Destra di Popolo.net

LE BALLE DI RENZI: I SOLDI PER ASSUMERE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE? SOTTRAGGONO 45 MILIONI AI PRECARI

Luglio 1st, 2014 Riccardo Fucile

I FONDI PER FINANZIARE LA MOBILITA’ OBBLIGATORIA PRESI DAGLI STANZIAMENTI PER LA STABILIZZAZIONE

I fondi per finanziare la mobilità  dei dipendenti pubblici – obbligatoria entro 50 chilometri – pezzo forte della riforma del governo?
Arriveranno riducendo quelli già  stanziati per stabilizzare i precari della Pubblica amministrazione e quello per nuove assunzioni per gli enti che hanno il permesso di farlo
È tutto messo nero su bianco nell’articolo 4 del decreto legge.
Si tratta di 15 milioni nel 2014 che diventeranno il doppio – 30milioni – dal 2015.
Nel dettaglio si alimenta per 6 milioni nel 2014 e 9 nel 2015 attraverso la corrispondente riduzione degli stanziamenti della finanziaria del 2008 – governo Prodi – , denominato proprio “Fondo per stabilizzazione precari della Pubblica amministrazione”.
Al comma 14 invece il fondo si alimenta per 9 milioni a decorrere dal 2014 con la corrispondente riduzione degli stanziamenti decisi nel 2006 del “Fondo per il personale del ministero dell’Economia e delle Finanze per incentivi alla mobilità  e programma di assunzioni”.
Infine, il fondo si alimenta per 12 milioni di euro a decorrere dal 2015 mediante corrispondente riduzione degli stanziamenti decisi nel 2006, il cosiddetto “Fondo per le assunzioni”.
Una vera beffa e un vero controsenso. Che si va ad aggiungere a quello emerso nei giorni scorsi.
Nella relazione tecnica allegata al decreto, la tanto decantata norma che abroga lo strumento del trattenimento in servizio – personale che potrebbe già  essere in pensione – e che porterebbe dunque alle assunzioni – secondo il governo – di 15mila persone, viene fortemente ridotta.
A pagina 32 lo stesso governo infatti mette nero su bianco che «risultano in corso di trattenimento in servizio circa 1.200 soggetti di cui circa 660 relativi al comparto magistratura».
E visto che per la magistratura la norma è stata congelata, le posizioni da sostituire sarebbero solo 540
Molto critica su tutta la riforma e sulle ultime «scoperte» è la Fp Cgil.
«Quando eravamo noi a sostenere che l’abrogazione del trattenimento in servizio avrebbe portato poche centinaia di assunzioni, il governo ci ha fatto passare per disfattisti. E ora si scopre che lo stesso governo ci dà  ragione», attacca il segretario Rossana Dettori.
«Per non parlare della beffa perpetrata ai danni dei precari: si prendono soldi dai fondi decisi da Prodi e Patroni Griffi, legati a programmi di stabilizzazione del personale, il tutto per imporre una mobilità  forzosa ai dipenditi pubblici», continua.
Se le cifre dei tagli sono ufficiali, molti interrogativi rimangono.
«Sulla mobilità  non sappiamo nè il numero di dipendenti coinvolti nè i criteri con cui verrà  decisa. Il quadro che esce da questi provvedimenti è insopportabile: non è una riforma per i cittadini, ma una riforma del lavoro pubblico contro i dipendenti – tuona Dettori -. Al di là  degli spot, speriamo che ci sia qualcosa nel disegno di legge che ancora non è noto»
I sindacati intanto si preparano alla mobilitazione.
La prima sarà  il 7 luglio sotto tutte le Prefetture. «Iniziamo da lì perchè la riforma entra in conflitto con decreto il Delrio che fissava una cabina di regia affidata alle Regioni per decidere come riallocare il personale delle Prefetture e Province, legandolo alle funzioni che prima i lavoratori seguivano. Con il decreto legge tutto questo è spazzato via. C’è il rischio che anche per questo personale ci sia una mobilità  forzosa», chiude Dettori.

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SONDAGGIO DEMOPOLIS: PD AL 43%, CINQUESTELLE E FORZA ITALIA CALANO AL 20% E AL 15%

Luglio 1st, 2014 Riccardo Fucile

NCD STABILE AL 4%, FRATELLI D’ITALIA SCENDE AL 3%

L’effetto Renzi continua, anzi fa aumentare i consensi a favore del Partito Democratico.
Come dimostrano gli ultimi sondaggi di Demopolis se si andasse a votare oggi il partito del Premier otterrebbe ben più di quel 40,8 delle ultime Europee già  considerato un risultato record per un partito di centrosinistra, arrivando a toccare quota 43% (solo la Dc raggiunse un risultato più alto. Con De Gasperi arrivò a quota 48% nel 1948).
Un aumento che conferma quanto sia ancora nel pieno la luna di miele tra Renzi e gli italiani, ancora molto fiduciosi che l’ex rottamatore possa cambiare verso al paese.
E così mentre il Pd (e il premier) continuano a crescere gli altri in maniera inversa perdono consenso.
Il riferimento sono sempre le ultime elezioni Europee: e così M5s si ferma al 20% (21,16% poco più di un mese fa) come Forza Italia che toccherebbe uno dei punti più bassi arrivando al 15% (16,82% alle ultime Europee).
Chi tiene invece è la Lega di Salvini che se si votasse oggi si attesterebbe intorno al 6%, stesso risultato, decimale più decimale meno, dell’ultima tornata europea.
Scende dal 3,7% al 3% anche Fratelli d’Italia, ormai tendente al ribasso, mentre risulta stabile l’Ncd al 4%

