Luglio 28th, 2014 Riccardo Fucile
LA RISSA TRA LA DE GIROLAMO E’ SOLO L’ULTIMA DI UNA LUNGA SERIE: DA CARFAGNA-MUSSOLINI A BOSCHI-FINOCCHIARO, QUANTI SCONTRI AL FEMMINILE
Ci sarà un motivo per cui è stato girato «Eva contro Eva» ma non c’è mai stato un «Adamo contro Adamo».
Non perchè gli uomini non litighino tra di loro. Ma perchè, generalmente, lo fanno lontano dai riflettori.
Mentre le donne, il più delle volte, si fanno tradire dalla propria passionalità e, se hanno qualcosa da obiettare a una collega, non la mandano certo a dire.
E se questo rientra nella norma quando a sfidarsi sono due signore di diversi schieramenti, a far notizia sono soprattutto gli scontri all’interno dello stesso partito.
Nel centrodestra, ad esempio, le liti al femminile sembrano un’abitudine.
Ultima quella andata in scena all’assemblea di Ncd tra il ministro della Salute Beatrice Lorenzin e il capogruppo alla Camera Nunzia De Girolamo.
Ieri le due hanno fatto pace su Twitter: #nunziativogliobene è stato l’hashtag lanciato dalla Lorenzin. «Anch’io ti voglio bene» ha replicato immediatamente la collega.
Quando siano sincere le loro parole lo si capirà solo nel tempo.
Per ora basti sapere che le donne gravitate nell’orbita del berlusconismo, lungi dall’essere le «veline» immaginate dalla sinistra, non mancano di tirare fuori gli attributi quando ce n’è bisogno.
Memorabile lo scontro tutto campano tra Mara Carfagna e Alessandra Mussolini a fine 2010.
Era l’epoca dello strappo di Fini e Bocchino, la Mussolini vide la collega parlare fitto fitto con Italo e l’attaccò, senza tralasciare sottintesi intimi.
Rapida arrivò la reazione della Carfagna, che diede della «vajassa» alla rivale, sdoganando in tutta Italia un termine che a Napoli significa «donna dei bassi», «donna sguaiata».
Ma per trovare scontri «sorellicidi» tra berlusconiane non serve andare così lontano nel tempo.
Basta pensare alla frecciata tirata da Francesca Pascale a Daniela Santanchè qualche settimana fa.
La seconda l’aveva criticata per la svolta «gay-friendly», la fidanzata di Berlusconi aveva replicato alludendo alle borse false acquistate dalla «pitonessa». Circostanza, in verità , poco credibile, data l’attenzione riservata al look dalla Santanchè.
In ogni caso, le parole della Pascale rivelarono la perfidia tutta femminile di chi sa che essere punte sul vestiario può, per una donna, essere più grave di subire una critica politica.
A sinistra, invece, in apparenza sembra esserci più discrezione. Anche se, specie sul recente scaricabarile legato all’immunità parlamentare da applicare al nuovo Senato, il ministro Maria Elena Boschi e la senatrice Anna Finocchiaro hanno dimostrato a colpi di interviste al veleno quanto possano essere tesi i rapporti rosa anche nel Pd.
E gli uomini? Beh, loro certamente non si attaccano sul taglio delle giacche che indossano.
Semmai, tavolta, passano direttamente alle mani in Parlamento oppure fanno allusioni alla forma fisica.
E sembra che a Renzi non vada giù chi gli fa notare, come ha fatto Berlusconi, i chili di troppo messi su da quando siede a Palazzo Chigi.
In ogni caso, tendono a preferire le trame oscure. E, anche quando cercano lo scontro in diretta, sembra lo facciano più per parlare alle telecamere che all’avversario.
I casi più noti sono il «che fai? Mi cacci?» di Fini a Berlusconi e il gelo di Enrico Letta alla cerimonia del passaggio di consegne con Renzi.
Gesti studiati, volutamente eclatanti, pronti magari – come è successo proprio nel caso di Fini – a essere riproposti sui manifesti elettorali.
Tutto finalizzato a un obiettivo.
Vuoi mettere con la sana e sincera rissosità delle signore?
Carlantonio Solimene
(da “il Tempo“)
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Luglio 28th, 2014 Riccardo Fucile
SI DIFFONDONO IN TUTTA ITALIA I SOCIAL STREET
Ore 11 di un sabato mattina a Milano. Il ritrovo è al bar all’angolo tra via Maiocchi e via Stoppani per fare colazione.
Così da sette mesi. Sono in venti, non fanno in tempo a sedersi, due baci sulle guance e le parole sono già spedite sui progetti.
Elena è lì con il fidanzato Riccardo. Si sono trasferiti dalla provincia di Potenza per lavoro e sono i primi ad aver stretto amicizia con Lucia, di Varese, che si occupa di teatro.
Caterina, stilista, ha l’accento fiorentino. Simona è nata a Pantelleria e organizza eventi. La sua omonima, romana, fa la guida turistica.
Anna la mamma, Erica la grafica, e Luca l’ingegnere informatico, che ha portato i suoi due bambini, di sette e nove anni, ed è l’unico milanese della combriccola.
Fino a Natale a malapena avevano incrociato i loro sguardi, non sapevano di abitare nella stessa via o di condividere il pianerottolo del palazzo.
Sono trentenni e quarantenni che oggi fanno parte della Social street di via Maiocchi e dintorni, la seconda più grande d’Italia dopo quella di via Fondazza a Bologna.
