia di questo Paese e dalla storia della polizia americana».
Possibile che non abbia mai avuto un segno di solidarietà ?
«Per quanto riguarda gli altri poliziotti è così. Paradossalmente sono stato più rispettato dai delinquenti, dai mafiosi, che dai miei colleghi. Una volta un mafioso mi disse: non abbiamo niente contro di te, non sei una faccia di merda come gli altri. Eppure ricevo molte di lettere nelle quali mi si chiede il mio parere su argomenti vari».
E che cosa si sente di dire a chi si trova in una situazione simile a quella che lei ha vissuto tanto tenpo fa?
«Di battersi per la verità , non avere paura, non piegarsi mai. Se poi vuole andare oltre deve essere certo di sapere come stanno davvero le cose, nel dettaglio. Non può essere approssimativo e non deve generalizzare mai. Non si deve fidare di nessuno e non deve confidarsi con persone di cui non si è più che sicuro. E infine, gli direi di raccogliere più prove possibili e di registrare tutto. La ricerca della verità è dura, difficile, dolorosa ma alla fine paga».
Chi considera i suoi eredi oggi?
«Ci sono tanti poliziotti coraggiosi e onesti nel mondo. Ma se vogliamo fare un paragone originale, penso che Assange, Snowden che qualche tempo fa definii i Serpico dell’era contemporanea, della Rete Mondiale. È anche grazie alle loro rivelazioni che oggi la Germania può interrompere l’offesa di essere spiata ai massimi livelli da un Governo che si dichiara alleato. Cosa c’è di più fondamentale che la trasparenza? Se ci fosse davvero e ovunque la trasparenza i cittadini smetterebbero di avere paura».
Paura di cosa, di chi?
«Paura dei loro capi. La libertà è un concetto molto abusato, ma se ne parla spesso a sporposito. Che cos’è davvero la libertà ? Qui in America c’è la libertà di scegliere una scarpa con tacco da dodici centimetri piuttosto che un’altra, pagandole entrambe cifre assurde. Ma non c’è la libertà di pensarla davvero col proprio cervello». Sulla vita di Francesco Serpico, Peter Maas ha scritto «Serpico: The Classic Story of the Cop Who Couldn’t Be Bought».
Nel 1973 Sidney Lumet ha diretto «Serpico» interpretato da Al Pacino. Al libro di Maas è stata ispirata la serie televisiva «Serpico» trasmessa dal 1976 al 1977 dalla NBC. Che effetto le ha fatto essere diventato famoso?
«Quel film l’ho rivisto solo trent’anni dopo che era uscito. Intanto, ci sono alcuni dettagli non esatti nella ricostruzione del momento in cui mi hanno sparato. Non me la sentivo ancora di rivivere quel periodo».
Che resterà di Francesco Serpico?
«Vorrei che si ricordasse una cosa che può sembrare banale, ma per me non lo è: io sono un essere umano. Negli Stati Uniti moltissimi pensano che Serpico sia una fiction ben riuscita. Per altri è una leggenda vivente. Per voi italiani, spero, Serpico deve essere un connazionale onesto che sta per tornare a casa perchè è nella terra dei suoi avi e dei suoi genitori che un giorno vorrà riposare»»
Massimo Magliaro
(da “il Tempo“)
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Luglio 12th, 2014 Riccardo Fucile
“PASSA TROPPO TEMPO A FARE LOBBYING IN EUROPA E POCO A RISOLVERE I PROBLEMI DEGLI ITALIANI”
“Può Matteo Renzi salvare l’Italia? O si dimostrerà inefficace come gli altri prima di lui?”. Questa la
domanda che si pone l’Economist in un articolo sul primo ministro, “che per troppi italiani sembra un Berlusconi della sinistra. Sebbene non soffra di una discutibile vita amorosa, di un conflitto di interessi e di battaglie con i giudici, Renzi è uno ‘showman’ quasi come Berlusconi”, e ancora, “un outsider che ha trionfato nel collasso di un ordine politico discreditato”.
“La sua promessa di portare a termine una grande riforma ogni mese era eccessiva. Ora Renzi dice che ha bisogno di 1000 giorni per fare la differenza e non 100”. L’Economist spiega come accanto al suo essere giovane ed energico ci siano anche “inesperienza, improvvisazione, vacuità “.
“Il più chiaro risultato di Renzi è stato il contributo in busta paga di 80 euro per i lavoratori meno abbienti, servito a maggio giusto in tempo per le elezioni europee”. Secondo il settimanale, il premier italiano sta facendo errori nella sua strategia in Ue.