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BIOGAS, LA CIAMBELLA DI SALVATAGGIO DELLA REGIONE MARCHE ARRIVA DAL “LEGALITARIO” GOVERNO RENZI

Luglio 1st, 2014 Riccardo Fucile

UNA VERGOGNOSA SANATORIA PER RIMEDIARE AGLI ERRORI DELLA REGIONE CHE HA VIOLATO LE NORME COMUNITARIE IN TEMA DI VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE

La creatività  si sa è una dote rara, e per questo spicca sempre tra le banalità  delle idee.
Quanto a creatività  la Regione Marche non si può dire che non ne abbia da vendere, pur di rimediare ad un ”errore” riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale e che ora ha costretto persino il Presidente del Consiglio Renzi ad intervenire a livello nazionale con un ddl Agricoltura.
Un capitolo senza fine quello relativo alla vicenda del Biogas nelle Marche: non solo una questione ambientale di rilievo, ma soprattutto una battaglia per la legalità  e il rispetto delle leggi nazionali e comunitarie, disattese dalla giunta regionale.
Un evento che ha procurato un effetto domino anche nei comuni, coinvolti in una vicenda ormai dai toni “paradossali” dove si combatte per la certezza del diritto.
Un braccio di ferro tra normative comunitarie e dgr regionali in contrasto con esse e con il buon senso..
Ma ricordiamo i fatti:: la regione Marche ha concesso l’autorizzazione alla costruzione di impianti inferiori a 1Mw , senza passare attraverso la procedura di V.I.A, in deroga persino alle normative comunitarie.
Il Via è notoriamente una procedura amministrativa di supporto per l’autorità  decisionale finalizzato a individuare, descrivere e valutare gli impatti ambientali prodotti dall’attuazione di un determinato progetto.
Essa si basa sia sulle informazioni fornite dal proponente del progetto, sia sulla consulenza di altre strutture della pubblica amministrazione, sia sulla partecipazione della gente e dei gruppi sociali.
Obbiettivo del VIA è quindi quello di favorire la partecipazione dei cittadini nei processi decisionali realtivi all’approvazione dei progetti.
Nello specifico, la situazione di palese violazione delle normative europee ha portato alla nascita di comitati sorti proprio contro questo “escamotage procedurale della Regione per installare velocemente centrali di biogas, che se fossero state sottoposte ad una procedura di V.I.A non avrebbero ottenuto i relativi permessi.
Come è dimostrato dai successivi ricorsi al TAR vinti dai comitati promotori .
Lo stesso consiglio di Stato aveva dichiarato inammissibile il procedimento sprovvisto di V.I.A perchè in violazione delle normative della Unione europea.
Da non sottovalutare poi il passaggio in cui nell’ordinanza il Consiglio di Stato aveva bocciato anche l’ipotesi del VIA a posteriori già  avanzata dalla Regione Marche.
Nell’ordinanza il Consiglio di Stato ha richiamato la «nota e consolidata giurisprudenza — anche europea — che non ammette una VIA ex post».
Cosi interviene Il Presidente del Consiglio Renzi che ha introdotto una sorta di “ciambella di salvataggio ” per salvare la Regione, inserendo nel DDL Agricoltura un comma ad hoc nell art. 24, con il quale si interviene per “sanare” tale situazione illegittima, inserendo il VIA ex post.
Tutto ciò nonostante il quadro normativo stabilisca che la VIA è ” una valutazione ambientale che deve essere effettuata prima di ottenere le autorizzazioni .
Una sorta di “sanatoria” delle procedure in violazione di legge
L’approvazione di questo DDL Agricoltura , fa venir meno quel senso di giustizia e legalità  che
dovrebbe costiture una garanzia costituzionale per i cittadini.
Il ddl pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale qualche giorno fa, ormai è a tutti gli effetti in vigore: grazie ad esso anche le centrali dichiarate illegittime, perchè senza procedura V.I.A, potranno continuare ad essere operative, grazie a questa sorta di “sanatoria” .
Abbiamo un presidente del consiglio che parla di moralità , salvo poi nei fatti “coprire” gli errori di una giunta regionale che autorizza l installazione di centrali a biogas non rispettando la legge. n
A tutto ciò si aggiunge una procedura giudiziaria a livello regionale ancora aperta.
Nessuno mette in dubbio l’importanza delle energie alternative necessarie anche per un indipendenza territoriale e meno impattanti rispetto ad altre forme più inquinanti.
Ma tutto questo deve avvenire, nel rispetto delle normative comunitarie, al fine di non stravolgere le motivazioni per cui sono state introdotte.
Ora arriva la ciambella di salvataggio   che rende inutili tutte le battaglie e i ricorsi al TAR portati avanti e vinti in sede giudiziaria dai cittadini.
Nonostante le sentenze del T.A.R., nonostante la sentenza dell’Alta Corte che ha bocciato gran parte della normativa Regionale Marche, nonostante la normativa Europea, nonostante la procedura di infrazione “2009/2086 UE, il Pd regionale ha proseguito nella lesione di un diritto fondamentale   quale “il senso della legalità ”
Conseguenze di questo ennesimo pasticcio all’italiana?
Il rischio di ulteriori contenziosi perchè tutti coloro che hanno installato le centrali Biogas in comuni in violazione di legge, sarebbero sanati al pari di quelli invece che le norme le hanno rispettate.
Non solo: ad essi si aggiungeranno probabilmente interventi punitivi da parte dell’Unione europea, che si è gia espressa con la procedura di infrazione 2009/2086 UE
Auspichiamo uno scatto di orgoglio della buona politica che sappia rimettere a posto le cose sfuggite di mano a troppi soggetti, una soluzione nel rispetto delle leggi e della salvaguardia dei cittadini .
Le energie rinnovabili, frutto della green Economy, sono strumenti che, se ben gestiti, rappresenterebbero delle risorse non solo vantaggiose all’economia ma anche all’ambiente, a patto che vengano rispettati i principi per cui sono stai introdotti,