“A metà dicembre ho distribuito volontani per promuovere il gruppo dei residenti del quartiere su Facebook. Nel giro di qualche giorno c’erano 200 adesioni, oggi siamo in 800, a volte ci conosciamo solo per nickname ma è già un passo avanti ” spiega Lucia Moroni.
In via Maiocchi, 700 metri, dietro a Corso Venezia, in realtà non manca niente, dall’asilo alla scuola elementare, il parco, il supermercato, la palestra, la sartoria, la galleria d’arte. “Ma manca tutto — osserva — se hai paura di chiedere il sale al tuo vicino o un aiuto al bottegaio di fianco”.
La piccola comunità cresce. Oltre alle colazioni collettive e agli aperitivi settimanali, c’è il gruppo running del martedì, dalle otto alle nove, prima del lavoro, seguito da spuntino a casa di qualcuno.
Quello di acquisto solidale di miele, olio e caffè; quello di cinema, di lettura, di ricamo e delle gite nei musei della città . Presto partirà un servizio di dog-sitting.
Mentre sono già attivi una banca del tempo per scambiarsi gratuitamente le competenze e il bookcrossing, cioè il baratto dei libri: “Un bar vicino ha messo a disposizione uno spazio per il deposito” racconta Elena, dispiaciuta di non aver partecipato al debutto del social swap party, il baratto dei vestiti usati, allestito per due giorni nella sede vicina di un’associazione.
“Un successone, la stanza sembrava un negozio e ognuno ha postato su Facebook la foto dell’abito che avrebbe regalato e una di quello che si è portato a casa”.
Sono ormai un rito a grande richiesta le “case aperte” una volta al mese.
“Dieci di noi aprono la porta a gente sconosciuta della zona” lei è ancora incredula. La prima volta, il 9 febbraio, nel monolocale di Lucia, 23 metri quadrati, erano in 10 a cucinare cràªpe. La casa di tre studenti universitari si era trasformata in un laboratorio di shooting fotografico. Da Raffaella si sfornavano crostate, in un altro appartamento c’era un workshop di pittura per bambini curato da una pittrice di Brera mentre la storica dell’arte si era inventata un gioco di società per far conoscere i monumenti della zona. E un ragazzino aveva invitato i coetanei sul divano a sfidarsi alla play station. Le case ruotano, le attività cambiano, la gente resta. Il social network è usato per comunicazioni di servizio e richieste di vario tipo: “Conoscete un idraulico economico e bravo?” “Avete una bicicletta pieghevole che non usate più?” “Ho due biglietti per balletto alla Scala, qualcuno viene?”.
Hanno messo in piedi anche il sito web Viamaiocchi.it   che raccoglie le cronache della piccola comunità .
Al bar “Stoppani”, quello all’angolo, c’è una bacheca di legno per proporre idee e segnalare eventi.
Qui si fa anche la raccolta di alimenti che alcuni di loro ogni sera distribuiscono ai senza tetto della via fino alla Stazione Centrale.
“Non vogliamo diventare un’associazione: troppi vincoli e la spontaneità si spegne” chiude Elena.
Un fenomeno nazionale
Le social street nel nostro Paese sono 165 e quelle in cantiere aumentano a macchia d’olio.
Da Trento a Palermo (dove i residenti hanno raccolto quasi due mila firme per chiedere al sindaco Orlando di multare chi abbandona i rifiuti nelle strade).
L’ultima a Torre del Greco, in provincia di Napoli. L’elenco è sul portale Socialstreet.it  . L’idea è venuta a Federico Bastiani, 36 anni, originario di Altopascio, un paesello di sette mila abitanti nella provincia di Lucca, catapultato a Bologna per lavoro (fa l’addetto stampa di Loretta Napoleoni): “Dopo tre anni — spiega — non conoscevo ancora i vicini, mi sentivo un estraneo nella mia via”.
Una di quelle con i portici caratteristici, di 450 metri, 91 numeri civici e due mila abitanti. Così a settembre Federico inaugura un gruppo su Facebook che in tre settimane conta cento persone e oggi ne sfiora 900.
Il virtuale è diventato reale: “Quando esco dal portone saluto tutti. Ho scoperto che a 30 metri abitava un’altra famiglia con un figlio, che ora gioca con il mio”.
Si fa fatica a stare dietro a tutte le iniziative: “Il gruppo — riassume Federico — si alimenta da solo, le persone lanciano idee e chi è interessato si organizza”.
Aperitivi, colazioni, cene sociali, feste di compleanno, baratto, babysitting, carsharing, picnic, trekking fuori porta.
“Ogni martedì dalle 5 alle 6 mamme e bambini si ritrovano all’oratorio. E nel tempo libero puliamo i portici da graffiti e sporcizia visto che il Comune non lo fa”.
Mano tesa dagli esercenti del quartiere: una volta alla settimana il cinema sconta il biglietto a cinque euro; prezzi ridotti in pizzeria e al bistrò francese.
A Bologna e provincia di strade social ne esistono più di 50: “Stiamo costruendo una rete per esportare il modello in altre aree della città e dialogare con il Comune”.
Ma non è un miracolo solo del nord.
Manuela Baglivo, 35 anni, due anni fa torna da dove è venuta, cioè Tricase, nel Salento: “Ho speso 13 anni fuori tra studio e lavoro. A Bologna facevo l’insegnante precaria, lavoravo un giorno, un mese o un anno, poi da capo in attesa. Non ne valeva la pena, quindi sono tornata a casa dei miei genitori: ma che avrei fatto? Non conoscevo più nessuno, non avevo stimoli. Un giorno ho letto un articolo sulla social street di Via Fondazza e ho pensato subito di copiarla”.