“Passa troppo tempo a fare lobbying in Europa per una maggiore flessibilità rispetto alle regole fiscali, e troppo poco parlando del bisogno di più flessibilità per il mercato dei lavoro e dei prodotti in Italia”.
Il rischio per Renzi, afferma l’Economist, è quello che “fingere ci sia una soluzione veloce e facile” per uscire dai problemi alla fine favorisca il paragone “poco lusinghiero” con Silvio Berlusconi.
Il magazine economico britannico ricorda il successo del Partito democratico, ora la truppa più numerosa in Europa, ricorda quell’aggettivo, “matador”, affibbiato a Renzi dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, ma porta all’attenzione del lettore anche un’economia “che affonda”, una disoccupazione “che cresce” e un debito pubblico secondo solo a quello della Grecia.
“L’Italia è troppo grande per fallire e troppo grande per essere salvata. Se va giù, così va giù anche l’euro”. Poi, da parte dell’Economist, anche una ricetta, con Renzi che deve “ravvivare l’economia”.
“C’è bisogno di molte riforme strutturali – scrive il giornale – dalla liberalizzazione alla privatizzazione di molte imprese pubbliche, di accelerare i lenti tribunali e di combattere la corruzione endemica”.
Il settimanale britannico The Economist fa anche il suo ‘endorsement’ e chiede agli scozzesi di non votare per l’indipendenza nel referendum del 18 settembre.
“Non lasciateci in questo modo”, si legge sulla copertina dell’ultimo numero, che presenta commenti e articoli a favore dell’unione.
“Una secessione non darebbe alcun beneficio a nessuno – si legge – i costi sicuri per i cittadini da entrambe le parti del confine superano i benefici incerti”.
L’Economist sottolinea come gli scozzesi rischino di ritrovarsi più poveri con la secessione, perdendo il sostegno di Londra.
“La popolazione della Scozia è più anziana e malata rispetto alla media britannica, e la produttività è l’11% più bassa rispetto al resto del Paese. Come risultato lo Stato spende circa 1200 sterline in più per uno scozzese rispetto a un britannico”.
Intanto in un sondaggio di Survation, i pro-secessione raggiungono il record di consensi conquistando il 41%, rispetto al 39% del mese scorso, mentre gli ‘unionisti’ sono al 46%, e gli indecisi al 13%.
Se questi ultimi vengono esclusi dal computo, i contrari all’indipendenza raggiungono il 53% e i favorevoli il 47%.
(da “Huffington Post“)
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Luglio 12th, 2014 Riccardo Fucile
A LIVORNO ORGANIZZA GLI STATI GENERALI DELLA DISSIDENZA: “MATTEO SOMIGLIA A CRAXI E I SUOI SEGUACI SONO FASCISTOIDI”
“Se il Pd diventa il PdR, il partito di Renzi, del capo, del leader, sarà difficile restarci dentro. Ma fino a quel momento continueremo a combattere all’interno».
Nessuna scissione è in vista, almeno per ora, a Livorno, dove nel 1921 nel teatro Goldoni si consumò la separazione tra socialisti e comunisti e nacque il Pci e dove quasi un secolo dopo, un mese fa, la sinistra ha perso la guida della città contro il Movimento 5 Stelle.
Non si fonda un partito il 13 luglio a Livorno, al più un’associazione.
“Possibile”, la chiama Pippo Civati, il deputato lombardo che fu il primo compagno di strada del coetaneo Matteo Renzi nella prima edizione della Leopolda, nel 2010, il primo a finire scaricato, l’unico oppositore interno.
Cos’è “Possibile”? Una nuova corrente del Pd? L’embrione di un nuovo partito?
«Io dico che è un’intelaiatura…»
Eh no, in era renziana non si può più parlare così!
«Allora diciamo che è una sigla trasversale, per organizzare una riflessione del Pd verso sinistra. Con alcuni punti di partenza. Primo: nessuno vuole mettere in discussione la leadership di Renzi, nè nel Pd nè nel governo del Paese. La rottura con Renzi è avvenuta quando ha eliminato Enrico Letta da Palazzo Chigi e ha confermato al tempo stesso il patto con Berlusconi come fondamento della sua strategia politica. Secondo: la mia, la nostra non è una critica distruttiva».
Se non mettete in discussione Renzi, cosa vi distanzia dalle altre correnti del Pd?
«A differenza delle altre minoranze, io non ho un sottosegretario, a Roma te lo danno come al ristorante la “cacio e pepe”, non ho neppure una pattuglia di parlamentari da buttare nella mischia per poi trattare, neanche i dissidenti del Senato lo sono».
Corradino Mineo non è un civatiano?