Gessica Menichelli

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LA LEGA SPUTTANA 30 MILIONI DEI LOMBARDI: LA GIUNTA DI MARONI STANZIA LA CIFRA PER UN REFERENDUM INUTILE E TAGLIA I FONDI ALLA SCUOLA

Luglio 1st, 2014 Riccardo Fucile

GLI ELETTORI DOVRANNO ESPRIMERSI SULL’ADOZIONE DI UNO STATUTO SPECIALE PER LA REGIONE LOMBARDIA: PECCATO CHE SIA NECESSARIA UNA MODIFICA DELLA COSTITUZIONE DA PARTE DEL PARLAMENTO

Si possono stanziare trenta milioni di euro per un sogno? Perchè no, se stiamo parlando di soldi pubblici e della Regione Lombardia, locomotiva autonoma e sede naturale della grande Padania.
Nei desiderata dei leghisti al potere c’è infatti lo statuto speciale di regione autonoma che consentirebbe di trattenere in casa il 75 per cento della tasse pagate, lo slogan della fortunata campagna elettorale che ha portato Roberto Maroni all’ultimo piano del Pirellone.
Un traguardo che suona come una sfida al centralismo di Roma diventato, insieme alla lotta all’immigrazione, un tema centrale del nuovo corso della Lega.
Così, per arrivare a questo traguardo, i leghisti di lotta e di governo lombardi hanno deciso di stanziare 30 milioni di euro per celebrare il referendum consultivo sull’autonomia della Lombardia.
Risorse messe in cantiere per il 2015, anno in cui probabilmente il Pirellone chiamerà  alle urne 7 milioni e 700 elettori per esprimere la propria opinione in merito alla trasformazione a statuto speciale.
Peccato che serva una modifica della Costituzione, fatta dal Parlamento con maggioranza qualificata e in doppia lettura.
Anche con l’ok dei lombardi, infatti, non c’è nessuna chance concreta, solo un semplice atto di manifestazione di volontà .
La riforma della carta costituzionale è un iter lungo e complesso.
Tutto è iniziato lo scorso lo scorso 17 aprile, quando al parlamentino lombardo vine presentato un ordine del giorno ad hoc: la giunta di centrodestra ha deciso di inserire in assestamento al bilancio del triennio 2014-2016 i trenta milioni necessari per sostenere i costi delle operazioni di voto.
A luglio, prima della pausa estiva, si voterà  sull’assestamento di bilancio e anche lo stanziamento da trenta milioni dovrà  ricevere l’ok del consiglio.
Sulle barricate l’opposizione che ha scoperto la manina leghista tra le pieghe del bilancio.
“Il referendum per l’autonomia è una mossa propagandistica della Lega, senza effetti pratici, che i cittadini pagheranno a carissimo prezzo», attacca il capogruppo del Pd Enrico Brambilla.
«Ci sono molti modi migliori per spendere quelle risorse, a partire dal fondo sociale regionale, destinato ai cittadini più in difficoltà , che nel 2014 è stato tagliato di dodici milioni dalla giunta Maroni».
La lista per spendere meglio i fondi si allarga anche alla scuola (il budget per gli studenti meno abbienti che frequentano le scuole statali è stato tagliato da 30 a 5 milioni) o per alleviare i ticket sanitari più cari d’Italia.
Insomma quei trenta milioni non vanno buttati al vento.
Ma l’autonomia della Lombardia non ha prezzo.