L’esperimento di Tricase riguarda il centro storico e 150 persone, molti over 50 e under 25.
“Gli altri sono partiti. Della mia età saremo una decina”. Ma è tutto in fermento.
“Da quando si è sparsa la voce della social street, molti coetanei sparsi al Nord stanno pensando di mollare tutto e ritornare qui”.
Manuela non si stupisce: “La social street è la soluzione che tutti vorrebbero ma a nessuno viene in mente”.
Social salentino Poi c’è la disoccupazione, e il tempo bisogna inventarselo da capo, guai a soffocarlo nella vergogna.
Come funziona lì? Il Comune presta una sala per la riunione mensile, tutti i pomeriggi le case sono aperte per caffè e quattro bagole.
C’è chi cucina sempre in abbondanza e su Facebook invita gli altri a cena. Nei fine settimana si organizzano tour guidati per la città e mercatini dell’usato (ma chi vuole vende), ogni 15 giorni si puliscono le strade del centro, e si aiutano gli anziani a pagare le bollette, fare la spesa, andare dal medico.
“Prima però devi fargli capire che non li vuoi fregare — Manuela se n’è accorta subito -. Ci sediamo a parlare con loro, hanno paura dei furti, con la crisi sono diventati diffidenti. Tornare a fidarsi dei vicini di casa non è impossibile, soprattutto perchè non ci sono di mezzo soldi e politici”.
A ottobre faranno insieme la raccolta delle olive per conto terzi in cambio di bottiglie di olio.
In ballo c’è anche la ristrutturazione di alcuni edifici storici. Dove non c’è lo Stato, insomma, ci pensano le persone.
E la formula finora sembra funzionare.
Chiara Daina
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 28th, 2014 Riccardo Fucile
LA CONTINUA VERIFICA DEL NUMERO LEGALE E IL VOTO SEGRETO ALLARMANO IL GOVERNO
In realtà , al termine di una riunione di deputati e senatori, Sinistra e libertà la sua l’ha detta: con Matteo Renzi “non c’è nessuna trattativa in corso, i nostri emendamenti restano”.
Ma nella cerchia del premier non la considerano una chiusura finale e totale sul tema delle riforme, che restano ancora al palo in Senato.
Perchè, dicono dal gruppo Pd a Palazzo Madama, “da Sel arrivano segnali ambigui, tanto che ci chiediamo a chi rispondano i senatori di Vendola…”.
Una lettura che invece da Sel smentiscono seccamente: “Loro giocano a dividerci, ma non è vero…”.
E i vendoliani non gradiscono affatto la lettera spedita oggi da Renzi ai senatori di maggioranza. “Continua a parlare solo alla maggioranza”, è l’accusa.
Il succo è che ancora nulla si muove sulla strada delle riforme: il macigno di migliaia di emendamenti è ancora lì a rendere incerta la marcia verso la scadenza fissata per l’8 agosto.
E c’è un’altra nuvola in arrivo, sempre più pesante man mano che ci si avvicina alla pausa di agosto: il numero legale.
Già stamattina alla discussione sul decreto cultura al Senato l’aula si è presentata abbastanza vuota.
Normale, si dirà , come ad ogni discussione generale prima del voto.
Ma tanto basta per seminare un po’ di ansia nel gruppo del Pd, in vista della maratona sulle riforme.
L’inizio era previsto in serata ma è slittato a domani, con il Pd d’accordo sul rinvio.
I Dem si aspettano richieste di verifica del numero legale a raffica da parte del M5s, richieste sempre più pericolose man mano che ci si avvicina alle ferie di agosto.
Senza considerare che verificare ogni volta il numero legale ruba tempo alla discussione: così facendo, la celerità non è garantita nemmeno dalla decisione presa dalla conferenza dei capigruppo di contingentare i tempi del dibattito.
Tra l’altro, la stessa maratona dalle 9 alle 24, tutti i giorni compresi i weekend, obbliga a un ritmo di lavoro forsennato e a Palazzo Madama ci si interroga seriamente sulla capacità dei senatori di resistere.
Tanto che circola una battuta: “La maratona sarà una sorta di selezione naturale tra i senatori…”.
Darwin a parte, dal Pd si dicono comunque certi che la maggioranza non farà mancare il numero legale, ma certo i margini sono risicati se parte dell’opposizione decide di stare in piazza a spiegare la riforma invece che in aula, come hanno annunciato i grillini.
Quanto alla maggioranza però, dicono dal Pd che la lettera inviata oggi da Renzi dovrebbe essere servita a serrare i ranghi.
Allo stesso tempo, la stessa lettera non è piaciuta a Sel.
Dove l’hanno commentata con stizza. Della serie: Renzi continua a parlare solo alla maggioranza. Un motivo in più per non retrocedere sulla scelta di non ritirare gli emendamenti. Eppure Renzi e i suoi non considerano chiusa la partita con Sel, artefice di 6mila emendamenti, quasi tutti ammissibili. Certo, c’è il problema che molte di queste proposte di modifica sono state firmate anche dal M5s e dunque i vendoliani non possono più decidere da soli sull’eventuale ritiro.
Si vedrà in aula. A questo punto, non è escluso che uno sblocco intervenga all’ultimo momento.
Tanto che il governo sta mettendo in conto di approvare il grosso della riforma entro l’8 agosto, rimandando il resto — magari solo la discussione e il voto finali — alla riapertura di Palazzo Madama, vale a dire l’ultima settimana di agosto.
