Luglio 5th, 2014 Riccardo Fucile
SOLO DOPO DIVERSE ORE SONO ARRIVATE LE SCUSE PATETICHE SENZA DIMISSIONI: “AUGURO AL PRESIDENTE NAPOLITANO UNA VITA LUNGA E SERENA”
Infine Debora Billi si è scusata.
Cercando di frenare la polemica scoppiata in Rete per la sua ‘battuta’.
La responsabile web dei Cinquestelle a Montecitorio aveva scritto “Se ne è andato Giorgio. Quello sbagliato. #faletti”, sul suo profilo twitter con un nemmeno tanto velato riferimento al capo dello Stato.
Un tweet, postato ieri in tarda serata, che ha subito raccolto pesanti denunce da parte dei suoi followers e che è rimbalzata su altri social network.
“Le battute infelici scappano, speriamo stavolta siano scappate per sempre. Desidero scusarmi personalmente con il Presidente Napolitano per l’accaduto, augurandogli naturalmente una vita lunga e serena, e con il M5S a cui ho creato imbarazzo. Non accadrà più”, ha scritto su Facebook.
Non l’aveva fatto subito.
La “giornalista, blogger, estremista, mamma. Resp. Web M5S Montecitorio”, come si definisce sul suo profilo Twitter, nonostante gli attacchi, non aveva rimosso il messaggio ma ne aveva aggiunto uno diverso (“così imparo a rubare le battute”) e poi un altro in cui scriveva: “Madre miserabile” “bestia” “schifosa”… Ahem sì, sono io la maleducata”.
Le critiche erano arrivate però anche dai 5 stelle che le chiedevano di scusarsi.
Patrizia Menchiari, “blogger e cittadina in movimento” di Brescia sintetizza il pensiero di molti senza troppi giri di parole: “Vai a studiarti gli epic fail e impara che scusarti e piantarla è meglio di fare la vittima. Con la tua cazzata danneggi il m5s”.
Ma una che confermi e si dimetti, mai?
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Luglio 5th, 2014 Riccardo Fucile
“TARANTO, STRAGE DEI BAMBINI, REATI REITERATI PER ANNI”
“Presenterò un esposto per omicidio e disastro ambientale continuato. Chiedo alla Procura di Taranto di aprire un nuovo filone d’inchiesta, ora che i dati dell’Istituto Superiore della sanità hanno dimostrato che questi reati sono stati reiterati per anni”. Per il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, i responsabili non sono più, solo, i dirigenti dell’Ilva: “È colpevole anche lo Stato”.
Cosa contesta, Bonelli, allo Stato?
Di non aver fatto nulla, di essere stato inadempiente. Questo immobilismo ha consentito all’inquinamento di perdurare. E ora a Taranto vediamo un incremento della mortalità infantile per tutte le cause: il 21 per cento in più rispetto alla media regionale. È il dato più alto che si sia mai registrato. E l’eccesso dell’incidenza dei tumori nella fascia 0-14 anni è addirittura del 54 per cento. Sono studi che si riferiscono al 2011, mentre il processo “ambiente svenduto” si ferma prima. Tocca ai magistrati agire.
Eppure erano stati stanziati 119 milioni di euro per le bonifiche.
Ne hanno usati solo 15, per interventi marginali. Intanto però il decreto del ministro Galletti alza il limite degli scarichi tossici a mare, e la ministra Guidi vuole ammazzare le energie rinnovabili. Il governo di Matteo Renzi ha ben poco di ambientalista. Preferisce fare i regalini alle acciaierie e alle centrali a carbone. E poi, se la mortalità infantile di Taranto è cresciuta in media del 21 per cento, immaginate quanto è salita nel quartiere Tamburi. Il sub-commissario Ilva Edo Ronchi dice che qui l’aria è più pulita che a Milano? Sono senza parole.
Ronchi, nell’intervista rilasciata al Fatto, spiega che in Lombardia si sfora il limite delle polveri sottili più che nel capoluogo pugliese.
Peccato che questo non voglia dire nulla. L’aria di Roma o Milano è sicuramente avvelenata dallo smog, ma le polveri di Taranto hanno una composizione chimica che non si può paragonare ad altre città : dentro ci sono metalli pesanti, cromo, benzo(a)pirene. È altamente tossica .
Questo però, ribatte il sub-commissario, non è regolato da alcuna normativa.
È vero: la legge non ne parla. Ma che quelle polveri siano pericolose per la salute, pure in quantità ridotte, lo sa benissimo anche Ronchi. Persino quando indagava la procura, non c’erano particolari sforamenti di polveri.
Il sub-commissario cita dati dell’Arpa, che sono ufficiali.
L’Arpa l’ha pure smentito. E noi abbiamo assistito alla trasformazione di un ambientalista in un tecnocrate, che deve dimostrare a chi l’ha messo su quella poltrona di essere affidabile, sulla falsariga di chi sosteneva che i tumori dei tarantini sono dovuti alle sigarette. La diminuzione della polvere non è figlia del risanamento: è la diretta conseguenza della riduzione della produzione. Non sono stati applicati i filtri perchè costano 70 milioni di euro . A Taranto si accumulano veleni da decenni.
Infatti Ronchi dà la colpa all’inquinamento storico.
E dice pure che non gli risulta che dall’Ilva esca piombo, il che fa rabbrividire. In Italia, secondo i dati del registro Ines — che quantifica le emissioni inquinanti in atmosfera — vengono sparsi nell’aria quasi 100 mila chili di piombo ogni anno. L’Ilva Spa, proprio quella di Taranto, ne spara circa 75 mila chili. Il che significa che il coefficiente d’incidenza dell’Ilva sulla quantità di piombo che si respira è quasi del 70 per cento. Che un sub-commissario non sappia queste cose fa accapponare la pelle.
Ronchi sostiene però che il piombo — ritrovato anche nel sangue dei bambini di Tamburi — non sia particolarmente dannoso per la salute.