(da “L’Espresso“)

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COME ALL’ASILO: I GIUDICI SI LIMITANO A RACCOMANDARE A BERLUSCONI DI NON FARLO PIU’

Luglio 1st, 2014 Riccardo Fucile

SILVIO SOLO DIFFIDATO DOPO LE INVETTIVE CONTRO I MAGISTRATI A NAPOLI… L’EX PREMIER SE LA CAVA CHIEDENDO SCUSA E SPIEGANDO CHE NON ACCADRA’ PIU’

Un’ora di colloquio con il suo giudice per essere richiamato o meglio diffidato.
Silvio Berlusconi si è intrattenuto per circa sessanta minuti nell’ufficio del magistrato di Sorveglianza Beatrice Crosti, che gli ha concesso l’affidamento in prova ai servizi sociali per un anno in relazione alla condanna definitiva per la vicenda Mediaset.
Un faccia a faccia in cui la toga ha richiamato Berlusconi ad attenersi alle prescrizioni del provvedimento di affidamento ai servizi sociali, tra cui quella di non usare “frasi offensive” nei riguardi dei magistrati.
La diffida riguarda in particolare le parole usate da Berlusconi sui giudici a Napoli nel corso della sua testimonianza nel processo Impregilo a carico di Walter Lavitola.
L’affidato, dopo la ramanzina, ha chiesto “scusa” per quella che ha definito “una battuta” e ha assicurato, comunque, che non si ripeterà  più.
Anche perchè se dovesse essere revocato l’affidamento potrebbero scattare gli arresti domiciliari. “Questo non è un gioco — ha detto il giudice Crosti — i magistrati non sono solo quei pochi di cui legge sui giornali ma sono tanti e lavorano”.
Nelle scorse settimane l’ex presidente del Consiglio aveva puntato nuovamente il dito contro i giudici – almeno sei attacchi in tre mesi.
Ma quello avvenuto in aula a Napoli era stato così forte da far valutare ai pm anche l’incriminazione per il comportamento tenuto in veste di testimone.
Durante l’udienza l’ex premier aveva risposto con disappunto al presidente del Tribunale dicendo che i magistrati sono irresponsabili.
Quando il Tribunale di Sorveglianza aveva concesso la misura alternativa nel provvedimento aveva avvertito l’ex premier di non oltrepassare il limite sottolineando che le frasi ”offensive” contro le toghe “dimostrano spregio nei confronti dell’ordine giudiziario, ivi compreso questo Collegio … ben potrebbero inficiare quegli indici di resipiscenza … se reiterati”.
Per questo l’invito anzi la prescrizione da rispettare era quella che gli atteggiamenti dovessero mantenersi “nell’ambito delle regole della civile convivenza, del decoro e del rispetto delle istituzioni”.
Prima dell’episodio di Napoli Berlusconi aveva lanciato altri strali contro le toghe: in una intervista al “suo” Tg5 il 19 aprile aveva definito la sentenza Mediaset “mostruosa“ e in un’altra intervista il 28 aprile a Piazzapulita l’ex presidente del Consiglio aveva bollato come “ridicolo” il verdetto.
Il giorno dopo la sentenza era stata definita un colpo di Stato.
L’ex Cavaliere ha continuato a giocare sul filo, tra il lecito (criticare una sentenza) e l’illecito (attaccare i giudici). Poco dopo c’erano state altre dichiarazioni: ”Di giustizia non voglio e non posso parlare. Per quello che ho subito dovrei essere fatto santo” aveva detto in un messaggio indirizzato ai sostenitori del partito l’8 maggio scorso: “Mi hanno aggredito con 57 processi togliendomi serenità . Hanno infangato la mia immagine, hanno attaccato. Ora hanno alzato il tiro, con una sentenza impossibile, attentando addirittura alla mia libertà ”. E anche il 9 maggio, giorno del suo debutto come volontario tra i malati di Alzheimer dell’istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone, Berlusconi aveva di nuovo alzato il tiro commentando la giornata con i fedelissimi: “Il tribunale di Sorveglianza ha eseguito una sentenza politica infondata“.
La presenza di Berlusconi a Palazzo di Giustizia non era stata in alcun modo comunicata anzi era stata tenuta nascosta.
Anche l’orario, quasi sera, era stato scelto per una questione di riservatezza e gli avvocati interpellati hanno tutti risposto di non essere a conoscenza del colloquio.
La presenza della scorta dell’ex premier nel cortile del Palazzo, ha fatto scattare l’allarme tra i cronisti che hanno tentato di presidiare gli uffici del Tribunale di Sorveglianza, resi però inaccessibili dai carabinieri.