In questo modo, il Senato avrebbe chiuso solo per due settimane: dal 9 al 24 agosto, un inedito nella storia del Palazzo.
C’è da dire che a Palazzo Chigi non dispiacerebbe una riapertura dei lavori già il 18 agosto, da qui il dictat del ministro Maria Elena Boschi: “Si vota l’8 o niente ferie”. Ma l’ipotesi più probabile è che si ricominci il 25.
E se il numero legale è un’incognita, lo è anche il voto segreto, possibile su alcuni emendamenti, come ha stabilito il presidente del Senato Pietro Grasso la settimana scorsa.
Nel Pd considerano a rischio l’emendamento che oltre al numero dei senatori riduce anche quello dei deputati.
Se passasse, il governo dovrebbe recuperare alla Camera. “Ci faranno gli scherzetti col voto segreto, ma in questo caso riaggiusteremo alla Camera”, ha detto Renzi giorni fa.
In realtà , il renziano Matteo Richetti ha detto che “una riduzione del numero dei deputati è possibile”.
Ma questa, dicono i renziani del Pd, è una sua posizione personale.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 28th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX CAVALIERE TEMA QUALCHE SCHERZO SULL’ITALICUM E CHIUDE A MODIFICHE
Fastidiosa quasi come un virus.
L’effetto prodotto ad Arcore dalla lettera di Matteo Renzi ai suoi riottosi senatori è misurabile con lo spiffero che trapela dalle mura della villa Brianzola, in merito all’incontro tra Berlusconi e il premier.
Inizialmente previsto per martedì mattina, slitta a causa di un’influenza del Cavaliere. Un giorno, due.
Probabilmente l’ex premier starà tutta la settimana ad Arcore. Un virus, appunto.
La verità è che la “mossa” di Renzi all’ex premier non è piaciuta affatto. Anzi, alimenta quei sospetti che nella corte berlusconiana aleggiano da giorni.
Proprio ieri Giovanni Toti, tra il serio e lo scherzoso, ha svelato che il patto del Nazareno è scritto.
Dichiarazione che suona come un avvertimento a Renzi, indiziato da parecchi azzurri di volere, in verità , un ritorno al Mattarellum per puntare al voto o un ritorno al voto punto e basta.
In fondo, se un patto è scritto, ci vuole poco a renderlo pubblico se uno dei contraenti non lo rispetta.
E il patto prevede che l’Italicum, così come uscito dalla Camera sia intangibile. Perchè dunque Renzi riapre o fa finta di riaprire una trattativa considerata chiusa da Berlusconi?
È attorno a questo quesito che si consuma un pomeriggio in cui i dichiaratori azzurri tacciono, Berlusconi è col virus, Verdini e Renzi hanno abboccamenti per rassicurarsi a vicenda.
La lettura di Denis è che il premier ha fatto solo una mossa tattica, con l’obiettivo di smontare l’ostruzionismo di pezzi del suo schieramento, da Vendola passando per i critici all’interno del Pd.
Per la serie: io apro a modifiche sull’Italicum, voi fate passare la riforma del Senato. Una conferma che di tattica si tratta sarebbe data dalla voluta ambiguità dell’apertura renziana.
Questo il passaggio letto e riletto nel lungo pomeriggio di Arcore: “Abbiamo convenuto circa i punti fondamentali: chiarezza del vincitore, premio di maggioranza proporzionato, principio dell’alternanza, ma la discussione del Senato consentirà di affrontare i nodi ancora aperti: preferenze, soglie, genere”.
Appena si capirà che l’ostruzionismo non cessa, prosegue il Verdini pensiero, Renzi li manderà tutti al diavolo per tirare dritto sugli accordi presi, senza toccare di una virgola la legge elettorale sottoscritta.
Il problema è che il primo ad avere più di un sospetto sulla condotta del premier è proprio Berlusconi.
Un azzurro di rango la mette così: “Renzi scrive la lettera perchè non tiene una parte dei suoi. Il problema è che così facendo noi perdiamo i nostri. Vuole trattare con noi o con Sel e Alfano?”.
Musica per il proselitismo interno dei dissidenti. Ecco, calma dunque.
Perchè secondo l’ex premier non c’è nessun bluff. L’Italicum è tornato in ballo. “Ogni modifica deve essere condivisa” dice Paolo Romani.
Ma per ora le preferenze restano un tabù assoluto. Così come le soglie di accesso.
Le modifiche per chiudere con la minoranza del Pd per Berlusconi potrebbero rendere la legge elettorale non più conveniente.
A caldo la linea è trattare sulle soglie ma non sulle preferenze.
Ma si tratta di una partita ancora lunga. E piena di incognite.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 28th, 2014 Riccardo Fucile
LA FIFA COMMISSARIA IL CALCIO ITALIANO, IL CONI E’ SCAVALCATO PER INETTITUDINE… NEGLI USA DONALD STERLING PER UN CASO ANALOGO E’ STATO RADIATO A VITA
L’intervento della Fifa sul caso Tavecchio e gli “extracomunitari mangiabanane” – richiesta ufficiale di un’inchiesta con obbligo di riferirne alla Fifa stessa — è umiliante per il calcio e per lo sport italiano.
Umiliante perchè in presenza di una grave affermazione di impronta razzista di un candidato alla Federcalcio, tutto il calcio (Federcalcio stessa, Leghe di club che ne fanno parte, organi di giustizia “indipendenti”, si fa per dire) ha fatto il pesce in barile e orecchie da mercante.