«Al congresso ha votato per me. Ma Vannino Chiti, di certo, non è un civatiano, è una persona libera, come lo sono io. Vorrei dirlo a certi seguaci di Renzi che sulla Rete creano un clima fascisteggiante nei nostri confronti. Dire che il Senato e la Camera non possono essere composti solo da nominati non significa essere contro Renzi e il governo».
Gufi, rosiconi e benaltristi, direbbe il premier. Gente che non avrebbe mai preso il 40,8 per cento alle europee…
«Ecco, è proprio il 40,8 per cento che deve consigliare a Renzi più responsabilità quando parla. Mi aspettavo dopo quel risultato un Renzi più uomo di Stato e meno rabbioso nei confronti di chi dissente. Quel successo dovrebbe spingere a rappresentare tutti. Le parole sono importanti, diceva un noto leader della sinistra, Nanni Moretti. Il 40,8 per cento di un monolite è pericoloso. Soprattutto se si chiede a tutto il Pd e poi a tutta la politica italiana di aderire a una sola dottrina: il Renzismo».
Che cos’è il Renzismo? Lei lo ha capito?
«Il Renzismo è prima di tutto una prospettiva dall’alto verso il basso, un tratto leaderistico. È la ricerca di una sfida contro il nemico, andava bene quando Renzi era l’outsider contro la maggioranza, ora che è al vertice rischia di trasformarsi in una inutile criminalizzazione delle minoranze. La creazione di un perenne stato di attesa, un’atmosfera da sabato del villaggio. Una tentazione plotiniana, lo faccia dire a me che mi preparavo a una vita da filosofo, da Plotino, intendo. La reductio ad unum: da lui tutto viene e tutto deve tornare».
Ma lei parla così perchè ha sperimentato l’incompatibilità di Renzi: la vostra coppia durò pochi mesi. Avrà pure qualche qualità se ha conquistato in pochi mesi il Paese.
«Lo scontro tra me e lui non è mai stato di carattere personale. Riconosco a Renzi il merito di essersi trovato nella posizione giusta. La politica italiana ha creato negli ultimi tre anni l’habitat naturale per il fiorentino. C’era un Paese che aveva bisogno di un nuovo leader dopo Berlusconi e una sinistra che voleva vincere, a tutti i costi, dopo aver “non-vinto” nel 2013. Renzi ha preso un grande voto popolare, è arrivato quando non c’erano più destra e sinistra e lui di gran lunga è il più mobile, incarna l’innovazione e il cambiamento necessario, sia pure in versione muscolare, un po’ manesca verso chi non la pensa come lui. Simile in questo al Berlusconi del 1994, al Grillo del 2013, soprattutto a Craxi. È lui il modello di riferimento».
Matteo come Bettino?
«Sia chiaro: non mi riferisco al Craxi dei primi anni Novanta, travolto dalle inchieste di Mani Pulite. Penso al Craxi giovane, dinamico, spregiudicato, alla sua idea di politica: la ricerca di un potere che si deve conquistare e poi si deve saper mantenere. Decisive sono state le larghe intese: hanno fatto svanire contemporaneamente Berlusconi e il vecchio gruppo dirigente del Pd che si erano combattuti per venti anni. Ora lo scontro è tutto interno al Pd, tutto pro o contro Renzi. Le riunioni delle direzioni del Pd sono esemplari: in apparenza si vota su un punto all’ordine del giorno, in realtà ci esprimiamo sempre sulla stessa cosa, anzi, la stessa persona: Renzi».
Che fa, rimpiange il vecchio Pd di Pier Luigi Bersani, con la sua babele correntizia, immobile, sconfitto?
«In quel Pd c’era un eccesso di burocrazia, ma anche una cultura politica più rispettosa delle differenze, un necessario pluralismo…».
Dimentica che l’apparato bersaniano vi piazzava una contro-manifestazione ogni volta che Renzi, voi o altri vi riunivate. A proposito: perchè a Livorno non avete invitato i renziani?
«C’è Filippo Taddei, fa parte della segreteria, sarebbe un errore non definirlo renziano… e poi il riconoscimento deve essere reciproco».
Sarà . Ma questa incomunicabilità sa tanto di partito nel partito, anticamera di una scissione.
«Nessuna scissione. Sono rimasto nel Pd anche se ho visto tante cose che voglio rifiutare. Il patto del Nazareno con Berlusconi, per esempio. C’è o non c’è? È scritto o orale? Sembra la lettera rubata di Edgar Allan Poe. Non si può valutare tutto quello che si muove alla luce di cosa conviene o non conviene a Matteo Renzi».
Che margini di sopravvivenza ci sono per chi è minoranza nel PdR, il Partito di Renzi?