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TORNA L’IMMUNITA’ PER IL SENATO, PASSA L’EMENDAMENTO VERGOGNA CON IL SI’ DI PD, FORZA ITALIA E LEGA: MA CHE BELLA DESTRA…

Luglio 1st, 2014 Riccardo Fucile

RISTABILITO LO SCUDO PER PALAZZO MADAMA IN COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI

Torna l’immunità  per deputati e senatori.
La commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato l’emendamento dei relatori Anna Finocchiaro (Pd) e Roberto Calderoli (Lega Nord) al ddl Riforme. L’organo parlamentare a larga maggioranza ha dato il via libera alla modifica dell’articolo 68 della Costituzione.
Hanno votato contro Sel e Movimento 5 Stelle, astenuto Augusto Minzolini di Forza Italia.
Il governo ha espresso parere favorevole sulla proposta.
La modifica alla bozza dell’esecutivo (che inizialmente non prevedeva lo scudo per Palazzo Madama) era stata accolta tra le polemiche nei giorni scorsi.
Una decisione presa senza nemmeno sapere se i membri del Senato saranno eletti dai cittadini oppure nominati dalle segreterie di partito.
La conferenza dei capigruppo ha deciso che il ddl Riforme approderà  in aula al Senato la prossima settimana (probabilmente il 9 o 10 luglio) e non domani come previsto inizialmente.
La commissione Affari costituzionali procede per il momento senza particolari intoppi con la maggioranza che tiene la prova del voto.
Sulla strada delle riforme però sono stati tolti tutti i dossi, quegli articoli su cui si è aperto infatti il vero dibattito politico e costituzionale.
Nella seduta di questa mattina sono stati approvati gli emendamenti che modificano gli articoli dal 60 al 67 della Costituzione, bocciati tutti i subemendamenti, tranne quello di Francesco Campanella (Misto) che impone ai senatori la presenza durante i lavori delle commissioni.
Domani, riferiscono alcuni componenti della commissione, si dovrebbe rispettare lo stesso timing e arrivare così a giovedì, quando si deciderà  seriamente la sorte del ddl. Silvio Berlusconi infatti riunirà  nel primo pomeriggio deputati e senatori di Forza Italia per riportare la fronda interna al partito sulla strada dettata dal patto del Nazareno.
Nella stessa giornata di giovedì 3 luglio, il premier Matteo Renzi incontrerà  il Movimento 5 Stelle.
I grillini proprio in queste ore stanno spingendo per una approvazione più che delle riforme della legge elettorale. In vista forse di un voto anticipato, commentano a palazzo Madama.
Solo dopo questa giornata, con un probabile faccia a faccia Renzi-Berlusconi in serata se necessario, se sciolti i nodi la commissione potrà  procedere con l’esame e il voto degli emendamenti che modificano degli articoli 56, 57, 58 e 68 della Costituzione.
Il 56 e il 57 affrontano infatti la composizione di Camera e Senato, di cui il governo vorrebbe ridurre il numero.
Il 58 invece stabilisce le modalità  di elezione dei componenti del Senato, che l’esecutivo vorrebbe di secondo grado e non quindi diretta, e infine il 68, sull’immunità  dei parlamentari.
Escluso quindi che si lavori giovedì e i senatori pessimisti confessano che un arrivo in aula per la prossima settimana “è utopistico. Molto più probabile che il ddl arrivi all’esame dell’assemblea alla metà  di luglio”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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GAY, LA SVOLTA DI SILVIO ASFALTA I TEOCON