Uno studio di Oxford ha testato 141 tarantini, metà uomini e metà donne. Il valore medio di piombo nel loro sangue è di 10,8 microgrammi al litro, mentre la quantità tollerabile per l’organismo è tra gli 0,5 e i 3,5 microgrammi al litro.
Quali sono gli effetti del piombo sull’organismo umano?
Agisce sul sistema nervoso, provoca danni renali ed è molto pericoloso per le donne incinte, perchè causa deficit neurologici sui nascituri. Infatti a Taranto l’incidenza di queste patologie è molto alta.
Quindi lei sostiene che i dati Arpa non siano indicativi?
Sì, e non sono solo: anche il direttore generale di Arpa Giorgio Assennato, quando gli hanno fatto notare che l’aria dentro l’acciaieria risulta meno contaminata di quella di Taranto, ha detto che quei dati non sono attendibili. Come si spiega questo fenomeno? Vogliamo dire che è la città di Taranto ad avvelenare l’Ilva?
Beatrice Borromeo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 5th, 2014 Riccardo Fucile
DISPOSTI CONTROLLI A TAPPETO SUI CACCIA DELLA LOCKHEED
Tutti a terra.
I 97 supercaccia F-35 dell’aviazione Usa non potranno decollare fino a nuovo ordine.
Il Pentagono ha deciso di sospendere tutti i voli (siano test o addestramento) dopo l’incidente che a Eglin (in Florida) ha visto coinvolto uno dei nuovi aerei della Lockheed Martin.
Il 23 giugno era andato a fuoco il motore mentre il caccia era in fase di decollo, nessun ferito, molta paura, servizi d’emergenza che avevano funzionato ma il danno era fatto
Con la sicurezza non si scherza, quegli aerei venduti in tutto il mondo e che costeranno agli americani la bellezza di 398 miliardi di dollari (per 2.433 esemplari), non dovrebbero avere falle.
Anche l’Italia ha già firmato il contratto per sei caccia (per un programma di acquisto di 90 esemplari), ma Gianpiero Scanu, capogruppo Pd in commissione Difesa, avverte: «Non compreremo aerei che non siano assolutamente affidabili».
Tutti fermi dunque, fino a quando le indagini non avranno accertato i motivi dell’incendio
Un comunicato stringato (e imbarazzato) quello del Pentagono.
Sulla base dei risultati iniziali dell’incidente sulla pista di decollo di glin, l’Air Force e la Navy hanno dato direttive affinchè gli F-35 rimangano a terra.
La causa dell’incidente è ancora sotto inchiesta e ulteriori ispezioni sono state ordinate per i motori. La ripresa dei voli verrà stabilita sulla base dei risultati delle ispezioni e delle analisi».
Nato tra mille contestazioni (per i costi, ma non solo) il programma F-35 ha avuto fin dall’inizio una serie di anomalie, imprevisti e polemiche.
Il motore del supercaccia (prodotto dalla Pratt & Whitney) non è nuovo a incidenti (nel febbraio scorso venne rivelata una frattura su una turbina) anche se tutte le inchieste fatte finora hanno “assolto” l’aereo.
Critici molti piloti, dopo che in un rapporto del Pentagono nel 2013 è stato scritto nero su bianco che l’F-35 avrebbe limitate capacità di combattimento
La decisione di ieri è ancora più amara per questioni di marketing.
In questi giorni l’F-35 aveva infatti in programma diversi appuntamenti internazionali. Il primo era il passaggio in cielo per il battesimo della nuova portaerei britannica H. M. S. Queen Elizabeth, che ovviamente è stato cancellato.
Gli altri due sono gli appuntamenti previsti per due air show sempre in Gran Bretagna: il Royal International Tattoo (11 luglio) e il Farnborough International Air Show (14 luglio).
(da “La Repubblica”)
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Luglio 5th, 2014 Riccardo Fucile
LO STUDIO DELLA CGIA: TARIFFE DELL’ACQUA + 85,2%, RIFIUTI +81,8%, AUTOSTRADE +50,1%, TRASPORTI URBANI +49,6%, ASSICURAZIONI +200%… E’ LA FOTOGRAFIA DEL FALLIMENTO DELLE LIBERALIZZAZIONI
Altro che effetti benefici delle liberalizzazioni, viene da dire guardando i dati raccolti dalla Cgia di Mestre.
Negli ultimi 10 anni, le tariffe dei principali servizi pubblici hanno registrato un aumento record.
E’ il caso dell’acqua, ad esempio, terreno di scontro di referendum che hanno rappresentato un punto importante della storia politica recente italiana e intanto aumentata dell’85,2%; o dei rifiuti, che hanno subito continui cambi di denominazioni (dalla Tarsu alla Tari), ma nella sostanza sono rincarati dell’81,8%.
Ancora, non c’è pace per i viaggiatori: i costi dei pedaggi autostradali sono saliti del 50,1%; nel caso dei trasporti urbani, la dinamica è stata simile: +49,6%.
A denunciarlo è appunto la Cgia, l’associazione degli artigiani di Mestre.
Tra le dieci voci prese in esame in questa analisi, solo i servizi telefonici hanno subito una diminuzione: -15,9%.
Sempre nel periodo considerato, l’inflazione, invece, è aumentata del 23,1%. “Nonostante i processi di liberalizzazione avvenuti in questi ultimi decenni abbiano interessato gran parte di questi settori, i risultati ottenuti sono stati poco soddisfacenti. In linea di massima oggi siamo chiamati a pagare di più, ma la qualità dei servizi non ha subito miglioramenti sensibili”, osserva il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi.