Il vuoto di potere dopo le dimissioni del precedente presidente Abete, ha fatto un gran comodo.
Nessuno ha chiesto di render conto a nessuno.
Persino la Ue ha espresso meraviglia e stupore per quello che è successo.
A parte poche e rarissime eccezioni, come quelle di Fiorentina, Sampdoria e Cesena, che hanno ritirato ufficialmente il loro appoggio al candidato sotto accusa, nessuno è andato a disturbare il “probabile” prossimo presidente della Federcalcio.
E’ questo che è ancora più vergognoso.
Lo stesso ha fatto il Coni, organo supervisore e responsabile, nascondendosi dietro un incredibile silenzio e la passività totale: il presidente Malagò — c’è, è in ferie, esiste, governa? — non ha preso alcuna posizione pubblica, è rimasto — codardamente, si può dire? — muto.
Probabilmente perchè semplicemente non sa cosa fare, e questo è preoccupante per una presidenza che si sperava fosse un sasso nelle acque stagnanti (e adesso pure maleodoranti) dello sport.
E’ purtroppo questo un altro segno del decadimento etico e amministrativo del nostro sport.
Non è stato il Coni a commissariare la Federcalcio, ma clamorosamente la Fifa di Blatter.
Quello che le nostre “autorità ”, sportive e politiche, non hanno capito è che non solo le frasi di Tavecchio sono gravissime.
Ma è ancor più grave questo vergognoso menefreghismo, questa inaccettabile capacità di agire e reagire per non pestarsi i piedi, per non disturbarsi, questo clima di inciucio perenne e di difesa dei propri interessi di bottega, da cui siamo circondati. Commissariati e umiliati, questo purtroppo siamo oggi.
Negli Stati Uniti per una frase pesantissima il patron dei Clippers Donald Sterling (“Non mi portare dei negri al campo” disse alla fidanzata) è stato squalificato a vita dalla Nba e multato per 2,5 milioni di dollari.
Forse per “Optì Pobà prima mangia banane e adesso gioca nella Lazio” è davvero un po’ eccessivo, ma il ritiro della candidatura — chiesto ad esempio a gran voce su tutti i social network — sarebbe quantomeno opportuno.
Se non vogliamo portarci nel mondo il timbro, la condanna, di tanto becerume.
Del resto se anche pervicacemente, testardamente e vergognosamente Carlo Tavecchio non si fermasse per farsi eleggere davvero n.1 del calcio italiano, non potrà mai prendere un provvedimento in tema antirazzismo, senza che gli venga giustamente rinfacciata la storia degli extracomunitari “mangia-banane”.
Ma dai, parli proprio tu?, falla finita…
Stando così le cose, e avendo il personaggio in questione faccia tosta, non credo proprio che Tavecchio si dimetterà , non avendo percepito la gravità di quanto ha detto.
E avendo già avvertito il piacere di sistemarsi sulla poltrona che aspettava da anni. Però ad esempio — se non fossimo in un mondo paralizzato e ormai quasi dall’enecefalogramma piatto — qualcuno potrebbe obbligarlo alle dimissioni
Fabrizio Bocca
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Luglio 28th, 2014 Riccardo Fucile
OPENPOLIS PUBBLICA LA CLASSIFICA: TRA I PRIMI VENTI, SETTE SONO DI FORZA ITALIA, TRE DEL GRUPPO MISTO, TRE DEL NCD, DUE DI SCELTA CIVICA, DUE DI FRATELLI D’ITALIA, UNO A TESTA PER PD, SEL E LEGA
Quante assenze fanno i deputati durante le votazioni della Camera, e chi sono quelli che non si fanno mai vedere sul loro scranno?
Per monitorare l’attività dei rappresentanti dei cittadini, l’Espresso e Openpolis lanciano le nuove classifiche in tempo reale sull’attività degli onorevoli.
Strumenti di semplice comprensione e di immediato utilizzo per tenere sempre sott’occhio i politici. E che i lettori possono anche “copiare” ed utilizzare sui propri siti o blog, cliccando sul tasto “Embed” in coda alle tabelle e inserendole nelle proprie pagine web.
Con assenza si intendono i casi di non partecipazione al voto: sia quello in cui il parlamentare è fisicamente assente (e non in missione) sia quello in cui è presente ma non vota e non partecipa a determinare il numero legale nella votazione.
I sistemi di documentazione dei resoconti di Camera e Senato non consentono di distinguere un caso dall’altro.
I regolamenti non prevedono la registrazione del motivo dell’assenza al voto del parlamentare.
Non si può distinguere, pertanto, l’assenza ingiustificata da quella, ad esempio, per ragioni di salute (come nel caso di Stefano Quintarelli costretto a lavorare da casa a causa di un incidente d’auto).