«Bisogna conquistarsi uno spazio. In politica devi intestarti le battaglie per cui tiene davvero, devi caratterizzarti. Quello che non capiscono i turchi, i bersaniani, pensano che prima o poi nel partito toccherà a loro, non vedono che Renzi farà da sè il prima e il poi. Il mio obiettivo è costruire un centrosinistra nettamente delimitato, alternativo ad Alfano, per esempio, con un gruppo dirigente che abbia una visione. E una vita democratica dentro il Pd. Trasparenza sui finanziamenti, consultazioni on line, recupero di temi come l’ambiente e la legalità , oggi dimenticati».
È l’embrione di un nuovo partito di sinistra con Civati leader?
«Non ci sono persone che cercano un nuovo capo. E io in questo progetto mi sento più un federatore che un attore, uno che cerca di mettere in dialogo tutto quello che si muove a sinistra».
A sinistra, in Sel, per la verità qualcosa si muove, ma per saltare sul carro renziano…
«Gennaro Migliore vuole entrare nel Pd per dire le stesse cose che diciamo ora noi. Non ho capito la sua mossa, mentre guardo con grande interesse al travaglio di Sel».
E il Movimento 5 Stelle? Lei è stato accusato da Beppe Grillo di qualunque nefandezza perchè corteggiava i deputati di M5S, un deputato si spolverò in tv la giacca perchè lei lo aveva sfiorato, che effetto le fa vedere ora Luigi Di Maio che insegue Renzi?
«Mi fa piacere che ora il Movimento si interroghi, di me Grillo disse che ero la mafia perchè cercavo il dialogo con loro, ora spero che Di Maio non si riveli un renziano in erba… In un anno M5S ha perso due treni, l’uscita di scena di Berlusconi e prima ancora l’elezione del presidente della Repubblica. Sono al bivio, possono diventare un terzo polo oppure un movimento di popolo contrapposto a un blocco di governo che va da Renzi a Migliore. La vera domanda è cosa succede nell’area berlusconiana: perchè non fanno una Leopolda della destra? Se non si muove nulla, resterà il partito della Nazione renziano, che non è esattamente il bipolarismo competitivo tra due schieramenti che Matteo aveva promesso».
È possibile un Pd senza la R, senza Renzi?
«Il Pd era un partito orgoglioso di non essere un partito personale. Siamo ancora in tempo per evitare che lo diventi. Le prossime evoluzioni non possiamo stabilirle noi, non le conosce neppure Renzi. O si sviluppa un’alternativa dentro il Pd, o il Pd diventerà sempre più il partito del Capo, del Leader, dove c’è solo la R di Renzi senza il partito. E allora per tanti di noi sarà sempre più difficile restarci dentro».
Marco Damilano
(da “L’Espresso“)
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Luglio 12th, 2014 Riccardo Fucile
LA PASCALE VORREBBE ESSERE PIU’ PRESENTE IN POLITICA, BERLUSCONI PREFERISCE TENERAL LONTANO DAL PARTITO… MA LEI MINACCIA DI FARE “COME VERONICA”
La pazienza di Berlusconi, risucchiato da un venerdì nero a metà nel triangolo giudiziario formato da
Cesano Boscone (servizi sociali per frode Mediaset), Milano (richiesta del pg nell’appello di Ruby) e Bari (Tarantini, Lavitola e le escort).
Alle otto di ieri sera, ad Arcore, Silvio Berlusconi era ancora in riunione con i suoi avvocati. Umore pessimo, in parte però ammorbidito dalla patente di Padre della Patria dispensata dalla vestale renziana Maria Elena Boschi sul borghese Corsera: “Silvio Berlusconi sta dando prova di serietà ”.
Il 18 luglio, il voto in Senato e le rassicurazioni di Verdini
È un segnale che conferma la nuova fase politica aperta dal patto del Nazareno con Matteo Renzi: per la prima volta, l’ex Cavaliere decaduto dal Senato riesce a essere ottimista sulla prospettiva della grazia.
Stavolta per le eventuali conferme della condanna per Ruby, fino alla Cassazione, come anticipato dal Fatto già il 27 giugno scorso.
Adesso la questione è esplosa e Berlusconi assapora davvero un clima di pacificazione.
Una sensazione mai provata nel triennio orribile (per lui) di Napolitano più Monti più Enrico Letta.
Con l’avvento di Renzi il paesaggio è completamente cambiato e anche al Quirinale si potrebbe prendere atto dei meriti costituenti di Berlusconi.
Lo scambio è fin troppo evidente: da un lato le riforme, per il premier , dall’altro Mediaset e grazia. Il resto è noia o fuffa.