“Nonostante i forti aumenti registrati dalle bollette dell’acqua – segnala ancora Bortolussi – la nostra tariffa rimane la più bassa d’Europa. La stessa considerazione può essere fatta per i biglietti ferroviari: anch’essi sono tra i meno cari in Ue. Preoccupa, invece, il boom registrato dall’asporto rifiuti. Nonostante in questi ultimi sei anni di crisi economica sia diminuita la produzione di rifiuti e sia aumentata la raccolta differenziata, le famiglie e le imprese hanno subito dei rincari ingiustificati”. Gli aumenti del gas hanno sicuramente risentito del costo della materia prima e del tasso di cambio, mentre l’energia elettrica dell’andamento delle quotazioni petrolifere e dell’aumento degli oneri generali di sistema, in particolare per la copertura degli schemi di incentivazione delle fonti rinnovabili.
I trasporti urbani, invece, hanno segnato gli aumenti del costo del carburante e quello del lavoro.
Non va dimenticato che molti rincari sono stati condizionati anche, e qualche volta soprattutto, dall’aggravio fiscale.
L’associazione dice invece che i taxi hanno registrato umenti percentualmente meno rilevanti.
L’ultima parte dell’analisi elaborata dall’Ufficio studi della Cgia ha preso in esame l’aumento delle tariffe registrato da alcune voci nel periodo intercorso dall’anno di liberalizzazione fino al 2013.
Ebbene, le assicurazioni sui mezzi di trasporto sono aumentate del 197,1% (4 volte in più dell’inflazione), i pedaggi autostradali del 62,7% (1,7 volte in più dell’inflazione), i trasporti ferroviari del 57,4% (1,7 volte in più dell’inflazione), il gas del 53,5% (2,3 volte in più dell’inflazione), mentre i servizi postali hanno subito un incremento del 37,8% pressochè uguale a quello registrato dall’inflazione.
Solo i servizi telefonici hanno subito una riduzione dei prezzi: -18,8%, contro un aumento dell’inflazione del 38,5%.
“Sia chiaro – conclude Bortolussi – noi non siamo a favore di un’economia controllata dal pubblico. Ci permettiamo di segnalare che le liberalizzazioni hanno portato pochi vantaggi nelle tasche dei consumatori italiani. Pertanto, invitiamo il Governo Renzi a monitorare con molta attenzione quei settori che prossimamente saranno interessati da processi di deregolamentazione. Non vorremmo che tra qualche anno molti prezzi e tariffe, che prima dei processi di liberalizzazione/privatizzazione erano controllati o comunque tenuti artificiosamente sotto controllo, registrassero aumenti esponenziali con forti ricadute negative per le famiglie e le imprese”.
(da “La Repubblica“)
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Luglio 5th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO L’EPOCA DEI TRADITORI, SIAMO ARRIVATI AI SABOTATORI: A QUANDO LA FUCILAZIONE DI CHI HA CAPITO CHE ABBIAMO COME PREMIER UN VENDITORE DI PENTOLE BUCATE?
«Adesso i frenatori spostano il tiro sull’Italicum: bene, vuol dire che sulla riforma del Senato si sono già rassegnati». Matteo Renzi è fatto così, la nuova pioggia di critiche che arriva dalla sinistra del partito quasi lo galvanizza.
L’irritazione per i «frenatori» delle riforme si trasforma in una rinnovata spinta al processo in corso a Palazzo Madama.
Un impulso che passa, necessariamente, per una blindatura del patto con Berlusconi. Renzi e Berlusconi, dopo la visita dell’ex Cavaliere a Palazzo Chigi, si sono infatti parlati di nuovo. Stavolta per telefono.
È accaduto giovedì sera, dopo la drammatica assemblea dei parlamentari forzisti. Tutte quelle voci fuori dal coro, specie da parte dei senatori azzurri (voti decisivi per impedire i «ricatti» dei bersaniani), hanno infatti innalzato il livello di allarme a Palazzo Chigi.
«Forza Italia tiene?» Il premier l’ha chiesto a Denis Verdini, ma a sorpresa l’ambasciatore forzista gli ha passato «qualcuno che ti può dare, meglio di me, le rassicurazioni che stai cercando».
Era Berlusconi, ovviamente, stanco per la lunga e caotica riunione della Sala della Regina. «Matteo, ne ho appena riparlato con i nostri capigruppo. Noi ci stiamo, il patto per me è valido. Io ho una parola sola».
Ma il premier ha chiesto un gesto in più, una presa di posizione ufficiale, oltre a quelle di Romani e di Toti, per rimettere in riga i ribelli di Minzolini e Fitto.
Qualcosa di inappellabile, che provenisse dal gran capo in prima persona. «Mi sembra giusto, adesso ci rifletto».
Così è stato, il comunicato ufficiale di Berlusconi è arrivato ieri. Per il leader forzista la discussione è chiusa, a questo punto non c’è nemmeno bisogno di convocare di nuovo tutti i parlamentari per riaprire lo sfogatoio.
Basterà un ufficio di presidenza a sancire la decisione presa. O magari nemmeno quello.
Stretti i bulloni del patto con Berlusconi, Renzi si è potuto dedicare al fronte interno. Impostando la strategia in una riunione ieri pomeriggio con Lorenzo Guerini, Luca Lotti e il ministro Boschi.
Al premier infatti quelle accuse del suo predecessore non sono piaciute affatto. Bersani che gli affibbia l’etichetta di “Grande Nominatore” per voler portare a casa una legge elettorale che gli darà potere assoluto sulle liste elettorali.
La critica per lo «squilibrio democratico» che si verrebbe a creare sulle istituzioni di garanzia, l’affondo sulle liste bloccate.
«Non possiamo lasciar correre», ha deciso Renzi.
Il contrattacco si svilupperà in più stadi. Ieri è arrivato l’avvertimento di Guerini. Martedì, in un’assemblea congiunta di deputati e senatori dem, alla vigilia dell’arrivo in aula del ddl Boschi, a parlare sarà direttamente il premier.
Un discorso duro, sostanzialmente già impostato. Da martedì i «frenatori» diventeranno forse anche «sabotatori».