I VENTI DEPUTATI PIU ASSENTI
Stefano Quintarelli Scelta civica 99,90%
Antonio Angelucci Forza Italia 99,87%
Marco Martinelli Forza Italia 96,13%
Piero Longo Forza Italia 95,97%
Rocco Crimi Forza Italia 92,32%
Mauro Pili Gruppo Misto 81,53%
Daniela Santanchè Forza Italia 81,47%
Alberto Bombassei Scelta Civica 76,36%
Michela Brambilla Forza Italia 75,85%
Pier Luigi Bersani Pd 69,44%
Filippo Piccone Ncd 68,17%
Francesco Ferrara Sel 65,50%
Giovanni Cuperlo Pd 65,12%
Carmelo Lo Monte Gruppo Misto 62,93%
Umberto Bossi Lega 62,42%
Mario Borghese Gruppo Misto 62,08%
Francesco Saverio Romano Forza Italia 61,03%
Maurizio Bernardo Ncd 60,52%
Marcello Taglialatela Fratelli d’Italia 59,73%
Massimo Corsaro Fratelli d’Italia 57,09%
(da “L’Espresso”)
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Luglio 28th, 2014 Riccardo Fucile
PER IL MINISTRO LUPI SONO MARZIANI, MA A BEN GUARDARE NON CHIEDONO CERTO LA LUNA… “L’ANNO SCORSO ALITALIA HA PERSO 560 MILIONI: SONO GLI AMMINISTRATORI I VERI RESPONSABILI DELLO SFASCIO”
«Se Etihad lascia Alitalia non sarà certo perchè stiamo chiedendo, come sindacato di maggioranza della compagnia italiana, di avere un tempo più lungo sul quale spalmare i sacrifici richiesti e di considerare le specificità del personale navigante».
Risponde così Claudio Tarlazzi, da poco riconfermato segretario nazionale della Uiltrasporti, alle polemiche seguite allo stop delle trattative sul costo del lavoro di Alitalia che hanno rimesso in discussione l’alleanza con Etihad.
Si rende conto che così facendo la compagnia degli Emirati potrebbe dire a addio all’alleanza?
«Le polemiche sono solo un pretesto per addebitare alle organizzazioni dei lavoratori delle responsabilità che fanno capo solo agli azionisti di Alitalia».
La sensazione che l’opinione pubblica ha è che, come al solito, per rivendicare i privilegi di alcuni vogliate far saltare il banco.
«Non è così. E lo dimostra il fatto che quello che Etihad aveva chiesto come condizione essenziale per entrare in Alitalia, e cioè la riduzione dell’organico, l’abbiamo sottoscritto quindici giorni fa. Una cosa che altre sigle non hanno fatto».
Allora qualcuno sta barando?
«La riduzione del costo del lavoro e la nuova parte normativa del contratto nazionale del comparto, punti sui quali abbiamo fatto presente la nostra contrarietà , le ha chieste Alitalia e non Etihad. Faccia lei».
Non sono tutti tasselli di un unico mosaico per chiudere una trattativa che va avanti da mesi e che sembra non finire più?
«Allora chiariamo. La richiesta degli arabi era quella relativa agli esuberi. Gli altri dossier richiesti dall’azienda, ancora tutta italiana, sono indipendenti e riguardano la riduzione del costo del lavoro e la definizione del contratto nazionale».
Due punti sui quali la rivendicazione sembra assumere caratteri vagamente corporativi.
«La Uil sta per diventare il primo sindacato in Alitalia (oggi circa 200 piloti dovrebbero sancire l’uscita dalla Ugl per confluire nell’organizzazione guidata da Tarlazzi n.d.r) abbiamo piloti e personale di terra oltre agli amministrativi. L’azienda è in un momento di transizione ma deve tenere conto delle nostre posizioni. Mi sembra normale. Quello che chiediamo è negoziare, non vogliamo rompere».
Allora chiariamo una volta per tutte su cosa non siete d’accordo.
«Il primo punto è il tempo a disposizione per consentire i risparmi di 31 milioni di euro all’azienda. Sei mesi sono un periodo troppo breve e i tagli in busta che i lavoratori devono sopportare troppo elevati».
Soluzione proposta?
«Una dilazione. Non sei mesi ma 12 o anche qualcosa in più».
Non sembra un problema insormontabile
«Lo pensiamo anche noi».
Secondo punto contestato?
«Una diversa rappresentanza degli interessi del personale navigante e di quello di terra».
Questo sa un po’ di corporativo. I lavoratori sono tutti uguali o per la Uiltrasporti no?
«Queste categorie sono minoritarie in termini numerici ma rappresentano delle esigenze specifiche che vanno in qualche modo salvaguardate. Attenzione non lo diciamo solo noi. Anche il codice della navigazione sancisce queste differenze».
Ma così si creano delle disparità di trattamento all’interno del sindacato?
«È una sensazione sbagliata. Lavoriamo per evitare che ci creino situazioni di prevaricazione di una categoria sulle altre. Il sindacato tutela tutti nel rispetto delle differenze».
Chi non è addentro alla materia forse non capisce. Può provare a spiegare meglio qual è il nodo?
«Non mi voglio addentrare perchè diventerebbe complicato e tecnico. Ribadisco che vanno salvaguardate alcune specificità di chi lavora in un’azienda complessa come Alitalia».
Così spiegata sembra abbiate ragione da vendere. Ma perchè gli altri non vi seguono. Non è che alla fine siamo alle solite guerre di religione tra le sigle?
«Mi preoccupo dei lavoratori e delle lavoratrici che aderiscono alla Uil Trasporti e penso che gli altri facciano lo stesso. Non entro nelle loro scelte».
Non c’è il rischio che Etihad dica addio all’Italia?
«Il fallimento dell’alleanza non dipenderà certo dalle questioni del lavoro. Non sono affatto preoccupato. La dimostrazione è nel fatto che Alitalia aveva fissato la deadline per l’accordo il 25 luglio scorso. Dopo, si sarebbe aperto il baratro. La deadline è passata e nessuno si è tirato indietro. Segno che le pressioni a volte sono strumentali».
Ma voi i rappresentanti di Etihad li avete mai visti?
«Mai. Nessuno contatto diretto».
Ma insomma di chi è la colpa dell’impasse?