Luglio 1st, 2014 Riccardo Fucile

SPIAZZATI I CATTOLICI CONSERVATORI, SEMPRE PIU’ ISOLATI… LEGA, FDI E NCD CONTRO FORZA ITALIA E IL BUON SENSO COME SEMPRE

Dove sono finiti i teocon? Berlusconi apre ai gay ed ecco la vera scoperta: c’è un mondo che, fino a non molto tempo fa, contava molto, un mondo a lungo raccolto all’ombra del cardinal Ruini, in grado di imporre alla pubblica opinione e alle forze politiche l’etica dei precetti, di difendere dagli assalti “nuovisti” la cosiddetta identità  cristianoconservatrice- nazionale.
Il mondo delle Binetti, dei Giovanardi, tanto per citarne due esponenti, il mondo di Formigoni, di Comunione e Liberazione, dell’Opus Dei, dei movimenti cattolici artefici delle piazze gremite e rabbiose del Family Day, capaci di spaventare il Parlamento nel momento delle scelte «sensibili».
Ecco: questo mondo oggi sembra più bisbigliare che rumoreggiare. Deve essere davvero declinante la comunità  degli atei devoti se l’ex presidente del Consiglio ai servizi sociali ha allegramente deciso di ignorarla (forse su istigazione della giovane Pascale) e buttarsi — anche a costo di far irritare Alfano, Salvini e la Meloni, com’è successo ieri — nella battaglia per i diritti degli omosessuali.
La vera notizia è quasi questa: qualcosa è davvero cambiato in termini di rapporti di forza, forse è il vento europeo, forse «le priorità  dettate dall’emergenza economica», come suggerisce Dorina Bianchi, protagonista ai tempi della fecondazione assistita, forse conta anche l’atteggiamento di Papa Francesco, guarda caso citato proprio da Giovanni Toti, luce degli occhi berlusconiana: «Sulla questione dei diritti gay i tempi sono maturi e vi ricordo la frase del Papa: “Chi sono io per giudicare certe situazioni di vita delle persone? »
I teocon ci sono ma sono sparsi, sembrano disorientati.
Berlusconi è andato a stuzzicarli con quella nota scritta («E’ il momento di dar battaglia sui diritti civili per i gay») e ieri quel mondo si è debolmente animato uscendo dal sonno. Carlo Giovanardi, il più robusto, lancia l’allarme: «Stiamo assistendo ad un vero e proprio tentativo di rivoluzione antropologica ».
Di fronte all’idea che possa crearsi un asse perverso Scalfarotto-Berlusconi, quasi sviene. L’ultima volta che Giovanardi si sentì mancare fu quando la figlia gli confessò che si era fidanzata con un rasta, nero e gay.
Comprensibile dunque l’attuale stato d’animo, quel senso forse anche di isolamento, visto che la Chiesa ieri non ha tuonato anatemi.
Anche Rocco Buttiglione, che definì «sbagliata» l’omosessualità  («Ho pagato ma lo penso ancora ») non vibra come un tempo: «Che si possa andare ad una legislazione in materia di diritti ai gay non mi sento di escluderlo.
C’è un problema di difficile soluzione: dare ai gay una nuova comprensione dei loro particolari problemi (così testuale, ndr) cercando, nel contempo, di non diffondere ed equiparare il loro stile di vita a quello di una famiglia composta da uomo e donna».
Che Berlusconi faccia sul serio? «Non è mai stato un pilastro della fede. Vediamo quanto dura questa sua convinzione ».
Dorina Bianchi, ora con Alfano, trova «esagerato occuparsi così tanto del pensiero di Berlusconi».
Tuttavia dice la sua: «Vada per un ritocco del codice civile che assicuri diritti alle coppie omosessuali ma no a matrimoni e adozioni gay che, tra l’altro, sono un falso problema perchè, a volerli, è una ristretta lobby che cerca visibilità ».
Un tempo ci sarebbe stato un coro a sostegno di queste tesi.
Un tempo, ricorda Eugenia Roccella, anche lei Ncd, l’apertura ai gay dentro Forza Italia era sostenuta da una ristrettissima minoranza.
E adesso? E adesso persino l’ineffabile Gianfranco Rotondi si schiera: «Nessun pregiudizio ». Roccella parla di «subalternità  culturale nei confronti della sinistra», di un Berlusconi «politicamente debole a ricasco del politically correct».
Però, intanto, questo è successo. L’ex Cavaliere non ha ritrattato e si è sorbito le isteriche reazioni di un centrodestra già  terremotato.
«Attento — gli dice Salvini — una coalizione non si costruisce con queste sortite».
Il fratello d’Italia Alemanno evoca «il rischio fratture» e gli alfaniani promettono di mettersi di traverso in Parlamento.
Però il dubbio ce l’hanno.
Ci saranno abbastanza teocon o i tempi sono cambiati?

Alessandra Longo
(da “La Repubblica”)

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SI FERMA L’ITALICUM: RINVIATO A OTTOBRE