Ed è per questo che ieri ci sono state rassicurazioni reciproche sulla blindatura del patto. Al netto della fronda interna di Forza Italia (comunque da verificare in aula a Palazzo Madama), l’accordo del Nazareno contempla il primo voto azzurro anche in caso di un sentenza di colpevolezza nell’appello di Ruby.
Certo, la tensione si alzerà di nuovo al massimo e l’ex Cavaliere sarà in preda ai suoi soliti spasmi contro la magistratura.
Sbollita la rabbia, sarà questa l’occasione per rinfacciare a Renzi la parola mantenuta nonostante le condanne.
L’unica vera incognita è solamente l’umore variabile. Per questo ogni santo giorno Denis Verdini, lo sherpa berlusconiano per le riforme, gli ripete: “Silvio stai tranquillo che Matteo manterrà i patti”. Quali patti?
“Francesca ci scusi ma è una riunione riservata”
A complicare la vita di Silvio, in questo crepuscolo da Padre della Patria, c’è poi il rapporto con la fidanzata-convivente Francesca Pascale, descritto da più fonti berlusconiane (politiche e no) come “fragilissimo”.
La situazione, sinora tenuta sotto controllo, è peggiorata con la sceneggiata della fidanzata andata a Napoli per iscriversi all’Arcigay.
La protesta più clamorosa, rivelata dall’Huffington Post, è stata quella della primogenita Marina, arrabbiata per essere stata tirata in ballo ancora un volta come l’erede del papà in politica.
Ma hanno lasciato il segno anche gli attacchi a Daniela Santanchè (nemica numero uno del cerchio magico di Pascale), trasformata in una Crudelia De Mon amante delle borse taroccate, e a Maurizio Gasparri, definito “ipocrita” sui gay perchè di giorno farebbe una vita e di notte un’altra (qui il riferimento è a una presunta passione trans dell’ex An, smentita decina di volte).
Il caso c’è anche se l’apparenza continua a essere tinta di bianco, come lo smoking indossato da Pascale alla cena forzista di mercoledì scorso, e i due si sforzano di apparire insieme felici e sorridenti.
Proprio quel giorno, poche ore prima dell’evento organizzato da Mariarosaria Rossi, la Badante della coppia, a Palazzo Grazioli c’è stata una scena movimentata.
La raccontano così.
Il Condannato era riunito con il suo consiglio di guerra: Gianni Letta, Fedele Confalonieri, Niccolò Ghedini, Denis Verdini. Mediaset, processi e grazia, riforme. Tutto torna.
Dopo mezz’ora circa, la porta si è aperta ed è apparsa “Francesca”.
È entrata nel silenzio generale, spezzato dopo qualche secondo dalla voce inconfondibile dell’avvocato-senatore Ghedini: “Francesca ci scusi ma questa è una riunione riservata”.
Il viso del Fidanzato è rimasto impassibile, come a dare più forza all’invito di Ghedini.
A quel punto, lei si è girata ed è uscita, richiudendo la porta.
Una scena completamente diversa da quella vissuta a Palazzo Grazioli durante le notti bianche della scissione di Alfano. Lei tornò a “casa” con Nunzia De Girolamo e Barbara Saltamartini, schierate con l’ex delfino senza quid, e Verdini la cazziò con durezza: “Ma che fai, porti queste due proprio qui?”.
La Fidanzata reagì con rabbia: “Questa è casa mia e faccio quello che voglio, hai capito?”.
Litigi, scenate e minacce: ”Tra i due sarà l’Apocalisse”
Una crisi tra “Francesca” e “Silvio” è stata insinuata su un numero recente di Diva e Donna (la lettura della stampa rosa rimane obbligatoria per documentarsi su B.) da un articolo di Giorgio Michieletto che racconta la guerra tra i due: lui vuole che lei faccia una vita appartata, senza occuparsi di politica.
Lei che invece va nella direzione opposta, con il sostegno della Badante: prima le voci fatte circolare ad arte su una sua candidatura alla presidenza della regione natìa, la Campania, poi il trambusto scatenato dalla querelle sui gay.
Di qui litigi, scenate e minacce.
Con in mezzo le richieste di un riconoscimento pubblico e privato (anche se il sogno delle nozze è sfumato).
Due ex ministri di B. confidano: “Tra i due succederà l’Apocalisse”. Ma la situazione è delicatissima. La reazione di lei a una rottura o separazione potrebbe essere gravissima. La bulgara Bonev ha parlato di “suicidio”, un amico di Pascale invece sostiene: “Potrebbe scrivere a Repubblica come Veronica”.
Di fatto, la Fidanzata rischia di essere una mina sul percorso della pacificazione.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 12th, 2014 Riccardo Fucile
TRA UTRA-ORTODOSSI E FAVOREVOLI AL DIALOGO, IL NUOVO CORSO FAVORISCE IL “MEDIATORE” DI MAIO
Correnti e discussioni. E alla fine, ancora la voce di Beppe Grillo.