«Di chi ha portato l’azienda in questa situazione. Sono i conti a indicare le responsabilità . Lo scorso anno Alitalia ha perso 560 milioni di euro. Nei primi tre mesi dell’anno il rosso è di circa 100 milioni. Si capisce da questi numeri il bisogno di liquidità che ha il management e le pressione per chiudere l’accordo. Quando è chiaro che sui due punti contestati dalla Uiltrasporti basterebbe la semplice applicazione del buonsenso per superare le divergenze».
Il ministro Lupi che vi ha dato dei marziani vi convocherà . Cosa vi aspettate?
«Semplicemente che ascolti le nostre contestazioni. Non mi sembra siano delle condizioni impossibili da risolvere».
Filippo Caleri
(da “il Tempo”)
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Luglio 28th, 2014 Riccardo Fucile
LETTERA AI SENATORI DELLA MAGGIORANZA: “CARO AMICO TI SCRIVO, COSI’ MI DISTRAGGO UN PO’… VEDI CARO AMICO, COSA TI SCRIVO E TI DICO, E COME SONO CONTENTO DI ESSERE QUI IN QUESTO MOMENTO… COSA SI DEVE INVENTARE, PER CONTINUARE A SPERARE”
Lo schema era chiaro da qualche giorno.
Ora è ufficiale: Renzi offre le modifiche all’Italicum per avere il via libera al Senato sulle riforme, entro i tempi concordati.
Per capirlo basta leggere la lettera che il premier ha inviato ai senatori: “Sulla legge elettorale – scrive – abbiamo convenuto circa i punti fondamentali: chiarezza del vincitore, premio di maggioranza proporzionato, principio dell’alternanza” ma “la discussione del Senato consentirà di affrontare i nodi ancora aperti: preferenze, soglie, genere”.
E aggiunge: “Subito dopo” l’esame del ddl Boschi – scrive – partiremo con la seconda lettura della legge elettorale su cui abbiamo convenuto circa i punti fondamentali: chiarezza del vincitore, premio di maggioranza proporzionato, principio dell’alternanza. La discussione del senato – è l’apertura del Premier – consentirà di affrontare i nodi ancora aperti: preferenze, soglie, genere”.
Una lettera in cui Renzi affronta i temi legati alla questione riforme, con la nota modestia che lo contraddistingue: “Stiamo realizzando un’impresa. La modifica costituzionale di cui state discutendo- aggiunge- supera il bicameralismo perfetto, semplifica il processo legislativo, riequilibra il rapporto stato regioni, abolisce il cnel, disegna uno stato più efficace e semplice”.
E chi non è d’accordo? Sono “presunti difensori delle istituzioni”.
“In queste ore -scrive ancora – vedere il Senato costretto a perdere tempo senza poter discutere in modo civile ma attraverso emendamenti burla è triste. È umiliante, immagino, trascorrere il vostro tempo, prezioso come il tempo di tutti i rappresentanti dello Stato, a discutere di argomenti assurdi”.
In effetti vedere il Senato perdere tempo da mesi con la sua riforma tarocco, concordata nelle segrete del castello con pochi intimi e uomini di malaffare, è umiliante per il popolo italiano.
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Luglio 28th, 2014 Riccardo Fucile
“HO RISCHIATO DI FINIRE DALLO PSICOLOGO, NESSUNO MI PROTEGGEVA”… “HO RINUNCIATO ALLA PENSIONE DA MINISTRO, LA POLITICA MI HA USATA E STRITOLATA”
Il calendario appeso è fermo, indica novembre 2011, il giorno 15 è cerchiato di nero. Ha la scrivania invasa da fascicoli, le pareti ricoperte di fotografie.
Dietro, c’è un detergente per vetri.
Il terzo piano affianca lo Stadio Olimpico di Torino, la torcia è spenta: “Intravedo le montagne, i rumori del parcheggio mi fanno compagnia”.
Il davanzale di questa morigerata stanzetta universitaria in corso Unione Sovietica ha un po’ di piante grasse e una coppia di melograni essiccati.
Cose da socialismo reale.
Butta giù un pezzo di salatino e stringe la confezione con la mano destra. Con la sinistra strappa un foglietto bianco, e lo mostra: “Questa era la mia vita appena finito il governo: il vuoto, il niente. E pensare che la giornata di un ministro era scandita dai minuti. Sono scesa da una giostra e ho continuato a girare senza motivo”.
Elsa Fornero non lacrima, ma le pupille sono arrossate (per la congiuntivite): “Devo molto a una telefonata di Enrico Letta, era il 3 maggio 2013, era un venerdì, circa le 21 e 30. Io mi ricordo i particolari. Tornava dal primo viaggio da presidente del Consiglio. Mi disse: Elsa, se siamo ancora in Europa lo dobbiamo alle tue riforme. Non mi doveva quella gentile chiamata. Mi ha aiutato”.
Per cosa?
A fare la differenza: quella che non ti fa prendere il sonnifero per dormire.
Quando è sveglia, che fa?
Io mi alzo presto, mai dopo le 6:45. Insegno, faccio ricerca, scrivo commenti su riviste straniere. E viaggio molto per le conferenze, mi fa staccare, mi dà equilibrio. Ho gestito il mio tempo per non andare da uno psicologo o da uno psichiatra.
La capitale trasmette la nostalgia dei salotti.
Io non li frequentavo, e forse ne ho pagato le conseguenze. Soltanto una volta sono stata da Anna Fendi. C’era anche Emma Bonino.
Roma è romantica di notte.