Luglio 1st, 2014 Riccardo Fucile

RENZI HA FINITO DI CORRERE

I tempi si allungano. E a farne le spese potrebbe essere la nuova legge elettorale, sacrificata sull’altare della riforma costituzionale.
Tutto il cronoprogramma immaginato da Palazzo Chigi rischia di saltare, insieme alla promessa di Renzi di vedere approvato l’Italicum prima dell’estate almeno in commissione.
Lo sa bene il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi. Con Anna Finocchiaro, la presidente della commissione affari costituzionali di Palazzo Madama e con il capogruppo dem Luigi Zanda ne hanno discusso a lungo ieri mattina.
«Dobbiamo accelerare al massimo per far posto alla legge elettorale — ha chiesto Boschi — Almeno cerchiamo di incardinarla prima della pausa estiva». Obiettivo quasi impossibile da centrare.
In Forza Italia lo scontro tra i favorevoli al patto delle riforme con il Nazareno (Verdini, Romani e Toti) e l’ala dura decisa a fare saltare tutto (Brunetta, Minzolini) è sempre più acceso.
La riforma Boschi? Per il Mattinale vicino a Brunetta è «una cosa che non esiste al mondo».
Tutto è appeso all’assemblea forzista di giovedì, nella quale Berlusconi tenterà  di convincere i ribelli a desistere.
Non a caso la riunione di oggi dei senatori del Pd è saltata: è rinviata a giovedì pomeriggio, dopo quella di Fi.
Nell’incontro della mattina a Palazzo Chigi la task force democratica, d’intesa con il capogruppo forzista Romani e relatore della Lega, Roberto Calderoli, decide di procedere in commissione solo sui punti condivisi.
Il resto, le questioni più spinose e i nodi — a partire dall’elezione dei nuovi senatori fino all’immunità  — vengono accantonati in attesa di capire cosa accadrà  nelle file berlusconiane.
Ma questa dilazione sulla riforma costituzionale mette a rischio l’Italicum.
Se la commissione finirà  il suo esame non prima della fine della prossima settimana, in aula il Ddl Boschi arriverà  soltanto a metà  luglio (qualcuno indica persino il 21 del mese). A quel punto addio riforma elettorale, visto che la commissione affari costituzionali dovrà  esaminare anche i decreti in scadenza. Come ammette un senatore dem, «l’Italicum sarà  un frutto autunnale».
Lo slittamento, oltre al danno d’immagine per Renzi, porta con sè un pericolo. Se la partita resta aperta troppo a lungo, tutto può essere rimesso in discussione, che è proprio la scommessa di chi punta a stravolgere l’impianto concordato tra il segretario-premier e l’ex Cavaliere.
Non a caso l’Ncd ha suggerito a Renzi di legare in un accordo politico le due riforme, ovvero il superamento del Senato in Camera delle autonomie e il modello elettorale, concordando subito le modifiche all’Italicum. Gaetano Quagliariello, che segue per Alfano il dossier riforme, è convinto che non si possa rinunciare al passo doppio: «È impensabile immaginare un via libera al nuovo Senato se prima non ci sarà  un’intesa nella maggioranza su quanto va cambiato nella legge elettorale».
Renzi, fedele all’impegno che le riforme si fanno con tutte le forze politiche, offre intanto ai 5Stelle un pacchetto di proposte sulla legge elettorale.
Lo fa con una lettera, che tatticamente serve a evitare l’accusa di sottrarsi al confronto avendo un patto blindato con Berlusconi.
Ma il prezzo da pagare è, di fatto, un ulteriore allungamento dei tempi sull’Italicum. «Le riforme devono avere più interlocutori possibili — ricorda Zanda — è importante quindi che anche i grillini siano della partita ». I 5Stelle si stanno dimostrando insolitamente dialoganti. Questo non vuol dire che Renzi sarà  presente di persona al prossimo incontro come gli ha chiesto Luigi Di Maio, il vice presidente grillino della Camera.
Nell’attesa che Forza Italia si chiarisca le idee, i relatori del Ddl Boschi, insieme con il governo, stanno comunque facendo di tutto per non trovarsi impreparati all’appuntamento.
Il lavoro di mediazione sulle questioni più intricate è a buon punto. Non solo sul Senato elettivo — che i Dem sono convinti non abbia nessuna possibilità  di resuscitare in aula nonostante i dissidenti della stessa maggioranza — ma anche sul nodo dell’immunità  da concedere a i nuovi senatori.
La Corte costituzionale in via riservata ha fatto sapere di non considerare opportuna l’assegnazione della competenza sulle autorizzazioni a procedere.
La palla è quindi tornata alla politica. L’ipotesi su cui si sta cercando un compromesso è quella della «insindacabilità  », ovvero i senatori saranno coperti da una immunità  depotenziata che varrà  solo per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni.
L’altro scoglio è quello relativo all’elezione del capo dello Stato: i ribelli forzisti hanno infatti sollevato l’obiezione che un solo partito potrebbe monopolizzare la candidatura al Quirinale, grazie a un’assemblea parlamentare dominata con il premio di maggioranza. Una modifica suggerita dal dem Francesco Sanna prevede che al parlamento in seduta comune si aggiungano anche i 73 eurodeputati italiani eletti con il proporzionale.
Ma ci sono anche altri emendamenti per riequilibrare il plenum per l’elezione del capo dello Stato presentati a Palazzo Madama da Miguel Gotor e da altri senatori della corrente dem Area riformista.
Prevedono di aumentare la quota dei grandi elettori per regione, ma anche una diminuzione del numero dei deputati.
Potrebbero essere ritirati in commissione, così da evitare la bocciatura, per essere ripresentati in aula. Nella riunione della mattina tra Boschi, Zanda e Finocchiaro all’ordine del giorno c’è anche il rischio di agguati in aula che vedano l’asse tra i dissidenti democratici di Chiti e Casson con i “falchi” forzisti di Augusto Minzolini e l’apporto dei 5Stelle.
Conti alla mano il pericolo è stato ridimensionato: «Resterà  comunque la stragrande maggioranza dei senatori a favore del Senato così come lo ha ridisegnato il governo, se ne faranno una ragione ».

Bei e Casadio
(da “La Repubblica“)

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LA RIVOLUZIONE VIRTUALE DI RENZI

Luglio 1st, 2014 Riccardo Fucile

I DISEGNI DI LEGGE SULL’AUTORICICLAGGIO E SULLA PRESCRIZIONE LUNGA ERANO GIA’ IN DISCUSSIONE IN PARLAMENTO: E’ STATO PROPRIO LUI A BLOCCARLI