Il leader del Movimento Cinque Stelle – intercettato sulla spiaggia di Porto Cervo – dribbla i cronisti e annuncia: «No, niente domande, non rispondo su nulla. Martedì o mercoledì sarò a Roma, vedremo…».
Una presenza, la sua, reclamata dai parlamentari per dare sostegno alle iniziative dei pentastellati contro la riforma del Senato (probabilmente martedì, con un intervento – come rivelano alcune fonti – «sobrio, di contenuto perchè non vogliamo una Camera alta di nominati»).
Ma Grillo farà anche da collante in Parlamento tra le diverse anime dei Cinque Stelle.
Il Movimento sta attraversando in queste settimane uno dei momenti di transizione più complessi della sua storia: la delusione per il voto alle Europee, la rivoluzione nella comunicazione e l’apertura per le riforme con il Pd sono tre passaggi chiave che hanno ridisegnato la struttura e le gerarchie interne al gruppo. Creando malumori.
Ai dissidenti – ma non solo – non sono piaciute le «scelte calate dall’alto» da parte dei due leader e molti tra deputati e senatori hanno chiesto delucidazioni sulla svolta politica.
La doppia riunione dei parlamentari di questa settimana da un lato è servita per ricucire alcuni degli strappi sul metodo adottato, rafforzando la legittimazione alla trattativa con il Pd, dall’altra però ha reso evidenti anche le differenze tra le posizioni dei pentastellati.
Punti di vista frastagliati, divergenti, anche tra chi non oserebbe mettere in discussione le scelte del Movimento.
Così, per esempio, i fedelissimi si sono ritrovati spaccati.
Da una parte ci sono gli ultraortodossi come Laura Castelli, Riccardo Nuti (che ieri ha sottolineato la decisione el M5S, sulla questione riforma del enato, di adottare «una linea di opposizione durissima»), Giorgio Sorial e una parte del gruppo siciliano tutti inclini quella modalità di comunicazione el «o noi o loro» e che mal digeriscono l’idea di un cambio di strategia, dall’altra quei fedelissimi «in sonno», esponenti anche di spicco, che accettano con qualche riserva e un po’ di pragmatismo l’evoluzione degli avvenimenti politici.
A contribuire al mutamento degli equilibri anche i nuovi assetti del gruppo-comunicazione (ieri a Milano per un summit alla Casaleggio associati), che hanno spazzato via le polemiche degli ultimi mesi (rumors indicano un ruolo sempre più di primo piano della consulente Silvia Virgulti).
Si cercano strade inedite (qualcuno giovedì ha anche proposto il coinvolgimento degli intellettuali vicini ai Cinque Stelle nelle prossime iniziative), si affermano anche volti nuovi: i «moderati». Vanno in questa direzione proprio le ultime votazioni in seno a deputati e senatori per eleggere il vice-capogruppo a Montecitorio, Andrea Cecconi, e il capogruppo a Palazzo Madama, Vito Petrocelli.
A dare il segno della svolta, basta un aneddoto.
Un anno fa, quando ci fu la spaccatura sul ballottaggio per la presidenza del Senato tra Renato Schifani e Pietro Grasso, Petrocelli dichiarò: «Io ho votato scheda bianca, ma sono contrario alle espulsioni», tutelando chi si era espresso in modo indipendente.
Nel puzzle, complicatissimo a dire il vero, mancano gli outsider, come Simone Valente, molto attivo nell’assemblea dei deputati di inizio settimana.
E i gruppi a connotazione regionale, come quello dell’Emilia-Romagna, molto coeso sul caso Pizzarotti, un po’ meno sulle posizioni di dialogo con i democratici.
I dissidenti, invece – come Tommaso Currò –, hanno apprezzato l’apertura del tavolo, lamentandosi del metodo.
A fare da ago della bilancia, tra critiche e tensioni, Luigi Di Maio, che dopo le discussioni interne sembra uscito rafforzato nel suo ruolo di leader «istituzionale» per la trattativa.
Intanto, In Europa, continua a far discutere l’esclusione del gruppo Efdd dalle nomine per le commissioni. «Il cordone sanitario non è certo pensato contro gli italiani, ma contro Farage.
Non si può favorire chi si fa eleggere in Parlamento europeo per distruggere lo stesso Parlamento europeo», ha detto il capo della delegazione francese del Ppe a Strasburgo, Alain Lamassoure.