Non delle riforme Renzi, ma dell’Italia. Un renziano del cerchio stretto la spiega in questo modo: «Noi stiamo giocando una partita vitale e strategica in Europa per chiedere maggiore flessibilità E Matteo ha dato la sua parola alla Merkel che, in cambio, le riforme finalmente arriveranno. A partire da quella del Senato. Riforme in cambio di flessibilità , è questo il vero patto tra noi e Berlino. Chi ci ostacola sulle riforme a questo punto sta mettendo in gioco la possibilità che l’Italia esca dalla crisi».
Certo, poi c’è anche il merito di alcune modifiche che potranno essere introdotte. Boschi, Finocchiaro e Guerini infatti riconoscono in privato che il progetto costituzionale contiene qualche fragilità sul piano delle garanzie.
E su questo si agirà con dei correttivi, ad esempio allargando la platea dei grandi elettori del capo dello Stato ai 73 eurodeputati (eletti con il proporzionale puro) o prevedendo maggioranze qualificate.
Ma sulla legge elettorale i margini di cambiamento sono minimi, a dispetto delle richieste della sinistra Pd e di un alleato come l’Ncd.
Sull’introduzione delle preferenze infatti Berlusconi è irremovibile. E l’intesa a mandare avanti la riforma del Senato prevede, in cambio, la promessa di Renzi di non rendere scalabile Forza Italia.
Semmai, per venire incontro alle richieste dei democratici e togliersi di dosso l’accusa bersaniana di essere un «Grande Nominatore», il premier e la sua squadra stanno pensando di aggirare il problema in un altro modo.
Un’ipotesi sarebbe quella di garantire l’elezione ai capilista, lasciando libera la corsa alle preferenze solo per chi viene dietro (Il “lodo Boschi) . Una soluzione immaginata tempo fa da Alfredo D’Attorre, che consentirebbe a Berlusconi di controllare gli eletti.
Ma la soluzione che piace più a Renzi è un’altra, in linea con la tradizione dem: primarie di partito per entrare in lista, obbligatorie per legge.
E Berlusconi? L’idea è quella di inserire una norma transitoria che, solo per il primo rinnovo del Parlamento, lascerebbe i partiti liberi di farle o meno.
«Primarie facoltative» dunque, almeno la prima volta.
E comunque qualcosa su questo fronte si sta muovendo anche dentro Forza Italia. Laura Ravetto, incaricata un paio di settimane fa dal leader di scrivere un regolamento per le primarie di centrodestra (chieste a gran voce da Lega e FdI), ha presentato il suo lavoro a Berlusconi.
In attesa che se ne discuta in un ufficio di presidenza.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Luglio 5th, 2014 Riccardo Fucile
RIVOLTA NEL PD SULLE RIFORME, ITALICUM A RISCHIO….”VOTIAMO SI’, MA LA GUSTIZIA RESTI FUORI”
Cresce il malumore nel Pd sull’Italicum dopo il nuovo vertice con Berlusconi.
Bersani ha ribadito che la proposta di legge elettorale «va modificata». E l’uscita ha dato libero sfogo al malcontento.
Gianni Cuperlo solleva perplessità di ordine costituzionale e Vannino Chiti chiede di correggere lo sbarramento.
Non va meglio in Forza Italia. Tanto che Berlusconi ha dovuto scrivere una lettera-appello ai parlamentari in cui chiede che «Forza Italia sostenga convintamente le riforme».
“Abbiamo già discusso e deciso a larga maggioranza nel partito su riforme e legge elettorale. Adesso lo facciamo in Parlamento «per mettere a punto dettagli significativi. Ma non deve diventare l’occasione per frenare». Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd cerca di mettere un argine al malumore che cresce nel partito dopo il nuovo incontro con Silvio Berlusconi.
Perchè è tornato in campo Pierluigi Bersani che ieri ha ribadito a SkyTg24 che «l’Italicum va modificato, lo capisce anche un bambino. Ci sono le soglie, le liste che prendono voti ma non deputati. E poi bisogna fare in modo che il cittadino possa scegliersi il deputato. Le democrazie che funzionano non sono le democrazie padronali ».
L’ex segretario spiega che il combinato disposto di legge elettorale e riforma del Senato alterà gli assetti costituzionali e, dunque «la Camera, che diventa l’unica camera elettiva, dovrà occuparsi credo degli equilibri generali del sistema».
Il problema del rapporto fra riforme e Costituzione viene sollevato anche da Gianni Cuperlo. «Se noi licenziamo l’Italicum così com’è uscito dalla Camera, io credo che ci siano margini di rischio di costituzionalità di quella legge», dice
Una critica che ribadisce anche Vannino Chiti che chiede di modificare le soglie di sbarramento, di varare un Senato elettivo e di permettere ai cittadini di scegliere gli eletti con i collegi uninominali o con le preferenze.
Il clima però non è molto tranquillo neanche in casa dell’altro contraente del patto del Nazareno. Silvio Berlusconi, infatti, giovedì non ha concluso l’assemblea dei gruppi che doveva decidere sulle riforme e sembra proprio che la riunione non avrà un seguito.
Berlusconi pensa infatti che si debba andare avanti. E per chiarire ai suoi il percorso ha scritto una lettera-appello ai parlamentari in cui chiede che «Forza Italia sostenga convintamente le riforme».
L’ex Cavaliere ricorda che «il dialogo« con Renzi è sulle riforme, mentre su tutto il resto «Forza Italia resta all’opposizione ».
Inoltre Berlusconi insiste sul fatto che Renzi lo vuole coinvolgere anche nella riforma della giustizia. Parole che però non convincono Augusto Minzolini: «Sarebbe paradossale — dice — non avere il presidenzialismo e perdere contemporaneamente il Senato elettivo».