Prendete un qualunque manuale di diritto. Consultate il capitolo «fonti normative ». Cercate la voce «linee guida ». Non la troverete.
Dunque, dal punto di vista giuridico, al Consiglio dei ministri non è successo nulla.
La sede è ufficiale, la rivoluzione è virtuale.
Il governo «parla» di riforma della giustizia. Non «approva» la riforma della giustizia. Accenna un «indice» generico. Non licenzia un provvedimento legislativo .
È una differenza sostanziale, che lo spin renziano tende a dissimulare.
Ma nella giustizia, come nell’economia, è necessario distinguere con rigore i risultati dagli obiettivi. Nel metodo, sarebbe troppo facile ricordare le promesse fatte e tradite.
Era il 17 febbraio, e Renzi aveva appena ricevuto l’incarico da Napolitano, quando annunciava il suo famoso «cronoprogramma » da «una riforma al mese»: legge elettorale e Senato a febbraio, mercato del lavoro a marzo, Pubblica Amministrazione ad aprile, fisco a maggio, giustizia e Welfare a giugno.
Da allora il premier non ha «arretrato di un millimetro»: «La riforma della giustizia si fa entro giugno».
L’ha giurato e rigiurato: il 30 maggio in conferenza stampa a Palazzo Chigi, il 31 maggio in un’intervista alla “Stampa”, il 1° giugno al Festival dell’economia di Trento, il 7 giugno alla “Repubblica delle Idee” di Napoli, il 13 giugno dopo il Consiglio dei ministri, il 14 giugno all’assemblea del Pd.
L’ultima promessa se l’è intestata Maria Elena Boschi il 20 giugno: «La riforma della giustizia sarà  al Consiglio dei ministri del 30».
Il fatidico 30 è arrivato. Com’era prevedibile, la riforma non c’è.
Ci sono, appunto, le «linee guida». Le «dodici palle» buttate in campo dal ministro Orlando, come le ha definite lo stesso Renzi, tanto per dare più credibilità  al progetto.
Dove rotoleranno queste «palle», nei prossimi due mesi di «discussione», nessuno lo può sapere.
Ma questo, più che un grande esercizio di «democrazia partecipata», ha l’aria di essere un astuto escamotage per comprare tempo e per vendere una merce che non si possiede.
Come accade spesso a Renzi, affezionato a una visione quasi schopenaueriana del «governo come rappresentazione della volontà  ». Un leggero vizio nel dispiegamento della leadership, se è vero che questo metodo lo ha sempre adottato anche da sindaco a Firenze.
Ma anche un pesante fardello imposto dall’Europa, se è vero che nelle «Raccomandazioni all’Italia» approvate dal Consiglio europeo venerdì scorso si legge, al punto 11 di pagina 9: «La corruzione continua a pesare in modo significativo sul sistema produttivo… C’è bisogno di rivedere i tempi dell’istituto della prescrizione. Un’effettiva lotta contro la corruzione richiede il conferimento di poteri adeguati all’Autorità  Nazionale Anti-corruzione. Persistono inefficienze nella giustizia civile e l’impatto delle misure adottate avrà  bisogno di essere attentamente monitorato».
Dunque, nella settimana in cui assume la presidenza di turno dell’Unione, è chiaro che l’Italia non può presentarsi a mani vuote di fronte all’Europa, anche sul tema della giustizia. E dunque le «linee guida» sono meglio di niente.
Nel merito, i «titoli» dell’indice renziano sono condivisibili.
Dimezzare i 5 milioni di cause arretrate nel civile è doveroso. Com’è doveroso per il Csm fondare la progressione di carriera sul merito e non sulle correnti. Inasprire le norme sul falso in bilancio e l’autoriciclaggio è urgente.
Com’è urgente accelerare il processo penale e allungare i termini della prescrizione. Una forma di responsabilità  civile «indiretta» per i magistrati può essere opportuna.
Com’è opportuna una disciplina più stringente sulla pubblicazione delle intercettazioni. Ed è bene che su una materia così sensibile il governo rinunci a diktat che riecheggiano le leggi-bavaglio di Berlusconi.
Ma a Renzi, che chiede «consigli» ai giornalisti, basterebbe ricordare quello che scriveva Giuseppe D’Avanzo su questo giornale, l’11 giugno 2008: «Occorre separare le conversazioni utili a formare la prova da quelle, non utili, relative alla vita privata degli indagati e delle persone estranee alle indagini, le cui conversazioni siano state raccolte per caso. Bisogna separare le prime dalle seconde dinanzi a un giudice, alla presenza delle difese e, per impedire la divulgazione e la pubblicazione delle conversazioni non utili alle indagini, è necessario estendere a questa procedura il vincolo della segretezza, prevedendo sanzioni severe per i trasgressori…».
Com’è chiaro da queste parole, non è vero che in Italia sulla giustizia «da 20 anni si litiga senza discutere» come sostiene il premier, affezionato all’idea che dal 1994 in poi si sia combattuto un «derby ideologico» tra fazioni (e non si sia invece consumata l’aggressione sistematica dell’esecutivo contro il giudiziario, attraverso il braccio armato e servente del legislativo). Durante il Ventennio berlusconiano molto è andato distrutto.
E per questo molto si è discusso. Ma molto si è anche proposto, per chi si fosse preso la briga di studiare testi e ricostruire fatti.
Fino a pochi giorni fa, disegni di legge sull’autoriciclaggio e sulla prescrizione lunga erano già  in discussione in Parlamento.
Li ha congelati proprio Renzi, rivendicando legittimamente al governo il diritto-dovere di varare una «riforma organica».
Ma proprio per questo, adesso, aspettiamo quella, non le «dodici palle» di Orlando

Massimo Giannini
(da “La Repubblica”)

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