Emanuele Buzzi
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 12th, 2014 Riccardo Fucile
“LA RAGAZZA SI PROSTITUIVA AD ARCORE E IL CAVALIERE INTIMIDI’ I FUNZIONARI DELLA QUESTURA”
Chiede la conferma nel processo d’appello dei sette anni di carcere per Silvio Berlusconi. E questo lo si
poteva immaginare.
È il «come» la chiede a sorprendere.
Il procuratore generale Piero De Petris, ritenuto una «testa fine », parla dei protagonisti del processo Berlusconi-Ruby squadernando, dalle 9.45 alle 16.45, una serie di cartelline marroni ed estraendo ora una pagina sottolineata in rosa, verde, azzurro, ora un’altra in giallo e in rosso.
Leggendo pochissimo, però. Anzi parlando a braccio, senza alzare mai il tono di voce, citando una sola volta «bunga bunga», preferendo «fondoschiena » al termine intercettato (culo), citando a memoria codici e sentenze.
E, soprattutto, guardando in faccia i giudici Enrico Tranfa, presidente, Concetta Lo Curto e Alberto Piccinelli, e mai gli avvocati.
Come se volesse eliminare ogni possibilità di fraintendimento: «Non si può prescindere dalla ricostruzione dei fatti. Se non si mettono a fuoco i vari tasselli, non si arriva – dice – alla ricostruzione giuridica» dei capi d’imputazione, che erano, sono e restano concussione e prostituzione minorile da cliente.
De Petris innanzitutto afferma che nel processo di primo grado (sentenza poco più d’un anno fa) c’è stata «piena espansione del diritto di difesa».
Quindi, non usare le intercettazioni (come chiedevano i difensori) sarebbe stata «una torsione non tollerabile dal nostro sistema», perchè «non si lede il principio d’uguaglianza ».
Anche l’invocata incompetenza territoriale milanese, a favore del Tribunale dei Ministri, è da bocciare: «Era palesemente falsa la circostanza che Ruby fosse nipote di Mubarak».
Alle 12 si entra nelle «cene eleganti » di Arcore («Non trovo altri aggettivi per quelle serate, erano tristi») e dell’«abuso colossale » commesso da Berlusconi.
Le prime parole di De Petris sono, e non sembra un caso, rivolte al «corretto operato delle forze dell’ordine ».
La storia è notissima, ormai, ma il sostituto procuratore generale riesce a ridarle una nuova scansione, ricordando un «fatto »: quando una pattuglia del Quarto Distretto ferma, un pomeriggio di festa, Karima El Mahroug, diciassette anni, marocchina, «immediatamente la polizia sa» che Ruby è marocchina ed è scappata da una comunità siciliana.
«L’Egitto è molto lontano e non è prospettabile», eppure Ruby esce dalla questura dopo le telefonate di Berlusconi da Parigi nella notte tra il 27 e il 28 maggio 2010. Perchè?
Semplice: Pietro Ostuni, capo di gabinetto, «ha perfettamente compreso che quello che gli era stato impartito da Silvio Berlusconi era un ordine».
Infatti, Berlusconi aveva mandato in questura «la consigliera ministeriale Nicole Minetti» e manifestato al telefono «la sua preoccupazione per l’incidente diplomatico», insomma il comportamento di Berlusconi è d’«inequivoca portata intimidatoria».
Ostuni obbedisce all’ordine: subisce una «concussione per costrizione», Berlusconi abusa della «sua qualità » di premier.
Altro fatto: una volta che tutti in via Fatebenefratelli hanno accertato che Ruby è marocchina, qualcuno – avevano chiesto i pubblici ministeri – avvisa il presidente del consiglio dello scampato pericolo?
«M’è scappato di mente», aveva detto Ostuni.
E nel rileggere ieri la risposta, De Petris batte le mani – unica volta in tutta la requisitoria – e poco dopo parlerà di come nelle ricostruzioni filo-Berlusconi «il coefficiente di logicità sia a livelli negativi».
Sono tanti i fatti – per esempio: nessuno che racconta al pm dei minori di Berlusconi che telefona; e poi, da quando in qua «si muove la polizia di Stato alle 4 di notte» per l’identificazione in Sicilia di una scappata di casa? – rivelatori di come «le regole della buona amministrazione sono state totalmente disattese».
Così dice De Petris, accusando l’allora premier, il quale voleva insabbiare la sua frequentazione con una ragazza speciale, la minorenne Ruby, che «dall’attività di meretricio trae la fonte principale di sostentamento».
Il magistrato non infierisce su questa ragazza «di notevole scaltrezza, non so se chiamarla intelligenza ».
Ma è provato, anche dalle sue telefonate alle amiche, e da varie testimonianze, che Berlusconi conoscesse la sua età e la faceva fermare ad Arcore, sia per i festini, sia per la notte: «Non certo a bere te, non sono due vecchie signore».