E un no sulla legge elettorale arriva anche da Gaetano Quagliariello: «Se resterà questa il Nuovo centrodestra non la voterà , e porrà un problema serio. La legge elettorale non può essere imposta a partire da un accordo a due».
Silvio Buzzanca
(da “La Repubblica“)
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Luglio 5th, 2014 Riccardo Fucile
BRUNETTA: “SOSPENDERE TUTTO FINCHE’ NON DECIDIAMO”
Una riunione così non si era mai vista. Berlusconi che dice di non avere mai chiuso un accordo con Renzi su un Senato non eletto dal popolo («mi sono concentrato di più sulla legge elettorale»).
Verdini che a quel punto perde le staffe, se ne va sbattendo la porta della sala della Regina, poi ritorna e racconta che invece quell’accordo c’è, eccome.
Il vulcano esplode quando Brunetta chiede di prendere tempo, cambiare i patti su un punto: «Il Senato deve essere elettivo, non di secondo grado con sindaci e consiglieri regionali. Chiediamo alla Finocchiaro (la presidente della commissione Affari costituzionale del Senato ndr) di sospendere le votazioni in attesa di una nostra decisione. Renzi ha cambiato sei volte idea sulla legge elettorale e una ventina sulla riforma costituzionale: avremo diritto anche noi di avere un po’ più di tempo…».
E questo dovrebbe essere proposto dopo che in mattinata, a Palazzo Chigi, il Cavaliere aveva detto a Renzi «Matteo stai tranquillo, voteremo le riforme».
Romani, l’altro capogruppo che dovrebbe portare la «buona novella» alla Finocchiaro, risponde «non se ne parla, questo è un suicidio collettivo».
Minzolini che replica «il suicidio collettivo è quello che ci proponi tu e Denis (Verdini ndr): alla fine Renzi incassa quello che vuole e ci porta lo stesso a votare e saremo asfaltati, ma lo capite o no?».
«Ma siamo impazziti – sbotta furente Verdini – siamo al secondo tempo della partita e andiamo a dire all’altra squadra che si ricomincia tutto daccapo?».
Verdini ha il volto rosso fuoco, parla in maniera talmente agitata che la Santanchè si preoccupa: «Oddio, se continua così gli viene un infarto».
Ma Capezzone non ha pietà : «Non possiamo accettare che Renzi ci dica “facciamo in fretta, veloci”, e noi pieghiamo la testa come cagnolini».
In tutto questo Berlusconi è cupo in volto. A chi gli fa notare che l’uscita dai mondiali dell’Italia è una sconfitta per Renzi, lui risponde che il vero sconfitto è lui visto che le quotazioni di Balotelli sono precipitate.
E poi non c’è solo la riforma costituzionale da valutare: c’è la legge elettorale che costringe i piccoli partiti ad allearsi con F.I. E c’è anche la possibilità di una buona riforma della giustizia: Renzi ha promesso che si farà insieme.
Uno scontro così aperto e plateale di fronte a un attonito Cavaliere non si era mai verificato in un’assemblea di parlamentari azzurri.
Uno scontro drammatico sulla linea politica da tenere rispetto alle riforme e al governo.
Una cosa del genere si era vista solo nel Pdl quando Berlusconi decise di abbandonare le larghe intese con Letta e ne venne fuori la scissione di Alfano.
Non siamo alla rottura dolorosa del 2013, anche perchè ai «ribelli» non passa per l’anticamera del cervello di abbandonare il partito. Però la battaglia cruenta c’è stata, sono volati gli stracci, il Cavaliere non è riuscito a convincere un bel pezzo dei suoi della bontà delle sue intese con l’amico Renzi (gli interventi contro sono stati una ventina).
Per la prima volta nei capannelli dei tanti «resistenti» (non certo davanti al vecchio capo che non ruggisce più) si sono sentite parole irriverenti: «Questa è una resa incondizionata a Renzi. Berlusconi ci vuole immolare sull’altare degli interessi della sua azienda».
Sono stati passate ai raggi X le dichiarazioni di Piersilvio Berlusconi: un vero endorsement politico. «Cosa c’è dietro tutto questo?».
Le risposte che gli oppositori si sono dati è sulla bocca di tutti: il Cavaliere teme per le sue aziende, teme per se stesso e per suo figlio (i processi Ruby e Mediatrade).
C’era molto non detto all’assemblea di ieri a Montecitorio.
Paure, timori, necessità di ridurre il danno. «Noi non dobbiamo temere niente, una grande forza politica non teme nulla», spiega Brunetta che sottolinea una mezza vittoria. Ieri infatti non è stato deciso nulla: la riunione è stata aggiornata a martedì prossimo.
«Decidere insieme nell’unità – insiste Brunetta – ma una cosa è sicura: non ci possono essere fughe in avanti».
È Berlusconi che decide di rinviare tutto perchè rimane «colpito» dalla raffica di interventi contro (anche quelli dei senatori Bonfrisco, D’Anna, Caliendo) che si susseguono dopo il suo intervento nel quale spiega le intese chiuse in mattinata a Palazzo Chigi con il premier.
E invece no, il giocattolo gli si è rotto in mano e l’asse Verdini-Romani, al quale è stato chiamato a dare mano forte Gasparri, ha tremato
L’ultima parola spetta al Cavaliere, ma il timore di Verdini è che alla fine Berlusconi dirà «andiamo avanti con le riforme insieme a Renzi, ma non sono io a volerlo: è Denis che insiste tanto…».
La stessa cosa fece quando ruppe le larghe intese e buttò la colpa sui falchi, i soliti Verdini, Santanchè e Fitto.
Già Fitto: in tutta questa baraonda risulta non pervenuto.
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”)
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Luglio 5th, 2014 Riccardo Fucile
IN FORZA ITALIA C’E’ CHI SI RIBELLA ALL’ACCORDO CON RENZI, NEL PD NESSUNO HA QUALCOSA DA DIRE DELL’INCIUCIO CON SILVIO
Siccome c’è sempre una prima volta, pare che Forza Italia abbia scoperto la democrazia interna e persino il conflitto d’interessi.