Ma io stavo in ufficio a montare o smontare i testi di legge. La mia casa era una caserma. Una foresteria. Rientravo ogni sera entro le otto e mezza: c’era la cena, mi piaceva essere puntuale.
Anche questo è rigore.
La mensa chiudeva presto. Il carabiniere Pasquale, però, mi lasciava sempre un piattino di prosciutto o di bresaola, una pagnottella di pane, la cicoria romana: adoro quella verdura.
Molto sobri, poco amati.
Io l’ho fatto per spirito di servizio, la nazione era in discredito. Ho conosciuto bene la Grecia, il pugno duro della Troika. Noi ogni giorno dobbiamo rinnovare prestiti per un miliardo di euro: il rischio l’abbiamo toccato da vicino.
Questo l’ha fatta piangere?
Anche in Patagonia mi hanno deriso. Ho diverse lettere.
Era il debutto in conferenza stampa, una mazzata per gli italiani.
Ho sofferto tanto, ma era necessario. Un giorno ero abbattuta, poi entusiasta, poi di nuovo abbattuta. L’economista tedesco Daniel Gros mi mandava messaggi: devi salvare la moneta unica. Ho interpretato anche dei segnali.
Scaramantica?
Le coincidenze sono importanti. Atterro a Caselle, a Torino, e incontro padre Enzo Bianchi. Mi avvicino, in silenzio.
E Bianchi?
Ministro, deve sapere che preghiamo per lei.
Le preghiere non bastano.
Eh no, ho passato settimane tesissime . Ricordo una riunione, una cabina di regia, con dei professori bocconiani e un direttore di Bankitalia: terribile. Io illustravo il piano e loro mi dicevano: non è ancora sufficiente, così non basta.
Aveva ingoiato tante lacrime.
Davanti ai giornalisti non mi sono trattenuta più. Dovevo pronunciare il termine “sacrifici”, mi sono venuti in mente i miei genitori. Questa è la solitudine di un tecnico.
E perchè ha accettato di entrare nel governo?
Era il 15 novembre, intorno alle 18, ero in partenza da Bruxelles. Non conosco complotti.
Prosegua.
Squilla il cellulare, è Monti. Comincia così: Elsa, puoi fare qualcosa per me. Io gli faccio gli auguri.
Educazione.
Mario replica: vuoi essere il ministro per il Lavoro? Hai due ore per decidere.
Fa le consultazioni?
Sì, rapide. Mio marito Mario (Deaglio) mi lascia libera: vorrei dirti di no, ma non posso. Mia figlia: non puoi rispondere no. Una mia cara amica di Torino, che aveva fatto politica, mi mette in guardia: finirai stritolata, stai attenta.
Chi ha avuto ragione?
Forse la mia amica.
Non era meglio votare nel 2011?
La situazione era drammatica. Il Parlamento aveva paura. Anche Pier Luigi Bersani era consapevole di non poter fare le riforme da Palazzo Chigi, il Pd l’avrebbe mollato. I partiti li abbiamo protetti noi.
E chi proteggeva Elsa Fornero?
Nessuno. Io sanguinavo come San Sebastiano, mi colpivano ovunque, e dovevo stare zitta, mentre Mario Monti faceva campagna elettorale.
Voleva correre in Scelta Civica?
No, un ministro impopolare non si può candidare. Ho votato quel movimento, però ritengo che Mario abbia sbagliato.
Perchè l’ha fatto?
Io l’ho letto sui giornali. Avrà ricevuto pressioni internazionali e sperava di poter recuperare l’azione iniziale di un esecutivo che poi s’è perso.
Ascolti: e-so-da-ti. Cosa prova?
La ferita per un uso strumentale di un problema che va seguito negli anni. Questo vocabolo racchiude quelli che sono usciti con incentivi e quelli che sono in mobilità . Il mio auspicio era creare un mercato del lavoro per giovani, donne e cinquantenni.
I disoccupati aspettano.
Io ho modificato l’articolo 18 per livellare il rapporto tra le generazioni, per ridurre le cause di lavoro. Non l’ho ucciso. Adesso vogliono maggiore flessibilità , adesso le critiche non esistono.
Quando c’erano i tecnici, il Cavaliere non era ancora ex, non era pregiudicato.
Non mi stupisco che Renzi sia alleato con Berlusconi per riscrivere la Costituzione.
Perchè?
I partiti fissano un obiettivo e lo raggiungono con chiunque: i politici sono cinici.
Com’è riformare con Berlusconi?
Ora è stato assolto per il processo Ruby, ma quella telefonata in Questura per liberare una prostituta minorenne lo rende inadeguato per sempre.
Parla spesso con Monti?
Due volte in due anni, stesso ritmo per Corrado Passera e Paola Severino. A volte mi confronto con Fabrizio Barca, Piero Giarda e con il presidente Giorgio Napolitano.
E cosa vi dite ?
Lo stimo molto. È un po’ seccato dai politici che vanno al Quirinale, gli promettono tante cose e poi vanno fuori e si smentiscono. Accadeva anche a me.
Con chi?
L’elenco è lungo.
Il primo?
Luigi Angeletti della Uil. Era affettuoso: “Sei bravissima, perfetta”. Poi mi salutava e mi demoliva con i giornalisti.
Buone vacanze
A settembre ho il foglio pieno, non più bianco. Ho rinunciato alla pensione da ministro, mi mancano quattro anni all’Università .
E fra quattro anni?
Vorrei avere meno affanno. Ho cinque nipoti, una casa in campagna che divido con mia sorella. Voglio leggere e coltivare l’orto.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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