«Bellissima difesa di una sentenza indifendibile», commenta il nuovo avvocato di Berlusconi, Franco Coppi: martedì la parola passa a lui e a Filippo Dinacci.
La sentenza sembra prevista, salvo slittamenti, per venerdì, quando Berlusconi sarà con i malati d’Alzheimer.
E se sarà confermata (anche in Cassazione), l’imputato rischia di perdere ogni beneficio, compresi i servizi sociali.
Piero Colaprico
(da “La Repubblica”)
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Luglio 12th, 2014 Riccardo Fucile
“MA QUALE RIFORMA DEL SENATO, L’EUROPA CI CHIEDE MISURE A SOSTEGNO DELLA FASCE PIU’ DEBOLI E DELL’OCCUPAZIONE GIOVANILE”
«Dobbiamo introdurre un reddito minimo di garanzia per i poveri, come c’è in tutti i Paesi europei tranne Italia e Grecia. E le dirò di più: all’Unione europea non interessa che noi facciamo la riforma del Senato, dobbiamo dirgli che abbiamo introdotto il reddito minimo così come abbiamo sostenuto l’occupazione femminile e dei giovani». Per Chiara Saraceno, sociologa famosa per i suoi studi su famiglia e politiche sociali, i dati dell’Istat sulla povertà contenuti nel rapporto della Caritas sono la conferma di una tendenza purtroppo già conosciuta.
«Il pregio della Caritas è di aver messo insieme le politiche attuate per far fronte all’Aumento della povertà assoluta, perchè è di questo che stiamo parlando. In qualche modo la crisi ha fatto sì, che, dall’ultimo governo Berlusconi in poi, la povertà entrasse a far parte dell’agenda politica. Cosa che non avveniva dal 1996, quando è stata fatta la sperimentazione del reddito minimo. La social card di Tremonti è stato il primo segnale che qualcosa bisognava fare. Però a fronte di questa ripresa di attenzione, che ha comportato anche un aumento progressivo dei fondi stanziati, non si è andati al di là di iniziative occasionali
Non interventi strutturali, quindi, ma interventi spot ?
Non strutturali e sperimentali, a volte anche mal disegnati come nel caso della social card dove addirittura non riuscivano a spendere i fondi stanziati. E c’è il rischio che questo errore si ripeta.
La Caritas sancisce il fallimento di queste politiche sociali.
E io condivido perfettamente. E’ importante che la Caritas e altre importanti associazioni dicano al governo: guardate, smettiamo di fare iniziative spot o sperimentali, perchè la sperimentazione in questo paese serve solo per fare interventi simbolici, visto che i risultati non vengono mai utilizzati.
Da questo giudizio critico non si salvano neanche gli 80 euro di Renzi.
No, ma attenzione: gli 80 euro — che la Caritas pure inserisce nel rapporto, in realtà non sono destinati alla povertà nè ad aiutare le fasce più deboli, anche se poi nella retorica è quello che si dice. Sono mirati a sostenere i lavoratori a basso reddito, quindi neanche quelli il cui reddito non basta a sostenere la famiglia. E infatti possono essere presi da tre persone della stessa famiglia, ma non da un lavoratore che è l’unico a portare casa un salario solo perchè supera di un euro il tetto prefissato, e magari ha tre figli a carico oltre al coniuge. E’ un errore dei politici, che confondono il lavoratore che guadagna poco con la famiglia povera, creando così questi effetti paradossali.”
Visto il fallimento di queste politiche lei cosa suggerirebbe come sostegno alle famiglie povere?
Nel 96 ho fatto parte della commissione povertà e già allora proponemmo il reddito di riferimento, che non è diverso dal reddito che propone la Caritas. Da allora non è successo niente, evidentemente sono io che porto sfortuna.
Cambiano anche la figure dei poveri: non sono più soltanto le famiglie numerose del Sud?
Sono sempre più quelle lì. Nel senso che il divario nord-sud si è allargato, ma in aggiunta a quelle ormai ci sono anche le famiglie con due figli: non è più il terzo figli che fa sbarellare i conti. Ma soprattutto quello che è cambiato è che oramai la povertà si sta concentrando tra i bambini, e questo sta avvenendo da un bel po’ visto che ha a che fare con le famiglie numerose, ma anche tra i giovani e sulle famiglie giovani. Gli unici per i quali la situazione non è peggiorata di molto sono gli anziani, non perchè stanno meglio, ma perchè il loro reddito, e in particolare il reddito delle pensioni più basse, è l’unico che è stato un minimo garantito visto che per loro è stata mantenuta l’ indicizzazione.
Carlo Lania
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