È accaduto l’altroieri quando B., per la prima volta in vent’anni, è finito in minoranza dinanzi ai suoi parlamentari.
Suoi nel senso che li ha creati lui, spesso dal nulla.
Il pomo della discordia era il patto con Renzi siglato a gennaio al Nazareno e rinsaldato due giorni fa direttamente a Palazzo Chigi.
Già , perchè sei mesi fa bastava l’ingresso del pregiudicato nella sede del Pd per fare un certo effetto, e ora non fa più scandalo neppure vederlo nella sede del governo.
La maggioranza dei berluscones ha bocciato quella resa senza condizioni: sia perchè riduce FI a una corrente del Pd, e nemmeno fra le più vivaci; sia per il merito delle “riforme” concordate, l’Italicum dei nominati e il Senato dei non eletti, che fanno ribrezzo persino a Brunetta e Minzolini.
Il Cainano ha provato a rabbonire i dissidenti con due argomenti un tempo efficacissimi: le aziende (soprattutto le sue) hanno bisogno di stabilità ; e gli italiani (soprattutto lui e i suoi cari) necessitano della riforma della giustizia, che Renzi avrebbe promesso di “scrivere insieme”.
Ma stavolta nessuno dei due ha funzionato. Anzi qualcuno ha addirittura scoperto che “per difendere le sue ragioni, Silvio sacrifica le nostre”.
Traduzione dall’italoforzese: questo si fa gli affari suoi. Un modo gentile per evocare il conflitto d’interessi. Che andava bene negli anni delle vacche grasse, e anche delle vacche punto.
Ma ora non più: ricattabile e dunque debole per la frana delle sue aziende e per i processi Ruby e Compravendita senatori (a lui), Mediatrade (a Pier Silvio e Confalonieri), B. è disposto a tutto pur di tenere un piede nella maggioranza delle riforme.
Che, nonostante i rovesci elettorali dell’ultimo biennio, gli garantisce ancora un ruolo determinante. Ma non per sempre, vista la recente disponibilità dei 5Stelle al dialogo con Renzi.
Il conflitto d’interessi è tutto qui: almeno agli occhi dei forzisti senza processi (pare ce ne sia ancora qualcuno). Qualcuno dirà : peggio per loro, potevano pensarci prima. Ma è anche peggio per noi.
Tutti i giornali assicurano che nell’incontro mattutino fra Renzi e B., presenti anche Letta Zio e il plurinquisito Verdini, il premier ha offerto ampie aperture sulla giustizia: nel senso di riformarla “insieme” e “coinvolgere FI nella stesura dei 12 punti”.
A partire dalla responsabilità civile dei giudici. È il caso di ricordare che a metà giugno la legge anticorruzione, con autoriciclaggio e falso in bilancio, era pronta per essere votata in commissione Giustizia, approdare subito dopo in aula ed essere approvata entro l’estate.
Poi Renzi vide Verdini e B., e come per incanto la legge evaporò: bastò che il governo annunciasse di presentarne un’altra (pur potendo emendare quella già pronta). Naturalmente lo farà con comodo in autunno: campa cavallo. E, per giunta, lo farà con FI. Il che — dopo l’incredibile conferma del cosiddetto guardasigilli Orlando — conferma quel che si sospetta da tempo: l’asse Renzi-B. non riguarda solo le riforme elettorale e costituzionale, ma anche quella della giustizia.
Anzi, per La Stampa R&B hanno “gettato le basi per un’intesa a 360 gradi, su giustizia, televisioni e nuovo presidente della Repubblica”.
Senza dimenticare “le nomine alla Consulta e al Csm”. E un aiutino a Mediaset, evitando che “il governo recepisca le direttive europee sui tetti pubblicitari”. Repubblica aggiunge l’immunità ai senatori non eletti: “Renzi è disposto a lasciare tutto così”.
Ce ne sarebbe abbastanza per una rivolta nel Pd, fra gli eletti e soprattutto gli elettori: ma come, riscriviamo la Costituzione col partito guidato da un pregiudicato e ideato da un mafioso, che sta traslocando giorno dopo giorno nelle patrie galere?
Invece niente, manco un plissè, a parte quattro gatti. Si rivolta Forza Italia.
E, proprio quando Brunetta e Minzolini cominciano a dire cose sensate e altri scoprono financo la democrazia e il conflitto d’interessi, il Pd smette.
Se a FI fa un po’ schifo inciuciare col Pd, il Pd adora inciuciare con FI.
E ha pure fretta: bisogna sbrigarsi, prima che li arrestino tutti.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 5th, 2014 Riccardo Fucile
LE RIVELAZIONI DETTAGLIATE DI FELTRI AI MAGISTRATI SUI PROTAGONISTI DEL FALSO SCOOP PER FAR SALTARE IL DIRETTORE DELL’AVVENIRE
Bertone, Bisignani, Santanchè… «Fu Alessandro Sallusti a dirmi che la fonte della velina su Dino Boffo era il cardinale Tarcisio Bertone, che l’aveva data a Luigi Bisignani e Daniela Santanchè. Poi era arrivata a Sallusti. È questo quello che ho raccontato ai magistrati. Davanti ai pm si deve dire la verità ».
Vittorio Feltri non ci pensa un secondo a rispondere alla domanda, come se avesse voluto vuotare il sacco da un pezzo, e in un’intervista esclusiva conferma a “l’Espresso” quello che lui stesso confidò due anni fa a un giudice della procura di Napoli, quando raccontò per la prima volta l’origine del finto scoop che costrinse l’allora direttore di “Avvenire” alle dimissioni.
Nel 2012, infatti, il pm Gianfranco Scarfò chiamò Feltri in gran segreto nei suoi uffici sotto il Vesuvio, per interrogarlo come persona informata sui fatti.
Il magistrato stava cercando di capire chi era entrato nel casellario giudiziario per cercare informazioni su Boffo, e chiese così al giornalista quale fosse la genesi della notizia infamante pubblicata il 28 agosto 2009 sulla prima pagina de “Il Giornale”, nella quale il direttore del quotidiano cattolico veniva descritto come “noto omosessuale attenzionato dalla polizia”.
«Dissi al pm che la catena era Santanchè, Bisignani, Bertone… è quello che mi fu detto da Sallusti, quando lui era condirettore», ricorda Feltri.
«Dopo, non so se fosse vero… Io ero il direttore, e mi sono fidato senza pormi tanti problemi. Mi sembrava che fosse assolutamente credibile. Però io non so se posso dirvi queste cose, il magistrato mi chiese di non raccontarle a nessuno… Anche se dopo tanto tempo, forse, si possono dire».
A cinque anni di distanza dalla pubblicazione della velina che distrusse la carriera di Boffo e annichilì quella parte della Chiesa avversa alla morale libertina dell’allora premier Silvio Berlusconi, “l’Espresso” è così in grado di ricostruire la vicenda, indicando per nomi e cognomi presunti mandanti, complici e esecutori materiali dell’assassinio mediatico di Dino Boffo, una delle prime vittime di quella “macchina del fango” che per anni è stata usata dal potere berlusconiano per contrastare i nemici politici, i giudici non allineati e gli avversari considerati pericolosi dagli uomini vicini al tycoon.
Andiamo con ordine, partendo dall’estate del 2009.
Berlusconi è nell’angolo, schiacciato dagli scandali di Noemi Letizia e di Patrizia D’Addario, la prostituta barese che registrò i suoi incontri con l’allora Cavaliere nel lettone regalato da Putin.
Per la Chiesa il premier è indifendibile, e il giornale della Conferenza episcopale italiana non può tacere: Boffo parla una prima volta di «uno scenario di desolazione che non convince e non piace al paese reale», poi firma un editoriale in cui ammette «disagio, mortificazione e sofferenza» causata dalle «tracotante messa in mora di uno stile sobrio».
Una settimana dopo, il 19 agosto, Mario Giordano viene fatto fuori dalla direzione del “Giornale”, il quotidiano della famiglia Berlusconi: i tempi sono duri, qualcuno deve fare il lavoro sporco, e l’ex “Grillo Parlante” del “Pinocchio” di Michele Santoro è considerato troppo morbido.
Berlusconi richiama a Via Negri il suo giornalista preferito, Feltri, che intanto era approdato a “Libero”.
Uno tosto, capacissimo in battaglia di colpire duro e veloce, con o senza guantoni. A nemmeno dieci giorni dal suo insediamento il nuovo direttore fa capire di che pasta è fatto: il 28 agosto spara in prima pagina la devastante notizia su Boffo.
Nell’editoriale e nel servizio di cronaca il giornalista viene accusato di essere un molestatore, nonchè «un noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni».
Feltri pubblica due documenti.
Uno, autentico, riguarda una faccenda vecchia (già raccontata da un blog di Mario Adinolfi nel 2005, dalla “Nuova Agenzia Radicale” nel 2006 e da “Panorama” nel 2008) che “Il Giornale” vende come scoop nuovo di zecca: «il supermoralizzatore Boffo» nel 2004 è stato querelato da una giovane ragazza di Terni (di nome Anna B.) per molestie telefoniche, una vicenda che si concluse con una multa da 516 euro e un decreto penale di condanna.
Il secondo documento è una velina anonima, mai allegata agli atti del Tribunale di Terni, in cui Boffo viene indicato, appunto, come un omosessuale «attenzionato dalle forze dell’ordine».
“Il Giornale” la definisce un’informativa di polizia, e azzarda una tesi: Boffo avrebbe avuto una relazione non con la giovane Anna, ma con il suo fidanzato.
La lettera è un falso totale, una calunnia che Feltri spaccia per notizia da prima pagina. E dà il via a una strategia della disinformazione messa in moto dai media berlusconiani, un meccanismo basato sull’inganno e sul raggiro, con l’intento finale di manipolare l’opinione pubblica e distruggere la credibilità di chi osa intralciare la marcia triuonfale del Cav.
Una tecnica che, come spiega bene lo studioso Manuel Castells, gli americani chiamano “character assassination”, che porta alla distruzione della reputazione di un individuo considerato scomodo o ostile.
Stavolta il lavoro dei “rat fucker” (come gli americani chiamano gli esperti specializzati nel raccogliere informazioni utili a screditare avversari) parte da lontano. La velina è infatti il capitolo di un minidossier su Boffo che qualcuno aveva già fabbricato e mandato in busta anonima a decine di vescovi italiani qualche mese prima che venisse pubblicata su “Il Giornale”.
Il materiale diffamatorio conteneva sia la fotocopia del decreto penale di condanna già pubblicato un anno prima da “Panorama” (quando, va ricordato, la notizia non fece alcuno scalpore) sia la lettera anonima intestata a “Sua Eccellenza” piena di allusioni, errori grammaticali e falsità .
Se i vescovi non la terranno in alcun conto, tanto che monsignor Domenico Mogavero la cestinò valutandola «una forma di avvertimento di tipo mafioso», qualche manina in Vaticano decide di usarla a suo vantaggio, e fa arrivare i documenti a Milano, a Via Negri, sede del giornale dei Berlusconi.
Secondo Feltri la manina aveva all’anulare un anello cardinalizio. Quello di Bertone.
«C’era una fotocopia dove si raccontavano certi fatti, io ho dato un’occhiata», ammette Feltri a “l’Espresso”.
«Quando ho saputo che la fonte era quella ovviamente mi sono fidato. Poi non lo so… visto quello che è successo facevo bene a non fidarmi. È facile dirlo dopo, ma quando il tuo condirettore ti viene a dire una cosa del genere, non è che metti in dubbio la sua parola. Nel pomeriggio mi hanno detto che era tutto tranquillo, tutto normale. Io ho dato il via alle pubblicazioni senza la minima preoccupazione. Ho detto al magistrato che Sallusti mi disse che l’origine di quella velina era Bertone. Non potevo fregarmene di questa roba, mi ha detto che la fonte, la provenienza era quella. Mi sono fidato».
Oltre a Bertone, Feltri (che al “Foglio” spiegò che la velina gli era arrivata «da una personalità della Chiesa della quale ci si deve fidare istituzionalmente») ha dichiarato al magistrato che Sallusti gli fece anche i nomi di Bisignani e Santanchè, “passacarte” per conto del prelato. Una volta davanti al magistrato, però, l’attuale direttore de “Il Giornale” ha negato in toto la versione del suo vecchio maestro.
La storia di Feltri, di sicuro, è credibile. Nell’agosto 2009 tra Bertone e Boffo non corre buon sangue.
Il segretario di Stato mal sopportava la cordata dell’ex capo della Cei Camillo Ruini, di cui Boffo, cresciuto nell’Azione cattolica, era l’esponente laico più rappresentativo. I tentativi per disarcionarlo dalla direzione erano stati molti, ma infruttuosi.
Non era una questione personale: da braccio destro di Benedetto XVI, il cardinal Bertone ha sempre tentato di ridimensionare il potere dei vescovi e quello dei loro referenti: «È il segretario di Stato», scrisse in una irrituale lettera ad Angelo Bagnasco, successore di Ruini, «a dover mantenere i rapporti con le istituzioni politiche italiane».
Non è un caso, dunque, che Boffo cercasse il colpevole tra i fedelissimi del segretario di Stato tanto da indicare — in una lettera riservata a monsignor Georg Gaenswein pubblicata da Gianluigi Nuzzi nel libro “Sua Santità ” — la fonte di Feltri in Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano assai vicino al cardinale piemontese, e in Bertone stesso il presunto «mandante morale».
Se i rapporti tra Boffo e Bertone sono ai ferri corti, nell’estate 2009 la Santanchè è invece vicinissima a Sallusti (con cui inizierà una relazione affettiva) e Feltri: è lei che cura, infatti, la pubblicità di “Libero” e de “Il Giornale”.
Tra i protagonisti della macchinazione l’editorialista preferito da Berlusconi cita anche Luigi “Gigi” Bisignani, il faccendiere condannato in via definitiva per associazione a delinquere, che in quel periodo ha con la Santanchè un link privilegiato.
Come ha spiegato lo stesso Bisignani a Henry John Woodcock nel corso degli interrogatori sull’inchiesta P4, ne è stato infatti prezioso consigliere per un lustro: il lobbista non solo suggerì all’amica di approdare nelle file del partito di Francesco Storace, “La Destra”, ma in seguito si spese per farla tornare nell’alveo berlusconiano. Operazione riuscita, tanto che Bisignani chiarisce ai pm napoletani di essere riuscito a farle ottenere un incarico da sottosegretario di governo.
«In questo scenario politico si innesta la mia attività collaborativa senza fini di lucro a favore della Santanchè per le sue attività nel settore della raccolta pubblicitaria», chiosa a verbale.
«In pratica, feci stringere i rapporti tra la Santanchè e gli Angelucci (proprietari di “Libero”, ndr). Le consigliai la costituzione di una vera e propria concessionaria, denominata Visibilia. Che poi ha iniziato a raccogliere pubblicità per “Il Giornale”, in concomitanza del passaggio di Feltri dalla direzione di “Libero” a quella de “il Giornale”».
Il pm Scarfò non ha mai depositato le testimonianze di Feltri e Sallusti. L’inchiesta ha finora portato alla sbarra solo un cancelliere del palazzo di giustizia di Santa Maria Capua Vetere, Francesco Izzo, accusato di accesso abusivo al sistema informatico: è lui l’uomo che — secondo il magistrato — a marzo 2009 consultò indebitamente il casellario per estrarre i precedenti penali di Boffo.
Dopo due anni, il processo è alle fasi finali, in attesa della requisitoria del pm. In caso di condanna, è probabile che nessun altro pagherà . Anche perchè Boffo non ha mai sporto querela per diffamazione.
Parafrasando Carl von Clausewitz, la macchina del fango appare come la prosecuzione della politica con altri mezzi.
Nel caso Boffo, Feltri e i compari che ordirono la trappola vinsero la battaglia: il 3 settembre 2009, dopo una settimana di cagnara mediatica, il direttore di “Avvenire” darà infatti le dimissioni.
«La lezione» scrisse il “New York Times” «è che nessuno può osare sfidare Berlusconi, nemmeno la Chiesa».
A nulla varrà la retromarcia del diretùr due mesi più tardi («è vero, nelle carte non si parla di “omosessuale attenzionato”, si trattava di una bagattella e non di uno scandalo»), nè la sospensione dell’albo professionale per tre mesi deciso dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia.
L’assassinio mediatico è compiuto.
Sulla scena del crimine un investigatore può facilmente rilevare i bossoli dei proiettili (la falsa informativa), le impronte digitali dell’arma che ha sparato (sono di Feltri e del suo vice di allora Sallusti) e i mandanti: se il giornalista ha raccontato la verità ai pm e a “l’Espresso”, tra i sospetti c’è un piduista, un potentissimo cardinale di Santa romana Chiesa e il consigliere politico più influente di Berlusconi.
«Ho pagato io solo come sempre succede» chiude Feltri.
«C’è quel cretino del direttore che ci va di mezzo. È normale… Ho sbagliato a fidarmi, evidentemente. Ma talvolta capita, nella vita, di fidarsi».
Fiitipaldi e Trocchia
(da “L’Espresso”)
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